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scienza-magia · 19 days ago
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Una stella di neutroni per il fast radio burst
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Individuata l’origine di un lampo radio veloce, trovata la posizione precisa grazie alla scintillazione. Utilizzando i dati del radiotelescopio Chime, in Canada, gli scienziati del Mit hanno individuato le origini di un lampo radio veloce, Frb 20221022, probabilmente emerso dalla magnetosfera turbolenta attorno a una stella di neutroni in una galassia a 200 milioni di anni luce da noi. Il burst sembra provenire da una regione estremamente piccola, con un diametro di circa 10mila chilometri. I lampi radio veloci – in inglese fast radio burst (Frb) – sono brevi e brillanti esplosioni di onde radio emesse da oggetti estremamente compatti, come stelle di neutroni e forse buchi neri. Questi fugaci fuochi d’artificio durano appena un millesimo di secondo e possono trasportare un’enorme quantità di energia, sufficiente a sovrastare la luminosità di intere galassie. Da quando è stato scoperto il primo fast radio burst nel 2007, gli astronomi ne hanno rilevati migliaia, la cui posizione varia dall’interno della Galassia fino a 8 miliardi di anni luce di distanza. Nonostante ne siano stati scoperti così tanti, il modo in cui avvengono è ancora oggetto di diatribe. Ora, gli astronomi del Massachusetts Institute of Technology (Mit) hanno individuato le origini di almeno un fast radio burst utilizzando una tecnica innovativa che potrebbe risultare promettente anche per altri Frb. Nel nuovo studio, pubblicato il primo gennaio sulla rivista Nature, il team si è concentrato su Frb 20221022A, un fast radio burst già conosciuto e rilevato in una galassia distante circa 200 milioni di anni luce. In particolare, il team si è focalizzato sulla determinazione della posizione precisa del segnale radio analizzando la sua scintillazione, un fenomeno simile a quello per cui le stelle sembrano sfavillare nel cielo notturno. Gli scienziati hanno studiato le variazioni di luminosità dell’Frb e hanno stabilito che il burst deve aver avuto origine nelle immediate vicinanze della sorgente, piuttosto che molto più lontano, come previsto da alcuni modelli. Il team stima che Frb 20221022A sia esploso da una regione estremamente vicina a una stella di neutroni rotante, a una distanza massima di 10mila chilometri, meno della distanza tra New York e Singapore. A distanza così ravvicinata, l’esplosione è probabilmente emersa dalla magnetosfera della stella di neutroni, una regione altamente magnetica che circonda la stella ultracompatta. «In questi ambienti delle stelle di neutroni, i campi magnetici sono davvero ai limiti di ciò che l’universo può produrre», spiega Kenzie Nimmo del Kavli Institute for Astrophysics and Space Research, primo autore dello studio. «Si è molto discusso sul fatto che questa emissione radio luminosa possa anche solo sfuggire da quel plasma estremo». «Intorno a queste stelle di neutroni altamente magnetiche, note anche come magnetar, gli atomi non possono esistere: verrebbero semplicemente fatti a pezzi dai campi magnetici», spiega Kiyoshi Masui, professore associato di fisica al Mit. «La cosa eccitante è che abbiamo scoperto che l’energia immagazzinata in quei campi magnetici, vicino alla sorgente, si sta torcendo e riconfigurando in modo tale da poter essere rilasciata sotto forma di onde radio che possiamo vedere attraverso l’universo». I rilevamenti di lampi radio veloci sono aumentati negli ultimi anni grazie al Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment (Chime). L’array di radiotelescopi comprende quattro grandi semi-cilindri di 100 x 20 metri su cui sono installati 1024 ricevitori radio a doppia polarizzazione sensibili alle frequenze tra 400-800 MHz. Dal 2020, Chime ha rilevato migliaia di Frb provenienti da tutto l’universo.
