#sono così stupidi come faccio a non amarli
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Melli's issue
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Di realtà e consapevolezze oltre i confini dell’impossibile
Esco in giardino scalza, in pantaloncini e top del bikini per prendere un po’ di sole e, solo dopo essermi fatta sistemare sull’amaca con la voce di James TW nelle orecchie - sì, ultimamente sono regredita coi gusti musicali - e cullata da una leggera brezza, realizzo che fino a un paio di anni fa probabilmente non mi sarei mai azzardata ad uscire così, nonostante sia fisicamente in casa mia.
Sono cresciuta con l’idea che il mio corpo non fosse “bello da vedere”, che lo dovessi in qualche modo nascondere perché non rispettante determinati canoni. Per mia mamma non potevo portare un vestitino che scoprisse le spalle in quanto non diritte, o indossare un paio di saldali perché altrimenti si sarebbero visti i miei piedini ciotti e storti, o ancora mi obbligava a portare il costume da bagno intero perché altrimenti tutti avrebbero visto le mie costole sporgenti e gli addominali da piccolo Buddha.
Nella mia mente ancora riecheggia la sua voce che mi dice “non fa per te, Ila” e il mio accettare a malincuore e passivamente di non poter indossare la salopette di jeans corta con i cuoricini che mia cugina mi aveva passato a sette anni.
A ripensarci ora in fondo non la biasimo, il suo era un goffo tentativo per proteggermi ed evitarmi delusioni; in un certo qual modo la comprendo anche, però non nego che questo suo atteggiamento abbia contributo a rendermi insicura, ad odiare il mio corpo, portandomi al suo completo rifiuto durante l’adolescenza.
Ad undici anni poi, dopo la batosta della lesione midollare post intervento alla colonna con la diagnosi di vescica neurologica iperattiva, il mio odio verso il mio corpo ha raggiunto apici indescrivibili. Ogni sera mi addormentavo nel mio letto sfinita e in un mare di lacrime, fra singhiozzi taciuti per paura di essere scoperta, mentre mi chiedevo disperata come poterla fare finita.
Guardandomi indietro, mi domando come abbia fatto a superare quel periodo, ad uscirne senza trascinarmi in quel vortice di brutti pensieri e, se probabilmente ora sono qui a scriverne, è proprio perché nella scrittura ho scovato la mia valvola di sfogo, il luogo ove poter essere me stessa senza il timore di deludere nessuno.
Probabilmente non mi sono mai “ribellata”, proprio perché non volevo aggiungere dispiaceri, preoccupazioni ad altre già esistenti.
Con ciò non voglio far passare l’idea che i miei mi abbiano fatto vivere male la mia condizione o che peggio non abbiano accettato la mia disabilità, è innegabile però che nella mia famiglia vi sia un problema di comunicazione e condivisione dei sentimenti, dei pensieri che attanagliano la mente.
È da qualche mese oramai che faccio parte di un gruppo privato su Facebook dove persone con diverse disabilità possono condividere liberamente esperienze, episodi di abilismo e confrontarsi su tali temi, e se c’è una cosa che oramai ho notato largamente, è che spesso e volentieri i genitori sono i primi a trascendere in tali errori, il più delle volte in buona fede. Io ad esempio non ho mai confessato a mia mamma di avere una cotta o ancora di sentirmi o uscire con qualcuno, semplicemente perché ricordo ancora il suo sguardo carico di pietismo nello scoprire i miei primi tormenti e dispiaceri amorosi adolescenziali.
È assurdo come un semplice sguardo possa ferire più di una parola, eppure nei suoi occhi vedevo chiaro il suo pensiero ripeterle nella sua mente “poverina, nessuno l’amerà mai”.
Tutt’ora temo che mia mamma, a differenza di mio padre che è un pochino più progressista di lei su taluni temi, lo pensi ancora; ma ho imparato a mie spese che non lo fa con cattiveria e che per questo io non devo dare peso ai suoi timori.
Nonostante tutta questa consapevolezza, raggiunta con sacrificio e tante lacrime versate, guardandomi indietro mi rendo conto di aver conquistato numerosi traguardi e che però tanti ancora mi attendono.
Quando mi guardo allo specchio, mi impongo di sorridermi e mai di fossilizzarmi sui miei difetti; piuttosto però di accarezzarli uno ad uno e scorgere in essi il valore della diversità, la bellezza nella loro unicità.
