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#se potessero parlare
ilpianistasultetto · 4 months
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Anche se sorpassato, seguito ad amare il mondo "analogico" d'un tempo. Lo trovo poetico. Quella poesia piena di riconoscenza, di euforie e ricordi andati. Confesso che provo tanta tenerezza per quei televisori a tubo catodico che vedo avviarsi, mesti mesti, verso la discarica o per quei giradischi che hanno finito la voce. Come ho provato un colpo al cuore quando ho visto la serranda chiusa di quel negozietto storico nel quartiere Prati. Avevano rimosso anche quell'insegna anonima che campeggiava sopra la serranda: Assistenza HI-FI. Per tanti come me era il negozio dove si riparavano gli “stereo”. Ma certo, chiamiamolo ancora una volta così, come quando ce lo regalavano al liceo. Quell’insieme di giradischi, amplificatore, piastra e casse acustiche, che collegato da cavetti, ci ha fatto sentire la musica che ci piaceva e che ha formato il nostro gusto, come mai più niente ci è riuscito. Li' dentro si riparavano oggetti meravigliosi di un’altra era tecnologica. Entravi e sentivi Mario che parlava, eppure era da solo. Parlava con i condensatori, i transistor, i circuiti integrati, le cinghie, i cursori, piegandoli alla sua volontà. Mi piaceva quel suo modo sempre carico di speranza: "Dai, lascialo li e vediamo che si puo' fare. Chiamami la prossima settimana!”. Riparare..Riparare..mi piace da matti questa parola. Riparare a un torto, a un errore, riparare oggetti che hanno molto da raccontare. Ah, se potessero parlare!! Racconterebbero di come, sconquassati da acne giovanili, mettevamo trepidi il braccetto su un disco dei Pink Floyd, sperando che in 5 minuti la biondina del “I A” ci notasse, o di quando il nostro Galactron da 100 watt per canale sparò tutta la sua potenza al massimo dalle ESB100 sulla nostra versione di Tacito, uccidendola, poveretta. Ebbene si! Ancora amo quel tempo! @ilpianistasultetto
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susieporta · 1 year
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L'INCOMPRENSIONE RECIPROCA
G. I. Gurdjieff diceva: "Prima di discutere con qualcuno occorre realizzare fino a che punto quella persona può capire le nostre parole. Il parlare nonostante l'impossibilità di essere compresi dall'altro è sempre una perdita di tempo e di energia. Chi è consapevole, parla solo quando è certo che chi ascolta è in grado di comprendere."
La malcomprensione è la regola tra gli esseri umani. Dalla più piccola lite alla guerra in larga scala. Perché? perché ogni parola assume per ognuno di noi un significato diverso a seconda del proprio vissuto e sopratutto dal livello di coscienza soggettivo. Ecco perché non comprendersi, tra le persone, e' la norma.
Se credete che ogni essere umano debba comprendere le vostre parole o quelle dei Maestri, come arrivano a voi, vi illudete. L'illusione è un fenomeno mentale che ci allontana dalla realtà e dalla sua complessità. La vita segue una sua "logica" che va oltre il nostro concetto di "giusto" e "sbagliato". La vita non è morale e nemmeno immorale ma amorale.
Le nostre credenze sulla realtà non sono la realta' "oggettiva" ma una sua rappresentazione interna delle nostre credenze. Una credenza è un costrutto mentale inserito nella nostra mente dall'esterno. Noi entriamo in conflitto per le credenze che sono spesso più idee che esperienze.
Una persona che, per esempio, non ha mai vissuto l'esperienza dell'amore incondizionato o del perdono potrà parlarne sul piano analitico ma non può sapere di cosa parla se non è passato per quella esperienza. Lo stesso vale per la sessualità, la malattia e il lutto. Come può un prete parlare di sesso senza averlo provato? Come può un terapeuta curare un depresso senza aver mai esperito una depressione?
Esperire vuol dire morire a se stessi… passare attraverso l'esperienza… per andare oltre la logica razionale. Per crescere bisogna morire alle proprie credenze.
Non credete a nessuno, neanche alle parole dei cosiddetti "Maestri" o a quelle che, secondo voi, sono le autorità o si proclamano tali. Non credere neanche a te stesso ma credi solo all'esperienza… nessuno può dirti cosa è giusto o sbagliato e tu non puoi dire a nessuno cosa è giusto o sbagliato.
Decidi cosa è "giusto" o "sbagliato" per te attraverso l'esperienza e prenditi la responsabilità della tua vita ma ricorda che nessuno potrà comprenderti veramente perché siamo sempre soli nella nostra esperienza.
Le parole sono il mezzo con cui comunichiamo anche se ci scontriamo perché utilizziamo termini diversi, secondo noi oggettivi, per dire a volte la stessa cosa. Quello umano è un mondo intersoggettivo e la relazione si basa proprio sulla negoziazione del significato delle parole. E' nella relazione che si costruiscono i significati. Ma la relazione non è fatta solo di parole, anzi le parole spesso ci allontanano.
Le parole dette senza coscienza feriscono, uccidono.
Funzioniamo così: "io ho ragione, secondo i miei schemi mentali, mentre l'altro ha torto perché ha schemi mentali diversi dai miei". Questo fenomeno è amplificato sui social dove ci si irrita, si giudica, si offende l'altro per imporre la propria visione del mondo.
L'Arte, per esempio, nasce all'anima perché usa il linguaggio simbolico che è universale e arriva direttamente al cuore… quella che viene definito "Centro Emotivo Superiore" da Gurdjieff. Senza una comunicazione da cuore a cuore gli esseri umani sono impossibilitati a comunicare.
Dovremmo imparare il valore del silenzio, non per presunzione, ma perché è necessario capire se quello che voglio dire l'altro possa capirlo veramente oppure no.
Ho speso tanto tempo e fiato con persone che pensavo potessero e dovessero capirmi e ho compreso che a sbagliare ero io. Non puoi parlare a chi è sordo e non puoi mostrare il tuo mondo interiore a chi è cieco. Non puoi pretendere che l'altro ti capisca… perché l'altro non è te. L'altro è diverso da te. L'altro non è dentro di te.
Le donne vorrebbero che gli uomini le capissero… gli uomini che le donne li capissero… gli islamici che i cristiani li capissero… i cristiani che gli islamici li capissero… i buddhisti che gli islamici li capissero… è sempre stato così ma niente è mai cambiato.
Chi ha deciso di "svegliarsi" e compiere un lavoro su di sé è pronto per cogliere la verità a seconda dell'impegno che mette nel conoscersi. La Verità non si ottiene volendo avere ragione a tutti i costi e urlandola agi altri ma ascoltando più i silenzi che le parole. Nel silenzio in cui Dio stesso si esprime.
Tiziano Cerulli
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socchiusa · 3 months
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Se i tuoi occhi potessero parlare, chissà quanto dolore tirerebbero fuori.
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lunamagicablu · 1 year
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Se gli animali potessero parlare ci direbbero che gli esseri umani dovrebbero essere semplicemente più semplici e meno complicati. ~ Jean-Paul Malfatti ~ ***************************** If animals could talk they would tell us that humans should simply be simpler and less complicated. ~ Jean-Paul Malfatti ~
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me-soltanto-me · 6 months
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“C’è che fa un sacco di rumore.
Il dolore, intendo.
L’unico modo per metterlo tacere è dormire.
Profondamente, senza sogni.
C’è che senza medicine non riesco a spegnere tutto,
e molte persone giudicano, bisbigliano mentre prendo sonno.
Se solo sapessero.
