#sostantivi
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𝑈𝑚𝑏𝑟𝑒 𝑑𝑒 𝑚𝑢𝑟𝑖, 𝑚𝑢𝑟𝑖 𝑑𝑒 𝑚𝑎𝑖𝑛𝑒́
𝐷𝑢𝑛𝑑𝑒 𝑛𝑒 𝑣𝑒𝑔𝑛𝑖̀, 𝑑𝑢𝑣𝑒 𝑙'𝑒̀ 𝑐ℎ'𝑎𝑛𝑒́...
«Certe volte mi sentivo inorgoglito, altre volte deluso. Ma sempre in ogni caso un po' vergognoso a vedermi quasi costretto a sfogliare le riviste specializzate, per scrutare con un occhio quasi da lumaca, fuori dalle orbite, quale posizione avesse ottenuto in classifica il mio ultimo, cosiddetto, prodotto discografico. Perché questo voleva dire che il disco in quanto funzione oggettiva di consumo, aveva assunto un'importanza superiore a quella delle canzoni per le quali viveva, e nelle quali sinceramente mi sentivo di avere vissuto. Mauro Pagani la pensava allo stesso modo, forse anche per questo motivo: la reciproca stima, il progetto comune, il tentativo di ricondurre la canzone alla sua funzione primaria. Il canto ha infatti ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compito fondamentale di liberare dalla sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizzare il male. Certo le canzoni le abbiamo comunque registrate, a noi sembra con buoni risultati tecnici. Però penso che mai, come nel caso di Creuza de mä, di questa "mulattiera di mare", traduzione volutamente approssimativa, per quanto desiderava essere descrittivamente precisa, mai come in questo caso – dicevo – il disco ha assunto una funzione molto ridotta rispetto alle canzoni di cui vive. Dicevo pure la funzione che può avere la stringa nei confronti di una scarpa, o addirittura nei confronti di un mocassino. Ci sono sicuramente altri motivi per cui si è deciso di fare canzoni di questo tipo. Motivi tutti ugualmente di rilievo e a cui sinceramente non riuscirei a dare un ordine di importanza. Ad esempio la scelta stilistica. Una volta individuati gli strumenti etnici che in quella che in qualcuno ha voluto chiamare una piccola "Odissea", volevano ricondurci all'atmosfera del bacino del Mediterraneo, dal Bosforo a Gibilterra, era necessario adattare ai suoni che tali strumenti riproducevano, una lingua che ci scivolasse sopra, che evocasse attraverso fonemi cantati, indipendentemente quindi dalla loro immediata comprensibilità, le stesse atmosfere che gli strumenti evocavano. A noi la lingua più adatta è sembrata fosse il genovese, con i suoi dittonghi, i suoi iati, la sua ricchezza di sostantivi ed aggettivi tronchi che li puoi accorciare o allungare quasi come il grido di un gabbiano ».
Fabrizio De André
Scritto con Mauro Pagani Crêuza de mä è pubblicato da Ricordi nel 1984
C'E' CHI VENDEVA PESCE E CHI VENDEVA PESCE IN RE.
Pagani racconta che a Genova si era sparsa la voce che al mercato del pesce sarebbe arrivato De Andrè a registrare qualcosa " Fabrizio aveva già avvisato dei suoi conoscenti. Succede che Caterina, la voce della donna che si sente nel disco, non vendeva più il pesce al mercato, aveva aperto un negozio da un' altra parte, ma era la voce storica del posto, così fu invitata. C' era un eco incredibile perché il mercato del pesce di Genova è una struttura enorme. Gli accordi erano che avrebbe dovuto parlare solo lei, ma poi anche le voci maschili hanno iniziato a fare casino, sai... verso la fine. Cosa interessante fu che Fabrizio non si svegliò quella mattina -racconta sempre Pagani - eravamo solo io e Alan Goldberg (alias Fabio Ricci), e facemmo un' ora e mezza di registrazione. Quando tornammo in studio la fortuna volle che Caterina vendeva il pesce in RE, non abbiamo toccato una virgola di quella registrazione, era perfetta per il pezzo".
L’album viene accolto dai discografici senza particolare entusiasmo, convinti che un disco in genovese non lo avrebbero capito neppure a Genova.
Crêuza de mä avrà invece un grande successo: votato dalla critica Miglior disco italiano degli anni ’80, segnalato da David Byrne tra i dieci dischi più importanti del decennio in tutto il mondo e al 4° posto della classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo “Rolling Stone”. Crêuza viene inoltre premiato con la Targa Tenco nel 1984.