Mi piace cercare di mostrare a me stessa che sono bella grazie proprio a tutti quei particolari che secondo mia mamma dovrei tenere nascosti sotto strati di tessuto.
E invece no, a me piace indossare shorts agli allenamenti, gonne e vestitini corti e svolazzanti, fiera delle mie coscette e del ricamo sulla gamba sinistra. Amo portare top e canotte, legare i capelli sfoggiando fieramente il ricamo che mi percorre dalla seconda vertebra cervicale fino all’osso sacro; sbizzarrirmi in spiaggia con bikini colorati, fregandomene della mia tartaruga in stato vegetativo e del ricamo fra le costole sul fianco destro.
Ho imparato che la gente critica a prescindere, sempre e comunque, tanto vale fare ciò che si vuole e non imporsi stupidi limiti.
Tuttavia la cosa forse più importante che ho imparato, è che ognuno di noi ha qualcosa di unico e speciale da donare all’altro, un qualcosa di molto più importante di un fisico mozzafiato e senza difetti, una qualità che non tramonterà mai.
Ecco, sembrerà banale, ma sono giunta a questa consapevolezza proprio grazie allo sport, al sentirmi parte integrante di un gruppo ove ogni singolarità è un dono per tutti i componenti, un luogo dove fare emergere i propri punti di forza anziché i limiti, perché solo rafforzando le proprie risorse si possono superare gli ostacoli.
Non lo avrei mai immaginato, ma nel momento in cui realizzi che anche tu conti qualcosa, certi brutti pensieri si rimpiccioliscono a tal punto da essere quasi ininfluenti, da non avere più quel peso così opprimente sulla tua coscienza.
Lo sport mi ha insegnato ad accettare i miei limiti, ad amarli così come sono perché grazie ad essi, sono quella che sono, posso andare fiera di me stessa.
Allenarsi costantemente ti mette nella condizione di guardare in faccia i tuoi limiti, di prenderne coscienza e di scovare la determinazione per superarli, sul campo sportivo come nella vita di tutti i giorni.
Probabilmente sarei arrivata ugualmente a tale consapevolezza, oppure no, una cosa è certa però: scoprendo le mie potenzialità, forzando i miei limiti, ho imparato a sfondare la barriera dell’impossibile e a credere nelle mie forze, nonostante le paure.
Perché non esiste la determinazione senza la paura di cadere, non esiste la forza senza le debolezze, non si può raggiungere la vetta senza aver prima toccato il fondo.
Non credo che lo sport faccia per tutti, molti scovano la propria arma in altro, io ad esempio credo di averne due e spesso e volentieri finiscono per completarsi a vicenda, dove non arriva la palla da powerchair football ecco che subentra la penna, chiave di numerose porte su mondi inesplorati; tuttavia di una cosa sono convinta, chiunque deve avere l’opportunità di sperimentare qualsiasi cosa desideri, senza esclusioni a priori.
Tutti i bambini in età prescolare e/o scolare, sperimentano ogni tipo di attività motoria, che sia uno sport di squadra, individuale o più semplicemente del movimento nel gioco coi suoi simili; allora perché questa possibilità deve essere negata a bimbi con deficit, e nello specifico motori? Perché un bimbo deve razionalizzare i suoi limiti a tal punto da auto imporsi i confini del possibile e crescere con tali errate convinzioni?
Io probabilmente ho compreso troppo tardi che nulla è categoricamente definibile impossibile, che nessuno può dirmi cosa posso o non posso fare; sicuramente il mio passato mi ha plasmata, se non avessi dovuto superare tante sfide oggi non sarei così. Di una sola cosa provo dispiacere, nel non aver avuto qualcuno al mio fianco che mi spronasse a credere in me stessa, nonostante tutto, che mi insegnasse a guardare in faccia i miei difetti e ad esserne fiera.
Non voglio però autocommiserarmi, piuttosto mi auspico che le generazioni future abbiano l’opportunità di provare a mettersi in gioco, di sbagliare e trovare il coraggio per cambiare strada, con la consapevolezza costante che nella vita ciò che davvero conta risiede in noi stessi e che nessuno può osare dirci cosa fare, se davvero lo vogliamo, cosa sia giusto o sbagliato per noi stessi.
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The one with the messages
"Stanco?"
Fabrizio, steso a terra sul pavimento del teatro in cui avevano appena finito di girare la cartolina per l'Eurovision Song Contest, si voltò verso Ermal e sorrise. "No, in realtà. Anzi, mi sono divertito oggi."