Se solo potessero sentire il chiasso del dolore, anche una sola volta.
Forse la smetterebbero di parlare. Finalmente.
Tutto tacerebbe, nel mondo di chi sa vedere oltre.”
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argentoheart · 9 months
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perché la s2 di un professore non funziona
Ho sperato fino alla fine di non dover fare questo post, ma il modo in cui è stata gestita questa stagione mi lasciata amareggiata e delusa, e voglio parlarne un po' anche per organizzare e capire meglio i motivi per cui, secondo me, questa stagione non ha funzionato. E anche perché ho bisogno di sfogarmi e passare avanti.
Non criticherò il lavoro degli attori perché credo abbiano fatto del loro meglio considerato il copione che si sono ritrovati a seguire, ma ci tengo a dire che sarà un post sfogo e non mi risparmierò, quindi se la serie vi è piaciuta questo post non fa per voi. Se invece anche voi siete rimastə delusə, ci vediamo sotto il cut. (very long post)
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Partiamo dal presupposto che, mentre la prima stagione si basa abbastanza fedelmente sugli eventi di Merlì, nella seconda (e direi ormai anche la terza, nonostante ancora non sia ancora uscita) si nota un totale distaccamento.
Questo perché, come dichiarato dallo sceneggiatore in una intervista per fanpage, la seconda e la terza stagione di Merlì non sono state completamente prese in considerazione nella stesura della sceneggiatura di questa s2, con gli evidenti problemi che ne conseguono.
Già nella prima stagione alcuni avvenimenti erano al limite del surrealismo e i personaggi potevano risultare incoerenti, ma era evidente che un'idea di base esisteva e che ci fossero dei punti cardine nella trama, come dei tasselli, che venivano aggiunti man mano e che disegnavano una storia piuttosto solida. In questa s2 tutto ciò è venuto a mancare, i personaggi sono allo sbaraglio, la storyline ancora di più, e sembra che le cose accadano giusto perché devono accadere e non perché ci sia una reale intenzione logica e narrativa dietro. Ma procediamo con ordine.
Questa stagione era stata pubblicizzata e promossa in un certo modo, facendo leva su specifici personaggi e rapporti tra di essi, in particolare ovviamente quello tra Simone e Manuel, ed è di questo che voglio parlare per primo perché è quello che forse mi tocca più da vicino essendo io una persona bisessuale.
Simuel (Mimmone e Manina)
Speravo, nella mia ingenuità, che avrebbero utilizzato questa stagione per esplorare un po' di più la bisessualità di Manuel. Non mi aspettavo i "simuel canon" nel giro di due/tre episodi, ma mi aspettavo che entro la fine della stagione questi due personaggi (e quello di Manuel soprattutto) potessero arrivare ad avere alcune consapevolezze. Non mi aspettavo che li facessero sparire dopo il secondo episodio, per poi relegarli ad avere poche scenette superficiali e messe quasi a tappare i buchi tra le altre scene.
E ci tengo a dirlo, non si tratta quindi più della coppia in sé, quanto alle storyline importanti che potevano e dovevano essere raccontate con una cura ed una dignità superiore.
Manuel come personaggio è stato distrutto pezzo per pezzo. Tutte le cose che lo rendevano bello, interessante e che ti facevano entrare in empatia con lui, le cose che ti facevano tifare per lui, sono state tutte dimenticate strada facendo, abbozzate e nel peggiore dei casi completamente eliminate.
Nella prima stagione era un ragazzo sveglio, che faceva e avrebbe fatto di tutto per sua madre e per le persone a cui voleva bene. Manuel era riuscito a riscattarsi, aveva capito che la scuola e la conoscenza sono importanti, aveva trovato in Dante la figura maschile e quasi paterna che gli era sempre mancata, aveva trovato conforto nella filosofia, l'aveva resa un porto sicuro, una casa in cui rifugiarsi e in cui poter essere libero. Aveva trovato in Simone una persone che lo amava (anche nel senso più platonico del termine) nonostante tutto, una persona che gli è stata accanto con i vari alti e bassi, una persona di cui si fidava e a cui avrebbe affidato la sua stessa vita.
Tutto questo non esiste più nella seconda stagione. Questo Manuel esiste nei primi episodi e poi, man mano che si avvicina a Nina, finisce per scomparire. Non parla più con Simone, se non per fargli scenate di gelosia, non fanno neanche vedere un momento in cui parlano veramente della scoperta di Nicola, solo una scenetta alla piscina che aveva tanto potenziale, ma che è stata messa lì come contentino per dire "vedete, parlano" quando poi le loro interazioni sono inesistenti. Nel mentre, quindi, Manuel si avvicina a Nina, che si comporta solo in modo scostante, che all'inizio lo prende per cretino, poi si fa portare il gelato e gli dà picche, e poi lo porta in una casa che non è sua, facendo irruzione in una dimora privata (con le chiavi di sua zia, quindi anche rischiando di metterla nei guai), segue scena alla Pretty Woman che vuole essere divertente, romantica e sensuale, ma risulta insensata e cringe e poi, dopo il loro primo bacio, lei che aveva paura di aprirsi, gli rivela che ha una figlia così de botto senza senso. Nina che tra l'altro per tutto il resto della serie dimostra solo di non avere stima di lui ("se vedono Manuel è la volta buona che Lilli me la scordo" , "io ce so cresciuto a merendine" "e infatti guarda come sei diventato" , "è bello" "e bello e poi? vai avanti con l'elenco" "è finito, l'elenco è finito") e che se lo trascina in questa follia del rapimento della bambina e lui, ormai ridotto ad un ombra del personaggio che è stato, la asseconda in tutto e per tutto, arrivando anche a derubare ANITA, sua madre per cui si è sempre fatto in quattro.
Il suo rapporto con Simone viene completamente schiacciato e poi buttato via manco fosse una zanzara che ronzava nell'orecchio degli sceneggiatori e anche le scene che sarebbero dovute essere catartiche, come quella all'ospedale in cui Manuel dice a Simone che non è da solo e che "Ce sto io co' te", risultano arraffazzonate, senz'anima e salvate solo dalle performance magistrali degli attori, perché non seguono alcun build-up emotivo.
Il bacio e il rapporto sessuale che c'è stato tra i due non viene più menzionato, ma intorno a noi sentiamo parlare di pulsione, curiosità, parentesi alcolica, fratria adolescenziale, ad ennesima riprova che noi persone bisessuali non siamo niente agli occhi di questa produzione, che la nostra sessualità è solo un plot point o un modo per promuovere la serie, facendo leva sul nostro desiderio di venire rappresentatə, che non ci meritiamo dei personaggi dignitosi, che non ci meritiamo di avere le nostre storie raccontate al pubblico, che siamo una parentesi e poi possiamo anche essere accantonatə perché alla fine non siamo né una cosa né l'altra, e chi vuole perdere tempo a parlare di queste cose che confondono e basta?
[E ma Mimmo non è bisessuale? ne parlerò più avanti]
Detto ciò, mi dispiace doverlo ammettere, ma i Simuel e questo giro non mi hanno detto niente, è rimasta solo nostalgia nel ricordarli durante la s1, perché per il resto è stato uno sfacelo.
Passiamo quindi a Simone, che qui io chiamerei invece la seconda venuta di Cristo perché 'sto raga si sobbarca i problemi di tutti in questa serie e riceve in cambio solo dolore. Io lo amo moltissimo, anche in questa stagione si riconferma il personaggio che merita di più in termini di storyline e di performance in generale. Uno dei pochi che mi ha fatto provare emozioni reali.