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l Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment (Chime), un radiotelescopio interferometrico situato presso il Dominion Radio Astrophysical Observatory nella Columbia Britannica, in Canada. Crediti: Chime Sebbene gli scienziati siano generalmente d’accordo sul fatto che i burst provengano da oggetti estremamente compatti, la fisica esatta che guida gli Frb non è chiara. Alcuni modelli prevedono che i fast radio burst provengano dalla magnetosfera turbolenta che circonda un oggetto compatto, mentre altri prevedono che i burst abbiano origine molto più lontano, come parte di un’onda d’urto che si propaga lontano dall’oggetto centrale. Per distinguere i due scenari e determinare dove nascono i fast radio burst, il team ha preso in considerazione la scintillazione, ovvero l’effetto che si verifica quando la luce di una sorgente puntiforme, come una stella, passa attraverso un mezzo, come il gas di una galassia, e viene deflessa in modo da apparire, a un osservatore distante, come se la stella stesse scintillando. Più un oggetto è piccolo o lontano, più scintilla. La luce di oggetti più grandi o più vicini, come i pianeti del Sistema solare, subisce una deflessione minore e quindi non sembra scintillare. Il team ha pensato che se si potesse stimare il grado di scintillazione di un Frb, si potrebbe determinare la dimensione relativa della regione da cui il lampo ha avuto origine. Più piccola è la regione, più il burst è vicino alla sua sorgente e più è probabile che provenga da un ambiente magneticamente turbolento. Più grande è la regione, più lontano sarebbe il burst, a sostegno dello scenario secondo il quale gli Frb derivano da onde d’urto lontane. Ed ecco che entra in gioco Frb 20221022A, il veloce burst radio rilevato da Chime nel 2022. Il segnale dura circa due millisecondi ed è un Frb relativamente comune, in termini di luminosità. Tuttavia, un gruppo di collaboratori della McGill University ha scoperto che Frb 20221022A presentava una proprietà particolare: la luce del burst era altamente polarizzata, con l’angolo di polarizzazione che tracciava una curva regolare a forma di S. Questo fatto è stato interpretato come la prova che il burst è altamente polarizzato e che il sito di emissione dell’Frb sta ruotando, una caratteristica precedentemente osservata nelle pulsar, stelle di neutroni altamente magnetizzate e in rotazione. La presenza di una polarizzazione simile nei fast radio burst è una novità assoluta, che suggerisce che il segnale possa provenire da regioni molto vicine alla stella di neutroni. I risultati del team della McGill sono riportati in un articolo di accompagnamento pubblicato su Nature. A questo punto, il team del Mit ha intuito che, attraverso l’eventuale rilevamento di una scintillazione, sarebbe stato possibile verificare se l’Frb 20221022A avesse avuto origine nelle vicinanze di una stella di neutroni. E così è stato: nel loro nuovo studio, Nimmo e i suoi colleghi hanno individuato nei dati di Chime forti variazioni di luminosità indicative di una scintillazione. Hanno confermato la presenza di gas tra il telescopio e l’Frb, capace di deviare e filtrare le onde radio. Analizzando la posizione di questo gas, il team ha stabilito che parte della scintillazione osservata era attribuibile al gas presente nella galassia ospite dell’Frb. Questo gas, agendo come una lente naturale, ha permesso ai ricercatori di “ingrandire” il sito di origine dell’Frb e di determinare che il burst proveniva da una regione estremamente piccola, con un diametro di circa 10mila chilometri. «È molto vicino», afferma Nimmo. «Per fare un paragone, se il segnale provenisse da un’onda d’urto, ci aspetteremmo di trovarci a oltre decine di milioni di chilometri di distanza e non vedremmo alcuna scintillazione». «Fare uno zoom su una regione di 10mila chilometri, da una distanza di 200 milioni di anni luce, è come poter misurare la larghezza di un’elica di Dna, che è larga circa 2 nanometri, sulla superficie della Luna», aggiunge Masui. Questi risultati, combinati con quelli del team McGill, escludono la possibilità che Frb 20221022A sia emerso dalle zone più periferiche di un oggetto compatto. Al contrario, gli studi dimostrano per la prima volta che i fast radio burst possono avere origine molto vicino a una stella di neutroni, in ambienti magnetici altamente caotici. «Il modello