Ermal si lasciò scappare un sorriso mentre continuava ad accarezzare lentamente le corde della sua chitarra. "Sì, anch'io."
"Ti ricordi com'eravamo all'inizio?"
"Che vuoi dire?" chiese Ermal.
"Quando ci siamo conosciuti, quando abbiamo iniziato a lavorare insieme... Eravamo impacciati, sembravamo quasi impauriti di stare l'uno accanto all'altro."
"Forse un po' lo eravamo. Io lo ero" ammise Ermal senza vergogna.
Lo era stato davvero all'inizio. Un po' perché non è mai facile collaborare con qualcuno per cui provi ammirazione, un po' perché collaborare con qualcuno vuol dire essere disposti a mettersi a nudo e non è mai facile farlo con qualcuno che non conosci bene.
"Un po' lo ero anch'io. Però poi le cose sono cambiate, ci siamo conosciuti meglio" disse Fabrizio.
Ermal rimase in silenzio, con le dita sulla sua chitarra e le parole di Fabrizio in testa.
Già, si era conosciuti meglio e tutto era cambiato. Si era creato un legame che entrambi avevano definito amicizia, ma che con il tempo era diventato molto di più.
Erano diventati complici, due anime affini che si completano.
"Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, l'anno scorso, l'avresti mai detto che saremmo finiti così?" disse Fabrizio a un certo punto.
"Intendi seduti sul pavimento di un teatro di Porto?"
Fabrizio si mise a ridere. "No. Parlo di tutto il resto. I messaggi, le telefonate in piena notte solo per chiederci come stiamo, i video stupidi sui social..."
"Ehi, i video stupidi non dipendono da me! Sei tu che fai quelle facce assurde!" disse Ermal.
"Va beh, hai capito che voglio dire."
"Sì, ho capito. E no, non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a questo punto, ma sono contento che sia successo."
Fabrizio rimase in silenzio per qualche secondo, poi si alzò e si spostò di qualche passo arrivando di fronte a Ermal e tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Quando furono l'uno di fronte all'altro, le mani ancora strette tra loro che sembravano non volerne sapere di staccarsi, Fabrizio disse: "Non c'è nessun altro con cui vorrei condividere tutto questo."
Ermal sorrise. "Vale lo stesso per me, Bizio."
Le Instagram Stories fatte insieme quel giorno, scorrevano sotto lo sguardo attento di Ermal.
Ormai aveva perso il conto di quante volte le aveva guardate, imprimendo nella sua memoria ogni dettaglio e domandandosi come avrebbe fatto ad abituarsi a stare lontano da Fabrizio quando sarebbe giunto il momento di tornare a casa.
Quel momento sarebbe arrivato presto e tra i vari impegni di entrambi, forse non sarebbe stato nemmeno difficile ritornare alla normalità. Il fatto era che Ermal non era sicuro di volerlo fare. Non era sicuro di sentirsi pronto a salutare quella pace e quella serenità che facevano parte di lui solo quando stava accanto a Fabrizio.
Durante quei giorni insieme, di cose ne avevano dette tante e alcune di quelle cose si erano annidate nella mente di Ermal e non volevano proprio saperne di sparire.
Continuava a ripensare alle foto scattate insieme, ai video stupidi, a Fabrizio che diceva di voler vivere a Lisbona e lui che pensava che sì, sarebbe stato bello vivere a Lisbona ma più di tutto sarebbe stato bello vivere con Fabrizio.
Sospirò mentre abbandonava il cellulare accanto a sé sul letto e si copriva la faccia con un cuscino.
Se qualcuno gli avesse chiesto quando era successo, quando aveva iniziato a vedere Fabrizio come qualcosa di così fondamentale per lui, probabilmente non avrebbe saputo rispondere.
Era successo lentamente, senza che se ne accorgesse.
Fabrizio gli era entrato nella mente, nel cuore e nell'anima senza chiedere permesso. Aveva invaso ogni angolo, lasciandosi dietro piccoli pezzi di sé che Ermal aveva raccolto e custodito con cura, fino ad arrivare ad amarli. E così, praticamente senza accorgersene, si era innamorato di lui e quando l'aveva capito ormai era troppo tardi per uscirne.
L'aveva negato a sé stesso, si era ripetuto più volte che stava solo confondendo l'amicizia e l'ammirazione con l'amore. Si era imposto di non vederlo diversamente da un amico, perché a lui non piacevano gli uomini e non gli sarebbero mai piaciuti. E poi semplicemente, un giorno aveva smesso di mentire a sé stesso. Aveva smesso di farsi domande e aveva iniziato ad accettare qualsiasi cosa provasse per Fabrizio.