( Illustrazione Roby il pettirosso)
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Borghi &Bagnaia, dopo la presentazione del ddl per l'abrogazionedel decreto di adesione dell"italia all'organizzazione mondiale della sanità: "Oms, carrozzone che aiuta solo quelli che ci lavorano".
Verrebbe da ridere, ma, c'è solo da piangere, se si riflette attentamente alla dichiarazione dei due parlamentari, che citano a sproposito i sostantivi carrozzone e lavoro, ossimoro, evidentemente poco chiaro in quel di via Bellerio e tra gli scranni dei due rami del parlamento.
Quando il troppo stroppia.
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"Sono quella stronza della Meloni.". Senza un condizionale, senza un punto interrogativo. Macche'!! Netto, tranchant. Tutta la stampa ha sottolineato la tempra del Presidente del Consiglio pronunciando quella frase ma nessuno ha colto l'opportunita' per tutti i cittadini che non amano la Meloni. Da oggi, tutti potrebbero enfatizzare quel sostantivo, visto che lei ci si riconosce pienamente. Sai che spasso a leggere commenti sui social avendo la certezza che nessun giudice potra' mai condannare per quella parola: "Sig. Giudice, non puo' essere diffamazione e nemmeno ingiuria, visto che l'attrice in questione se lo riconosce ampiamente di essere stronza, tanto da farlo sapere a tutto il Paese" . Chi provera' ad essere formale.. "Cara mia stronza Meloni", il frettoloso si limitera' a " Stronza".. il pudico a "stronzetta". Non so se cacca o merdaccia, sinonimi di stronzo, potranno essere intesi come sostantivi simili e quindi non punibili dalla legge. Meglio non azzardare. Questo sostantivo potrebbe essere usato anche in occasione del voto Europeo. Accanto al simbolo di Fd'I si potrebbe scrivere "stronza Giogia" o "Giorgia stronza" senza correre il rischio di vedere il proprio voto annullato..
@ilpianistasultetto
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Parlando, Calvino si inceppava, si interrompeva, emetteva frammenti e rottami aforistici: anche a me riesce quasi impossibile infilare un condizionale e un congiuntivo, o tanto peggio un congiuntivo dietro un altro congiuntivo; ma Manganelli parlava superbamente. Non ho mai ascoltato nessuno parlare così. Come un grande padre predicatore o un papa rinascimentale o un diplomatico secentesco, ostentava gerundi, participi presenti, parole rare, proposizioni subordinate dentro altre proposizioni subordinate, piuccheperfetti, con una esattissima consecutio temporum, nutrendosi avidamente di parole sanguinanti arrosti di sostantivi, colorati contorni di aggettivi, folleggianti salse di verbi e di avverbi. Lo straordinario era che, in lui, il pensiero più sottile e complicato diventava subito, senza un attimo di incertezza e di dubbio, forma verbale: a tal punto la sua mente era dominata dall'istinto formale.
- Pietro Citati
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Sedurre è come scrivere una bella canzone, tutto tecnica e ritmo, tecnica e ritmo. Il talento dell’ironia è una freccia supplementare che non sempre potete avere al vostro arco. In questo caso ci vuole tanto ritmo. Un battito che, perlopiù, viene fornito dagli aggettivi. Spiazzanti e coinvolgenti, iperbolici e precisi. Se sono rari e poco usati nella lingua è ancora meglio e fate più bella figura. Le donne non si seducono né con i complimenti, né con i fiori, né con gli sguardi a pesce lesso. Queste sono puttanate da cofanetto Sperlari. Tutti ne parlano, tutti le vogliono, ma nessuno se le compra queste caramelle Sperlari. Gli aggettivi seducono, i sostantivi annoiano. Questo è il grande segreto.
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con o senz'anima. il neutro
L'uomo, la donna. Il cielo la terra il mare. La bocca, il pensiero. L'albero, il frutto. Il greco antico aveva un modo intenso di dar volto al mondo. Un modo di valutare la natura miglia e miglia sotto la superficie delle cose. Oltre al genere femminile e maschile, gli stessi in cui scegliamo di dire la vita in italiano, il greco possedeva un genere in più: il neutro.
L'opposizione non era fondata sui colori delle parole: rosa e azzurro, come fanno i bimbi, oppure qualcos'altro senza colore, magari bianco e nero. Nemmeno sul loro sesso: sennò quale sarebbe quello dei pensieri? La distinzione del greco antico era tra genere animato, maschile o femminile, e genere inanimato. Le cose della vita erano classificate grammaticalmente tra quelle con o senz'anima.