Nonostante questo, anche la sua storia è stata trattata senza reale attenzione alle cose che accadono.
Questo ragazzo in ordine viene aggredito da degli omofobi, finisce nel mezzo di una investigazione, impelagato in giri di camorra, ha una mezza gioia con un ragazzo che finalmente lo contraccambia, ma nell'episodio successivo scopre che il padre rischia la vita e non vuole operarsi, scopre che il suo migliore amico lo vuole lasciare solo, si ubriaca fino a svenire e poi, dopo aver quasi assaporato un po' di felicità nel pensiero di poter vivere libero con Mimmo, questa gli viene di nuovo portata via dalla protezione testimoni (necessaria, ma il risultato è che Simobale rimane il personaggio con il peggior finale di tutti).
A me la storia con Mimmo è piaciuta, i Mimmone per me hanno retto la stagione insieme a pochi altri (Vedi Nicola, Viola e Rayan), ma non è questo che avrei voluto per Simone.
Certo, sono contenta che Mimmo lo ricambiasse, ma Simone meritava davvero di potersi vivere una storia alla luce del sole e qui si palesa nuovamente l'omofobia di questa serie.
Tolta la bisessualità mancata di Manuel, che a questo punto e viste le dichiarazioni fatte dallo sceneggiatore non credo che verrà mai più ripresa, anche l'omosessualità di Simone e la sua storia con Mimmo sono state trattate nel modo più sbagliato possibile.
Lì dove ogni coppia etero ha la possibilità di vivere ogni particolare della propria storia con trasparenza, Simone e Mimmo si devono nascondere, non possono fare nulla di quello che due adolescenti innamorati dovrebbero fare, che loro stessi dicono di voler fare. Sono gli unici che devono separarsi, nonostante provino un sentimento fortissimo l'uno per l'altro, gli unici il cui amore finisce in tragedia, e fino all'ultimo nessun altro sa di loro.
E Mimmo è un carcerato, quindi ovvio che non sia libero di fare l'adolescente innamorato con Simone.
Ecco perché secondo me Mimmo non era il personaggio adatto a fare da love interest a Simone. Dopo gli avvenimenti con Manuel, sarebbe stato bello vedere un Simone che può vivere il suo amore e la sua sessualità in modo libero. Mi sarebbe anche piaciuto vedere Manuel che, tramite la scoperta di questo "nuovo Simone", si trova costretto ad affrontare i sentimenti che prova per lui e che erano evidenti nella stagione precedente. Ma purtroppo a questa serie le cose fatte bene e la continuità e coerenza dei personaggi non interessano.
[Okay ma la bisessualità di Mimmo?]
La bisessualità di Mimmo è proprio come quella di Manuel, nella serie non esiste se non nella misura in cui noi decidiamo di vederla in questi personaggi. Niente fa pensare che Mimmo possa essere veramente bisessuale, sappiamo che ha avuto una ragazza, ma non sappiamo se l'abbia amata o gli sia piaciuta davvero (come ad esempio Manuel con Chicca, Alice e perfino Nina) o se la sua situazione è stata come quella di Simone e Laura.
Perché no, in una società eteronormativa come la nostra un uomo gay che va con una donna e un uomo etero che va con un uomo non si equivalgono.
Manuel, Nicola e Viola
Altra grande pecca di questa stagione è il mancato sfruttamento della dinamica tra questi tre.
Parto col dire che Nicola e Viola sono stati i miei nuovi personaggi preferiti, li ho trovati coerenti e sensati, avevano reazioni realistiche agli avvenimenti della serie e in generale sono personaggi decisamente amabili.
Il loro rapporto è genuino, sono una vera famiglia, parlano, si fidano l'uno dell'altra, hanno momenti di tensione come è normale che sia, ma il loro amore è più forte e si riappacificano sempre.
La storia di Viola penso sia stata molto ben fatta, mi è piaciuto che abbiano evidenziato il contrasto tra la sua rassegnazione e la speranza di Nicola, e come questa speranza sia interpretata da Viola come un'insoddisfazione del padre nei suoi confronti. Li ho davvero amati e mi dispiace tantissimo che Nicola se ne sia dovuto andare via così, quando aveva ancora così tanto da dare come personaggio, sia a Viola che soprattutto a Manuel. Fino all'ultimo ho quasi sperato che, come Bruno in Merlì, Manuel partisse con lui per Tokyo.
Pensavo anche che avrebbero dato più spazio a questa nuova famiglia ritrovata, ma dopo quel bel discorso che fanno Manuel e Nicola e la scena al ristorante, l'unica volta in cui si vedono interagire è quando Manuel va a chiedergli i soldi per scappare con Nina.
Nicola poi fatto passare come il cattivo della situazione sol perché è un adulto con un cervello funzionante e capisce che non ci si può fidare di due adolescenti in pieno delirio di onnipotenza e che il metodo dantebalestra non è quello vincente questa volta.
Per non parlare di come mi hanno strappato Manuel e Viola, dopo quel gesto dolcissimo della carezza e del "Perdonami, fratello mio" loro scomparsi, il loro rapporto abbozzato come il resto della trama, un sacco di potenziale sprecato. Non guarderò la terza stagione, ma spero che abbiano almeno dei piani per loro due in quella sceneggiatura.
Anita/Dante/Floriana
Parto col dire che a me Dante e Anita non dicono assolutamente nulla, penso che la loro storia sia nata dal nulla, penso che siano come due adolescenti alla prima cotta, penso che Dante dovrebbe morire solo e che la storia di Anita si sarebbe dovuta sviluppare verso l'autorealizzazione di se stessa, come lo era nella prima stagione.
Li detesto ma li ho accettati perché okay, va bene così.
Ed ero felice, veramente felice, quando ho saputo che Floriana sarebbe tornata. Pensavo che sarebbe stata un buon pretesto per parlare di Jacopo e per rimettere un po' insieme i cocci di quella famiglia distrutta, invece il suo personaggio è stato richiamato solo per creare l'ennesimo triangolo noioso di cui noi tuttə sapevamo la fine ancor prima che fosse iniziato.
Floriana e Dante hanno 1000 volte più chimica di Anita e Dante, così come Anita ha 1000 volte più chimica con Nicola, ma entrambe le storie sono state liquidate senza un motivo perché A e D dovevano avere l'happy ending.
Floriana inoltre non sembra neanche comportarsi da madre con Simone e tutte le mie speranze su uno sviluppo serio del lutto e del trauma familiare legato a Jacopo sono state ancora una volta deluse in favore di frasi sparse in cui, t'oh, la sceneggiatura si ricorda che c'è un fratello morto e che questa famiglia è crollata per questo, giusto per mettere un po' di pathos in più e dare falsa profondità ai personaggi.
Dante e Anita si nascondono le cose, non parlano, preferiscono comportarsi come adolescenti, si spiano e non hanno fiducia nell'altrə per tutta la durata della serie (a ragione), si mettono le corna, ma poi Dante ci resta quasi secco e allora se volemo bene, tutto perdonato, tutto bello, baci baci e ripresa aerea di Roma.
Altre varie ed eventuali
Dopo aver parlato di questi macroargomenti, passo ad altre cose assurde successe in questa stagione.
A cominciare dall'aggressione omofoba subita da Simone. Prima di tutto è palese che fosse solo uno stratagemma per avvicinare S e M, perché da che c'erano indagini per scoprire chi avesse spaccato la testa ad Ernesto, a che, quando si scopre che non è stato Simone questa sottotrama si chiude completamente a caso. La cosa viene liquidata come futile, gli omofobi non vengono puniti, nessuno chiede a Simone come sta.