Aveva affrontato l'esperienza a Lisbona con più leggerezza e, forse proprio grazie a quella leggerezza, era riuscito a legarsi ancora di più a Fabrizio. Avevano iniziato a scherzare di più, a prendersi in giro davanti alle telecamere, a ridere senza preoccuparsi troppo di quello che avrebbe pensato la gente.
Ed Ermal si era innamorato un po' di più ogni giorno.
La suoneria del cellulare che lo avvisava di un nuovo messaggio, lo riportò alla realtà costringendolo a smettere di farsi paranoie almeno per un attimo.
Sorrise quando si accorse che era un messaggio di Fabrizio, con allegato un link.
-Questa ti piace?
Ermal aprì il link, accorgendosi che Fabrizio gli aveva mandato un annuncio di una casa in vendita a Lisbona.
Sorrise mentre digitava velocemente una risposta.
-Allora eri serio quando dicevi di voler vivere a Lisbona!
-Sì, ma solo se vieni con me.
-E che facciamo? Molliamo tutto e ci trasferiamo qua?
-Sarebbe bello.
Ermal sospirò leggendo la risposta.
Già, sarebbe stato bello.
Sarebbe stato bello staccarsi dalla realtà, avere un posto dove scappare quando la vita non andava nella direzione giusta, un posto in cui stare insieme, in cui condividere le giornate. Un posto in cui Ermal si sarebbe innamorato sempre di più di Fabrizio e magari, con il tempo, anche Fabrizio si sarebbe innamorato un po' di lui.
Ermal scosse la testa, cercando di scacciare via i pensieri, mentre Fabrizio gli inviava un altro messaggio.
-Vieni da me? Facciamo due chiacchiere...
Ermal sospirò.
Passare del tempo con Fabrizio era una delle cose che preferiva ma non poteva farlo, non in quel momento, non con le immagini di loro due che condividevano una casa ancora in testa.
-Meglio di no, Bizio.
-Perché?
Ermal rimase a fissare lo schermo, indeciso su cosa dire.
Avrebbe potuto semplicemente rispondere che era tardi, che era stanco e che voleva dormire. Ma la verità gli bruciava il cuore e premeva per uscire con una forza che Ermal faceva fatica a controllare.
Mentre aveva lo sguardo ancora fisso sul telefono, la schermata cambiò mostrando una chiamata in arrivo da parte di Fabrizio.
Prese un respiro profondo prima di rispondere, consapevole che più che di un respiro avrebbe avuto bisogno di autocontrollo.
"Ehi."
"Perché non vuoi parlare con me?"
Ermal sorrise sentendo Fabrizio porgli quella domanda con lo stesso tono di un bambino che chiede ai genitori di giocare con lui.
"Non è che non voglio parlare con te. È solo che è tardi."
"Sicuro che è solo per questo?"
"Sì" rispose Ermal dopo qualche secondo.
"C'è qualcosa che non va" disse Fabrizio.
Non era una domanda ed Ermal si stupì della facilità con cui Fabrizio gli leggeva non solo la mente, ma soprattutto il cuore.
"C'è qualcosa. Ma è troppo complicato da spiegare e avrebbe troppe conseguenze" rispose Ermal, ormai sentendosi messo alle strette e sperando che quella risposta bastasse a concludere il discorso.
"Tu non sei il tipo di persona che si preoccupa delle conseguenze prima di dire ciò che pensa. Non ti fai questi problemi."
"Con te me li faccio."
"Quindi questo qualcosa che non va... È colpa mia?"
Ermal smise per un attimo di respirare rendendosi conto di aver parlato troppo e di non sapere più come uscire da quella situazione.
"Ermal?" lo richiamò Fabrizio.
"Eh?"
"Ho fatto qualcosa?"
La voce di Fabrizio era solo un sussurro, il tono quasi timoroso.
"No, no. Non hai fatto niente. È un problema mio" si affrettò a rispondere Ermal.
"Ma hai paura di parlarne con me."
Ermal sospirò. "Se io te ne parlassi, potresti iniziare a vedermi diversamente e io non ho nessuna intenzione di complicare le cose."
"Potresti dirmi qualsiasi cosa e l'opinione che ho di te non cambierebbe."
"Forse" rispose Ermal.