Al genere neutro erano i concetti astratti (il nome, la misura, il dono, il teatro). Al neutro erano certi oggetti (l'arma, la lancia) e certe entità (la montagna, l'acqua, l'onda). Il corpo umano era neutro, come alcune delle sue parti (il cuore, il volto, la lacrima). Neutra era "la primavera" e "i sogni".
L'opposizione di due generi, l'animato (maschile e femminile) e l'inanimato (neutro) è propria dell'indoeuropeo e si conserva in greco senza sfocature. Anzi, la flessione indoeuropea nemmeno distingueva in maschili e femminili buona parte dei sostantivi animati: erano un genere unico, la stessa prospettiva sul mondo dotato di anima.
Il neutro si opponeva nettamente agli altri due generi: un'opposizione che prosegue, al netto di qualche confusione e oscillazione, per tutta la storia del greco antico per arrivare integra e carica di senso al greco di oggi. La distinzione tra animato e inanimato, propria del modo di pensare indoeuropeo, ha mantenuto nei millenni un ruolo grammaticale e funzionale; resistendo alle guerre, alle invasioni, è rimasto nel greco moderno ma in italiano non lo possediamo più, benché fosse vitale e fondamentale anche in latino.
A differenza di alcune lingue germaniche, il neutro scompare da tutte le lingue romanze che dai latino derivano, come la nostra. Fu nel corso dell'evoluzione linguistica seguita all'arrivo di nuovi popoli che ogni nostra parola dovette insindacabilmente scegliere se essere maschile o femminile.
Sotto il peso delle macerie dell'impero romano, ogni nostra parola smise quindi di chiedersi se fosse con o senz'anima. E maschio e femmina divennero il solo modo di distinguersi linguisticamente.
-Andrea Marcolongo. (La lingua geniale)
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Mentre
Per liberare il nostro pensiero dalle panie che gli impediscono di spiccare il volo è bene innanzitutto abituarlo a non pensare più in sostantivi (che, come il nome stesso inequivocabilmente tradisce, lo imprigionano in quella «sostanza», con la quale una tradizione millenaria ha creduto di poter afferrare l’essere), ma piuttosto (come William James ha suggerito una volta di fare) in preposizioni e magari in avverbi. Che il pensiero, che la mente stessa abbia per così dire carattere non sostanziale, ma avverbiale, è quanto ci ricorda il fatto singolare che nella nostra lingua per formare un avverbio basta unire a un aggettivo il termine «mente»: amorosamente, crudelmente, meravigliosamente. Il nome – il sostanziale – è quantitativo e imponente, l’avverbio qualitativo e leggero; e, se ti trovi in difficoltà, a trarti d’impaccio non sarà certo un «che cosa», ma un «come», un avverbio e non un sostantivo. «Che fare?» paralizza e t’inchioda, solo «come fare?» ti apre una via d’uscita.
Così per pensare il tempo, che da sempre ha messo a dura prova la mente dei filosofi, nulla è più utile che affidarsi – come fanno i poeti – a degli avverbi: «sempre», «mai», «già», «subito», «ancora» - e, forse – di tutti più misterioso – «mentre». «Mentre» (dal latino dum interim) non designa un tempo, ma un «frattempo», cioè una curiosa simultaneità fra due azioni o due tempi. Il suo equivalente nei modi verbali è il gerundio, che non è propriamente né un verbo né un nome, ma suppone un verbo o un nome a cui accompagnarsi: «però pur va e in andando ascolta» dice Virgilio a Dante e tutti ricordano la Romagna di Pascoli, ��il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra vision di S. Marino». Si rifletta a questo tempo speciale, che possiamo pensare solo attraverso un avverbio e un gerundio: non si tratta di un intervallo misurabile fra due tempi, anzi nemmeno di un tempo propriamente si tratta, ma quasi di un luogo immateriale in cui in qualche modo dimoriamo, in una sorta di perennità dimessa e interlocutoria. Il vero pensiero non è quello che deduce e inferisce secondo un prima e un poi: «penso, dunque sono», ma, più sobriamente: «mentre penso, sono». E il tempo che viviamo non è la fuga astratta e affannosa degli inafferrabili istanti: è questo semplice, immobile «mentre», in cui sempre già senza accorgercene siamo – la nostra spicciola eternità, che nessun affranto orologio potrà mai misurare.
14 marzo 2024
Giorgio Agamben
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Stamattina... Mattinata carina ina ina.
Ho conosciuto una ragazza.
Una fata turchina.
Eppure credevo fosse una magica madrina ma invece...
Azzurra. Si chiama proprio cosí.
E chi se l'immaginava?
Ma io sono molto disillusa e quindi...
Sono la piromane dei sostantivi.
La piromane dei miri appunti.
