#sensazione pure e semplice
Explore tagged Tumblr posts
firkloverr · 2 months ago
Text
stasera mi sento proprio la bimba più fortunata e amata del mondo
7 notes · View notes
kon-igi · 7 months ago
Text
QUA CI SAREBBE STATO UN TITOLO ALTISONANTE MA QUESTA VOLTA NO
Trovo difficile spiegare quello che sto per raccontarvi, non perché provi vergogna o esitazione ma perché ho impiegato 23 giorni a capire cosa stesse succedendo e tutte le volte che mi fermavo con l'intenzione di parlarne, sentivo che le parole scritte non avrebbero reso il senso di quello che stavo provando.
Questa volta lo butto giù e basta, ben consapevole che le parole immiseriscono ciò che una volta fuori dalla testa non sembra poi così universale o interessante.
L'errore più grande che ho fatto in questi cinque anni (conto un anno prima della pandemia ma forse sarebbero pure di più) è stato credere di avere un equilibrio emotivo tale da poter prendere in carico i problemi e le sofferenze delle persone della mia famiglia.
Non solo, mi sono fatto partecipe e a volte risolutore dei problemi dei miei amici e una volta che sono stato in gioco mi sono reso disponibile ad ascoltare chiunque su questa piattaforma avesse bisogno di supporto, aiuto o di una semplice parola di conforto.
Ho sempre detto che una mano tesa salva tanto chi la stringe che chi la allunga e di questo sono ancora fermamente convinto.
Ma per aiutare qualcuno devi stare bene tu per primo, altrimenti ci si sorregge e si condivide il dolore, salvo poi cadere assieme.
In questi anni ho parlato molto di EMPATIA e di sicuro questa non è una dote che mi manca ma c'è stato un momento - non saprei dire quando e forse è stato più uno sfilacciamento proteso nel tempo - in cui non ho potuto fare più la distinzione tra la mia empatia e la mia fragilità emotiva.
Sentivo il peso, letteralmente, della sofferenza di ogni essere vivente con cui mi rapportavo... uno sgangherato messia sovrappeso con la sindrome del salvatore, insomma.
Sovrastato e dolente.
Mi sentivo costantemente sovrastato e dolente e più provavo questa terribile sensazione, più sentivo l'impellente bisogno di aiutare più persone possibile, perché questo era l'unico modo per lenire la mia sofferenza.
Dormivo male, mi svegliavo stanco, mangiavo troppo o troppo poco, lasciavo i lavori a metà e mi veniva da piangere per qualsiasi cosa.
Naturalmente sempre bravo a dispensare consigli ed esortazioni a curare la propria salute mentale ma lo sapete che i figli del calzolaio hanno sempre le scarpe rotte, per cui se miagola, graffia e mangia crocchette, bisognerà per forza chiamarlo gatto.
E io l'ho chiamata col suo nome.
Depressione.
La mia difficoltà, ora, a parlarne in modo comprensibile deriva da un vecchio stigma familiare, unito al fatto che col lavoro che faccio sono abituato a riconoscere i segni fisici di una patologia ma per ciò che riguarda la psiche i miei pazienti sono pressoché tutti compromessi in partenza, per cui mi sto ancora dando del coglione per non avere capito.
All'inizio ho detto 23 giorni perché questo è il tempo che mi ci è voluto per capire cosa sto provando, anzi, per certi aspetti cosa sono diventato dopo che ho cominciato la terapia con la sertralina.
(per chi non lo sapesse, la sertralina è un antidepressivo appartenente alla categoria degli inibitori della ricaptazione della serotonina... in soldoni, a livello delle sinapsi cerebrali evita che la serotonina si disperda troppo velocemente).
Dopo i primi giorni di gelo allo stomaco e di intestino annodato (la serotonina influenza non solo l'umore ma anche l'apparato digestivo) una mattina mi sono svegliato e mi sono reso conto di una cosa.
Non ero più addolorato per il mondo.
Era come se il nodo dolente che mi stringeva il cuore da anni si fosse dissolto e con lui anche quell'impressione costante che fosse sempre in arrivo qualche sorpresa spiacevole tra capo e collo.
Però ho avuto paura.
La domanda che mi sono subito fatto è stata 'Avrò perso anche la mia capacità di commuovermi?'
E sì, sentivo meno 'trasporto' verso gli altri, quasi come se il fatto che IO non provassi dolore, automaticamente rendesse gli altri meno... interessanti? Bisognosi? Visibili?
Non capivo ma per quanto mi sentissi meglio la cosa non mi piaceva.
Poi è capitato che una persona mi scrivesse, raccontandomi un fatto molto doloroso e chiedendomi aiuto per capire come comportarsi e per la prima volta in tanti anni ho potuto risponderle senza l'angoscia di cercare spasmodicamente per tutti un lieto fine.
L'ho aiutata senza che da questo dipendesse la salvezza del mondo.
Badate che non c'era nulla di eroico in quella mia sensazione emotiva... era pura angoscia esistenziale che resisteva a qualsiasi mio contenimento razionale.
E ora sono qua.
Non più 'intero' o più 'sano' ma senza dubbio meno stanco e più vigile, sempre disposto a tendere quella mano di cui sopra - perché finalmente ho avuto la prova che nessun farmaco acquieterà mai il mio amore verso gli altri - con la differenza che questa voltà si cammina davvero tutti assieme e io sentirò solo la giusta stanchezza di chi calpesta da anni questa bella terra.
Benritrovati e... ci si vede nella luce <3
162 notes · View notes
quartafuga · 9 months ago
Text
Tra i ricordi migliori che custodisco c'è: io che torno da lavoro e pranzo in fretta e furia con gli altri per poi lavare al volo i piatti, farmi una doccia e vestirmi con l'unico obiettivo di uscire e vederti. Ricordo ancora benissimo la sensazione di libertà che provavo, quella gioia sottile che mi chiudeva lo stomaco, la musica a palla in una lingua che non capivo a riempirmi le orecchie. Il tutto coronato dalla coscienza di essere in un paese nuovo, in cui ogni cosa poteva accadere ed in cui, soprattutto, anche il semplice quotidiano aveva la sua luce unica e irripetibile.
Adesso mi si stringe lo stomaco a pensare che, pure tornassi lì, non sarebbe più la stessa cosa. Quel tempo è andato, è trascorso, appartiene al passato. Ed io non riesco ad accettarlo, a dirmelo, a dirlo ad alta voce
15 notes · View notes
azirafuck · 1 year ago
Note
Io ho cercato volontariamente il leak (e l'ho pure salvato sul cellulare per potermelo riguardare facilmente) perché onestamente mi conosco e so che non avrei mai aspettato il 28 luglio senza più aprire Tumblr. Ti scrivo ora perché ho un disperato bisogno di parlare (in italiano) con qualcuno che ha effettivamente visto il leak. A me pare di essere in una gabbia di matti perché vedo le opinioni più disparate girare. A me non disturba il leak di per sé, non mi frega niente o quasi niente di subire spoiler di media (anzi spesso mi spoilero volontariamente alcune cose ahahah). Quello che mi lascia l'amaro in bocca è che ho la sensazione che Amazon l'abbia fatto apposta, giusto per creare polemica (e farsi fare i complimenti perché #ally) durante il mese del pride e che abbia potuto farlo perché tanto Neil Gaiman è in sciopero. Una mossa di rainbow capitalist che sì, da Amazon che cavolo ti aspetti ma allo stesso tempo mi fa vomitare. La cosa invece che mi sta letteralmente uccidendo è che NON C'È CONTESTO. Una parte di me ha paura che sia un bacio finto (magari è un sogno?? Non avviene???) o tra Maggie e Nina, che okay viva le lelle ma perché farlo COSÌ (queerbaiting PTSD fr). Cioè il bacio sembra così aggressivo?? CHE CAVOLO È SUCCESSO PRIMA??? È tipo una situazione alla scena del muro della s1 ma stavolta uno dei due ha chiuso la distanza come in migliaia di ff/fanart???? Ma soprattutto CROWLEY HA GLI OCCHIALI PERCHÉ HA GLI OCCHIALI??!?! Dal trailer pare che sia più a suo agio e se li tolga più spesso con Aziraphale quindi qualcun'altro è lì con loro?!?! Io più di un mese come resisto?!?
Insomma I'm totally normal about it 🙃
CHE MOOD TUTTO BRO
anche io so perfettamente che non sarei riuscita a resistere con un semplice trailer fino a fine luglio, ci si chiede decisamente troppo. se ci sarà una leak come nel 2019 che mi escono tutti gli episodi così de botto, io lo dico che sarò la prima a fare il salto sul carro delle merde. e lo farò con orgoglio
concordo sulla mossa di rainbow capitalism, e mi dispiace perchè come dici tu il bro è in sciopero quindi non può avere chissà che contatti con gli stronzi che hanno fatto sta roba. io davvero non mi metto nei suoi panni, ci si può solo immaginare il nervoso che ha addosso sto povero uomo
e il fatto che non ci sia contesto è positivo per quanto riguarda la parte di spoiler, cioè è praticamente come se non fosse successo niente perchè NON SAPPIAMO PROPRIO 0 NADA di cosa succede prima, durante, dopo. e mi fa smattare che stiamo mettendo tutti i nostri occhiali di pessimismo powerati dai traumi degli show televisivi venuti prima di questo fgjdsnkfd (queerbaiting PTSD PER DAVVERO)
il sogno non mi convince, anche perchè se fosse un sogno sarebbe 100% un sogno di crowley considerando che è lui quello che (di solito) dorme. il che forse mi fa piangere un pochino. il che forse mi fa piacere l'idea del sogno
Nina e Maggie è stato il mio primo pensiero ma cOME CAZZO hanno fatto ad entrare nei loro corpi??? non lo sappiamo ma so solo che sarà una roba di un'ignoranza superlativa and im here for it
ripeto l'unica cosa certa è che david tennant ha baciato michael sheen and served cunt while doing it. di michael considerando la scritta in mezzo al cazzo, il pixellaggio e l'oscurità della scena non possiamo dire (per ora) la stessa cosa. can't wait to be proven wrong
13 notes · View notes
jazzluca · 1 year ago
Text
THUNDERCRACKER ( Voyager ) Studio Series 89
Tumblr media
Finalmente, dei 3 prodotti, sono riuscito a prendermi almeno UNO dei Seeker in guisa cybertroniana visti nell'osannata sequenza introduttiva del film di Bumblebee, e diciamo che sono cascato bene, dato che sarebbe nientepopodimenoche il mio preferito, ovvero il buon vecchio THUNDERCRACKER.
Tumblr media
E se proprio dovevo prenderne appunto uno solo, casco bene anche perchè cromaticamente è pure il più credibile nel suo classico blu scuro nella modalità di JET ALIENO, dato che il più famoso Starscream magari con la sua livrea grigia rossa e blu è poco probabile, così come invece quello chiamato Thrust ha pochetto dell'originale G1, con ali normali e … colorato di verde?!?
Tumblr media
Vabbè, torniamo a questa incarnazione di Vampiro, che a dirla tutta appare sì nel film succitato, ma in mezzo ad altri seeker generici dello stesso colore, così come ha avuto altre incarnazioni nella cosmogonia dei live movie, ovvero un semplice repaint di Starscream con testa diversa nel lontano 2007 ed un'altra versione sempre Studio Series ma anche un po' fantasiosa basata sullo stampo di Nitro Zeus attribuito ad una sua fantomatica presenza in Dark of the Moon.
Tumblr media
Dicevo, i seeker nelle loro modalità di jet cybertroniano ovviamente pagano pegno ai celeberrimi tetrajet del primissimo episodio dei cartoni animati originali, con un bel velivolo che non sfigurerebbe in un film di Star Wars e la fora che richiama appunto un aereo triangolare, salvo l'aggiunta di una quarta pinna ( armata ) sotto il mezzo, che però nel modellino si rivela essere un po' troppo grossa perchè in realtà usata per sistemare, ripiegate, le braccia all'interno del torso del robot.
Tumblr media
A livello di fedeltà ovviamente non è il massimo, ma ci si chiude un occhio vista la bellezza dello stampo del modellino, così come l'idea stessa di questo design che rende il jet abbastanza imponente per la media, e suddetta pinna cicciona è nascosta dalle ali laterali spioventi.
Tumblr media
Si fatica invece a chiudere un altro occhio in alcune parti "inspiegabilmente" grigio chiare sulla parte centrale del jet e nella parte frontale della pinna inferiore che stonano con l'ottimo blu scuro principale. L'inspiegabilità però si spiega forse andando a guardare i suoi colleghi, con le stesse parti dello stesso colore, solo che lì non danno affatto fastidio essendo il grigio chiaro uno dei colori delle loro livree, così come le parti superiore di questi pannelli sono in plastica morbida, quindi boh, non sono riusciti a farli blu pure questi, ma resta la sensazione di un bel pugno nell'occhio estetico, peccato.
Per il resto ci sono tocchi di rosso negli alettoni e sopratutto nella punta, la cabina è in plastica arancione trasparente, ed i razzi posteriori puntano verso l'alto, ok ^^'. Come accessori abbiamo due laser sotto le ali e quello sotto la pinna inferiore, che non sarebbe fedelissimo a guardar bene dato che poi si ricicla come arma per il robot, ma anche qui, va bene lo stesso.
Tumblr media
La TRASFORMAZIONE riprende a grandi linee quella del Blitzwing SS 65, non a caso il seeker con modalità velivolare terrestre, ma con le sue belle differenze, dato che qui la parte posteriore diventa le gambe del robot, ma semplicemente ruotando verso l'esterno di 90° le due metà, drizzando i piedi ed inglobando i succitati pannelli di plastica grigetta, ed anche qui la parte esterna del torso si ribalta da sotto il jet in avanti, ma qui le braccia non erano ripiegate sotto le ali come in Blitzy ma ripiegate all'interno dello stesso, ed idem la testa, non più già attaccata al cockpit ma invece parte del succitato modulo del torso mobile.
Tumblr media
Il risultato è un ROBOT davvero bello ed evocativo, perfetta sintesi fra il look classico da Seeker ed un aspetto realistico da film dal vivo, senza perdere un oncia di antropoformia rispetto alla versione più aliena e bizzarra dello Starscream dei film Bayani.