Sapeva quanto Fabrizio tenesse a lui, quanto lo considerasse importante e sapeva anche che quello non sarebbe mai cambiato.
Ma cosa sarebbe successo se Fabrizio avesse saputo cosa c'era nella sua testa?
Cosa sarebbe successo se avesse saputo quante volte Ermal si perdeva a pensare a quanto fosse incredibilmente bello, a quanto stesse bene ogni volta che lo abbracciava?
Cosa sarebbe successo se Fabrizio avesse saputo quante volte Ermal, trovandosi da solo a riguardare foto e video fatti insieme, si era perso ad ammirare ogni dettaglio del suo viso?
E cosa sarebbe successo se avesse saputo quante volte Ermal si era toccato pensando a lui e poi era finito a sussurrare il suo nome mentre veniva nella sua mano?
C'erano troppi se e Ermal non si sentiva pronto a rischiare tutto.
"Non credevo che pensassi questo di me, che mi ritenessi così superficiale" rispose Fabrizio, ferito dalle parole di Ermal.
"Non penso che tu sia superficiale."
"Credi che potrei vederti in modo diverso se tu mi dicessi cosa ti preoccupa quindi sì, pensi che io sia così superficiale da lasciarmi condizionare da qualcosa che a quanto pare crea problemi solo a te."
Entrambi rimasero in silenzio per un attimo. Ermal troppo sconvolto per dire qualcosa, Fabrizio troppo arrabbiato.
"Avevi ragione. È tardi ed è meglio andare a dormire. Scusa se ti ho disturbato" disse Fabrizio prima di interrompere la telefonata senza aspettare che Ermal rispondesse.
"Fanculo" mormorò Ermal lasciando cadere il cellulare accanto a sé e affondando la testa nel cuscino.
Aveva cercato di trattenersi, aveva evitato di dire a Fabrizio cosa provava per lui per non rendere le cose difficili, e poi alla fine si era complicato tutto comunque.
Anzi, complicato era un eufemismo.
Fabrizio aveva frainteso tutto e Ermal non sapeva cosa fare per farglielo capire.
Fissò per un attimo il telefono, abbandonato accanto a lui sul letto, poi si decise ad afferrarlo e a scrivere un messaggio a Fabrizio.
Doveva parlargli, doveva dirgli tutto. Era disposto ad accettare che il loro rapporto cambiasse, che la situazione diventasse strana e imbarazzante, ma non poteva accettare che Fabrizio fosse arrabbiato con lui e che fosse convinto che Ermal lo considerasse in quel modo.
Per un attimo considerò l'idea di alzarsi e andare semplicemente a bussare alla sua porta, ma gestire l'imbarazzo attraverso uno schermo sarebbe stato più semplice per entrambi.
Digitò velocemente un messaggio e poi lo inviò senza nemmeno rileggerlo, convinto che se ci avesse riflettuto un secondo di più avrebbe cancellato tutto.
Solo dopo averlo inviato, si concesse di ricontrollare le parole che aveva scritto, mentre il peso di quel segreto lo abbandonava lentamente.
-Non credo che tu sia superficiale. Non l'ho mai creduto. Anzi, credo che tu sia una delle persone migliori al mondo. Ed è per questo che ti scrivo, anche se probabilmente quello che ti dirò cambierà le cose.
Mi sono innamorato di te. All'inizio era davvero solo questo, solo un sentimento troppo forte che mi scaldava il cuore ogni volta che eravamo insieme. Poi è diventato anche altro e ho iniziato ad amare tutto di te, non solo la tua personalità e il tuo carattere. Ho iniziato ad amare il tuo sguardo, il tuo viso, il tuo corpo, ogni cosa di te.
Quando mi hai chiesto di venire da te, dopo tutti quei discorsi ridicoli sul comprare una casa insieme a Lisbona, non potevo dirti di sì. Non potevo guardarti in faccia e fare finta di niente, mentre nella mia testa c'erano solo immagini di noi due insieme.
Il problema non sei tu, sono io e per una volta è la verità e non la solita frase fatta.
Spero che questo non renda le cose troppo complicate perché, nonostante tutto, resti uno dei miei migliori amici. Buonanotte.
Ermal rimase a fissare lo schermo, notando che Fabrizio aveva visualizzato il messaggio e stava rispondendo. Ma il messaggio che ricevette un attimo dopo non era di certo la risposta che si aspettava.
-Sei un cretino, Ermal.
-Scusa?