La storia di Rayan forzata da Dante in quel modo deludente, tanto per togliersi quella parte di storia dai piedi e poter sviluppare il suo rapporto con Viola. I Raviola sono i miei secondi prefe di questa stagione, ma penso che con Rayan avrebbero potuto fare molto di più.
La storia di Luna trattata con una leggerezza spaventosa, con tanto di "non lo so baby non lo so" mentre lei si spogliava davanti ad un sconosciuto, ossessionato e stalker. Un tentativo di stupro di gruppo, ma non temiamo, amicə, perché la Dante Balestra squad arriva a salvare la situazione e tutto si risolve con una foto alla targa e un bel "not all men!" davanti al memoriale per le vittime di femminicidio. Bella merda. (Devo spezzare una lancia in favore della professoressa di matematica, molto bello il discorso che ha fatto a Luna, peccato che non se ne parli più dopo)
Nina che viene fatta passare come povera vittima del sistema quando la vera vittima è sua figlia. Lei la porta ad un rave, gliela lasciano per due ore e la mette in macchina senza seggiolino con uno che conosce da forse un mese, giustamente le dicono che non la può vedere e lei si incazza perché "è mia, la voglio io", quando la priorità dovrebbe essere il benessere della bambina.
Lei si lamenta che non gliela vogliono dare perché non è ricca, ma ha 17 anni non ha un lavoro, non può darle niente e decide di rapirla, la fa stare per due giorni e una notte fuori casa senza cibo e al freddo, vuole andarsene a Parigi con lei senza soldi e senza una casa dove stare, si incazza con Simone quando lui fa la cosa giusta e chiama chi di dovere (ed è ospite a casa sua altrimenti stava già in galera insieme a Manuel), e io dovrei provare empatia nei suoi confronti? Io la voglio al gabbio.
E nonostante questo ne esce vincitrice, ci guadagna un lavoro, uno stipendio e uno zerbin-emh, un fidanzato :)
Anche qui, ovviamente tutta colpa di Dante Balestra.
Ultimo pensiero va a Matteo e Laura, perché carə giovanə che ci guardano da casa, non importa se la ragazza che vi piace vi dirà di no mille volte, non importa se è visibilmente infastidita dalle vostre avances e non è interessata a voi, prima o poi vi dirà di sì! Quindi non perdete le speranze!
In conclusione
Credo di aver toccato tutti i punti che più mi hanno indisposto durante la visione di questa serie, se siete arrivatə fino a qui vi stringo forte la mano e vi faccio i miei complimenti.
Chiudo dicendo che, dopo lo sfacelo di questa s2, io non guarderò la terza stagione, e se la guarderò sarà solo dopo che sarà finita e solo se il finale mi piacerà.
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canesenzafissadimora · 7 months
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Se le foto potessero parlare, avrebbero tanto da raccontare.
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Matteo Pirro
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mynameis-gloria · 7 months
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Sbloccato una nuova ossessione/se i soffitti potessero parlare
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sottileincanto · 4 days
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La verità sul caso di Mr. Valdemar
(E. A. Poe)
Non presumo certo di essere meravigliato che il caso straordinario del signor Valdemar abbia suscitato discussioni. Sarebbe un miracolo se, date le circostanze, questo non fosse avvenuto.
   Il desiderio di tutte le parti interessate a tener la cosa segreta, almeno per ora o in attesa di aver altre occasioni d’investigare, e i nostri sforzi per riuscirvi, hanno dato luogo a dicerie monche ed esagerate che, diffondendosi tra il pubblico, sono state causa di molte spiacevoli falsità e, naturalmente, di molto discredito.
   Si rende ora necessario che io racconti i fatti, almeno come li capisco io. Eccoli, in succinto.
   In questi ultimi tre anni, a varie riprese, mi sono sentito attirato dal soggetto del mesmerismo; e circa nove mesi fa a un tratto mi balenò l’idea che, nella serie degli esperimenti fatti sino a oggi, vi fosse una notevolissima e inesplicabile lacuna: finora nessuno era stato magnetizzato “in articulo mortis”.
   Rimaneva da vedere prima di tutto se, in tale condizione, esistesse nel paziente alcuna suscettibilità al fluido magnetico; in secondo luogo se, nel caso affermativo, questa fosse scemata o accresciuta dalla circostanza; in terzo luogo sino a che punto e per quanto tempo l’opera della morte potesse essere arrestata dall’operazione. Vi erano anche altri punti da essere accertati, ma questi tre eccitavano più degli altri la mia curiosità, e in modo speciale l’ultimo, dato il carattere importantissimo delle sue conseguenze.
   Cercando intorno a me un soggetto sul quale poter provare questi punti, fui portato a gettare gli occhi sul mio amico mister Ernest Valdemar, il ben conosciuto compilatore della Bibliotheca forensica e autore (con lo pseudonimo di Issachar Marx) delle traduzioni polacche del Wallenstein e del Gargantua. Il signor Valdemar, che dall’anno 1839 risiede generalmente a Harlem (New York), si distingue (o si distingueva) per l’eccessiva magrezza della sua persona, tanto che le sue gambe ricordavano quelle di John Randolph; e anche per la bianchezza dei suoi favoriti che contrastavano violentemente con la sua capigliatura nera, la quale perciò da molti era presa per una parrucca. Il suo temperamento oltremodo nervoso lo rendeva un buon soggetto per le esperienze magnetiche. In due o tre occasioni lo avevo addormentato con poca difficoltà, ma ero rimasto deluso negli altri risultati che la sua costituzione mi aveva naturalmente fatto sperare. La sua volontà non era mai positivamente, né del tutto soggetta al mio influsso, ed in fatto di chiaroveggenza non riuscii mai a ottenere da lui niente su cui fare assegnamento. Avevo sempre dato la colpa di tali insuccessi alla sua salute infermiccia. Qualche mese prima che ne facessi la conoscenza, i medici lo avevano definitivamente dichiarato tisico. Egli era solito parlare della sua prossima fine con molta calma, come di una cosa che non potesse né evitarsi né dispiacere.
   Quando, per la prima volta, mi vennero le idee alle quali ho alluso poc’anzi, era naturale che pensassi a Valdemar; conoscevo troppo bene la sua salda filosofia, per temere scrupoli da parte sua; né egli aveva parenti in America che potessero ragionevolmente intervenire. Gli esposi in modo franco la cosa, e, con mia meraviglia, egli sembrò interessarvisi vivamente. Dico con meraviglia, perché, sebbene egli avesse prestato liberamente la sua persona ai miei esperimenti, pure non aveva mai manifestato alcun segno d’interesse in quello che facevo.
   La sua malattia era di quelle che ammettono un calcolo preciso del tempo del loro termine; fu infine stabilito fra noi che mi avrebbe mandato a chiamare ventiquattro ore prima del tempo fissato dai medici per la sua morte.
   Ed ecco, un giorno, più di sette mesi fa, ricevetti, dal signor Valdemar medesimo, questo biglietto:
 “Mio caro P.,
Potete venire anche subito. D. e F. sono d’accordo nel dire che non passerò la mezzanotte di domani, e io credo che abbiano calcolato molto vicino al vero.
Valdemar”
   Ricevetti questo biglietto mezz’ora dopo che era stato scritto e non impiegai più di quindici minuti per trovarmi nella camera del moribondo.
   Non l’avevo visto da dieci giorni, e fui spaventato dalla terribile alterazione che si era prodotta in lui in quel breve intervallo.