tracciato dall’angolo di polarizzazione era così sorprendentemente simile a quello osservato dalle pulsar nella nostra galassia, la Via Lattea, che inizialmente abbiamo temuto che la sorgente non fosse in realtà un Frb ma una pulsar classificata in modo errato», afferma Ryan Mckinven, coautore dello studio della McGill University. «Fortunatamente, queste preoccupazioni sono state messe a tacere con l’aiuto dei dati raccolti da un telescopio ottico che ha confermato che l’Frb ha avuto origine in una galassia distante milioni di anni luce». «La polarimetria è uno dei pochi strumenti che abbiamo per sondare queste sorgenti lontane», conclude Mckinven. «Questo risultato probabilmente ispirerà studi successivi su un comportamento simile in altri Frb e stimolerà gli sforzi teorici per riconciliare le differenze nei loro segnali polarizzati». Per saperne di più: Leggi su Nature l’articolo “Magnetospheric origin of a fast radio burst constrained using scintillation” di Kenzie Nimmo, Ziggy Pleunis, Paz Beniamini, Pawan Kumar, Adam E. Lanman, D. Z. Li, Robert Main, Mawson W. Sammons, Shion Andrew, Mohit Bhardwaj, Shami Chatterjee, Alice P. Curtin, Emmanuel Fonseca, B. M. Gaensler, Ronniy C. Joseph, Zarif Kader, Victoria M. Kaspi, Mattias Lazda, Calvin Leung, Kiyoshi W. Masui, Ryan Mckinven, Daniele Michilli, Ayush Pandhi, Aaron B. Pearlman, Masoud Rafiei-Ravandi, Ketan R. Sand, Kaitlyn Shin, Kendrick Smith e Ingrid H. Stairs Read the full article
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scienza-magia · 1 year ago
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Il Large Hadron Collider ha scoperto due nuove particelle
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Svelata l'esistenza di Ipernuclei e anti-ipernuclei, è una svolta per la fisica? Il Large Hadron Collider continua a stupire il mondo scientifico con scoperte che sembrano uscite da un romanzo di fantascienza. L'ultima in ordine di tempo è la produzione di ipernuclei, in particolare l'ipertritone, e la sua controparte di antimateria, l'anti-ipertritone. Queste particelle subatomiche potrebbero essere la chiave per svelare alcuni dei più grandi misteri dell'universo, dalla materia oscura fino all'interno delle stelle di neutroni.
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La scoperta è stata annunciata durante la Conferenza della Società Europea di Fisica sull'Alta Energia, tenutasi la scorsa settimana ad Amburgo. Il Dr. Hendrik Jage del progetto LHCb ha riferito di aver osservato circa 100 ipernuclei nei dati raccolti tra il 2016 e il 2018. La maggior parte di questi erano ipertritoni, che hanno una vita incredibilmente breve, meno di un miliardesimo di secondo, prima di trasformarsi in nuclei di elio e pioni. La cosa interessante è che, a differenza dei nuclei convenzionali, un ipernucleo sostituisce uno dei protoni o neutroni con un iperone, una particella che contiene almeno un quark "strano". Gli ipernuclei potrebbero infatti esistere nel nucleo delle stelle di neutroni, gli oggetti più densi dell'universo dopo i buchi neri. Inoltre, l'antielio-3, un prodotto del decadimento dell'anti-ipertritone, potrebbe essere un segnale della presenza di materia oscura nell'universo. In altre parole, la scoperta degli ipernuclei potrebbe essere un tassello fondamentale per completare il puzzle della nostra comprensione dell'universo. FONTE: iflscience Read the full article
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scienza-magia · 4 years ago
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Osservata la prima kilonova dalla fusione di due stelle di neutroni
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Quel quarto di secondo tra fusione e buco nero, i primi 250 ms dopo il merging fra stelle di neuroni. Un articolo pubblicato su ApJL offre per la prima volta una descrizione completa del meccanismo di espulsione di materia guidata dal campo magnetico nella fase tra il merging e il collasso a buco nero dell’oggetto risultante. Ottenuta grazie a una simulazione di durata record, la descrizione è in grado di spiegare la cosiddetta “componente blu” della kilonova poi osservata. Media Inaf ha intervistato il primo autore dello studio, Riccardo Ciolfi dell’Inaf di Padova Avete presente la prima storica fusione fra due stelle di neutroni, osservata il 17 agosto 2017 da telescopi a terra e nello spazio e, contemporaneamente, dagli interferometri per