-Sei un cretino perché se tu queste cose me le avessi dette un attimo fa al telefono, ti avrei risposto che ti amo anch'io e poi sarei venuto a bussare alla tua porta e ti avrei baciato.
Ermal rilesse il messaggio tre volte prima di rendersi conto di quale fosse il significato. Poi un enorme sorriso si aprì sul suo volto mentre rispondeva velocemente.
-Puoi farlo adesso.
-No.
-Ma come no?
-Non ti sei fidato di me, non hai voluto dirmi cosa ti preoccupava. Sono ancora arrabbiato.
Ermal sorrise capendo immediatamente che Fabrizio stava scherzando. Sapeva che non era veramente arrabbiato - non così tanto da non volerlo vedere almeno - e che stava solo esagerando, probabilmente per scherzare e per spingerlo ad andare da lui.
-Vuoi che venga io da te?
Poi mentre aspettava una risposta - che era convinto sarebbe stata positiva - prese una felpa dalla valigia e se la infilò velocemente.
Il cellulare, appoggiato sul comodino, vibrò segnalando un nuovo messaggio ma ormai per l'ennesima volta quella sera, non era ciò che Ermal si aspettava.
-No.
-Dai, Bizio. Smettila di fare l'offeso.
-Non faccio l'offeso. Voglio che tu capisca che se mi avessi detto tutto subito a quest'ora avresti ottenuto qualcosa, ma visto che non è andata così non avrai nulla.
-Ah, sì? E sentiamo, cosa avrei ottenuto se ti avessi detto tutto subito? A parte il bacio di cui parlavi prima, ovviamente.
Solo dopo aver inviato il messaggio, Ermal si rese conto di come sarebbe andata a finire la serata.
L'aveva fatto qualche volta - quando stava con Silvia e passavano tanto tempo senza vedersi - ma con Fabrizio era diverso.
Ciò che provava per lui era più profondo di qualsiasi altra cosa avesse mai provato e c'erano ancora troppe parole non dette tra loro. Non era sicuro che quello fosse il modo migliore di continuare quella conversazione.
Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
-Vuoi saperlo davvero?
Ermal sorrise leggendo il messaggio di Fabrizio che, avendo capito che piega stesse prendendo la conversazione, aveva cercato di dargli un'ultima via d'uscita nel caso avesse voluto tirarsi indietro.
E fino a un attimo prima, Ermal avrebbe dato qualsiasi cosa per evitare che Fabrizio leggesse quel messaggio e che la conversazione finisse in quel modo, ma in quel momento si sentiva curioso - e leggermente eccitato - e voleva solo vedere fino a che punto si sarebbe spinto Fabrizio.
-Sì, dimmelo.
-Ti avrei spinto in camera continuando a baciarti. Tu probabilmente mi avresti stretto i fianchi, lo fai sempre.
-Lo avrei fatto sicuramente.
-Poi ti avrei tolto la maglia.
-Ero senza maglia fino a un attimo fa, quindi non avresti avuto nulla da togliere.
-Fino a un attimo fa?
-Pensavo di venire da te e mi sono infilato una felpa. Sarebbe stato imbarazzante se qualcuno mi avesse visto in corridoio senza maglia.
-Toglila.
Ermal rimase a fissare il messaggio incredulo.
Fino a un attimo prima stavano parlando in via del tutto ipotetica. Come erano passati da quello, a Fabrizio che gli ordinava di fare qualcosa?
Un altro messaggio di Fabrizio attirò la sua attenzione.
-Scusa, forse sono andato troppo oltre. Fai finta che non abbia detto niente.
Ma Ermal non avrebbe mai potuto fare finta di niente. Non a quel punto, almeno. Non quando se ne stava sdraiato sul suo letto con una dolorosa erezione tra le gambe e il bisogno di toccarsi, ma la voglia che fosse Fabrizio a chiedergli di farlo.
Si sfilò velocemente la felpa, come Fabrizio gli aveva chiesto un attimo prima, e poi riprese la conversazione.
-L'ho tolta.
-Non devi farlo se non ti va.
-Mi va. Avrei solo voluto che fossi stato tu a sfilarmela.
-Ermal, così mi uccidi.
Ermal sospirò pensando a quante volte anche lui aveva pensato che prima o poi Fabrizio lo avrebbe ucciso.
Fabrizio che portava sempre la camicia sbottonata e le braccia in vista, Fabrizio che si ostinava a indossare quei pantaloni terribilmente stretti che lasciavano davvero poco spazio all'immaginazione, Fabrizio che gli si buttava addosso per abbracciarlo e Ermal che moriva un po' ogni volta perché riusciva solo a pensare a Fabrizio che gli si buttava addosso per altri motivi.