Tumblr media
Fra le altre cose, davvero indovinata la finezza del cockpit "diviso" sia al centro del petto che sopra di esso da cui sbuca la testa, i propulsori ai lati delle gambe, i classici moduli a punta fra capo e spalle e le ali con le punte che ruotano in modo da far cambiare stile volendo al soggetto di turno ( Thundercracker qui e Thrust hanno le punte ruotate verso il basso, per dire, mentre Starscream le ha verso l'alto ).
Tumblr media
Ma sopratutto, sebbene dicevo della somiglianza della trasformazione con Blitzwing, in realtà i due stampi non hanno NULLA in comune, avendo tutte le parti le li compongono diverse, eccetto in questo e nel caso di Thrust della testa, uguale a quella del Seeker terrestre laddove il solo Starscream ne ha una un po' diversa, senza quella sorta di respiratore da maschera antigas sulla bocca.
Tumblr media
Rispetto sempre a Blitzwing i Seeker Cybertroniani hanno uno zaino più compatto, non avendo il pannello che si estende oltre il sedere, e le ali più versatili da posizionare, così come le caviglie possono muoversi un po' frontalmente, oltre che lateralmente ed il bacino, seppure anche qui limitato, ha più lasco per ruotare.
Tumblr media
I polsi invece anche qui non ruotano, per via della trasformazione, ma l'arma grande un po' fa fatica a restare impugnata, laddove quella di Blitzwing si bloccava pure grazie ad un ulteriore perno per l'avambraccio, mentre è un po' un peccato che le due armi delle ali finiscano di nuovo sulle ali per mera bellezza e non possano sistemarsi sulle braccia come appunto i fucili classici dei G1 Astrum e compagnia, ma questa è una scelta stilistica a monte del concept design, MA volendo un paio di fori sugli avambracci potevano farceli, anche se effettivamente come laser sono piccini e la loro posizione originale sarebbe sui bicipiti, e qui le articolazioni non lo permetterebbe molto, e quindi a posto così.
Tumblr media
Ma comunque, anche cromaticamente Thundercracker con questo suo bel blu scuro / metallico e tocchi di grigio è davvero eccezionale e da lustro a quest'ottimo stampo, un must per i fan dei Seeker, cybertroniani o meno che siano, nonostante le summenzionate me effimere lacune e la pinna verticale inferiore un po' "in carne", e si spera che continuino a sfornare gli altri mancanti, primo fra tutti il buon Skywarp, anche se, come dicevo all'inizio, questo Vampiro direi che è l'ideale per chi vuole anche solo uno stampo di questi Cercatori.
6 notes · View notes
yoursweetberry · 2 months ago
Text
Sto a casa.. non ho concluso ancora niente per quel fatto del lavoro perchè non riesco a trovare la forza. Ieri sera è stato un incubo. Io che ero in piena crisi di pianto e non respiravo senza riuscire a calmarmi, mia mamma che piangeva insieme a me, mio padre che minacciava di andarsene perchè è l’unica cosa che sa fare invece di affrontare un cazzo di problema. Alla fine ho dovuto sedarmi con le gocce per calmarmi e oggi sono stata e sono totalmente uno zombie.
Io non credo che questa sia vita.. io non ho la forza ne una motivazione per rialzarmi, io non ho niente..sforzarmi a fare cose mi fa solo tremare di paura perchè io sono abituata che le cose o le faccio bene o non le faccio e io ora vado in panico a fare le cose che so che fisicamente e mentalmente non riesco a fare.
Non so come spiegarmi e non mi capisce nessuno (o si fa finta per non voglia)e mi sento sola e abbandonata completamente a me stessa e questa sensazione è di uno schifo e una tristezza indescrivibile. Ti uccide dentro e fuori.
Perché non è vero che mi fa bene cambiare lavoro perchè non è questo che mi serve al momento, io sono sul fondo e nessuno riesce a capire veramente la condizione in cui sono. Che avrei bisogno prima di mettermi in piedi e poi camminare. Invece si pensa che io possa e debba già correre. Mi sento totalmente incompresa perchè per vostra fortuna non sapete che cazzo significa vivere un malessere del genere perchè per tutti le cose importanti e di cui dispiacersi e importarsi sono solo le malattie fisiche e a voglia di far finta di dire che non è vero che non lo pensate, perchè nei fatti nessuno capisce veramente che significa e quanto sia invalidante anche una malattia che non si vede. Perchè ogni volta che parlo e cerco di spiegare come sto si danno sempre e solo risposte che valgono per persone che stanno bene di base. Non ci si rende conto che non valgono certe risposte per chi sta soffrendo. Non ci si rende conto che basterebbero altre cose.. cose semplici che non c’entrano niente con il dare giudizi o consigli. Perchè quando uno sta male così non ha bisogno di consigli ha solo bisogno di essere voluto bene e non sentirsi solo. Invece che sia a casa, in famiglia o al di fuori nessuno sembra aver capito un emerito cazzo. E ora è pure tardi perchè per rialzarmi da dove sto ora è veramente complicato ma quando poteva essere un po’ più semplice non sono stata calcolata.. figuriamoci adesso. Per questo ho perso la speranza in tutto, per questo io non voglio vivere più, per questo sono arrabbiata e esaurita perché io la luce non la vedró mai. Le richieste di aiuto sono sempre state tutte ignorate e poi quando è troppo tardi si fa finta di essere dispiaciuti.
18:28
0 notes
djs-party-edm-italia · 3 months ago
Text
Tumblr media
Tutta la musica della giovanissima Michelle DJ, che pubblica il 25/9 "Genie in a Bottle" su Acetone Records
"Gli artisti simbolo dell'estate 2024? Credo siano Anna Pepe, Annalisa, Mahmood, Rose Villain e Sfera Ebbasta. Tra gli internazionali segnalo David Guetta". E' il parere senz'altro competente della giovanissima dj sarda Michelle DJ, che mentre studia e fa sport si diverte in console con l'aiuto del padre e oggi pure con il supporto di un team di amici e professionisti del mixer che fanno crescere la sua passione pian piano... Per adesso la musica non può che essere un divertimento, poi si vedrà.
Nel marzo 2024 Michelle Casula, al mixer Michelle DJ,  a soli12 anni, è stata definita dall'ANSA  la più giovane dj italiana (ANSA è la più importante agenzia stampa italiana, la più giovane dj italiana - https://bit.ly/DjMichelleANSA). I mesi passano e senz'altro prima o poi sarà 'superata' da qualche coetanea di qualche giorno più giovane di lei per quel che riguarda l'anagrafe... ma non verrà certo superata certo nella passione per la musica e per la console. 
Così giovane, sta già infatti crescendo molto a livello musicale, grazie a tante serate nella sua Sardegna nel corso dell'estate '24, spesso insieme al suo "collega" sardo Sandro Puddu, uno degli artisti della family di Acetone Records. E' quindi naturale che Michelle DJ escordisca con il suo primo disco proprio su Acetone: il 25 settembre esce infatti il suo primo singolo, "Genie in a Bottle".  Abbiamo incontrato Michelle DJ. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Come hai iniziato a mixare e che età avevi di preciso? Di solito ci si avvicina alla console quando si ha qualche anno in più. E invece tu hai già un po' di esperienza... 
Ho iniziato a mixare all'età di 11 anni. Avevo iniziato con una "console giocattolo" molto semplice. Le prime cose le avevo imparate da sola appunto con la console che avevo. Dopo averla usata per un po' mi sono resa conto che volevo qualcosa di più serio...
Quali sono le persone che devi ringraziare di più per averti fatto conoscere la musica e la dance in particolare così presto?
Prima di tutto ringrazio mio padre. Ha sempre organizzato feste con dj set e c'era musica dance. Uno degli amici di mio padre è il dj Sandro Murru... e lui proprio luii il primo dj che vidi suonare sul palco. La sua performance mi incuriosì e decisi quindi di provare. Ovviamente ringrazio anche lui... come ringrazio anche Dj Albo, perché mi sta aiutando a conoscere meglio il mondo della musica dance. Il suo supporto e la sua pazienza sono fondamentali per me.
Chi sono oggi i tuoi riferimenti musicali e quali sono gli artisti che ascolti di più? E invece quelli che mixi di più?
A me piace molto la musica rap. I miei artisti preferiti sono Sfera Ebbasta e Anna Pepe. Tra gli artisti che mixo di più in ambito dance anni '80 - '90 ci sono invece Corona, Cappella, Eiffel 65, Alice Dj, Haddaway e tanti altri. Tra gli artisti italiani, propongo spesso brani di Annalisa, Mahmood, The Kolors, etc.
Ci racconti un po' le tue giornate? Quando trovi il tempo per mixare? 
In estate alterno musica e mar. Vado sempre al mare con gli amici e di sera esco e a volte trovo anche il tempo per suonare un po'. Invece in inverno è un po' più complicato perché di mattina vado a scuola e devo fare anche i compiti... Fortunatamente però il tempo per mixare lo trovo, alternandolo con lo sport che faccio.
Già fai ballare locali importanti... che sensazione ti dà farlo? 
E' una sensazione bellissima veder ballare la gente sopratutto se è un locale importante. A volte all'inizio di una mia serata mi sale un po' l'ansia, ma appena vedo la gente scatenarsi e divertirsi mi tranquillizzo... E mi diverto un sacco!
A volte fai ballare anche feste con tuoi coetanei? Ci sono tue amiche o tuoi amici con cui condividi la passione di fare la dj?
Sì, mi è capitato a Calasetta (in Sardegna) in piazza o anche a compleanni ed altre feste. Quando i mei amici o parenti mi vedono suonare sono molto felici e lo sono anch'io. Sono l'unica dei miei amici che ha questa passione per l'essere dj, ma i miei amici mi supportano davvero molto. Per questo non posso far altro che ringraziarli.
https://www.instagram.com/michelledj_
https://www.instagram.com/acetone.records/
0 notes
sounds-right · 3 months ago
Text
Tumblr media
Tutta la musica della giovanissima Michelle DJ, che pubblica il 25/9 "Genie in a Bottle" su Acetone Records
"Gli artisti simbolo dell'estate 2024? Credo siano Anna Pepe, Annalisa, Mahmood, Rose Villain e Sfera Ebbasta. Tra gli internazionali segnalo David Guetta". E' il parere senz'altro competente della giovanissima dj sarda Michelle DJ, che mentre studia e fa sport si diverte in console con l'aiuto del padre e oggi pure con il supporto di un team di amici e professionisti del mixer che fanno crescere la sua passione pian piano… Per adesso la musica non può che essere un divertimento, poi si vedrà.
Nel marzo 2024 Michelle Casula, al mixer Michelle DJ,  a soli12 anni, è stata definita dall'ANSA  la più giovane dj italiana (ANSA è la più importante agenzia stampa italiana, la più giovane dj italiana - https://bit.ly/DjMichelleANSA). I mesi passano e senz'altro prima o poi sarà 'superata' da qualche coetanea di qualche giorno più giovane di lei per quel che riguarda l'anagrafe… ma non verrà certo superata certo nella passione per la musica e per la console. 
Così giovane, sta già infatti crescendo molto a livello musicale, grazie a tante serate nella sua Sardegna nel corso dell'estate '24, spesso insieme al suo "collega" sardo Sandro Puddu, uno degli artisti della family di Acetone Records. E' quindi naturale che Michelle DJ escordisca con il suo primo disco proprio su Acetone: il 25 settembre esce infatti il suo primo singolo, "Genie in a Bottle".  Abbiamo incontrato Michelle DJ. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Come hai iniziato a mixare e che età avevi di preciso? Di solito ci si avvicina alla console quando si ha qualche anno in più. E invece tu hai già un po' di esperienza… 
Ho iniziato a mixare all'età di 11 anni. Avevo iniziato con una "console giocattolo" molto semplice. Le prime cose le avevo imparate da sola appunto con la console che avevo. Dopo averla usata per un po' mi sono resa conto che volevo qualcosa di più serio…
Quali sono le persone che devi ringraziare di più per averti fatto conoscere la musica e la dance in particolare così presto?
Prima di tutto ringrazio mio padre. Ha sempre organizzato feste con dj set e c'era musica dance. Uno degli amici di mio padre è il dj Sandro Murru… e lui proprio luii il primo dj che vidi suonare sul palco. La sua performance mi incuriosì e decisi quindi di provare. Ovviamente ringrazio anche lui… come ringrazio anche Dj Albo, perché mi sta aiutando a conoscere meglio il mondo della musica dance. Il suo supporto e la sua pazienza sono fondamentali per me.
Chi sono oggi i tuoi riferimenti musicali e quali sono gli artisti che ascolti di più? E invece quelli che mixi di più?
A me piace molto la musica rap. I miei artisti preferiti sono Sfera Ebbasta e Anna Pepe. Tra gli artisti che mixo di più in ambito dance anni '80 - '90 ci sono invece Corona, Cappella, Eiffel 65, Alice Dj, Haddaway e tanti altri. Tra gli artisti italiani, propongo spesso brani di Annalisa, Mahmood, The Kolors, etc.
Ci racconti un po' le tue giornate? Quando trovi il tempo per mixare? 
In estate alterno musica e mar. Vado sempre al mare con gli amici e di sera esco e a volte trovo anche il tempo per suonare un po'. Invece in inverno è un po' più complicato perché di mattina vado a scuola e devo fare anche i compiti… Fortunatamente però il tempo per mixare lo trovo, alternandolo con lo sport che faccio.
Già fai ballare locali importanti… che sensazione ti dà farlo? 
E' una sensazione bellissima veder ballare la gente sopratutto se è un locale importante. A volte all'inizio di una mia serata mi sale un po' l'ansia, ma appena vedo la gente scatenarsi e divertirsi mi tranquillizzo… E mi diverto un sacco!
A volte fai ballare anche feste con tuoi coetanei? Ci sono tue amiche o tuoi amici con cui condividi la passione di fare la dj?