onde gravitazionali Ligo e Virgo? Subito dopo la fusione vennero prodotti un lampo di raggi gamma “corto” e una kilonova. Esattamente come previsto dai modelli, si disse all’epoca. In realtà, analizzando con calma i dati, gli astrofisici hanno in seguito individuato alcuni aspetti che i modelli non riescono a spiegare. Per esempio, restano incerti i meccanismi fisici che hanno portato all’espulsione del materiale all’origine della kilonova. In particolare, a essere complessa e controversa è la spiegazione della cosiddetta “componente blu” della kilonova: quella emersa per prima, nell’arco di un giorno dalla fusione, osservata nelle bande blu e ultravioletta e associata a una quantità di materiale pari a circa 0.02 Read the full article
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scienza-magia · 5 years ago
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Sullo spazio tempo delle stelle di neutroni per la verifica della relatività
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Einstein in bilico sulla riga del ferro, se la costante di gravitazione universale non è costante. Le stelle di neutroni possono essere usate come banco di prova della teoria della relatività generale grazie a un nuovo metodo teorico sviluppato da due astrofisici dell’Inaf di Arcetri. Ne parliamo con Niccolò Bucciantini, primo autore dello studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Sebbene negli ultimi cento anni la teoria della relatività generale di Einstein abbia mietuto un numero indicibile di successi e sia stata confermata da numerose prove sperimentali, ci sono alcuni suoi aspetti che per gli scienziati non sono ancora del tutto soddisfacenti. Come già hanno dimostrato sia l’esperimento di Eddington con l’eclissi di Sole del 1919 sia l’osservazione del buco nero nella galassia Messier 87 avvenuta esattamente cento anni dopo, lo studio della propagazione della luce è senza dubbio il miglior modo di verificare la forma dello spazio-tempo, e quindi ottenere conferme osservative della relatività generale. Partendo dall’ipotesi che G – la costante di gravitazione universale, che nella relatività generale è appunto costante – sia variabile e dipenda dalla distribuzione di materia, è stata studiata per la p
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Rappresentazione artistica di una stella di neutroni. Crediti: Eso/L. Calçada rima volta l’alterazione della forma della riga spettrale del ferro rispetto a quanto previsto dalla relatività generale. I risultati sono stati pubblicati questo mese su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society in un articolo scritto a quattro mani da Niccolò Bucciantini, ricercatore all’Inaf di Arcetri, e Jacopo Soldateschi, che sta svolgendo il suo dottorato di ricerca proprio su modelli alternativi di gravità applicati alle stelle di neutroni. Bucciantini, originario di Prato, dopo un lungo periodo all’estero – prima a Berkeley, in California, poi a Stoccolma, in Svezia – dal 2011 è di nuovo in Italia, dove si occupa di astrofisica relativistica e di simulazioni numeriche di stelle di neutroni e nebulose da pulsar. Gli è stato dedicato l’asteroide 235999 Bucciantini dagli astrofili di San Marcello Pistoiese, ma l’astronomia non è la sua unica passione: è un lettore vorace, dedica il suo tempo libero al trekking e alla musica classica. Media Inaf lo ha intervistato. Come mai ancora uno studio sulla relatività generale di Einstein, dopo oltre cento anni dalla sua formulazione? «Nonostante molti sforzi, a oggi non è stata formulata una teoria quantistica della relatività generale. Per questo, i fisici teorici hanno cercato di estendere la teoria di Einstein ad alcuni casi specifici che presentano tuttavia comportamenti anomali in alcune condizioni. Le osservazioni cosmologiche richiedono la presenza di materia oscura ed energia oscura a oggi non rilevabili direttamente dagli acceleratori di particelle, cosa che rende molto difficile una conferma – o una smentita – della teoria di Einstein». Ma la teoria della relatività generale non è già confermata? «Sì, al momento tutte le osservazioni la confermano, ma esistono molte alternative compatibili con i risultati presenti. La ricerca di nuovi modi per mettere alla prova Einstein, anche solo di fare un po’ di “ordine” fra le varie teorie alternative, è pertanto uno sforzo necessario». Qual è il contributo innovativo del vostro studio?