Ripensò a quando Fabrizio lo aveva abbracciato mentre registravano la cartolina, buttandosi letteralmente tra le sue braccia e premendo ogni centimetro del suo corpo contro il suo. E poi ripensò a quando aveva detto di voler vivere a Lisbona, in quel video postato su Instagram, e subito nella sua mente si erano formate immagini di loro due che inauguravano la casa facendo l'amore in ogni stanza.
Una mano scese rapidamente a toccare il cavallo dei pantaloni, ormai troppo stretto, mentre l'altra digitava velocemente una risposta.
-Ora capisci come sto io ogni volta che ti vedo.
-Io non ti ho mai detto che volevo tu mi svestissi. L'ho pensato tante volte, ma non te l'ho mai detto. Quindi fidati, non sai cosa provo in questo momento.
Ermal distolse lo sguardo dal cellulare puntandolo verso il basso, dove la sua mano continuava a massaggiare la sua erezione attraverso i pantaloni della tuta. Se Fabrizio era convinto di essere l'unico sull'orlo del baratro, si sbagliava di grosso. Ma forse farglielo credere non sarebbe stata una cosa negativa.
-Allora spiegamelo. Dimmi cosa provi.
-Ho provato a immaginarti mentre sei davanti a me e io ti tolgo la maglia. E poi tu togli la mia.
-E poi?
-Ho immaginato che tu avessi addosso quei pantaloni grigi, oppure quel pigiama orrendo che ti ostini a portarti ovunque. Comunque nelle mie fantasie, nemmeno quelli ti rimangono addosso per molto.
La mano di Ermal superò il bordo dei pantaloni, andando a sfiorare l'erezione ancora coperta dai boxer.
Immaginò la mano di Fabrizio al posto della sua e sapeva che sarebbe bastato poco per ottenere quello che voleva - avrebbe semplicemente dovuto bussare alla porta accanto - ma non poteva negare di sentirsi eccitato da quella situazione e di essere curioso di vedere fin dove sarebbe arrivata quella conversazione.
-E...?
-E mi sto toccando come un ragazzino.
La consapevolezza che Fabrizio fosse nella sua stessa situazione - e che lo fosse per causa sua - fece sospirare Ermal, costringendolo a chiudere gli occhi per un attimo.
Non era la prima volta che lo faceva, non erano i primi messaggi erotici che leggeva, eppure era come se lo fosse. Era tutto più intenso con Fabrizio.
Superò lentamente l'elastico dei boxer facendo scorrere la mano sulla sua erezione, immaginando che Fabrizio fosse lì a guardarlo, che gli dicesse come farlo, quando accelerare e quando fermarsi.
Immaginò la mano di Fabrizio sostituire la sua e poi ricoprirlo di baci su tutto il corpo, facendolo arrivare al limite, quasi costringendolo a supplicarlo di dargli di più.
Sulla conversazione di WhatsApp rimasta aperta, apparve un altro messaggio di Fabrizio. Come diavolo facesse a continuare a scrivere in quella situazione, Ermal proprio non riusciva a capirlo.
-Lo stai facendo anche tu, vero?
-Sì.
Quando il telefono iniziò a squillare, appena un paio di secondi dopo, Ermal rispose senza nemmeno controllare chi fosse. Sapeva che era Fabrizio.
"Ti pare il momento?" disse Ermal, con il respiro leggermente più corto, mentre attivava il vivavoce e abbandonava il cellulare accanto a sé sul letto.
"Ho bisogno di sentirti mentre vieni."
"Cazzo, Fabrì. Non puoi dire queste cose."
"Se vuoi riattacco" rispose Fabrizio. Aveva la voce più roca del solito e Ermal per un attimo pensò di venire semplicemente sentendolo parlare.
"Non ci provare."
Per qualche secondo nessuno dei due disse altro. Ascoltare il loro respiro farsi sempre più corto e i gemiti uscire dalla loro bocca era più che sufficiente.
Poi Fabrizio disse: "A cosa stai pensando?"
La sua voce era talmente bassa che per un attimo Ermal credette di averla immaginata.
"A te" rispose semplicemente, mentre i movimenti della sua mano si facevano un po' più veloci.
"In particolare?"
Ermal non rispose, troppo concentrato sulla voce di Fabrizio e sulle sue fantasie per pensare ad altro e troppo imbarazzato per dire ad alta voce ciò che gli passava per la testa.