Aveva il viso colore di piombo, gli occhi spenti, era dimagrito al punto che gli zigomi foravano la pelle. L’espettorazione era eccessiva, il polso appena sensibile. Ciò nondimeno serbava in modo straordinario le sue facoltà spirituali e una certa forza fisica. Parlava distintamente, prendeva senza bisogno di aiuto le sue medicine, e quando entrai nella stanza, era occupato a scrivere appunti su un libriccino. Stava seduto nel letto appoggiato ai guanciali. I dottori D. e F. gli prestavano le loro cure.
   Dopo aver stretto la mano all’infermo, trassi quei signori in disparte ed ebbi notizie precise sulle condizioni. Il polmone sinistro era da diciotto mesi in uno stato semi-osseo o cartilaginoso e perciò inetto a qualunque funzione vitale. Il destro nella parte superiore era ugualmente ossificato, seppure non del tutto, mentre la parte inferiore non era più che un ammasso di tubercoli purulenti. Esistevano varie profonde caverne, e in un punto si notava anche una permanente aderenza alle costole. Questi fenomeni del lobo destro erano relativamente di data recente. L’ossificazione aveva progredito con rapidità straordinaria, un mese prima non se ne era osservato nessun indizio; l’aderenza non era stata scoperta che negli ultimi tre giorni.  
   Indipendentemente dalla tisi si sospettava un’aneurisma all’aorta; ma i sintomi d’ossificazione rendevano impossibile la diagnosi precisa su questo punto. Era opinione dei due medici che Valdemar sarebbe morto il giorno dopo, domenica, verso la mezzanotte. Erano le sette di sera del sabato.
   I dottori D. e F., lasciando il letto del morente per discorrere con me, gli avevano dato un ultimo addio. Non era loro intenzione tornare, ma, alla mia preghiera, acconsentirono di venire a vedere il paziente verso le dieci della notte.
   Partiti che furono, parlai liberamente con Valdemar della sua morte vicina e specie dell’esperimento che ci proponevamo. Egli si dimostrava ancora disposto e anzi desideroso di sottoporsi a tale prova e mi sollecitò ad incominciar subito. Due infermieri, un uomo e una donna, erano presenti, ma io non mi sentivo tranquillo nell’accingermi a un’operazione di quel carattere, senza testimonianze più serie di quelle che potevano dare costoro in caso di un’improvvisa disgrazia.
   Rimandai dunque l’operazione sino a quando, verso le otto di sera, l’arrivo d’uno studente di medicina, che conoscevo (il signor Teodoro L.), mi levò d’imbarazzo. Era mia intenzione sul principio di aspettare i medici, ma fui poi persuaso a incominciare, prima dalle insistenti preghiere di Valdemar, poi perché ero convinto non esservi un momento da perdere, giacché appariva evidente che egli se ne andava rapidamente.
   Il signor L. ebbe la bontà di arrendersi al mio desiderio di prendere nota scritta di tutto quanto stava per succedere; ed è dal suo memorandum che condenso o, in massima parte, copio parola per parola quello che ho da raccontare.
   Erano circa le otto meno cinque, quando, presa la mano del paziente, lo pregai di confermare al signor L., e il più distintamente possibile, come egli fosse perfettamente disposto a permettere che io cercassi di magnetizzarlo in quelle condizioni.
   Ed egli debolmente, ma distintamente rispose:
   «Sì, desidero d’essere magnetizzato;» aggiungendo subito dopo «ma temo che abbiate differito troppo».
   Nel mentre parlava, incominciai i passi che avevo già riconosciuto più efficaci per soggiogarlo. Evidentemente subiva l’influenza del primo movimento della mia mano attraverso alla sua fronte; ma sebbene io spiegassi tutto il mio potere non si manifestò alcun altro effetto sensibile sino a qualche minuto dopo le dieci, quando, secondo il fissato, tornarono i medici D. e F. Io spiegai loro in poche parole il mio disegno, e poiché essi non facevano alcuna obbiezione, dicendo che il paziente era già in agonia, continuai senza esitazioni, cambiando tuttavia i gesti laterali in verticali, e concentrando il mio sguardo nell’occhio destro del paziente.
   A questo punto, il suo polso era divenuto impercettibile, e la sua respirazione segnava intervalli di mezzo minuto.
   Questo stato durò quasi senza cambiamenti un quarto d’ora. Allo spirare di questo tempo però, un sospiro naturale, benché molto profondo, sfuggì dal petto del morente e la respirazione sonora cessò; cessò cioè la sua sonorità; gli intervalli però non erano diminuiti. Le estremità del paziente erano gelate.
   Alle undici meno cinque percepii sintomi non equivoci dell’influenza magnetica. Il vacillamento vitreo dell’occhio si era cambiato in quell’espressione penosa dello sguardo, di esame interiore, che non si vede se non nei casi di sonnambulismo, e che è impossibile non riconoscere. Con alcuni gesti laterali feci battere le palpebre, come quando ci prende il sonno, e insistendo le chiusi interamente. Ma non ero ancora soddisfatto e continuai i miei atti con vigore e con la più intensa concentrazione di volontà fino a quando non ebbi irrigidito del tutto le membra del dormente, dopo averlo collocato in una posizione apparentemente comoda: le gambe lunghe distese, e così anche le braccia che posavano sul letto a poca distanza dai fianchi. La testa era leggermente sollevata.
   Quando ebbi terminato tutto questo, era mezzanotte; pregai allora i presenti di esaminare le condizioni del signor Valdemar.
   Dopo alcune constatazioni essi dichiararono che era in uno stato di catalessi singolarmente perfetta; la curiosità di ambedue i medici era grande. Il dottor D. risolse di passare tutta la notte presso l’infermo, mentre il dottor F. nel salutarci promise di tornare all’alba; il signor L. e gli infermieri restarono.
   Lasciammo Valdemar assolutamente indisturbato sino alle tre del mattino, quando lo avvicinai e lo trovai esattamente nello stesso stato di quando se ne era andato il dottor F., e cioè nella medesima posizione, il polso impercettibile, la respirazione calma (sensibile soltanto accostandogli uno specchio alle labbra), gli occhi chiusi naturalmente e le membra rigide e fredde come marmo. Però il suo aspetto generale non era certamente quello della morte.
Nell’avvicinarmi a Valdemar feci un debole sforzo per decidere il suo braccio a seguire il mio nei lenti movimenti che descrivevo in su e in giù sulla sua persona. Quando altre volte avevo tentato tali esperimenti con questo paziente, non mi erano mai riusciti perfettamente né speravo di riuscir meglio ora; ma, con mia grande meraviglia, il suo braccio, docilmente seppure debolmente, si mise a seguire le direzioni che gli assegnavo col mio. Mi decisi allora ad azzardare qualche parola di convenienza.
«Signor Valdemar,» dissi « dormite?»
Non rispose, ma scorsi un tremito sulle sue labbra e fui così indotto a ripetere la domanda, e poi ancora, e poi ancora. Alla terza volta tutto il suo corpo fu mosso da un lieve tremore, le palpebre si alzarono sino a mostrare una linea bianca dell’orbita, le labbra si mossero pigramente, ed emisero, in un sospiro appena intelligibile, le parole seguenti:
   «Sì, ora dormo. Non mi svegliate! Lasciatemi morire così!»
   Tastai le membra e le trovai sempre rigide come prima. Il braccio destro obbediva sempre alla direzione della mia mano. Interrogai nuovamente il sonnambulo:
   «Sentite sempre dolore al petto, signor Valdemar?»
La risposta, ora, fu immediata, ma anche più debole della prima.