Sì, mi è capitato a Calasetta (in Sardegna) in piazza o anche a compleanni ed altre feste. Quando i mei amici o parenti mi vedono suonare sono molto felici e lo sono anch'io. Sono l'unica dei miei amici che ha questa passione per l'essere dj, ma i miei amici mi supportano davvero molto. Per questo non posso far altro che ringraziarli.
https://www.instagram.com/michelledj_
https://www.instagram.com/acetone.records/
0 notes
hanzo9789 · 6 months ago
Text
Ho sempre cercato de fa le cose onestamente ho avuto molte opportunità per prendere strade sbagliate me ricordo da regazzino quando non stavo a scuola stavo buttato pe strada su un muretto o al parco e giocavo co le pistole a aria compressa co l amico mio avevamo 10 anni poi dopo altri 10 anni le strade se dividono i bambini diventano grandi io smetto di giocare e inizio a lavorare il mio amico anche lui smette di giocare ma continua a usare le pistole ,sta volta vere. Per uno scherzo del destino ci rincontriamo dove lavoro, lui con la lamborghini e vestiti armani io in camicia tutto sporco e con una fiat punto che pochi mesi dopo mi avrebbe lasciato a piedi all eur (mortacci sua e della frizione demmerda), comunque iniziamo a parlare lui me fa alé ma come te sei ridotto? E io :lo stesso potrei di a te almeno a me nessuno me vole ammazza' scoppiamo a ride e se crea quella sensazione de disagio in tutti e 2. Una seconda volta mi trovavo in compagnia di un altro amico era il mio migliore amico dico era perché purtroppo gli hanno sparato in testa nel suo paese d origine e purtroppo non so tutt oggi dove sia seppellito perché l unico parente che ha è un cugino che non ha saputo darmi indicazioni e di cui ho perso i contatti, un ricordo co lui è di noi 2 che stiamo a cazzeggiare fuori a un kebabbaro e ci avvicina un uomo sulla sessantina che essendo connazionale dell amico mio ci prende in simpatia e ce fa rega o volete fa un lavoretto semplice? Ve do 10.000 euro a settimana. Mi rifiutai, un po perché avrei perso la possibilità di realizzare il mio sogno che no non è ave er macchinone o a casa ai parioli ma ave una cazzo de famiglia , la mia, un po pe paura dimoselo e n altro po perché purtroppo so nato troppo onesto pe accettà, purtroppo l amico mio accettò e da la a 4 anni me l'hanno portato via. Oggi so cresciuto ancora de più lavoro e basta praticamente ancora non ho realizzato il mio sogno sebbene vicino io abbia una persona meravigliosa e che purtroppo se deve subi tutti i traumi mia...che nn so pochi per dio...so incensurato eppure me sento ar gabbio faccio casa lavoro-lavoro casa zompando feste compleanni e lasciando affetti che prima o poi a forza de sentisse di me dispiace ma lavoro beh se so pure rotti npo er cazzo e ce sta...nn lo so me sento a n punto de la vita mia dove nn so più chi so o anche solo che cazzo sto a fa , nn sto mai fermo a stento ho tempo per pisciare fumo peggio de n marocchino sigarette a rotta de collo co a scusa dello stress quando forse vojo solo trova n modo pe falla finita e questo me sembra quello più dignitoso perché armeno posso di oh so stato n cojone vabbeh pazienza succede a tanti. Nn o so...a vorte me pija da di ma chi cazzo me o fa fa ? Ma che cazzo ne sanno l altri de quello che cho dentro? De quello che se nasconde dietro a ogni sorriso falso che so costretto a fa? Ogni vorta che rido almeno ultimamente me vie er vomito me vie da pija sbotta a piagne e sfonnà tutto ma nn o posso fa npo perché ciò e nocche delle mani magnate a forza de pija a cazzotti li muri pe nn tiralli n faccia a qualcuno npo perché nn cho forza manco pe magna figuramose pe fa cazzate....vabbeh era solo no sfogo che probabilmente nn te cambierà n cazzo nella vita perché dici e sti cazzi? Impicciato de capoccia ce sto pure io figuramose se me frega de li cazzi tua. Bella.
1 note · View note
quellotropposensibile · 6 months ago
Text
Les jeux sont faits.
Grazie Dani per le parole. Ne farò tesoro, come spero tu abbia fatto con le mie.
Da piccolo facevo dei mega sospironi sotto la doccia, specie dopo una giornata in spiaggia, e i miei mi prendevano in giro e alla fine ridevamo tutti. Quella sensazione di relax mi provocava questi versi involontari. E uscivo felice.
La stessa felicità che si prova il giorno del compleanno, o di Natale, ma il compleanno è un giorno qualsiasi per tutti gli altri, tranne che per te, per te è più speciale. Torni un bimbo, anche superati i novant'anni, quando scarti il tuo regalo, spacchi la carta sorridendo, perché è tutta una sorpresa, un gesto di affetto nei tuoi confronti da parte di chi ti ama. Come le lontre con i sassi.
Allora questa sensazione di felicità è molto ben riconoscibile perché almeno una volta l'anno la provano tutti, questo è amore. Puro e semplice. Così ci si sente.
È semplice, per l'appunto. Spontaneo, naturale come respirare. Forse di più. Automaticamente sei felice, sorridi, ridi, le battute diventano più belle, anche le sembianze di chi ami diventano meno oggettive, più soggettive, quindi bam, questa persona diventa la più bella di tutte. Non te ne frega niente se è più alta, più magra, più grassa, più bassa, se puzza o se indossa un profumo all'incenso, se le piacciono i gatti o gli ornitorinchi, se la ami, finisci per amare pure tu gli ornitorinchi poi.
Si vede dove sto andando a parare?
È una scelta semplice, quando non lo è, basta seghe mentali, si continua a vivere perché di amore se ne trova ovunque, e in primis devi darne a te stesso. E se non ci riesci per causa di un'altra persona, beh, è un fottuto problema.
Quando ho amato, ho amato impossibilmente, ci ho messo tutto me stesso, e, senza rendermene conto, sono scomparso. Avevo dato tutto quanto. Senza riserva. Poi me ne sono andato via con l'altra persona quando questa se n'è andata. E sono rimasto da solo con uno sconosciuto.
Allora ho imparato a conoscermi, mi sono stretto la mano, mi sono presentato, piano piano sono tornato in me, qualcosa manca ancora, ma qualcosa in più è arrivato. Come la coda di una lucertola, con una macchia nuova, di un nuovo colore, ma senza più i puntini che c'erano prima.
Dopo mi sono innamorato di nuovo. Perché le cotte delle superiori sono difficiline quando sei circondato da maschi, allora le uniche persone di sesso femminile che vedi sono le morose dei tuoi amici e occasionalmente incontri una tipa nuova, spesso e volentieri fidanzata, a meno che non abbia i baffetti alla Chaplin, quelli non vanno più di moda, quindi quelle tipe di solito sono single. E se invece ti innamori direttamente (direttamente per modo di dire) ti sembra di avere tutto. Sei felice con te stesso e sei felice anche con un'altra persona.
Questi due vasi comunicanti all'inizio sono a due altezze diverse, poi si stabilizzano alla stessa quota geodetica. E quando arriva l'equilibrio son cazzi. Cazzi amarissimi. Metti che uno dei due vasi si crepa, eh beh, scendono insieme, metti che piove, sì, si distribuisce meglio, ma poi travasano entrambi contemporaneamente. Si patisce entrambi. Si è una cosa sola.
Ora non so quanto comunicante fossi io con lei, non so quanto saremmo potuti travasare insieme. Anzi, la prima frase è abbastanza chiara. Ciuf ciuf, in carrozza, il treno parte. Direzione acqua, e molta pace.
È chiaro che il mio treno non può più stare ad aspettare che l'altro deragli per venire su un binario condiviso. Vedo lì il bivio per tornare sul mio, quello della felicità nella sua forma più pura, per tornare a stare bene da solo.
0 notes
ilquadernodelgiallo · 10 months ago
Text
Detta altrimenti: per Fisher l'immaginario anni Duemila è letteralmente abitato da fantasmi, sia di stili passati (la Retromania), sia di ipotesi politiche e ideologiche relegate al dominio del non-più-possibile (le alternative al capitalismo messe a tacere dalla retorica neoliberale del "There Is No Alternative"), ed è semmai dalle seconde che discendono i primi. [...] La tesi è semplice: il "There Is No Alternative" al capitalismo pronosticato dalla Thatcher è stato infine introiettato non solo dalle forze politiche che pure a suo tempo occupavano il campo avverso a quello del consevatorismo neoliberale, ma dallo stesso inconscio collettivo; il risultato è che «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo», con ricadute drammatiche sia nel campo sociale che in quello psichico. Da qui discende un'analisi succinta ma penetrante di come questo «realismo capitalista» si rifletta in ambiti apparentemente tra loro diversissimi come la sempiterna cultura pop (soprattutto il cinema, che nel corso degli anni è diventato sempre più uno dei perni dell'analisi di Fisher), la malattia mentale (che Fisher  conosceva bene sin dall'adolescenza), la burocrazia, il sistema scolastico, la catastrofe ambientale. [...] una generazione condannata a emergere in piena «fine della storia» [...] abbandonare nostalgismi di sorta, a recuperare il brivido del future shock, a tornare a ipotizzare alternative aliene e irriducibili al realismo capitalista imperante... [dalla prefazione di Valerio Mattioli] _______________
...è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. È uno slogan che racchiude alla perfezione quello che intendo per «realismo capitalista»: la sensazione diffusa che non solo il capitalismo sia l'unico sistema politico ed economico oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginarne un'alternativa coerente. _______________ A proposito: se ho parlato di aspirazioni «ufficiali» è perché l'ideologia neoliberale, nonostante ami da sempre scagliarsi contro lo Stato, è proprio sullo Stato che ha surrettiziamente contato. Il fenomeno è stato particolarmente evidente durante la crisi del 2008, quando - come da indicazione degli ideologi neoliberali - gli Stati si sono precipitati in soccorso del sistema bancario. _______________ Senza il nuovo, quanto può durare una cultura? Cosa succede se i giovani non sono più in grado di suscitare stupore? [...] Possibile che davvero non ci aspettino cambiamenti di sorta, che non rimarremo più spiazzati da quello che verrà? Ansie del genere tendono a produrre un'oscillazione bipolare: la speranza vagamente messianica che prima o poi qualcosa di nuovo dovrà pur succedere scivola nella tetra convinzione che niente di nuovo accadrà mai sul serio. Dalla next big thing, l'attenzione si sposta sull'ultima grossa novità: a quanto tempo fa risale, e quanto grossa era davvero? Ma forse tra le pieghe del film [scil. 'I figli degli uomini' di Alfonso Cuarón] è possibile intravedere un altro Eliot ancora: quello di 'Tradizione e talento individuale'. Fu in quel saggio che Eliot, anticipando Harold Bloom, descrisse la relazione reciproca tra canone e nuovo: il nuovo definisce se stesso come risposta a quanto è già stabilito; allo stesso tempo, quanto è già stabilito deve riconfigurarsi in risposta al nuovo. Secondo Eliot, l'esaurimento del futuro ci lascia anche senza passato: quando la tradizione smette di essere contestata e modificata, smette di avere senso. Una cultura che si limita a preservare se stessa non è una cultura. [...] Nessun oggetto culturale conserva la propria potenza se non ci sono più nuovi sguardi a osservarlo.[...] Il potere del realismo capitalista deriva in parte dal modo in cui il capitalismo sussume e consuma tutta la storia pregressa: è un effetto di quella «equivalenza» che riesce ad assegnare un valore monetario a qualsiasi oggetto culturale [...]. Nella conversione di pratiche e rituali in puri oggetti estetici, gli ideali delle culture precedenti diventano strumento di un'ironia oggettiva e si ritrovano trasformati in artefatti. In questo senso, il realismo capitalista non è semplicemente un particolare tipo di realismo; è più il realismo in sé e per sé. [...] Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine. Eppure proprio la trasformazione dell'ideale in estetica, del coinvolgimento attivo in spettatorialità, andrebbe considerata una delle virtù del realismo capitalista. [...] L'atteggiamento di ironica distanza così tipico del capitalismo postmoderno, dovrebbe immunizzarci dalle seduzioni di ogni fanatismo. [...] «Viviamo in una contraddizione», ha osservato Badiou: «Ci viene presentato come ideale uno stato delle cose brutale e profondamente ingiusto, dove ogni esistenza viene valutata in soli termini monetari. Per giustificare il loro conservatorismo, i partigiani dell'ordine costituito non possono davvero dire che questo stato sia meraviglioso o perfetto. E quindi hanno deciso di dire che tutto il resto è orribile». [...] Quando poi finalmente arriva, il capitalismo si accompagna a un'imponente desacralizzazione della cultura. È un sistema che non è più governato da alcuna Legge trascendente: al contrario, smantella tutti i codici trascendenti per poi ristabilirli secondo criteri propri. I limiti del capitalismo non sono fissati per decreto, ma definiti (e ridefiniti) pragmaticamente, improvvisando. _______________
In uno dei suoi passaggi più profetici Nietzsche parla di «un'era satura di storia». «Un'epoca incorre nella pericolosa disposizione intima dell'autoironia, e da essa in quella ancora più rischiosa del cinismo», si legge nelle 'Considerazioni inattuali'; un «carnevale cosmopolitico», ovvero una spettatorialità distaccata, avrà sostituito la partecipazione e il coinvolgimento. È la condizione dell'Ultimo Uomo nietzschiano: colui che ha visto tutto, ma che proprio l'eccesso di (auto)consapevolezza condanna all'indebolimento e alla decadenza. [...] È noto che Jameson definì il postmodernismo come la «logica culturale del tardo capitalismo»: il fallimento del futuro era per lui una parte integrante di quella cultura postmoderna che, come correttamente anticipò, sarebbe infine stata dominata dal pastiche e dal revival. [...] Il lavoro di Jameson sul postmodernismo iniziava con una messa in discussione dell'idea, cara ad Adorno e soci, che il modernismo possedesse un potenziale rivoluzionario in virtù soltanto delle sue innovazioni formali. Quello che invece Jameson aveva notato era l'assorbimento di temi modernisti all'interno della cultura popolare: pensiamo all'improvviso uso che delle tecniche surrealiste fece la pubblicità. Nello stesso momento in cui le forme peculiari del modernismo venivano assorbite e commercializzate, il credo modernista - la sua supposta fiducia nell'elitismo e il suo modello culturale monologico dall'alto verso il basso - venne messo in discussione e rigettato in nome della «differenza», della «diversità» e della «molteplicità». Il realismo capitalista non intrattiene più un confronto di questo tipo col modernismo: al contrario, dà per scontata la sconfitta del modernismo al punto che il modernismo stesso diventa un oggetto che può periodicamente tornare, ma solo come estetica congelata, mai come un ideale di vita. _______________