"Ermal..."
La voce di Fabrizio arrivò alle orecchie di Ermal come una supplica, convincendolo a rispondere alla domanda di poco prima.
"Sto immaginando la tua bocca al posto della mia mano."
"Metti una mano tra i miei capelli, per darmi il ritmo. Sei prepotente anche a letto" scherzò Fabrizio, continuando il discorso di Ermal come se fosse lì con lui e tutto quello stesse succedendo davvero.
"Non immagini quanto" mormorò Ermal.
"Lo immagino bene, fidati."
"Non sembra che ti dispiaccia."
"Infatti non mi dispiace."
Ermal sospirò. "Bizio..."
Pochi attimi dopo si lasciò andare nella sua mano, mentre si mordeva il labbro per evitare di gemere. Fabrizio, dall'altra parte, lo seguì un attimo dopo.
Rimasero entrambi in silenzio per un po' ad ascoltare i propri respiri regolarizzarsi, fino a quando Fabrizio, con la voce un po' più bassa e roca del solito, disse: "Stai bene?"
"Sì. Tu?"
"Anch'io. Sto benissimo, in realtà."
Ermal sorrise. Sì, anche lui stava benissimo. Stanco, ma ne era valsa la pena.
"Pensi di farcela ad alzarti e ad aprire la porta della stanza? Tra cinque minuti sono da te" disse Fabrizio.
Quando pochi minuti dopo Fabrizio entrò nella sua stanza, Ermal non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi imbarazzato per ciò che era appena successo.
Fabrizio gli si buttò letteralmente addosso, circondandogli il viso con le mani e baciandolo lentamente.
"Scusa. Avevo voglia di baciarti da quando mi hai scritto quel messaggio" disse Fabrizio scostandosi leggermente.
Ermal sorrise prima di riprendere a baciarlo.
Aveva immaginato di farlo così tante volte che quasi aveva problemi a credere che stesse succedendo davvero.
Eppure, Fabrizio era davvero lì e lui lo stava davvero stringendo a sé mentre lo baciava in mezzo a una stanza d'albergo di Lisbona.
"Stavo pensando a una cosa..." disse Fabrizio, mentre si separava da Ermal e si sdraiava sul letto.
Ermal sorrise notando che il più grande aveva tutte le intenzioni di restare a dormire lì.
"Cosa?" disse sdraiandosi accanto a lui.
"Lisbona ha una buona influenza su di te. Sei più allegro, ti incazzi di meno, mi confessi di amarmi e poi stai al telefono con me mentre ho uno degli orgasmi migliori della mia vita... Ora capisci perché ho detto che voglio vivere qui?" scherzò Fabrizio.
"Che deficiente che sei" rispose Ermal mettendosi a ridere.
Forse Lisbona aveva davvero qualche potere su di lui, ma non era merito di una città se si sentiva così bene in quei giorni. Era merito di Fabrizio, dei suoi sorrisi, delle sue battute.
Non importava dove fosse, l'importante era che ci fosse Fabrizio con lui.
Anche se davvero a Lisbona doveva ammettere di aver trovato un'atmosfera speciale.
"Bizio?" lo richiamò Ermal.
"Dimmi" rispose Fabrizio, avvicinandosi a Ermal e circondandogli la vita con un braccio.
Ermal si lasciò stringere, mentre accarezzava distrattamente il braccio di Fabrizio. "Niente, volevo solo averti più vicino."
Fabrizio sorrise mentre si sporgeva su di lui per dargli un bacio. Poi tornò a posare la testa sulla sua spalla.
"E pensare che nemmeno volevi parlare con me. Se non lo avessi fatto, a quest'ora saremmo ognuno nella propria stanza" disse Fabrizio.
"Continuerai a rinfacciarmelo?"
"Probabilmente."
Ermal scoppiò a ridere, sentendosi leggero come non si sentiva da tempo.
Fabrizio aveva riportato nel suo cuore tutte le emozioni che Ermal pensava fossero sparite insieme a Silvia, e non poteva che essergliene grato.
Sapeva che le cose non sarebbero state facili, che ci sarebbero stati problemi enormi da affrontare, ma sapeva anche che l'avrebbero fatto insieme. E se la situazione fosse diventata troppi difficile, avrebbero sempre potuto scappare insieme nella loro Lisbona, lì dove tutto sembrava un po' più semplice e loro si sentivano un po' più felici.
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