«Nessun dolore, muoio.»
 Non credetti conveniente disturbarlo altrimenti e nulla di nuovo fu detto o fatto sino all’arrivo del dottor F., che giunse un’ po’ prima dell’alba e manifestò grandissima meraviglia nel trovare il paziente ancora vivo. Dopo di avergli sentito il polso e applicato uno specchio alle labbra, mi pregò di parlargli ancora un’altra volta.
   Ubbidii e gli domandai: «Signor Valdemar, siete ancora addormentato?»
   Come prima trascorsero alcuni minuti durante i quali il moribondo parve riunire tutte le sue forze per parlare. Alla quarta ripetizione della mia domanda, rispose molto debolmente, quasi inintelligibilmente: «Sì, sempre addormentato, muoio.»
   Fu allora opinione o meglio desiderio dei medici che il signor Valdemar venisse lasciato indisturbato, in quello stato di tranquillità apparente, sino a che non sopraggiungesse la morte; era opinione generale che questa dovesse avvenire fra qualche minuto. Tuttavia risolvetti di parlargli ancora una volta e ripetei semplicemente la domanda di prima.
   Nel mentre parlavo, un singolare cambiamento avvenne nella fisionomia del sonnambulo. Gli occhi si girarono lentamente aprendosi, le pupille sparirono in su, la pelle prese una tinta cadaverica, più simile alla carta bianca che alla pergamena; e le due macchie etiche, rotonde che fino allora si vedevano ben definite nel centro delle due guance, si spensero a un tratto. Adopero questa espressione perché la rapidità della loro scomparsa non suscitò altra idea che quella di una candela spenta da un soffio. Intanto il labbro superiore, che prima copriva completamente i denti, si ritorse scoprendoli; mentre la mascella inferiore cadeva con uno scatto e un rumore sensibile, lasciando la bocca tutta aperta e mostrando la lingua nera e gonfia. Coloro che assistevano, erano presumibilmente abituati agli orrori di un letto di morte, ma l’aspetto di mister Valdemar era talmente spaventoso che indietreggiammo tutti insieme dal letto.
   Sento di essere giunto al punto del mio racconto, che indurrà il lettore a non credermi. Ad ogni modo il mio compito è di seguitare.
   Mister Valdemar non dava più il minimo indizio di vita, e, concludendo che fosse morto, lo abbandonammo alle cure degli infermieri. Ma allora divenne sensibile una forte vibrazione della lingua che durò forse un minuto. Dalle mascelle tese e immobili uscì quindi una voce, che sarebbe follia tentar di descrivere.
   Vi sono tuttavia due o tre epiteti che potrebbero servire a designarla parzialmente; potrei dire per esempio che aveva un suono aspro, rotto, vuoto; ma l’orribile insieme non è descrivibile, per la semplice ragione che simili suoni non hanno mai offeso orecchie umane. Vi erano però due particolari, che, credevo allora e credo anche ora, potrebbero essere dati come caratteristici dell’intonazione e che possono suggerire un’idea della sua stranezza ultraterrena. In primo luogo la voce sembrava giungere alle nostre orecchie – almeno alle mie – da una gran distanza, o da qualche profonda caverna sotterranea. In secondo luogo, essa mi dette la stessa impressione (temo proprio che mi sia impossibile farmi comprendere) che danno le materie glutinose o gelatinose al senso del tatto.
   Ho parlato di suono e di voce. Voglio dire che il suono era d’una sillabazione distinta, anzi meravigliosamente distinta. Mister Valdemar parlava; evidentemente per rispondere alla domanda che gli avevo fatto qualche minuto prima. Gli avevo domandato, come si ricorderà, se dormiva sempre. Ora diceva:
   «Sì, – no – ho dormito…, e ora… ora son morto.»
   Nessuna delle persone presenti cercò menomamente di dissimulare e neanche di reprimere l’indicibile orrore che queste poche parole così pronunciate non mancarono di destare in ognuno. Mister L., lo studente, svenne. Gli infermieri lasciarono immediatamente la stanza, e fu impossibile indurli a ritornare. Quanto alle mie proprie impressioni, non pretendo di renderle intelligibili al lettore. Per circa un’ora ci occupammo in silenzio – senza pronunciare parola – a richiamare mister L. in vita, e quando questi fu ritornato in sé riprendemmo le nostre investigazioni sulle condizioni di mister Valdemar.
   Egli era rimasto assolutamente come l’ho descritto poc’anzi, tranne che lo specchio non dava più traccia di respirazione. Un tentativo di salasso al braccio non riuscì. Devo anche menzionare che questo arto non era più soggetto alla mia volontà. Fu invano che mi sforzai di fargli seguire la direzione della mia mano. Il solo vero indizio dell’influenza magnetica si manifestava ora nella vibrazione della lingua, ogni volta che facevo una domanda. Pareva che egli si sforzasse di rispondere, ma che non avesse più abbastanza volontà per farlo. Alle domande avanzate da altre persone sembrava del tutto insensibile, sebbene io tentassi di mettere il richiedente in rapporto magnetico con lui.
   Credo di aver ormai riferito tutto quanto è necessario per capire lo stato del sonnambulo in questo periodo. Furono procurati altri infermieri, e alle dieci uscii dalla casa in compagnia dei dottori e del signor L.
   Nel pomeriggio tornammo tutti a vedere il paziente. Il suo stato era sempre il medesimo. Avemmo allora una discussione sull’opportunità e la possibilità di svegliarlo, ma ci si trovò presto d’accordo nel concludere che non si sarebbe ritratto vantaggio alcuno. Era chiaro che sinora la morte (o quel che si suole definire con la parola morte) era stata arrestata dalla operazione magnetica. Sembrava evidente che svegliare mister Valdemar sarebbe stato semplicemente un assicurare il suo estremo istante o almeno accelerare la sua decomposizione.
   Da quel giorno fino alla fine della settimana passata – un intervallo di quasi sette mesi– abbiamo seguitato a far visite giornaliere a casa di mister Valdemar, accompagnati dai medici e da altri amici; in tutto questo tempo il sonnambulo è rimasto esattamente come l’ho descritto. La sorveglianza degli infermieri era continua.
   Venerdì passato finalmente risolvemmo di provarci a svegliarlo, ed è il resultato, deplorevole forse, di quest’ultimo tentativo che ha dato origine a tante discussioni private, nelle quali non posso trattenermi dal riscontrare un sentimento popolare ingiustificabile.
   Per sottrarre mister Valdemar alla catalessi magnetica adoperai i passi soliti. Questi per qualche tempo non dettero risultato di sorta. Il primo sintomo del ritorno alla vita fu dato dall’abbassamento parziale dell’iride. Venne notato come cosa strana che questa discesa dell’iride era accompagnata dalla fuoruscita di un umore abbondante di color giallognolo (da sotto le palpebre) di odore acre e ripulsivo.
   Mi venne allora suggerito di cercare di influenzare il braccio dei paziente, come pel passato. Tentai e non mi riuscì; il dottor F. manifestò il desiderio che io gli rivolgessi una domanda e gliela feci, così:
   «Mister Valdemar, ci potete spiegare quali sono ora le vostre sensazioni o i vostri desideri?»
   Vi fu un subitaneo ritorno delle macchie etiche alle gote, la lingua tremò o piuttosto roteò violentemente entro la bocca (sebbene le mascelle e le labbra rimanessero sempre immobili) e alla fine quella stessa orribile voce che ho descritto poc’anzi proruppe:
   «Per l’amor di Dio! Presto! Presto! Fatemi dormire! O svegliatemi subito! Presto! Vi dico che sono morto!»