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Niccolò Bucciantini, ricercatore all’Inaf di Arcetri e primo autore dell’articolo pubblicato su Mnras «È stato sviluppato un codice che traccia la radiazione dal disco di materia in accrescimento fino all’osservatore, tenendo conto del fatto che non solo cambia la traiettoria della luce che arriva all’osservatore, ma lo stesso moto del disco di accrescimento non è più lo stesso. Il ferro contenuto in tale materia, una volta riscaldato, emette luce a una frequenza caratteristica, generando una riga di emissione che ha una forma ben precisa e riconoscibile. Per la prima volta abbiamo studiato come la distribuzione della massa – ovvero la presenza di un campo scalare – possa alterare la forma prevista della riga del ferro rispetto alla relatività generale». Sembrano concetti molto complessi. Possiamo fare un passo indietro? «Tra le poche teorie considerate estensioni della relatività di Einstein che sembrano funzionare bene, ci sono le cosiddette teorie scalare-tensore, formulate a partire da una teoria di Brans e Dicke della gravitazione del 1961. L’idea di fondo di questa teoria è che la costante gravitazionale G non si presume essere costante ma può quindi variare nello spazio e con il tempo. La costante G descrive la forza dell’accoppiamento tra spazio-tempo e materia-energia e nella relatività generale è appunto costante, mentre nelle teorie scalare-tensore viene sostituita con una quantità variabile (un cosiddetto “campo scalare”), che dipende a sua volta dalla distribuzione di materia. Questa sostituzione introduce degli effetti che possono riprodurre le osservazioni cosmologiche. Allo stato attuale, sia le teorie tipo Brans-Dicke sia la relatività generale sono generalmente d’accordo con l’osservazione».  Perché utilizzare le stelle di neutroni? «Nel 1993 Thibault Damour e Gilles Esposito-Farèse hanno scoperto che, in presenza di oggetti di grande massa molto compatti come le stelle di neutroni, le teorie scalare-tensore possono dare luogo a un fenomeno noto come “scalarizzazione spontanea”, che porta a sostanziali deviazioni dello spazio-tempo dalle predizioni della relatività generale. Questo rende le stelle di neutroni un laboratorio perfetto per testare queste teorie. Si pone dunque il problema di andare a studiare lo spazio-tempo nelle immediate vicinanze di una stella di neutroni, entro al massimo qualche raggio. Per fare questo abbiamo bisogno di una sorgente di luce di cui conosciamo bene le caratteristiche che si trovi vicino a una stella di neutroni. Quando la stella di neutroni si trova in un sistema binario con una compagna di piccola massa, il disco viene illuminato nei raggi X a causa dell’energia rilasciata nell’accrescimento, ed emette radiazione di fluorescenza particolarmente intensa in corrispondenza di una riga del ferro. A causa della propagazione nello spazio curvo intorno alla stella di neutroni, e del fatto che il disco da cui la radiazione proviene ha una velocità orbitale ben definita, la riga osservata ha una forma molto peculiare che può essere usata per misurare la forma stessa dello spazio-tempo». Non si potrebbe applicare questa tecnica anche ai buchi neri?
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Illustrazione artistica del telescopio spaziale Athena in primo piano. A destra, il disco di accrescimento della stella di neutroni in cui viene osservata la riga del ferro. Crediti: N. Bucciantini/Esa/Wikipedia «Questa tecnica della riga del ferro è già stata usata in passato studiando i dischi di accrescimento dei buchi neri, ma fondamentalmente sempre assumendo che la relatività generale fosse giusta. La cosa buffa è che si è capito che per uno studio a questo riguardo i buchi neri non sono affatto utili, perché tutta la materia è concentrata dentro l’orizzonte degli eventi». Ora come ora, siamo in grado di osservare questo fenomeno? «Gli effetti di questo fenomeno sono molto piccoli, dell’ordine di qualche percento rispetto ai risultati attesi dalla relatività generale. Con i telescopi attuali questi effetti non sono certamente osservabili, dato che per poter misurare la forma della riga del ferro con sufficiente precisione è necessario raccogliere moltissimi fotoni, ben oltre di quello che gli attuali telescopi possono fare. Tuttavia, in futuro, telescopi della classe di Athena (Esa) destinato all’astronomia a raggi X (lancio previsto nel 2030) renderanno possibile osservare la presenza di questi debolissimi effetti, con esposizioni lunghe anche alcuni giorni. Ovviamente non è certo con una singola misura o osservazione che potremmo stabilire in maniera definitiva se la relatività generale è corretta o no, ma solo attraverso una molteplicità di osservazioni possibilmente indipendenti fra loro. Il nostro è solo un piccolo contributo in tal senso: un modo diverso e alternativo per verificare la validità della teoria di Einstein rispetto a una sua possibile alternativa». Per saperne di più: Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Iron line from neutron star accretion discs in scalar tensor theories”, di Niccolò Bucciantini e Jacopo Soldateschi Read the full article
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