Ah ah ah.
E il mio Padrone vuole vedermi far sesso con una lesbica.
Che banalita...
Devo accontentarlo?
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Nei licheni un organismo si dipana in un intero ecosistema e un ecosistema si addensa in un organismo. Passano da un «tutto» a un «insieme di parti» e ritorno. Passare continuamente da una prospettiva all'altra è un'esperienza che può confondere. «Individuo» viene da una parola latina che significa «indivisibile». Individuo è il lichene nella sua interezza? Oppure lo sono le sue parti costitutive, i suoi membri? Soprattutto, è la domanda giusta da porsi? I licheni sono il prodotto degli scambi tra le loro parti più che delle parti prese singolarmente. Sono reti stabili di relazioni e non smettono mai di lichenizzare: sono verbi e allo stesso tempo sostantivi.
L’ordine nascosto, Merlin Sheldrake
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In principio era il turbocapitalismo, poi venne Giuli
Afferma L. Wittgenstein che, "in arte è difficile dire qualcosa che sia altrettanto buono, del non dire niente"
Aforismo che racchiude il senso di vuoto, dell'intervento del neo ministro della subcultura, Giuli, che il 9 ottobre c.a. ha presentato le linee programmatiche.
Premessa, non servono paroloni a caso per attirare l'attenzione, ma, sostantivi che delineano contenuti. Perché tra la supercazzola di memoria Tognazzi, in quel di Amici Miei e, le le linee un po teoretiche, non c'è alcuna differenza.
Giuli è il tipico esempio di graduato della milizia, a metà tra l'Arcovazzi e il podestà del paese di Scalitto, che, però, non ricevetti stanchi applausi al termine dell'intervento, ma, nel caso di quest'ultimo, una sonora pernacchia.

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Se chiudi gli occhi e aspetti, se lasci che il silenzio si posi sui pensieri e spenga il ronzio di fondo della mente, ti accorgerai di quanto è labile il confine tra le cose. L'acqua si tramuta in ghiaccio, la terra in fango, nascono torri di sale e il sole asciuga il mare, e pioggia e fiumi e ancora oceani. Il bene, il male, il giusto e lo sbagliato, il nulla e il tutto sono solo sostantivi, mere categorie che abbiamo inventato nel tentativo puerile di mantenere un ordine nel disordine, dimenticando che anche ordine e disordine sono solo categorie e illusioni. Ecco, se chiudi gli occhi e aspetti, ti accorgi che il confine delle cose è talmente labile e illusorio che ciò che c'era è ancora, ma veste una differente forma. E tutto è apparentemente in movimento, ma in realtà è immobile.
Guido Mazzolini
(Ph: Vadim Stein)
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Lo vedi, è la lingua.
E così ora ti senti piovigginoso, confuso, pieno di avverbi autunnali, di sostantivi distratti, di oggetti ritrovati e subito perduti, divenuti fonte dell'astratto,
di annotazioni che scorrono per troppe pagine al piede della vita, e non sai come funziona il gioco del rimando.
La sola ipotesi possibile ti sembra l’invidia dello sguardo, la sua pena. Ma quando ti soffermi alla soglia delle voci, al momento che l’acqua si confonde col pettirosso, con l’albero, con la collina, è allora che le muffe ti fioriscono attorno agli orecchi, e con delicatezza tremenda assopiscono i suoni.
Ti credi in ascolto dell’imminenza, ma non era questo che ti aspettavi, non questa dispersione del dolore per tutto il corpo. O meglio: non ancora. Ti sarebbe piaciuto osservare con le dita, e invece ti passano accanto i ritratti, il ritaglio di un occhio, il profilo solenne o ridicolo di qualche testa dai pensieri assorti. Lo vedi, è la lingua così cortese, ossequiante, precisa, ma in fondo sempre più imbarazzante a pretendere tutta l’attenzione di cui non sei capace, e ti ritrovi impigliato in un frammento, disperso dappertutto, un movimento estremo quasi raccolto insieme dal no comment che riprende ogni volta il suo racconto.
Roberto Senesi - Lo vedi, è la lingua.
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Gli uomini amali, ma senza farti troppo male.
amali, ma senza mancarti mai di rispetto.
Sono tremendamente imperfetti,
spesso non trovano le parole,
anzi,
stanno semplicemente troppo zitti
quando tu avverti il desiderio
di essere inondata di verbi,
sostantivi e aggettivi
o vorresti
che usassero
l’infallibile intelligenza del cuore
piuttosto
che la labile ragionevolezza della mente
Amali, perchè sono fragili,
anche quando esibiscono muscoli da palestra.