In Europa e negli Stati Uniti, per la maggior parte delle persone sotto i vent'anni l'assenza di alternative al capitalismo non è nemmeno più un problema: il capitalismo semplicemente occupa tutto l'orizzonte del pensabile. [...] Quella con cui ora abbiamo a che fare non è l'incorporazione di materiali che prima sembravano godere di un potenziale sovversivo, quanto la loro precorporazione: la programmazione e la modellazione preventiva, da parte della cultura capitalista, dei desideri, delle aspirazioni, delle speranze. Prendiamo per esempio quelle aree culturali «alternative» o «indipendenti» che replicano senza sosta i vecchi gesti di ribellione e contestazione come se fosse la prima volta: «alternativo» e «indipendente» non denotano qualcosa di estraneo alla cultura ufficiale; sono semmai semplici stili interni al mainstream - o meglio sono, a questo punto, gli stili dominanti del mainstream. Nessuno ha incarnato (e sofferto) questo stallo più di Kurt Cobain: con la sua straziante inedia, con la sua rabbia senza scopo, il leader dei Nirvana sembrò l'esausta voce dell'avvilimento che attanagliava la generazione venuta dopo la fine della storia, la stessa generazione cui ogni singola mossa era stata anticipata, tracciata, comprata e svenduta prima ancora di compiersi. [...] La morte di Cobain ribadì la sconfitta e l'incorporazione delle ambizioni utopico-prometeiche del rock. [...] In buona parte dell'hip hop ogni ingenua speranza che la cultura giovanile potesse cambiare qualcosa venne sostituita dalla testarda adesione a una versione brutalmente riduttiva della «realtà». [...] Nell'hip hop, scrive Reynolds, «"to get real" significa confrontarsi con quello stato di natura in cui cane mangia cane, dove o sei un vincente o sei un perdente, e dove i più sono condannati a perdere». _______________
Un film come 'Wall-E' esemplifica quella che Robert Pfaller ha chiamato «interpassività»: il film inscena il nostro anticapitalismo per noi stessi, dandoci al contempo la possibilità di continuare a consumare impunemente. Il ruolo dell'ideologia capitalista non è quello di ribadire le proprie priorità allo stesso modo della propaganda, ma di celare il fatto che le operazioni del Capitale non dipendono da alcuna convinzione soggettivamente imposta. [...] Resta prezioso il consiglio di Žižek: «Se il concetto di ideologia è quello classico in cui l'illusione sta nella conoscenza, allora la società di oggi dà l'idea di essere post-ideologica: l'ideologia prevalente è il cinismo; le persone non credono più in nessuna verità ideologica; la gente non prende seriamente nessuna proposta ideologicamente connotata. Il livello fondamentale dell'ideologia, in ogni caso, non è quello di un'illusione che maschera il reale stato delle cose, quanto quello di una fantasia (inconscia) che struttura la nostra stessa realtà sociale. E a questo livello, siamo ovviamente tutto tranne che una società post-ideologica. Il cinico distacco è soltanto un modo di renderci ciechi di fronte al potere strutturale della fantasia ideologica: anche se non prendiamo le cose sul serio, anche se manteniamo una distanza ironica da quello che facciamo, continuiamo comunque a farlo». L'ideologia capitalista in generale, continua Žižek, consiste precisamente nella sopravvalutazione del «credo» inteso come atteggiamento interiore soggettivo, a spese di quanto professiamo ed esibiamo coi nostri comportamenti esteriori. Fintantoché, nel profondo dei nostri cuori, continuiamo a credere che il capitalismo è malvagio, siamo liberi di continuare a partecipare agli stessi scambi propri del capitalismo. _______________
...vista la sua [scil. del movimento anticapitalista] incapacità di ipotizzare un modello politico-economico alternativo al capitalismo, il sospetto fu che il suo obiettivo fosse non rimpiazzare il capitalismo stesso, quanto mitigarne gli eccessi peggiori; e visto che le forme in cui il movimento anticapitalista si è espresso prediligevano più la protesta che l'organizzazione politica vera e propria, la sensazione era che questo movimento si riducesse a una serie di richieste isteriche senza che nessuno si aspettasse che venissero accolte sul serio. Per il realismo capitalista, la contestazione è diventata una specie di burlesco rumore di fondo _______________ Rivendicare un'azione politica vera significa prima di tutto accettare di essere finiti nello spietato tritacarne del Capitale al livello del desiderio. Declassando il male e l'ignoranza a dei fantasmatici Altri disconosciamo la nostra complicità col sistema planetario dell'oppressione. Quello che dobbiamo tenere a mente, è sia che il capitalismo è una struttura impersonale e iperastratta, sia che questa struttura non esisterebbe senza la nostra cooperazione. [...] Il ricatto ideologico emerso sin dal primissimo Live Aid del 1985 si fonda sull'idea che «prendersi cura degli individui» possa direttamente mettere fine alla fame nel mondo, senza alcuna necessità di soluzioni politiche o ristrutturazioni sistemiche. Quello che conta è agire e basta, o almeno così ci spiegano: la politica va sospesa in nome dell'immediatezza etica. [...] La fantasia era che il consumismo occidentale, anziché essere parte integrante delle disuguaglianze che sistematicamente segnano il pianeta, potesse addirittura risolverle. Tutto quello che serve è comprare i prodotti giusti. _______________
È più un'atmosfera che pervade e condiziona non solo la produzione culturale ma anche il modo in cui vengono regolati il lavoro e l'educazione, e che agisce come una specie di barriera invisibile che limita tanto il pensiero quanto l'azione. [...] L'unica maniera per mettere in discussione il realismo capitalista è mostrare in qualche modo quanto sia inconsistente e indifendibile: insomma, ribadire che di «realista» il capitalismo non ha nulla. Inutile dire che quello che viene considerato «realistico», quello cioè che sembra plausibile dal punto di vista sociale, è innanzitutto determinato da una serie di decisioni politiche. Qualsiasi posizione ideologica non può affermare di aver raggiunto il suo traguardo finché non viene per così dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata fino a quando viene recepita in termini di principio anziché come fatto compiuto. Di conseguenza il neoliberismo ha cercato di eliminare la stessa categoria di principio, di valore nel senso etico della parola: nel corso di più di trent'anni il realismo capitalista ha imposto con successo una specie di «ontologia imprenditoriale» per la quale è semplicemente ovvio che tutto, dalla salute all'educazione, andrebbe gestito come un'azienda. Come ricordato da tanti teorici radicali - siano essi Brecht, Foucault o Badiou - ogni politica di emancipazione deve puntare a distruggere l'apparenza dell'«ordine naturale», deve rivelare che quello che ci viene presentato come necessario e inevitabile altro non è che una contingenza, deve insomma dimostrare che quanto abbiamo finora reputato impossibile è, al contrario, a portata di mano. _______________
«Il principio di realtà è esso stesso ideologicamente mediato; si potrebbe persino arrivare a sostenere che sia la forma più alta di ideologia, quella cioè che si presenta come fatto empirico, come necessità biologica o economica, e che tendiamo a percepire come non ideologica.» [Alenka Zupančič] _______________ Viene quindi da pensare che una prima strategia contro il realismo capitalista potrebbe partire dall'evocazione di quei «reali» che sottendono la realtà per come il capitalismo ce la presenta. Uno di questi è la catastrofe ambientale. [...] La relazione tra capitalismo e disastro ecologico non è né casuale né accidentale: la necessità di espandere costantemente il mercato e il feticcio della crescita stanno lì a significare che il capitalismo è, per sua natura, contrario a qualsiasi nozione di sostenibilità. Tuttavia le questioni ecologiche sono già una terra di contesa, un luogo cioè dove per la politicizzazione si combatte. [...] La prima riguarda la salute mentale. [...] Quello di cui però abbiamo bisogno ora è una politicizzazione di disordini assai più comuni; anzi, è proprio il fatto che questi disordini siano diventati comuni che vale da solo la nostra attenzione. [...] Quello che dovremmo chiederci è: com'è potuto diventare tollerabile che così tante persone, e in particolare così tante persone giovani, siano malate? La «piaga della malattia mentale» che affligge le società capitaliste lascia intendere che, anziché essere l'unico sistema che funziona, il capitalismo sia innatamente disfunzionale; il prezzo che paghiamo per dare l'impressione che il capitalismo fili liscio è davvero molto alto. L'altro fenomeno che vorrei evidenziare è la burocrazia. [...] La realtà è che, piuttosto che scomparire, la burocrazia ha cambiato aspetto, ed è proprio questo suo aspetto inedito e decentralizzato che le ha permesso di proliferare. Che la burocrazia persista anche nel tardo capitalismo non è in sé un segnale che il capitalismo non funzioni: semmai è la spia di come il modo in cui il capitalismo funziona davvero è molto differente dall'immagine che ne fornisce il realismo capitalista. Il motivo per cui ho deciso di concentrarmi su problemi mentali e burocrazia deriva in parte dal fatto che entrambi i fenomeni occupano un posto di primo piano in un'area della cultura dominata con sempre maggiore insistenza dagli imperativi del realismo capitalista: l'istruzione. _______________
Ora: io credo che non si tratti né di apatia, né di cinismo; piuttosto, è quella che chiamo impotenza riflessiva. Gli studenti cioè sanno che la situazione è brutta, ma sanno ancor di più che non possono farci niente. Solo che questa consapevolezza, questa riflessività, non è l'osservazione passiva di uno stato delle cose già in atto: è una profezia che si autoavvera. [...] Non è esagerato affermare che, nella Grand Bretagna tardo capitalista, il solo essere adolescenti rischia di equivalere a una forma di patologia. Una tale patologizzazione pregiudica qualsiasi possibilità di politicizzazione: privatizzare questi disturbi, trattarli come se fossero provocati da null'altro che qualche squilibrio chimico o neurologico dell'individuo, o come se fossero il semplice risultato del retroterra familiare, significa escludere a priori qualsiasi causa sociale sistemica. [...] In un saggio fondamentale come 'Poscritto sulle società di controllo' Gilles Deleuze distingue tra le società disciplinari descritte da Foucault - organizzate attorno ad ambienti chiusi come la fabbrica, la scuola e la prigione - e le nuove società del controllo, nelle quali tutte le istituzioni vengono integrate in un regime diffuso. Deleuze ha ragione quando individua in Kafka il profeta di quel potere diffuso e cibernetico che caratterizza le società del controllo. [...] Una conseguenza di questa forma «indefinita» di potere è che il controllo esterno viene garantito dalla sorveglianza interna: il controllo, cioè, funziona solo quando sei complice. Da qui viene la figura burroughsiana del control addict che dal controllo dipende, ma che anche, inevitabilmente, dal controllo viene posseduto e sottomesso. [...] Il sistema attraverso cui il college è finanziato fa sì che - anche qualora qualcuno intendesse farlo - non ci si possa letteralmente permettere di respingere uno studente. Le risorse allocate per i college si basano sia su quanto questi riescano a raggiungere obiettivi specifici (e quindi fanno testo i risultati degli esami), sia sul tasso di frequenza e di mantenimento degli studenti: questa combinazione di imperativi di mercato e quelli che burocraticamente vengono chiamati target è un tipico tratto dello «stalinismo di mercato» che attualmente regola i servizi pubblici. Per usare un eufemismo, l'assenza di un vero e proprio sistema disciplinare non è stata compensata da un aumento della motivazione degli studenti, anche perché questi sanno benissimo che possono pure non frequentare le lezioni per settimane intere, possono pure non svolgere alcun compito o lavoro, e non ci sarà comunque nessuna seria sanzione ad attenderli. A questa libertà gli studenti in genere reagiscono non dedicandosi a progetti propri, ma cedendo a un'inerzia edonistica (o anedonica): e cioè a uno stato di soffice narcosi, al confortevole oblio della Playstation, alle maratone notturne davanti alla televisione, alla marijuana. [...] Anche l'utilizzo degli auricolari è un particolare indicativo: la musica pop non viene vissuta per il suo potenziale impatto sullo spazio pubblico, ma relegata a «ediPodico» piacere consumistico e privato che ci trincera dalla socialità. [...]
Quella che oggi frequenta le aule scolastiche, è insomma una generazione emersa all'interno di una cultura astorica e segnata da interferenze antimnemoniche, per la quale il tempo è da sempre ripartito in microporzioni digitali. [...] Se insomma la sindrome da deficit di attenzione e iperattività è una patologia, si tratta allora di una patologia peculiare del tardo capitalismo: una conseguenza dell'essere connessi a quei circuiti di controllo e intrattenimento che caratterizzano la nostra cultura consumistica e ipermediata. Allo stesso modo, in molti casi quella che chiamiamo dislessia altro non è che post-lessia: gli adolescenti processano dati densamente affollati di immagini senza alcun bisogno di saper leggere davvero; il riconoscimento degli slogan è tutto quello che serve per navigare il piano dell'informazione online e mobile. [...] Chiamati a mediare tra la soggettività post-alfabetizzata del consumatore tardo capitalista e le richieste del regime disciplinare (esami da superare e così via), gli insegnanti sono stati a loro volta sottoposti a una pressione incredibile; e questo è solo uno dei modi attraverso cui l'istruzione, lungi dall'essere quella torre d'avorio al riparo dal mondo reale, si trasforma in motore per la riproduzione della realtà sociale, scontrandosi direttamente con le contraddizioni della società capitalista. Gli insegnanti si ritrovano intrappolati tra il ruolo di facilitatori-intrattenitori e quello di disciplinatori autoritari: vorrebbero aiutare gli studenti a passare gli esami, ma gli viene anche chiesto di incarnare l'autorità, di imporre dei doveri. Dal punto di vista degli studenti, l'identificazione degli insegnanti come figure autoritarie esaspera il problema della «noia», se non altro perché qualsiasi prodotto dell'autorità è noioso a priori. Ironicamente, dagli insegnanti si esige più che mai una funzione di disciplinatori nello stesso esatto momento in cui le strutture disciplinari sono andate in crisi; mentre le famiglie cedono alle pressioni di un capitalismo che obbliga entrambi i genitori a lavorare, agli insegnanti viene chiesto di comportarsi come surrogati dell'istituzione familiare: sono loro che devono instillare negli studenti i protocolli comportamentali base, sono loro che devono provvedere alla guida e al sostegno emotivo di quegli adolescenti che, in non pochi casi, ancora non sanno come socializzare. [...]
