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Maturo
Venerdì – III settimana T.O.
(2Sam 11, passim / Sl 50 / Mc 4, 26-34)
Un testo di Ambrogio di Milano ci aiuta ad accogliere la parabola che il Signore racconta ai suoi discepoli con una sensibilità adeguata: <In un orto Cristo fu catturato e poi seppellito; in un orto crebbe, e pure risorse... E così è diventato un albero... Dunque, anche voi seminate Cristo nel vostro orto... Con Cristo, macinate il granello di senapa, spremetelo e seminate la fede. La fede viene 'spremuta' quando crediamo a Cristo crocifisso>1. Il vescovo di Milano ci aiuta a non applicare la parabola direttamente a noi, ma prima di tutto al mistero del Signore Gesù che, nella sua incarnazione, ha accettato di essere posto come <seme> (Mc 4, 26) nel <terreno> non sempre accogliente della nostra umanità. Il Signore Gesù ci parla del <regno di Dio> e sotto questa immagine non fa altro che parlare di se stesso e del suo consegnarsi a noi come promessa di vita e di pienezza. Nella prima delle parabole che leggiamo nella liturgia, tutto sembra essere semplice e naturale tanto che l’avverbio principale è <spontaneamente> (4, 28).
Ma questo non dove ingannarci! Il fatto che il cammino della grazia nelle nostre vite sia semplice e spontaneo, non significa affatto che sia avulso dalla nostra intima e appassionata partecipazione che può aiutare o bloccare la crescita del seme. Il Signore ce lo ricorda: <e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura> (4, 29). Se è vero che il contadino non può che accompagnare, con un atteggiamento contemplativo, il cammino del seme che pian piano cresce, è anche vero che il contadino non si dimentica del seme che ha affidato alla terra. Quel <subito> che troviamo di frequente nel Vangelo di Marco, indica una cospirazione tra la nostra umanità attenta e l’opera di Dio efficace. Per tornare al pensiero di Ambrogio possiamo dire che se abbiamo ricevuto come dono la presenza nascosta e preziosa della presenza di Cristo nella nostra vita, questo esige - da parte nostra - uno sguardo contemplativo che, nella sua passività, è somma attenzione. Proprio come quello di una madre che segue impotente e amorevole al contempo, il crescere di un figlio nel proprio seno finché sia <maturo> il tempo del parto, quando nessun dolore è paragonabile alla gioia di permettere alla vita di venire in piena luce e di rivelarsi nella sua unicità, bellezza e autonomia.
Certo, molto spesso, la presenza di Cristo nella nostra vita assomiglia proprio a un <granello di senape> che è <il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno> (4, 31) eppure, se accolto e custodito, può - e forse deve - diventare il <più grande di tutte le piante dell’orto> (4, 32). Questo dipende dal seme… questo dipende da noi! Lungi da noi quindi cadere nella trappola di un altro tipo di ozio che non è quello contemplativo proprio del contadino che sa aspettare, ma quella pausa tra due momenti di lavoro attento e appassionato: quello della semina e quello del raccolto. Invece quello di Davide che <Un tardo pomeriggio… si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia…> (2 Sam 11, 2) non fa sperare nulla di buono, di bello e di vero, mentre invece fasplendere, in tutta la sua grandezza, la figura di Urìa, unico uomo pagano che riceverà l’onore di essere menzionata nella genealogia di Gesù Cristo perché si dimostra, a differenza di Davide, seme <maturo> che fa sperare un frutto veramente grande.
Signore Gesù, maturare significa amare e amare esige sempre di saper perdere se stessi e accettare le trasformazioni necessarie a trasformare la nostra vita in un frutto di dono maturo, buono e saporoso. Maturare significa necessariamente rinunciare al godimento immediato e la sapienza di saper investire a lungo termine, accettando i tempi e i modi di una crescita che sia autentica.
1. AMBROGIO DI MILANO, Commento al vangelo di Luca, 7, 179.
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Oggi la parola è: Largheggiare
Mercoledì – III settimana T.O.
(2Sam 7, 4-17 / Sl 88 / Mc 4, 1-20)
Giovanni Crisostomo ci dà una bella chiave per entrare nella parabola odierna: <Cristo ci mostra che la sua parola è destinata a tutti, indistintamente. Infatti, come il seminatore della parabola, senza fare nessuna distinzione fra i terreni semina ai quattro venti, così il Signore non distingue il ricco dal povero, il saggio dallo stolto, il negligente dal diligente, il coraggioso dal vigliacco, ma si rivolge a tutti e, pur conoscendo l’avvenire, da parte sua fa di tutto finché non possa dire: «Che cosa dovevo fare ancora che io non abbia fatto? (Is 5,4)>. Nel suo linguaggio impastato di vita tratta dell’esperienza quotidiana di tutti, il Signore Gesùusa immagini attraverso le quali, se riconosce le differenze, non creaopposizioni. Con grande naturalezza si constata che ci sono <Quelli lungo la strada..:> (Mc 4, 15) come <quelli seminati tra i rovi> (4, 18) senza dimenticare <quelli seminati sul terreno buono> (4, 20). Così pure accanto alla differenza oggettiva che segna l’esperienza diversa ed unica di ogni vita, si può constatare, serenamente, la differenza di relazione e di accoglienza, tanto da rispettare quelli <che sono fuori> (4, 11), senza dimenticare di dare i mezzi necessari per <comprendere> (4, 13) a quanti lo desiderano.
Lo stesso Vescovo di Costantinopoli risponde alla giusta obiezione riguardo all’assurdità di seminare tra sassi e spine: <Ma nella sfera spirituale, non �� lo stesso: il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata daipassanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente. Se questo non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto>1. A ciascuno di noi viene richiesto di fare altrettanto e di comportarci nella medesima maniera, con una speranza larga e una fiducia largheggiante. È infatti questa fiducia serena a costruire quella <casa> (2Sam 7, 14) che noi, come il re Davide, vorremmo approntare per Dio. Non solo il Signore semina, ma pure prepara il terreno della nostra vita con la stessa cura con cui si prepara un nido per l’amore, un solco per un seme amato, un angolo per un ricordo caro.
Le parole del profeta Natan sono un aiuto per Davide perché il suo cuore non dimentichi ciò che ha segnato e reso luminosa la sua vita: <Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge… Sono stato con te dovunque sei andato> (7, 8-9). Se pensiamo a noi stessi come ad un seme caduto nella terra la cosa più importante è quella di non dimenticare da quale mano siamo stati fatti cadere. Il ricordo della mano di Dio che ci ha custoditi e ci ha seminati, dovrebbe essere per ciascuno di noi un motivo di gratitudine che si manifesta nella capacità di dare il meglio di se stessi, offrendo un frutto che faccia del bene e diventi segno del regno di Dio che viene. Tutta la nostra vita con le sue luci e le sue ombre non solo è un campo seminato da cui si attende di cogliere un frutto, ma è una <parabola> (Mc 4, 13) da comprendere appieno imparando così a largheggiare nel dono che è sempre promessa di un frutto.
Signore Gesù, abbiamo nostalgia del tempo in cui eravamo racchiusi nella tua mano forte e dolce. Eppure tu ci hai seminati nella terra e ci hai affidati ad un solco di storia perché la nostra vita non fosse solo custodita, ma pure donata. Donaci di non temere di marcire e donaci la gioia di fiorire.
1. GIOVANNI CRISOSTOMO, Discorsi sul Vangelo di Matteo, 44, 3-4.
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