   Io ero assolutamente snervato e per un momento rimasi indeciso sul da farsi.
   Mi provai dapprima a riaddormentare il paziente, ma la completa inerzia della mia volontà non me lo permise; tentai allora il contrario, e con tutte le mie forze mi adoperai a destarlo. Mi accorsi subito che a questo sarei riuscito, o almeno credetti che il mio successo sarebbe stato completo, e sono certo che tutti i presenti si aspettavano il risveglio del paziente.
Quello che avvenne in realtà, non è possibile che essere umano se lo fosse potuto immaginare.
   Nel mentre mi affrettavo a fare i passi magnetici tra le grida di “morto! morto!” che letteralmente esplodevano sulla lingua e non sulle labbra del paziente, tutto il suo corpo a un tratto – e in non più di un minuto – si scompose, si sbriciolò, imputridì sotto le mie mani. Sul letto, dinanzi a tutti i testimoni, giaceva una massa fetida e quasi liquida; un’orrida putrefazione.
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situazionespinoza · 11 months
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Oh, Madre!
Il giorno in cui ho capito che non sarei mai diventata madre avrò avuto nove anni, quando per la prima volta ho tenuto aperto sulle ginocchia un libro di Oriana Fallaci.
Ero in bagno, intenta nel mio passatempo preferito per combattere la stitichezza: frugare nel cassetto della moglie di mio padre, l'unico a distanza ravvicinata dal gabinetto su cui trascorrevo ore e ore in attesa che qualcosa uscisse dal mio corpo.
In mezzo a pile di slip, riviste osé e reggiseni, quel giorno trovai il libriccino galeotto che avrebbe annientato il mio istinto materno: Lettera a un bambino mai nato.
La moglie di mio padre utilizzava il cassetto del bagno per nascondere i suoi segreti più intimi, forse credendo che il senso del pudore avrebbe trattenuto chiunque dal rovistare tra le sue mutande.
Ma io da bambina non sapevo dove il pudore stesse di casa. Vivevo confinata nei muri della mia camera, senza amici e senza infanzia, e il mio unico confronto con il mondo erano i romanzi di Isabelle Allende con descrizioni dettagliate di tutto ciò che accadeva in camera da letto.
La mia famiglia non ha mai amato la lettura, anzi direi proprio che al verbo detestare associassero la parola libro come complemento oggetto. Quindi loro non avevano la più pallida idea di cosa ci fosse tra le pagine di quei libercoli in cui annegavo le mie giornate.
Se un libro è letto da una bambina, significa che è adatto a una bambina, pensavano. E per vent'anni ne sono stata convinta anch'io.
Ma quel pomeriggio, seduta sul gabinetto, mi sorprese leggere il titolo "Lettera a un bambino mai nato" sulla copertina di un libro nascosto tra i calzini e una scatola di preservativi nel cassetto della moglie di mio padre incinta di sei mesi.
Divorai quel libro in una settimana, ringraziando la mia incapacità di andare di corpo come le persone normali per darmi la possibilità di trascorrere impunemente due ore seduta sulla ceramica fredda del cesso, fino a sentire le gambe addormentate e il bacino indolenzito.
Dopo ogni sessione di lettura, riponevo con cautela il libro nel cassetto della mia matrigna, facendo attenzione a incastrarlo perfettamente tra le pieghe dei reggiseni e dei pigiami.
Nessuno della mia famiglia ha mai saputo che a nove anni mi appassionai del racconto di una donna incinta che desiderava abortire, del suo calvario interiore e della lotta contro l'idea che un ammasso di cellule potesse essere ritenuta vita senziente.
A tredici anni mi trasformai in una paladina del diritto all'aborto. Lasciai di stucco la mia professoressa di Italiano quando le consegnai un pamphlet protofemminista sotto forma di foglio protocollo, spacciandolo per il mio elaborato del compito in classe sul testo argomentativo.
Gli altri miei compagni di classe non avevano mai sentito parlare di aborto, tantomeno di Oriana Fallaci, e forse erano fortunati nella loro ignoranza.
Ma io mi consideravo un'illuminata, una prescelta, una donna adulta, perché a tredici anni ero in grado di difendere con sforzi patetici e artefatti il mio sacrosanto diritto a non dare la vita.
Tanto ne ero convinta, che agli esami di licenza media dedicai il mio tema di italiano all'aborto, ancora una volta. Ero ossessionata, ero pazza, ero invasata: dovevo far sapere a tutti gli adulti che io a tredici anni sapevo di non volere figli, che non li avrei mai avuti, che avrei combattuto perché le donne come me potessero scegliere di non averli.
Quando, dieci anni dopo, la mia migliore amica mi informò di essere incinta, la prima cosa che le dissi fu: "Vuoi abortire, vero?".
E alle occhiate scettiche e divertite delle donne più grandi, che ridacchiavano sornione mentre mi ricordavano l'esistenza dell'orologio biologico, io ribattevo con rabbia di chiudere il becco.
Questo fino all'anno scorso, quando una seduta con la mia psicologa esperta di EMDR ha messo un po' di disordine tra i miei piani.
Non avevo mai riflettuto sulla possibile connessione tra il mio rifiuto della maternità e il suicidio di mia madre, ma quella tragica mattina di febbraio la mia terapeuta decise di spiattellarmelo in faccia senza troppi mezzi termini: il fatto che mia madre si fosse uccisa e mi avesse abbandonata non significava che io avrei fatto lo stesso con i miei figli.
Quella fu l'ultima seduta con la mia terapeuta, perché mal tollerai questa inferenza nelle mie decisioni sul mio utero. Non mi interessava sapere quale fosse la causa del mio odio verso la gravidanza e soprattutto non volevo ammettere che la morte di mia madre mi perseguitasse fino a quel punto.
Abbandonata la terapia e accolti gli antidepressivi, ho smesso di mettere in discussione il mio disprezzo per la maternità fino a quando a essersi suicidato non è stato un mio amico.
A quel punto mi sono resa conto che il mio bagaglio di affetti contava già due suicidi nell'arco di vent'anni, una percentuale non da poco considerando che la mia permanenza su questa terra non ha varcato ancora la soglia dei trent'anni.
La morte del mio amico è coincisa con la ricomparsa breve e fugace di mio padre.
Dopo cinque anni di ostinata assenza e disinteresse, mio padre aveva deciso di riallacciare i rapporti con me dopo la scoperta di un tradimento da parte di sua moglie.
Mio padre ritenne quel momento un'ottima occasione per mettermi a parte della storia del mio concepimento.
Così ho scoperto, davanti a un raffinato piatto di uramaki, di essere la classica figlia del "proviamo a fare funzionare questo matrimonio": mia madre aveva fallito il suo primo tentativo di suicidio e aveva confessato a mio padre che avere una figlia l'avrebbe aiutata.
Si vede che non ho svolto bene il mio compito, considerando che dopo sette anni dalla mia nascita la mia cara mamma si fece trovare morta in bagno con una calza di nylon legata al collo.
Mentre il peso di questa rivelazione si sedimentava tra la bocca dello stomaco e la gola, togliendomi la capacità di proferire parola e l'appetito, mio padre rincarava la dose lamentando il suo "non aver fatto nulla di male per meritarsi questa vita" da crocerossina, vedovo e cornuto.
La mia domanda, formulata silenziosamente nelle settimane successive, riguardava piuttosto cosa avessi fatto io di male per meritarmi di essere desiderata, partorita, traumatizzata e abbandonata da mia madre.