Presi assieme, gli immobilisti (con la loro ammissione implicita che il capitalismo non potrà mai essere rovesciato, e che nei suoi confronti non si può tentare altro che opporre resistenza) e i comunisti liberali (per i quali gli eccessi immorali del capitalismo vanno temperati dalla filantropia e dalla beneficenza) danno il senso di come le potenzialità politiche dell'oggi siano circoscritte proprio dal realismo capitalista. [...] Ad ogni modo, resistere al «nuovo» non è una causa che la sinistra possa o debba abbracciare. Il Capitale è stato molto attento e scrupoloso quando si è trattato di ragionare su come mandare in frantumi la vecchia classe operaia; mentre dall'altra parte altrettanta riflessione non c'è stata né su quali tattiche adottare sotto il postfordismo, né su quale nuovo linguaggio sviluppare per far fronte alle condizioni che lo stesso postfordismo impone. Mettere in discussione l'appropriazione capitalista della categoria del «nuovo» è importante; ma al tempo stesso rivendicare il «nuovo» non può significare adattarsi alle condizioni in cui già ci troviamo: in quello siamo già riusciti benissimo, e sappiamo bene che «riuscire ad adattarsi con successo» è la principale strategia dell'ideologia manageriale. [...] Il modello immobilista, quello che si riduce a chiedere di conservare il vecchio regime fordista/disciplinare, non potrà mai funzionare nei paesi in cui il neoliberismo è già riuscito a imporsi. _______________
È una condizione ben riassunta dallo slogan «niente è a lungo termine»: se in passato i lavoratori potevano acquisire un singolo bagaglio di capacità e da lì aspettarsi di progredire verso l'alto sui binari di una rigida gerarchia organizzativa, adesso ai lavoratori viene richiesto di apprendere periodicamente capacità nuove, a seconda di come si muovono da un'organizzazione all'altra, da un ruolo all'altro. E dal momento che l'organizzazione del lavoro viene decentralizzata, e che le vecchie gerarchie piramidali vengono sostituite da nuove reti trasversali, a essere premiata è la «flessibilità». [...] I valori da cui la vita in famiglia dipende - riconoscenza, fiducia, impegno - sono precisamente gli stessi che il nuovo capitalismo ritiene obsoleti. Eppure, visti gli attacchi che vengono portati alla sfera pubblica e lo smantellamento di quelle reti di sicurezza a suo tempo garantite dal vecchio «Stato assistenziale», proprio la famiglia viene sempre più identificata come un rifugio dalle pressioni di un mondo costantemente segnato dall'instabilità. La situazione in cui versa la famiglia nel capitalismo postfordista è contraddittoria nello stesso modo in cui aveva previsto il marxismo tradizionale: il capitalismo ha bisogno della famiglia (in quanto strumento essenziale per la riproduzione e la cura della forza lavoro; perché allevia le ferite psichiche inferte da condizioni socioeconomiche fuori controllo), eppure contemporaneamente ne mina le fondamenta (impedendo ai genitori di trascorrere tempo con i propri figli; alimentando la tensione di coppia nel momento in cui i partner diventano l'unica fonte di consolazione affettiva reciproca).
[...] Questa flessibilità è stata a sua volta definita da una deregolamentazione del Capitale e del lavoro, che ha portato a una crescente esternalizzazione e precarizzazione della manodopera e a un sempre maggior numero di lavoratori impiegati su base temporanea. [...] Per funzionare, in quanto elemento della produzione just in time, devi saper reagire agli eventi imprevisti e imparare a vivere in condizioni di instabilità assoluta (o «precarietà», come da orribile neologismo). Periodi in cui lavori si alternano a periodi in cui sei disoccupato. Costretto a una fila infinita di impieghi a breve termine, non riesci a pianificare un futuro. Sia Marazzi che Sennett fanno notare come lo sgretolamento del modello fondato sul lavoro stabile sia stato in parte motivato dalle aspirazioni dei lavoratori stessi: erano in effetti proprio i lavoratori che, giustamente, non ne volevano più sapere di lavorare per quarant'anni dentro la stessa fabbrica. A sua volta, il Capitale ha sollecitato e metabolizzato il desiderio di emancipazione dalla routine fordista, spiazzando in questo modo una sinistra che da allora per molti versi non si è più ripresa. [...]
Oggi l'orizzonte dell'antagonismo non sta più all'esterno, vale a dire nel confronto tra blocchi sociali; è semmai tutto interno alla psicologia del lavoratore, che da una parte resta coinvolto nel vecchio conflitto tra classi, mentre dall'altra è interessato a massimizzare i profitti dei propri investimenti in vista del fondo pensione. E se non c'è più un nemico esterno identificabile, la conseguenza è che - come nota ancora Marazzi - sotto il postfordismo i lavoratori assomigliano agli ebrei che nel Vecchio Testamento lasciano la «casa di schiavitù»: liberi da una prigionia verso la quale non provano nostalgia alcuna, ma anche abbandonati, persi nel deserto, confusi sul da farsi. Il conflitto scatenato nella psiche degli individui non può che produrre vittime; Marazzi analizza il legame tra postfordismo e aumento dei casi di sindrome bipolare: da questo punto di vista, se la schizofrenia è - come ricordano Deleuze e Guattari - la condizione che segna il limite esterno del capitalismo, allora il disturbo bipolare è la malattia mentale che del capitalismo segna l'«interno». Di più: coi suoi incessanti cicli di espansione e crisi, è il capitalismo stesso a essere profondamente e irriducibilmente bipolare, periodicamente oscillante tra stati di eccitazione incontrollata (l'esuberanza irrazionale delle «bolle») e crolli depressivi (l'espressione «depressione economica» non è evidentemente casuale). Il capitalismo nutre e riproduce gli umori della popolazione a un livello che nessun altro sistema sociale ha mai sfiorato: senza delirio e senza fiducia in se stesso, non saprebbe proprio come funzionare. [...] In particolar modo, James si sofferma sul modo in cui il capitalismo egoista istiga all'idea che qualsiasi aspirazione o aspettativa possa essere realizzata: [...]
«Le tossine più nocive del capitalismo egoista, sono quelle che sistematicamente incoraggiano l'idea che la ricchezza materiale sia la chiave per la realizzazione personale, che i ricchi sono i vincenti e che per puntare in alto non serve altro che lavorare sodo, indifferentemente dal retroterra familiare, etnico o sociale di provenienza. Se poi non riesci, l'unico da biasimare sei tu». [...] L'ontologia oggi dominante nega alla malattia mentale ogni possibile origine di natura sociale. Ovviamente, la chimico-biologizzazione dei disturbi mentali è strettamente proporzionale alla loro depoliticizzazione: considerarli alla stregua di problemi chimico-biologici individuali, per il capitalismo è un vantaggio enorme. Innanzitutto, rinforza la spinta del Capitale in direzione di un'individualizzazione atomizzata (sei malato per colpa della chimica del tuo cervello); e poi crea un mercato enormemente redditizio per le multinazionali farmaceutiche e i loro prodotti (ti curiamo coi nostri psicofarmaci). _______________
È una dimostrazione pratica di come creatività ed espressione personale siano diventati strumenti di lavoro essenziali in una società del controllo che - come ricordato dai vari Paolo Virno e Yann Moulier-Boutang - dai lavoratori pretende un impegno non solo produttivo, ma anche emotivo; persino il grossolano tentativo di quantificare il contributo affettivo degli impiegati è rivelatore. [...] Abbastanza non è più abbastanza. È una sindrome che suonerà familiare a quei tanti lavoratori per i quali una valutazione «sufficiente» delle proprie prestazioni, non è più… sufficiente. In molte strutture educative, se ad esempio la classe valuta come sufficiente il lavoro del proprio insegnante, quest'ultimo viene obbligato a intraprendere un corso di formazione prima che gli venga riassegnato un posto. Che le misure burocratiche si siano intensificate sotto un regime neoliberale che si presenta come antiburocratico e antistalinista potrebbe dapprima sembrare un mistero. Eppure ad aver proliferato è una nuova burocrazia fatta di «obiettivi» e di «target», di «mission» e di «risultati», e questo nonostante tutta la retorica neoliberale sulla fine della gestione top-down. [...]
E invece l'enfasi sulla valutazione prestazionale dei lavoratori, così come la spinta a quantificare forme di lavoro che per loro natura sono refrattarie a qualsiasi quantificazione, ha inevitabilmente prodotto ulteriori livelli di burocrazia e amministrazione. Quello che ci troviamo di fronte non è un raffronto diretto tra prestazioni o risultati, ma tra la rappresentazione (debitamente quantificata) di quelle prestazioni e di quei risultati. È ovvio che a questo punto si produce un cortocircuito: il lavoro viene predisposto alla produzione e alla manipolazione proprio di quelle rappresentazioni, anziché attrezzato per gli obiettivi ufficiali del lavoro vero e proprio. [...] Questa inversione delle priorità è uno dei tratti distintivi di un sistema che possiamo tranquillamente definire «stalinismo di mercato». Dello stalinismo, il capitalismo riprende proprio questo suo attaccamento ai simboli dei risultati raggiunti, più che l'effettiva concretezza del risultato in sé. [...] In una strana coazione a ripetere, i governi britannici del New Labour - in apparenza, il massimo dell'antistalinismo - hanno dimostrato la stessa tendenza all'applicazione di interventi i cui effetti nel mondo reale contano solo fintantoché possono essere spesi in termini di «comunicazione». Un tipico esempio sono i fantomatici target di cui il New Labour era così entusiasta: seguendo un processo che tende a replicarsi con ferrea prevedibilità ovunque prenda piede, questi target smettono in fretta di essere uno strumento per la misurazione delle performance, e diventano invece dei fini a sé.
[...] Sarebbe comunque un errore interpretare lo stalinismo di mercato come una specie di deviazione dallo «spirito autentico» del capitalismo. Al contrario: è più giusto dire che la vera essenza dello stalinismo è stata inibita dal rapporto con un progetto politico quale il socialismo, mentre è solo in una cultura tardo capitalista che riesce a emergere a pieno. Nel tardo capitalismo, d'altronde, le immagini acquisiscono una forza autonoma: nel mercato azionario il valore viene generato non tanto da quello che una compagnia produce per davvero, quanto dalla fiducia nelle sue performance future, o perlomeno dalle sensazioni che circolano a riguardo. Mettiamola così: nel capitalismo tutto ciò che è solido si dissolve nelle public relations. [...] Un'altra dimensione importante del Grande Altro è che non conosce tutto: al contrario, è proprio questa ignoranza costitutiva del Grande Altro che permette alle public relations di funzionare. [...] Ma la distinzione tra quello che il Grande Altro sa - e cioè quello che è ufficialmente accettato - e quello che viene comunemente sperimentato dagli individui in carne e ossa, è tutto tranne che formale o vuota: è anzi proprio questa discrepanza che permette alla realtà sociale «ordinaria» di funzionare. E quando viene meno l'illusione che il Grande Altro non sappia, a disintegrarsi è la struttura immateriale che tiene assieme il sistema sociale. [...]
Allo stesso modo, non esiste alcuna tendenza progressiva allo «svelamento» del capitalismo, nessuna graduale messa a nudo di quello che il capitalismo davvero è: rapace, indifferente, inumano. Al contrario: il ruolo essenziale che nel capitalismo giocano quelle «trasformazioni incorporee» messe in atto dalle campagne di public relations, dal marketing e dalla pubblicità, suggerisce che, per funzionare efficacemente, la brama del capitalismo si affida a varie forme di copertura. [...] Ma i supposti gesti di demistificazione del postmodernismo non sono un segno di sofisticatezza: piuttosto denotano una certa ingenuità, la convinzione che una volta, nel passato, ci fosse davvero qualcuno che nel Simbolico ci credeva. In realtà, l'efficienza simbolica è stata ottenuta proprio mantenendo una distinzione chiara tra la causalità di tipo empirico-materiale, e la causalità incorporea del Simbolico. [...] «È il paradosso che Lacan sottolinea nel suo 'Les non-dupes errent': le persone che si affidano solo a quanto vedono di persona, le persone che non si lasciano raggirare dall'inganno e dalla finzione del simbolico, sono le persone che sbagliano di più. Un cinico che crede solo a quanto vede «coi propri occhi», non coglie l'efficienza della finzione simbolica e come questa struttura la nostra esperienza della realtà» [Žižek]. Buona parte del lavoro di Baudrillard ragiona sullo stesso tema: il modo in cui la fine del Simbolico porta non a un confronto diretto con il reale, ma a una specie di emorragia del reale stesso.
[...] Nello stesso momento in cui sembra che venga catturata nella maniera più cruda possibile, ecco che la realtà si trasforma in quella che Baudrillard chiama, con un neologismo troppo spesso frainteso, «iperrealtà». In un riflesso straniante delle tesi baudrillardiane, i reality show televisivi hanno finito addirittura per fondere tecniche-verità e sondaggismo d'opinione. In programmi del genere esistono in effetti due livelli di realtà: la «vita vera» e fuori copione dei concorrenti in tv, e le reazioni imprevedibili degli spettatori a casa (che a loro volta condizionano il comportamento dei concorrenti). Tuttavia la reality tv è continuamente perseguitata dal dubbio dell'illusione e della finzione: e se i concorrenti stessero segretamente recitando, reprimendo alcuni aspetti della loro personalità in modo da risultare più appetibili al pubblico? E poi i voti degli spettatori: vengono accuratamente registrati, o dietro c'è qualche forma di accordo, di intesa nascosta? [...]