Comprendi, senza tradire te stessa,
la loro frugalità d’animo:
è solo timidezza, a volte,
e maschera implacabili menti matematiche
che non apprezzano la bellezza del caos.
Prova a giustificarli se non riescono ad essere
ragionevolmente indipendenti come siamo noi.
Il loro cruccio è che non sanno maneggiare i sentimenti
e perdonali se pronunciano raramente l’invocato “ti amo”,
non hanno letto abbastanza poesie.
Sii sempre loro amica e te ne saranno grati.
L’ironia delle donne è un’arma della quale non conoscono
la sottile arguzia, l’alleanza femminile li sconcerta,
la generosità li meraviglia.
Regala loro dei romanzi: nella buona letteratura sono
racchiuse le migliori risposte.
Spiega loro il coraggio e la lealtà,
la potenza di un abbraccio e
il languore di una carezza fra i capelli.

Paola Calvetti
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"Il ritmo, si diceva. Tutti i sentimenti della vita scaturiscono da questo segreto: il ritmo delle cose. E ci vuole pochissimo per mancare l'amore, quando le cose si dispiegano troppo lente o troppo veloci.
Se parlate al rallentatore è meglio che ve ne state a casa. Siete spacciati, oppure vi toccherà una demente psicopatica prossima al ricovero, in corsia però, perché tanto stanze private non se le può permettere perché i soldi veri nella vita non li ha fatti. La lentezza della vostra conversazione è direttamente proporzionale alla sua entrata nel club delle persone che non vi vorranno mai più vedere in vita loro. Se poi cominciate al rallenti con troiate tipo «Sai cosa penso...» o «lo ritengo che al giorno d'oggi…» allora potete anche sventolare il fazzoletto bianco e guardare coi vostri occhi la vostra lei che si allontana sulla nave popolata da tutti gli uomini del mondo, tranne che da voi, unici sciocchini rimasti a terra sul molo. Sedurre è come scrivere una bella canzone, tutto tecnica e ritmo, tecnica e ritmo. Il talento dell'ironia è una freccia supplementare che non sempre potete avere al vostro arco. In questo caso ci vuole tanto ritmo. Un battito che, perlopiù, viene fornito dagli aggettivi. Spiazzanti e convincenti, iperbolici e precisi. Se son rari e poco usati nella lingua è ancora meglio e fate più bella figura.
Le donne non si seducono né con i complimenti, né con i fiori, né con gli sguardi a pesce lesso. Queste sono puttanate da cofanetto Sperlari. Tutti ne parlano, tutti le vogliono, ma nessuno se le compra queste caramelle Sperlari.
Gli aggettivi seducono, i sostantivi annoiano.
Questo è il grande segreto. Gli aggettivi li dovete dispensare con generosità, en passant, e a ritmo sostenuto e vedrete che andrete a letto con chiunque, a meno che non avete di fronte una lobotomizzata assoluta che non capisce neanche il suo nome. In quel caso non ne vale neanche la pena. Per voi ci vogliono donne intelligenti. Perché il sesso, in fin dei conti, e poca roba. Ve lo dico io che pure frocio non sono mai stato. E sedurre è tanto. Le cretine lasciatele andare coi cretini.
Insomma, a riepilogare, il ritmo deve essere elettrico ed elettrizzante, mai convulso, mai lento come in un documentario su inutili animali che cazzeggiano nella tundra o nella steppa."
“Hanno tutti ragione” - Paolo Sorrentino
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Ovvio, Banale e Non Detto: Un Viaggio Semantico
L’ovvietà, la banalità e il non detto: tre concetti che definiscono il rapporto tra la novità e ciò che è già noto. Esploriamo il significato profondo di questi termini nell'articolo di Vincenzo Pio Riccio #IlControVerso #notizie #pensieri #politica
L’ovvietà, la banalità e il non detto sono i tre sostantivi che da sempre, tanto sul piano semantico quanto su quello empirico, scandiscono la trama su cui si impernia il dinamico rapporto tra lo stupore della novità ed il petulante rinnovo di quel che è già noto. Essenziale per la trattazione che si intende porre di seguito è puntualizzare il significato originario che sta alla base dei vocaboli…
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I suffissi dei sostantivi tedeschi e la determinazione del genere
La lingua tedesca è nota per la sua complessità grammaticale, e uno degli aspetti che spesso mette in difficoltà gli studenti è l’assegnazione del genere ai sostantivi. Tuttavia, esiste un metodo che può semplificare notevolmente questo processo: l’identificazione dei suffissi. In tedesco, infatti, molti suffissi sono associati a un genere specifico, rendendo più prevedibile e sistematica…
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