Il motivo per cui Kafka è un prezioso commentatore del totalitarismo è perché rivela che c'è una dimensione del totalitarismo che non si riduce al dispotismo, e che quindi non può essere compresa come tale. [...] Possiamo pensare all'assillo della quantificabilità come a una fusione tra relazioni pubbliche e burocrazia: quasi sempre i dati burocratici assolvono a una funzione promozionale, come nel caso dei risultati delle prove d'esame che, nel sistema educativo, vengono impiegati per aumentare (o diminuire) il prestigio dei singoli istituti. Per gli insegnanti, a essere frustrante è la sensazione che il loro lavoro sia sempre più orientato a impressionare il Grande Altro che colleziona e consuma questi «dati» [...]. La nuova burocrazia non è più una funzione delimitata e specifica portata avanti da determinate figure professionali, ma invade ogni area del lavoro col risultato che - come pronosticato da Kafka - i lavoratori diventano i controllori di se stessi, obbligati a valutare le proprie stesse prestazioni. [...] Per Foucault non c'è alcun bisogno che il ruolo della sorveglianza sia effettivamente ricoperto da qualcuno: il non sapere se si è controllati o meno produce come effetto l'introiezione dell'apparato di controllo, così che finirai per comportarti come se fossi sempre sotto osservazione. _______________
Un tempo «essere realistici» significava forse fare i conti con una realtà percepita come solida e inamovibile: ma il realismo capitalista comporta che ci sottoponiamo a una realtà infinitamente plastica, capace di riconfigurarsi come e quando vuole. Dinanzi a noi c'è quello che Jameson - nel suo saggio 'The Antinomies of Postmodernity' - chiama «un presente puramente fungibile in cui sia la psiche che lo spazio possono essere processati e ricostruiti secondo necessità». Qui la «realtà» assomiglia alle infinite opzioni di un documento digitale, dove nessuna decisione è definitiva, le revisioni sono sempre possibili, e ogni attimo pregresso può essere richiamato in qualsiasi momento. [...]
È una forma di sconfessione e disconoscimento che dipende da quella distinzione tra atteggiamento soggettivo interiore e comportamenti esteriori di cui abbiamo già parlato: il dirigente poteva pur essere interiormente ostile (se non addirittura sprezzante) nei confronti delle procedure burocratiche da lui supervisionate; ma esteriormente, era perfettamente compiacente. Il trucco è che è proprio il disinvestimento soggettivo dagli adempimenti contabili che permette ai lavoratori di prestarsi a mansioni tanto inutili e demoralizzanti. [...]
La strategia di accettare senza domande l'incommensurabile e l'insensato è da sempre la tecnica sui cui regge la sanità mentale in quanto tale; ma nel tardo capitalismo - quell'«impasto informe di tutto quanto è già stato» in cui l'invenzione e la rottamazione delle finzioni sociali è tanto rapida quanto la produzione e lo smaltimento delle merci - è una tecnica che gioca un ruolo speciale. In una tale condizione di precarietà ontologica, dimenticare diventa una strategia di adattamento. [...] Da una parte, questa è una cultura che privilegia unicamente il presente e l'immediato: la rimozione del pensiero a lungo termine si estende non solo in avanti nel tempo, ma anche indietro (basti pensare a quelle storie che monopolizzano l'attenzione dei media per una settimana al massimo, per poi essere istantaneamente dimenticate); dall'altra, è una cultura piagata da un eccesso di nostalgia, schiava della retrospezione e incapace di dare vita a qualsivoglia novità autentica. [...] Come spiega in 'The Antinomies of Postmodernity': «Il paradosso da cui dobbiamo partire è l'equivalenza tra la quantità di immani cambiamenti a tutti i livelli della nostra vita sociale e l'altrettanto impareggiabile standardizzazione di tutto quanto appaia incompatibile con tali cambiamenti, si tratti di sentimenti, beni di consumo, linguaggio, architettura... [...] Di conseguenza, quello che cominciamo a percepire - e quello che sta emergendo come un profondo tratto costitutivo della stessa postmodernità, quantomeno nella sua dimensione temporale - è che d'ora in poi, laddove tutto si presta al continuo succedersi di mode e rappresentazioni mediatiche, nessun cambiamento sarà più possibile». [...]
Incapacità di produrre ricordi nuovi: eccola, la formulazione essenziale dell'impasse postmoderna. [...] Brown nota come, sebbene mossi da impostazioni tra loro diversissime, neoliberali e neoconservatori abbiano collaborato ai fini di un indebolimento della sfera pubblica e della democrazia, partorendo un cittadino assoggettato che cerca le soluzioni non nei processi politici, ma nei prodotti. Come spiega Brown: «[...] Gli intellettuali della scuola di Francoforte (e prima ancora Platone) hanno teorizzato l'aperta compatibilità tra scelta individuale e assoggettamento politico, descrivendo soggetti democratici capaci di accettare forme di tirannia politica e di autoritarismo proprio perché rapiti da una sfera di scelta e soddisfazione del bisogno che scambiano per libertà.» [...] E però, nonostante tutta la sua retorica antistatalista, a ben guardare il neoliberismo non è contrario allo Stato in sé (come abbiamo già ricordato a proposito degli aiuti bancari del 2008), quanto ad alcuni particolari utilizzi delle sue risorse. Nel frattempo, lo Stato forte tanto caro ai neoconservatori è stato confinato alle funzioni militari e di polizia, in diretta antitesi a uno Stato sociale accusato di minare la responsabilità morale degli individui. _______________
Letteralmente fatto a pezzi da neoliberali e neoconservatori, il concetto di Stato-balia continua nondimeno a rappresentare per il realismo capitalista un'autentica ossessione. Meglio ancora: per il realismo capitalista lo spettro dello Stato assistenziale gioca un'imprescindibile funzione libidinale: sta lì per essere biasimato proprio per i suoi fallimenti nell'accentramento del potere, [...] È il risultato di una prolungata ostilità nei confronti dello Stato-balia che - allo stesso tempo - si accompagna al rifiuto di accettare le conseguenze della marginalizzazione dello Stato nel capitalismo globale: il segno, forse, che al livello dell'inconscio politico resta impossibile accettare che non ci siano più controllori, e che la cosa più simile che abbiamo oggi a un potere decisionale sono null'altro che interessi nebulosi e incomprensibili, esercitanti a loro volta una forma di irresponsabilità aziendale-imprenditoriale. [...]
Questa forma di disconoscimento interviene in parte perché l'assenza di un vero centro nel capitalismo globale è drasticamente impensabile: nonostante le persone vengano ora interpellate in qualità di consumatori (e come Wendy Brown e altri hanno dimostrato, il governo stesso viene presentato come una specie di bene di consumo o di servizio), queste non possono ancora fare a meno di immaginarsi in qualità di cittadini (o se non altro, di pensarsi come se lo fossero). [...] L'esperienza del call center è un distillato della fenomenologia politica tardo capitalista: la noia e la frustrazione accentuate da campagne promozionali allegramente pompate; la continua ripetizione degli stessi tediosi dettagli da dare in pasto a operatori poco qualificati e male informati; l'irritazione montante ma condannata a restare impotente perché priva di un oggetto concreto, visto che - come chi si rivolge a un call center impara in fretta - nessuno sa niente e nessuno può nulla. La rabbia può tuttalpiù limitarsi allo sfogo, all'attacco a vuoto, all'aggressione nei confronti di un tuo simile, vittima anch'egli del sistema ma nei confronti del quale non è possibile alcuna comunanza solidale. E così come la rabbia non ha oggetto, non avrà nemmeno effetto. È nell'esperienza di un sistema tanto impersonale, indifferente, astratto, frammentario e senza centro, che più ci avviciniamo a guardare negli occhi tutta la stupidità artificiale del Capitale. [...]
Quello che Jameson descrive è il mortificante guscio protettivo della struttura corporate: che rasserena e ti mette al sicuro, che svuota e allontana chi sta sopra di te, che garantisce che la loro attenzione sia sempre altrove e che non ti possano sentire. [...] È qui che la struttura diventa palpabile: riesci praticamente a vederla mentre si impossessa delle persone; attraverso le loro parole, senti la struttura coi suoi deprimenti e insensibili verdetti. È per questa ragione che è un errore precipitarsi a imporre quella responsabilità etica individuale dirottata dalla struttura corporate; questa è la «tentazione etica» che, come nota Žižek, il sistema capitalista ha utilizzato per proteggersi in scia alla crisi creditizia: le colpe vengono fatte ricadere su quegli individui apparentemente patologici che «abusano del sistema», anziché sul sistema stesso. Solo che tanta elusività segue in realtà un doppio metodo: la struttura viene effettivamente invocata (e anche spesso), sia implicitamente che esplicitamente, quando c'è la possibilità che a essere puniti siano gli individui che alla struttura appartengono. Per farla breve: a un certo punto, le cause di abusi e orrori diventano improvvisamente così sistemiche, così diffuse, che nessun individuo può esserne considerato responsabile [...].
Da una parte quindi solo gli individui possono essere considerati eticamente responsabili per le proprie azioni; dall'altra le cause degli abusi e degli errori sono «di sistema». Questa impasse però non è una semplice dissimulazione: al contrario, indica precisamente cos'è che nel capitalismo viene meno. Quale organismo è in grado di regolare e controllare una struttura impersonale? Com'è possibile sanzionare una struttura corporate? _______________
La domanda concreta a questo punto è: se un ritorno al super-ego paterno (che sia il padre severo che domina in casa, o l'arroganza paternalista della vecchia televisione di Stato) non è possibile né desiderabile, come possiamo superare quel conformismo culturale monotono e moribondo partorito dal rifiuto di tutto quanto suoni come una sfida, uno stimolo, finanche un'educazione? [...] Come Burroughs, Spinoza dimostra che la condizione di assuefazione e dipendenza non è un'anomalia, ma la condizione ordinaria dell'essere umano, che viene regolarmente asservito a comportamenti reattivi e ripetitivi da immagini congelate (di se stesso e del mondo). La libertà, dice Spinoza, può essere conquistata solo nel momento in cui apprendiamo le cause reali delle nostre azioni, solo cioè quando siamo in grado di accantonare le «passioni tristi» che ci intossicano e ci ipnotizzano. Non c'è dubbio che il tardo capitalismo articoli molte delle sue imposizioni ricorrendo al fascino di un particolare tipo di «salute» [...]. Quello che ci troviamo davanti è semmai un modello riduttivo ed edonista di salute, tutto centrato sullo «stare bene» per «apparire bene». [...]
«La tv adesso non ti dice più cosa devi pensare, ma cosa devi sentire. [...] Davvero, non è tanto un sistema di orientamento morale, quanto emotivo. [...] Quello di cui la gente soffre è l'essere rinchiusi in se stessi: in un mondo plasmato sull'individualismo, ogni individuo è intrappolato nei propri sentimenti, nelle proprie fantasie, nel proprio "sé"» [Adam Curtis]. [...] Curtis se la prende con internet perché, nella sua visione, favorisce le comunità di solipsisti, reti interpassive formate da individui simili che, anziché mettere in discussione i rispettivi assunti e pregiudizi, non fanno che confermarli. Sono comunità che, piuttosto che confrontare i diversi punti di vista in uno spazio pubblico e di contesa, si trincerano in circuiti chiusi. Per Curtis, l'impatto che sui vecchi media hanno avuto internet e i suoi gruppi di pressione è disastroso: non solo perché la sua proattività reattiva permette al sistema dei media di chiamarsi ulteriormente fuori dalla funzione educativa, ma anche perché alimenta le correnti populiste sia di destra che di sinistra, nonché il diritto di «obbligare» i produttori a rifugiarsi in una programmazione mediocre e anestetizzante.
[...] Ma è anche vero che la simulazione interpassiva della partecipazione tipica dei media postmoderni e il narcisismo online di Facebook, e prima ancora di MySpace, hanno perlopiù generato contenuti ripetitivi, parassitari e conformisti. Ironicamente, il rigetto da parte del sistema mediatico di qualsiasi sospetto di paternalismo non ha prodotto alcuna cultura «dal basso» di eccitante varietà; ha solo partorito una cultura che più passa il tempo più si ritrova infantilizzata. Di contro, a trattare il pubblico in maniera adulta è proprio la cultura paternalista, se non altro perché parte dal presupposto che gli spettatori siano in grado di fare i conti con prodotti culturali complessi e intellettualmente impegnativi. Il motivo per cui focus group e sistemi di feedback capitalisti non riescono nei loro obiettivi, persino quando da lì prendono vita prodotti di immensa popolarità, è che le persone non sanno cosa vogliono; e non perché in loro il desiderio c'è già, solo che gli viene occultato (anche se spesso di questo si tratta); piuttosto, è che le forme più potenti di desiderio sono proprio quelle che bramano lo strano, l'inaspettato, il bizzarro. E questo può arrivare solo da artisti e professionisti dei media preparati a dare alle persone qualcosa di diverso da quanto già le soddisfa; insomma, da quelli che sono pronti ad assumersi un certo rischio. La super-tata marxista non sarebbe soltanto quella che stabilisce i limiti, che agisce nei nostri interessi quando noi non siamo in grado di riconoscerli, ma anche quella che questo rischio se lo assume, che scommette sullo strano e sulla nostra brama per ciò che non conosciamo. L'altra ironia è che la «società del rischio» capitalista è assai meno incline ad assumersi rischi di quanto non lo fosse la cultura del dopoguerra, così apparentemente pesante e centralizzata. [...]
L'effetto dell'instabilità strutturale permanente, della fine della visione «di lungo corso», non può che essere stagnazione e conservazione, altro che innovazione. E questo non è un paradosso. Lo suggeriva già Adam Curtis nelle osservazioni riportate sopra: i sentimenti predominanti nel tardo capitalismo sono paura e cinismo. Emozioni del genere non ispirano né ragionamenti coraggiosi né stimoli all'impresa: coltivano semmai il conformismo, il culto delle variazioni minime, l'eterna riproposizione di prodotti-copia di quelli che già hanno avuto successo. [...] Quello che serve è legare l'effetto alla sua causa strutturale. Contro l'allergia postmoderna alle grandi narrazioni dobbiamo riaffermare che, anziché trattarsi di problemi contingenti e isolati, sono tutti effetti di un'unica causa sistemica: il Capitale. Dobbiamo insomma cominciare, come se fosse la prima volta, a sviluppare strategie contro un Capitale che si presenta ontologicamente (oltre che geograficamente) ubiquo. [...]
Quello che oggi appare chiaro è che se il neoliberismo non poteva che essere realista capitalista, il realismo capitalista non ha invece alcun bisogno di essere neoliberale. Anzi: ai fini della propria salvaguardia il capitalismo potrebbe benissimo riconvertirsi al vecchio modello socialdemocratico, oppure a un autoritarismo in stile 'I figli degli uomini'. Senza un'alternativa coerente e credibile al capitalismo, il realismo capitalista continuerà a dominare l'inconscio politico-economico. [...] Siamo adesso in un panorama politico disseminato di quelli che Alex Williams ha chiamato «detriti ideologici»; è un nuovo anno zero, e c'è spazio perché emerga un nuovo anticapitalismo non più costretto dai vecchi linguaggi e dalle vecchie tradizioni. [...] Non esiste niente che sia innatamente politico: la politicizzazione richiede un agente politico che trasformi il dato-per-scontato in una messa-in-palio. Se il neoliberismo ha trionfato assorbendo i desideri della classe operaia post-sessantottesca, allora una nuova sinistra potrebbe cominciare dal lavoro su quei desideri che il neoliberismo ha generato, ma che è incapace di soddisfare. Ad esempio, la sinistra dovrebbe rivendicare la sua capacità di riuscire in quello in cui il neoliberismo ha fallito per primo: una massiccia riduzione della burocrazia. Serve una nuova battaglia sul lavoro e su chi lo controlla [...]. Resta aperta la questione se le vecchie strutture (come i sindacati) saranno in grado di coltivare una simile soggettività, o se piuttosto non avremo bisogno di organizzazioni politiche radicalmente nuove.
Mark Fisher, Realismo capitalista
1 note · View note
jazzluca · 11 months ago
Text
OPTIMUS PRIME ( Commander) Generations LEGACY EVOLUTION *Armada*
Tumblr media
Come già detto altrove, non si poteva festeggiare l'imminente 40ennale dei Transformers senza omaggiare i personaggi di Armada, linea che ha rilanciato il marchio e che pure essa stessa celebra i suoi 20 anni in questo periodo, e ci voleva decisamente un signor OPTIMUS PRIME come questo, presentato al meglio nella classe Commander, per lenire un po' l'assenza dei Minicon in questi "Micron Legends" in salsa Legacy.
Tumblr media
Fra l'altro un Optimus Armada lo aspettavamo dal "lontano" 2019, presentato come prototipo grigio ad un festival giapponese, ma poi abbandonato in favore anche di un look meno stilizzato e più fedele, come è appunto già dalla modalità di CAMION CON RIMORCHIO, anche qui giocoforza più piccolo dell'originale, ma riprodotto fedelmente e pure migliorato in alcuni particolari, come la parte superiore del rimorchio non più con la sensazione di un coperchio rovesciato ( per via del retro le gambe del super mode in bella vista ) o con i finti cingoli meglio scolpiti, ma con l'unico difetto estetico dei moduloni blu laterali anteriori che in proporzione sono parecchio più ingombranti che non nel giocattolo del 2002.
Tumblr media
Per quanto sia un Commander, camion e rimorchio alla fine non sembrano COSI' grandi, rivaleggiando con veicoli simili tipo il Laser Optimus G2 Legacy, ma se guardiamo il precedente Motormaster manco lui era eccessivamente grande, a vedersi...
Tumblr media
Come accessorio per il momento abbiamo il fucilone nero del robot che si può accomodare nel foro centrale sopra il rimorchio o in uno degli altri fori sparsi di questo o del CAMION MOTRICE, cui volendo si può togliere il simbolo di fazione sul tettuccio per farci stare l'arma, citando così la versione Deluxe / Supercon di quell'Optimus.
( Ma sai la figata se questo Commander avesse avuto non solo il Minicon Lamborghini gialla Sparkplug ma pure il jet Over-Run ?? eh ? eh??? … vabbè, andiamo avanti, va'…. )
Tumblr media
Ah, l'aggancio fra rimorchio e motrice è davvero lasco, a differenza di altri camion simili precedenti Generations, dove potevi sollevare il rimorchio e la motrice rimaneva bella salda, mentre qui praticamente si appoggia soltanto e tanti saluti: da una parte così si favorisce la giocabilità, diciamo, dato che tirando la motrice e muovendola il rimorchio segue e ruota di conseguenza, dall'altro era più comodo averli uniti belli saldi, così come spina e foro sono più grandi dello standard dei soliti 5mm, e amen così.
Tumblr media
Dalla parte anteriore del rimorchio spunta una batteria di missili che cita il modulo postazione per Minicon dell'originale, e sarebbe un'idea carina se l'arma non fosse così bassa e quindi con la visuale bloccata dalla motrice lì davanti! ^^'
Tumblr media
Uno dei difetti estetici più comuni dei vari Optimus camion motrice Generations è quello di avere la parte posteriore più grande o grossa della cabina, e questo Armada non ne è esente, anche se va detto che qualcosa migliora rispetto al giocattolo originale, ovvero la testa del super-mode che non si vede più da sotto il veicolo ed i pugnoni che non spuntano più dal retro, ora finalmente integrati lì… si vedono lo stesso da sopra, ma almeno sono integrati! XD
Rimarchiamo gli ottimi dettagli scolpiti e sopratutti dipinti, con argento ed oro sapientemente dosati, così come sono ben fatte le ruote ed i cerchioni del mezzo.
Tumblr media
La TRASFORMAZIONE nel robot è semplice e classica come nell'originale, con un paio di dettagli in più come le parti esterne del muso che slittano in fuori per poter meglio abbassare la griglia frontale che diventa il torso, con il resto della parte frontale che si abbassa diventando le spalle ed i moduli con le canne fumarie le braccia, così come i piedi saltano fuori aprendo i pannelli sugli stinchi, ed un paio di dettagli in meno, dato che le braccia non si accorciano per far uscire i pugni, che sono già belli pronti, e le gambe non si allungano per far uscire le cosce, dato che invece semplicemente ruotano di 180° i pannelli con le due coppie di ruote posteriori.
Tumblr media
Il ROBOT risultante è innanzitutto uno spettacolo per gli occhi, cogliendo al meglio l'estetica dell'originale, con tutti i dettagli al posto giusto, a parte i pugni grigi anzichè blu, ok, ma sopratutto a livello di posabilità il nostro è un bel salto in avanti rispetto al per forza di cose limitato giocattolo originale, riscattato in parte già ai tempi dalla succitata versione Deluxe.
Tumblr media
Ma anche qui, complice la trasformazione nel super mode, in un tripudio di polsi rotanti e caviglie inclinabili, manca la rotazione del bacino, giustificatissima da una parte, ma che fa davvero strano ormai non trovarsela in un Generations d'oggigiorno.
Tumblr media
Ricordate le canne fumarie che si staccavano dagli avambracci ed unendosi diventavano una pistola a se'? Beh, si staccano ancora ma diventano "solo" delle bocche di fuoco da aggiungere ai lati della canna del fucilone nero, fucilone che originariamente era graziato da della plastica trasparente per l'effetto della luce dell'elettronica del giocattolo, ma che qui appunto potevano migliorare / citare con un po' di dettagli in argento, che così tutto nero fa un po' tristezza…
Come stazza il nostro PARE più basso degli altri Prime Generations, ma in realtà siamo lì, anzi per la precisione lo è di 1 o 2 millimetri al massimo, ma l'impressione è data dalle proporzioni della testa leggermentissimamente più grande su un corpo bello robusto ( ma non chiatto, eh ), ed infatti come massa il nostro è ben più pesante di un altro Voyager importante proveniente da un set Commander come Rodimus Prime.
Tumblr media
Ed infine, questo Op cita e migliora una piccola gimmick dell'originale, con la griglia frontale che per la trasformazione si apriva rivelando una Matrice scolpita internamente: qui non solo la Matrice resta nascosta durante la trasformazione grazie ad un doppio pannello, ma è pure estrabile una volta aperto, e con la parte centrale in plastica trasparente!! _
Tumblr media
Dopo tutto questo giustificato entusiasmo per il robot motrice, smorziamolo passando al RIMORCHIO ed alla sua modalità di BASE, qui decisamente diversa dall'originale, che spiccava per la sua trasformazione automatica, aprendosi come un fiore: cosa che succede anche qui, diciamo, ma l'impressione è invece più simile alla base pretestuosa del Prime Powermaster G1, anzi, quest'ultimo con una sua dignità per via di un paio di rampe, almeno: qui invece, aprendo e sistemando le future gambe del supermode ed il modulo cingolato, rimane solo una struttura molto… basilare con solo la batteria di missili frontale a definirla come stazione di battaglia. E non vengono manco sfruttate le due canne dei cannoni sulle future ginocchia che genialmente nel rimorchio servono a sorreggerlo quando rimane orfano della motrice.
Tumblr media
La base dell'originale era uno spettacolo fra postazioni per Minicon e gimmick varie, con tanto di struttura su due piani (!!!), ma tralasciando eventuali postazioni per robottini, dato che purtroppo non sono contemplati in queste versioni Generations, PERLOMENO potevano metterci qualche pannello in più in stile rampa, qualche arma, dato che manco la batteria di missili che finirà dietro la schiena è sfruttata. L'unica piccola che può richiamare una base è uno schermo sul pannello rosso centrale che si solleva, che richiama quello più grande in plastica trasparente del giocattolo originale, ma davvero troppo poco, direi.
Tumblr media
E niente, quindi passiamo velocemente al SUPER MODE prendendo i moduloni laterali e trasformandoli in gambe abbassandoli, tirando fuori le canne dei laser che finiscono sulle ginocchia e facendo uscire i piedi, senza dimenticare di ribaltare i pannelli laterali per liberare le cosce. Il bacino ruota di 180° ed il pannello dei mutandoni si abbassa, e mentre il modulo che sostiene l'arma principale si ripiega diventando un mero pannellone dietro il sedere, quello con i cingoli vi si appoggia la motrice diventata la parte superiore del robottone.
Tumblr media
Il robot normale si trasforma anche qui come l'originale, ma ancora, in maniera più elaborata, ovviamente, con i pugnoni che saltano fuori da sotto i piedi ( con questi che si ripiegano a coprire eventuali fori sotto i polsi ), e le braccione ora formatesi che ruotano all'infuori di 90°, bloccate dalle braccine dell'Optimus Voyager. La testa non spunta più a molla unendo i due componenti, dato che bisogna uscirla a mano, ma l'unione fra parte alta e bassa è decisamente salda, dato che il torso prima si sdraia sul modulo cingolato, incastrandoci il pannello della griglia del camion e bloccandosi con un pannello rosso sulla schiena, per poi piegare in avanti il tutto unendo così il muso del camion al bacino attraverso degli ulteriori blocchi laterali alla base di questo.
Tumblr media
Il SUPER ROBOT ovviamente è fedelissimo all'originale nell'aspetto e nei dettagli sparsi, ma sopratutto, finalmente lo migliora a livello di antropoformia e articolazioni, con le gambe del giocattolone del 2003 sacrificate anche qui per la gimmick sempre elettronica della trasformazione automatica. Ora il nostro ha le cosce libere e sopratutto le gambe articolate al meglio, con rotazione, ginocchia pieghevoli, caviglie inclinabili e sopratutto, come summenzionato, bacino rotante, anche se un po' limitato dai pannelli laterali attorno allo stesso.
( Fra l'altro figata quelli laterali col simbolone Autobot! )
Tumblr media
Anche il resto del corpo è messo bene ad articolazioni, con le braccia belle snodate e la testa con un po' di lasco anche per guardare su e giù: "interessante" il fatto di poter aprire i pugni muovendo le 4 dita all'unisono, un passo in avanti rispetto ai pugnoni fissi di Menasor dell'anno scorso, ma SENZA la possibilità di far sparire il foro per le armi, come nel meccanismo delle mani del Commander Siege Jetfire. Un po' rozza come soluzione, e non bellissima esteticamente, sopratutto pensando alle mani ben più snodate dell'altro Commander di quest'anno, Ultra Magnus Studio Series.
Tumblr media
Ed a proposito di paragoni, Super Op Armada è ben più basso di un altro collega col "super mode", ovvero Menasor appunto, di una testa abbondante, ma la differenza fra i due, a parte le proporzioni di testa e braccioni, sono le gambe, con le tibie non così lunghe rispetto alle coscione e quindi al torso, ma tutto sommato vista la trasformazione e combinazione, questa leggera sproporzione un po' ci sta e richiama le gambone dell'originale.
Tumblr media
Il robot comunque è solidissimo, e non è male come il modulo cingolato sia unito alla torso formandone la schiena, laddove nel modellino del 2003 era invece la più ballerina struttura a 2 piani della base ripiegata, ma un po' mi lascia perplesso la batteria di missili dietro di questa, che sì, ha senso che sia obliqua, ma forse era meglio se un po' si solleva pure SOPRA la testa, così come ( ufficiosamente ? ) la coda del "mantello" possa sollevarsi, dispiegare l'altra batteria con la canna rossa ed appoggiarla alla prima, ma anche qui, visto che l'arma può togliersi dal supporto, perchè non fare in modo da attaccarla pure in qualche altra parte, cosa non fattibile visto il foro dedicato di misura non standard?
Tumblr media
Tra l'altro alla base del modulo cingolato c'è pure un ulteriore foro grande che non combacia con quello dell'arma… servirà mica per un eventuale aggancio con un eventuale versione Generations di Overload… ? :O
Infine, finalmente un cavolo di Optimus con rimorchio e Super Mode, anche se non è ( almeno per me ) l'attesissimo G1 Powermaster, ma il Prime Armada meritava una versione migliorata e aggiornata a livello di articolazioni e magari un po' anche di estetica, anche se a venire sacrificata è la modalità di base, e un po' si chiude un occhio, un po' anche no dato che, vista la differenza di stazza rispetto agli altri colleghi della stessa classe, un po' di plastica per qualche dettaglio e / o accessorio magari poteva anche scapparci, così come la giocabilità e la resa dei due robot un po' fanno dimenticare anche l'assenza dello storico Minicon... un po', ma ci riescono, dai. ^^
-Bio ufficiale codice QR: https://legacy.transformers.com/code/rWXnWLUz
1 note · View note
mchiti · 1 year ago
Note
ciao hala perdonami se ti scrivo in italiano. prima di tutto mi dispiace molto per quello che ti è successo. sai che a mio fratello è successo una cosa simile? Noi siamo tunisini, e mio fratello ha trovato un portafoglio una volta. Abbiamo visto i documenti dentro e a quel punto abbiamo cercato la persona su facebook, tutto questo per ridarglielo. Quando questa persona è arrivata fuori casa, non ti dico, era in motorino e si vedeva dalla faccia, ha proprio cambiato espressione. Il modo in cui ha iniziato a contare i soldi davanti a noi...e io ho notato che guardava soprattutto mio fratello, perché come hai detto tu purtroppo per queste cose loro sono più in pericolo di noi ragazze. Per fortuna nel nostro caso immagino si ricordasse quanti soldi avesse e non ha fatto questioni, nel vostro che stronzo che è stato il tizio, stronzo e razzista. purtroppo ho l'impressione che in italia stiamo toccando il fondo...
ti mando un abbraccio e jumu3a mubaraka vista l'ora haha :)
amin hbiba chokran bzaf prima di tutto ti mando un abbraccio anche io Allah y barik fik.
mi hai ricordato che è venerdì e ora sto solo pensando al mio couscous proprio alla faccia di questi stronzi. Che schifo, mi dispiace. Poteva finire molto peggio se quell'altro scemo che vi è capitato si fosse impuntato. Che poi, a parte che io posso venire a denunciarti per diffamazione (che è quello che mi ha detto stamattina mio fratello, che dovevo prendere le sue generalità e saremmo andati a fare una denuncia...è che in quei momenti, eravamo tutti e tre scioccati) - comunque che ne so io che tu mi stai dicendo la verità sui soldi? A parte che se fosse vero può averli presi CHIUNQUE, non è che te la puoi scontare con noi perché ci vedi marocchini e fai il furbo, su che basi. Non solo voglio aiutarti, ma che cavolo me ne faccio di quei quattro soldi che poteva avere tua madre in borsa. Ma metti che stesse mentendo per romperci i coglioni o per ricavarci qualcosa? La cosa bella è che mio cugino dopo ha pure commentato che "il morto di fame sembrava lui" cosa che tra le lacrime mi ha pure fatto ridere. Anche per voi, metti che questo stesse facendo il furbo? La cosa peggiore è che non il poliziotto non è che s'è messo a ridere e l'ha preso per deficiente, no, ovviamente ci ha chiesto i documenti ma oh??? Giustamente ha capito che stava diventato tutto assurdo e ce ne siamo andati ma wallah tra io che dovevo tenere i miei cugini buoni perché lo sai come sono i poliziotti con marocchini/tunisini uomini, come dici da donne è un poco più semplice in questi casi, lo stress di dover mediare. No wallah guarda al7amdulillah è finita bene ma è una sensazione orribile. Mi dispiace molto anche per te perché davvero se avesse voluto fare lo stronzo finiva peggio. un abbraccio ❤️❤️❤️❤️
1 note · View note
unfilodaria · 2 years ago
Quote
Preso alla lettera Ti scrivo per consegnarti le parole che la sera al telefono non è semplice gestire, in bilico sul sapore che resta della trattoria e lo spazio di queste stanzette, che annullano qualsiasi istinto territoriale e ti fanno eterno straniero. Ti scrivo in punta di polpastrello, sperando che lo schermo sia più veloce del sangue che carica le mie solite stilografiche. Ti scrivo dopo aver salutato l'alba senza vederla, affogato nel buio necessario regalato dalla tapparella per risparmiare a questo pulsare di vita del cortiletto, l'ombra del mio corpo pesante e nudo che muove il suo passo coattivo da qui a lì e da lì a qui, come la fiera del circo stipata nel gabbione tra un numero e l'altro. Ti scrivo per dirti di questa città che attraverso cercando e scoprendo ma restando in bilico come non m'era mai capitato. Fuggo la disposizione nevrite al nulla che scambiano per il tutto lasciandomi stupito, che è la cifra del mio presente, quello con cui sono arrivato a misurarmi ora. Ma ne ho viste di cose io, mi ripeto mentre il sonno mi saluta e mi lascia nel letto a ascoltare nelle cuffie questo sassofono napoletano e amico che mi recupera al respiro. Ti scrivo da una stanza che mi hai prenotato da lontano, scegliendo a caso che quella è la regola dell'ennesimo gioco che ci siamo inventati e mi accorgo che se mangiare a un tavolo da solo la sera mi piace, non si può dire lo stesso per il letto. Non mi piace dormire solo in un letto. In spiaggia, nel bosco, in treno, su un lembo di prato a bordo strada, in macchina ho dormito milioni di volte e da solo ma nel letto mi manca quella sensazione di un corpo altro, di un respiro altro. Ti scrivo come a salutarti con la prudenza delle parole, come accostassi a un molo senza abitudine. Scrivo e conto i passi che mi dividono dal bar del mattino che deve bastare. A pranzo passeggio per strade sempre diverse, non lo crederesti ma il tempo del pranzo lo passo da solo a camminare e a fermarmi sui ponti per guardare quel garbuglio di storie che fa intuire la forza dell'acqua che trascina. La mia prodigiosa memoria a pranzo mi lascia al presente e basta. Ancora non lo crederesti. Così passo davanti alla chiesa di Sant'Andrea Apostolo, che quel santo porta il nome di mio fratello e già per questo mi piace. Ogni giorno c'è questa coppia di barboni e lei è anziana e ha piedi gonfi e la faccia pure, segnata dall'abitudine al merdosissimo vino nei cartoni e con la pelle conciata dal caldo e dal freddo, dal freddo e dal caldo. Lui è più giovane, alto e vestito sempre con un tocco folle. Cuffie rosa e gialle di lana e un mantello scuro e scarpe fuori tempo e misura. Tengono mille masserizie ordinate in un cubo monolitico di coperte e stracci. Lui legge giornali, lei guarda la gente che sfila. Parlano fitto tra loro e si bastano. Ieri sono passato nel tardo pomeriggio e lei cingeva il ragazzo in un abbraccio che accoglieva un abbandono disperato e vinto. La marea mugghiante dei turisti passava diretta all'arte raccontata dalle guide e nessuno s'avvedeva di quella formidabile Pietà. Ti scriverò ancora da questi letti dormiti a caso. Sembra un buon trucco per dar tregua al calore bianco di questo amare che mi brucia da una vita.
la ballata dei passi e della passione: preso alla lettera
Tumblr media
0 notes
howtoscrapethesky · 2 years ago
Text
Lame a doppio taglio
Mi sento solo e nostalgico. Mi manca avere qualcuno al mio fianco a cui dare il mio affetto, qualcuno da abbracciare, qualcuno che sia "quel" qualcuno. In questo mood non fa bene pensare troppo/rimuginare su cosa vada e non vada, o su come sia andato il passato perché di sicuro non si sta bene. Si vedono le cose con un filtro nebbioso che mostra solo gli aspetti positivi persi e non quelli negativi, e tutto sembra così nostalgico, romantico, perfetto, anche se non per forza lo è stato.
Per quanto io ora non cerchi relazioni serie, un po' so di cercarle e volerle, perché è sotto sotto ciò che voglio davvero. E' solo che al momento ho una maschera, anche di convenienza, per cui "non voglio relazioni impegnative perché poi parto". Però in realtà in un qualche modo le voglio, e so di tenerci molto. E questo mi fa male, non sempre è facile conviverci.
Sento di essere più needy, bisognoso di complimenti, di attenzioni, di relazioni e cose da fare, che sia per non pensarci o per aumentare la mia autostima. Che poi, in moltissimi momenti ho vari motivi per essere felice di me e di ciò che sono, ma in altri questo non basta ed ho bisogno di approvazione per sentirmi più importante, meno solo e per colmare le mie lacune.
E queste mancanze/insicurezze mi plasmano e condizionano nelle scelte che faccio ed in come voglio/cerco di apparire. E tutto ciò aggiunte complessità ad una vita che oggettivamente è tutto meno che banale. Non che sia estremamente difficile, non ho tanti altri pensieri "pesanti" e pressanti, ma comunque non è banale. Il mio lavoro è tutto sommato impegnativo, sia per la difficoltà sia per la sua instabilità, e tutta questa ricerca di importanza, sfide, cose fighe da fare.. è stancante. Stavo pensando ieri passando attraverso il mercato di Noale, di quanto certa gente viva un'esistenza semplice, banale, ultra posata e normale. Ad un primo scorcio possono sembrare delle detrazioni, ma non lo sono. Sono le stesse persone che probabilmente vivono tranquillamente, godono molto delle piccole cose, hanno una loro routine per cui non devono dimostrare nulla e sono in pace con il momento e la situazione in cui si trovano.
Al momento io non lo sono. Sicuramente i miei bisogni di cuore giocano un ruolo importante a riguardo, ma non so se risolti questi riuscirei anche io ad essere così in pace, seppur a modo mio - quindi col mio lavoro, le mie sfide, ecc ecc. E da una parte invidio queste persone perché per loro sembra tutto molto più facile, più leggero, mentre per me molte cose hanno molta importanza, non si possono scegliere in maniera leggera, non mi va e non lo trovo giusto. Non vedo però altra soluzione, io mi sento fatto così e la ricerca della *mia* felicità è ben diversa - ben più difficile mi vien da dire - degli altri a cui mi sto paragonando. Non vedo altre vie d'uscita diverse dal provarci, provarci, provarci e riuscirci perché mi sa che non riuscirei ad accontentarmi ed adagiarmi come quelle persone. E' un'immensa lama a doppio taglio, è forse il motivo per cui sono la persona che sono oggi ma è pure la fonte principale delle mie insicurezze, delle mie infelicità, della mia ricerca spasmodica e, per ora, della mia sensazione di solitudine.
0 notes
ilpensatoredellaminchia · 2 years ago
Text
alsooo da dove comincio
also, questa parola non la uso mai. Non so perché ma non è ancora entrata nel mio vocabolario. E pure me lo sono ridetta mille volte “devi imparare ad usarlo”
bene allora usiamola. ALSO.
dell’incontro con quella che forse, presumo (spero?) diventera la mia psicoteraupeta mi sono rimaste in testa mille momenti tragicomici. In questo momento sto ancora ridendo per la doamda “ lei quadagna abbastanza da potersi permettere questa terapia? come si supporta la terapia?” e io SI. senza neanche pensarci, diretta proprio. perchè a dir la verità non sto messa cosis male, lavoro, poco, con il mio stipendio di certo non riuscire a permettermela. Ma ho soldi messi da parte, quelche minimo aiuto dai miei e sinceramente farmi una cazzo di terapia minimamente decente è una delle mie (molte) priorità quest’anno. Inoltre sono andata nel centro sociale di quelli che stanno ancora studiando e quindi se non mi hanno presa per il culo dovrei farcela con 50/55€ all’ora che non sono pochi, ma sempre meglio dei soliti 80€ standard.
Sinceramente sono stufa di cercare e di dovremi fare strada tra decine di depliant informativi, assicurazioni, centri e simili. Inoltre questo è il terzo primo appuntamento che faccio da un terapeuta e la situazione ha sempre di più del tragicomico. Mi siedo la e parlo delle mie minchiate e dopo venti minuti frigno come una cogliona per cose inutili e problemi insignificanti. Dopo il secondo primo appuntamento da un tipo di cui ho capito solo il nome (Manuel) e il cognome assimigliava a qualcosa come Ortner(?) ho passato due giorni di merda pervasa dal senso di colpa per essere andata a rompere i coglioni a qualcuno per parlare di cazzate. Boh così a random. Penso alla gente che ha i problemi veri e mi sento male.
Comunque a parte tutte ‘ste menate, l’incontro di venerdí ha avuto del tragicomico dall’inizio alla fine. L’ultima cosa che voglio fare è parlarne, mi andava solo di nominare il fatto dei soldi perchè boh, mi fa ridere ancora ora.
Mi sono laureata. Di questa tesi mi resterà solo un ricordo di merda perchè è andato tutto storto dall’inizio alla fine. ma finalmente è mia ed è un’altra cosa conquistata nella vita, un successo accumulato, uno step avanti. Molto bene. Mia madre continua a rompermi il cazzo chiedendomi se io abbia festeggiato e questa frase somiglia molto alla stra cazzo di domanda che mi poneva regolarmente più volte al giorno nella mia adolescenza “ma perché sei a casa il sabato sera? non hai amici?” sento un pugno nello stomaco solo a scriverla. Comunque no mammina, ora ho degli amici. Ma ho notato un certo trend che non mi è nuovo, ossia che questi amici stanno sfumando semplicemtne perche io voglio che sfumino. Per risponderla in modo più semplice e meno filosofico: no Mà, non ho (ancora) festeggiato, perchè non ne sento il bisogno e smettila, cazzo, di farla sembrare una cosa strana. Ho ricevuto il mio certificato Giovedì (in Austria consegni semplicemente la tesi al tuo redattore, la corregge e tu sei laureata, stop. efficaci e freddi come in tutto) ed è stato un gran bel momento. Lo ho detto a tutti e quel giorno sono stata di buon umore per un sacco di ore, ho mangiato con gli altri, ho parlato, il giorno dopo sono andata in piscina con le ragazze. basta. In questo momento non sento il bisogno di fare altro. Perchè bisogna fare altro? perchè mi rompete le palle tutti da una vita? é inverno, la mia voglia di uscire di casa oltre che per andare in palestra é pari a meno 40. Non ho voglia, non mi interessa
per il resto boh. È presente questa sensazione da mesi che mi fa sentire di essere nel posto sbagliato, in questo studentato e allo stesso tempo il pensiero che dovrei cercarmi nuova gente. Sono circondata da bimbiminchia e l’atmosfera quotidiana raramente mi offre stimoli o sfide, cose di cui io ho bisogno costantemente. Conoscere nuova gente peró è per me da sempre un cruccio. Mi sento un pò bloccata in un circolo vizioso e sono cosciente che dovrei agire e cambiare un buon numero di cose. Ma non ho la minima idea di cosa dovrei precisamente fare quindi per ora l’unica soluzione che ho trovato é stata quella di fare un gran numero di colloqui di lavoro. Ho bisogno appunto di nuove sfide, di adrenalina, di stress nella mia vita e voglio lavorare part-time. Ho intenzione di finire il secondo bachelor, ma lo studio non è più la mia prima priorità. Ho bisogno di mettermi alla prova molto più di quello che io stia facendo ora. Che sia forse anche la terapia parte di tutto questo? Non lo so, ma so che fino ad ora sono abbastanza convinta di volerla fare.
Ho questo pensiero continuo, che oltre che un pensiero è proprio una sensazione permamente, di non essere nel posto adatto a me, di dover “entrare” in qualcosa di nuovo. Oltre a questo però non é un brutto periodo. La laurea ha appianato, riordinato molte cose dentro di me, il solo poter compilare un modulo e poter scirvere davanti al mio nome B.A. é un passo enorme per me.
#hi
0 notes