Con poca calma e tanta perizia, nei mesi ho messo insieme tutti i pezzi del puzzle che è la mia incapacità di vedermi madre: dal libro letto di nascosto sul cesso al tema sull'aborto, dal consiglio a denti stretti dato alla mia amica al rifiuto del parere della psicologa, fino alla confessione di mio padre.
Il risultato è stato un puzzle oscuro e strambo, in cui alcuni pezzi si incastrano a fatica con gli altri e restituiscono un'immagine grottesca e spezzata. Un'immagine di me che lotta tra l'odio per la mia famiglia, il desiderio di non essere mia madre, il determinismo di un patrimonio genetico malato.
Insomma, un'immagine non troppo lusinghiera. Ma che almeno mi dà ragione dell'irritazione e della saudade che provo quando ascolto le mie coinquiline scambiarsi ogni sera confidenze con le loro madri per telefono, tra risatine e battute.
Questo puzzle sgangherato è una prova ulteriore del mio non voler essere madre, del preferire crepare da sola piuttosto che correre il rischio di dare la vita a una persona solo per traumatizzarla.
Allo stesso tempo, quando guardo questo puzzle, mi rendo conto che il fervore di quella tredicenne che scriveva pagine e pagine sull'aborto era solo un tentativo di rispondere a quell'unica, atroce domanda:
"Oh, madre! Perché mi hai abbandonato?"
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joy-238 · 1 year
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Se le tue scarpe potessero parlare, chissà cosa direbbero delle cose segrete che fai..
S. Mondesir-Prescott
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mynameisfirry · 1 year
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Se le lenzuola potessero parlare racconterebbero storie meravigliose...
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ideeperscrittori · 2 years
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QUANDO SEI MORTO È TROPPO TARDI
Alfredo Cospito è in sciopero della fame da 104 giorni.
La Cassazione ha fissato l'udienza sul suo ricorso per il 7 Marzo.
Ed è solo l'inizio dell'iter giudiziario.
A Nordio che scarica tutto sulle tempistiche disumane dei tribunali faccio notare che.
1. Cospito sta morendo.
2. I morti hanno una strana abitudine: non partecipano alle udienze. Sono fatti così: il presenzialismo non è il loro forte.
3. Ho sentito dire che a un morto le udienze non cambiano la vita. Forse perché non ce l'ha più una vita.
4. Quando muori l'applicazione del 41 bis termina comunque. Solo che non te ne frega più niente.
5. Ho questo leggerissimo sospetto: se i morti potessero parlare, direbbero che si poteva fare qualcosa quando erano vivi.
[L'Ideota]
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seoul-italybts · 8 months
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[✎ ITA] Harper's Bazaar Japan : marzo 2024, Intervista - JIMIN, Acuto e Sensibile, un Uomo Pieno d'Amore | 19.01.2024
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🗞 Harper's Bazaar Japan Marzo 2024 | Twitter
JIMIN, acuto e sensibile, un uomo pieno d'amore
__ AOKO MATSUDA __
Fortunatamente abbiamo avuto l'opportunità di immortalare Jimin dei BTS, prima del suo servizio militare. Questo servizio fotografico e l'intervista annessa sono contenuti inediti, disponibili esclusivamente su Harper's Bazaar. Star K-Pop di fama globale, nonché ambassador per Tiffany & Co., vi presentiamo ora gli scatti fatti da Bazaar a Jimin dei BTS, un'icona del suo tempo.
Durante l'intervista, condotta da Aoko Matsuda, Jimin indossava gioielli firmati Tiffany, con l'eleganza e la naturalezza di spirito che lo contraddistinguono.
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❝ Spero che tuttə quantə possano sempre trovare e sperimentare
anche solo un pizzico di gioia, nelle proprie esistenze ❞
In quanto membro dei BTS, hai contribuito molto a portare cambiamenti positivi nel mondo, ma quali sono le tue speranze per il futuro – non solo per la società e cultura a te più immediate, ma per il mondo in generale? Questa è la domanda cui è collegata la suddetta risposta. “Spero che tuttə quantə possano sempre trovare e sperimentare anche solo un pizzico di gioia, nelle proprie esistenze.” Questo potrà sembrare un auspicio piuttosto semplice, ma non lo è, specialmente in una società come la nostra, con tutte le problematiche d'attualità cui stiamo assistendo.
Tuttavia, le/i sue/oi fan e coloro che lo seguono da tempo sapranno sicuramente che Jimin ha sempre fatto tutto il possibile affinché le persone a lui care potessero sperimentare anche solo un pizzico di gioia
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Questo tipo di approccio traspare chiaramente anche dal suo album solista, “FACE”. Quando gli ho chiesto se avesse scoperto qualche nuova abilità o punto di forza, grazie alle sue attività individuali, la sua risposta – molto umile – è stata. “Era la prima volta che mi cimentavo in un progetto simile, ma grazie a questa prima esperienza, in futuro, vorrei mettermi ulteriormente alla prova e continuare a crescere.”
Personalmente, sono diversi anni che seguo Jimin e sono sua fan, ma ciò che non manca di sorprendermi ogni volta è che la sua non è solo modestia, è davvero convinto di ciò che dice.
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Un giorno stavo guardando un'esibizione di ‘DNA’, e ho pensato sarebbe stato interessante scoprire di più sul suo conto. L'ho visto balzare in primo piano sul verso “fin dalla creazione dell'Universo~” e sono diventata sua fan. Proprio così. E mentre cercavo informazioni su Internet e guardavo quanti più video possibili, come sotto incantesimo, ho trovato una clip in cui Jimin, dopo un'esibizione, era seduto mogio mogio e turbato per un errore commesso sul palco, come ha confidato allo staff in sua compagnia. Questa scena risale ai MMA 2019, subito dopo una performance mozzafiato, estremamente poetica. Vedere che non solo è un essere umano ed un artista perfetto, ma anche una persona capace di mostrare le sue fragilità me l'ha fatto amare ancor di più. Jimin è sempre così umile, così umano e questa sua sincerità d'animo arricchisce anche le bellissime performance che ci presenta sul palco.
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Durante le sue attività soliste, Jimin ha tenuto interviste individuali principalmente in inglese, ma è fluente anche in giapponese. Tra le/i fan, si è già fatto tanto parlare della premura con cui, quando posta sui social media, Jimin cerca sempre di scrivere in modo che il suo messaggio arrivi e sia facilmente comprensibile e trasponibile in quante più lingue possibile, quand'anche le/i fan usassero un traduttore automatico. Ero dunque curiosa di sapere come e quando avesse sviluppato questo tipo di approccio così attento ed intelligente rispetto alle parole e all'uso delle lingue, e la sua risposta è stata, “Sono davvero grato e felice le/i fan la pensino così. Ho ancora tante cose da migliorare, quindi credo siano fin troppo generosə e pazienti con me (ride).”
Essendo pienamente consapevole dell'amore che i BTS e lui stesso ricevono a livello globale, Jimin fa sempre del suo meglio per le/i fan – anche nelle piccole cose – e questo spirito traspare non solo dalle sue parole ma anche nei suoi gesti. Sicuramente le interazioni e risposte che riceve dalle/i fan sono tutte incommensurabili, ma ce n'è forse qualcuna che gli è rimasta particolarmente impressa?
“Sono grato per qualsiasi forma di feedback da parte loro, ma a volte le/i fan mi rispondono con una canzone. Quel tipo di risposta vale più di qualunque altro regalo.”
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Nel suo album solista, “FACE”, ha trasposto in musica ciò che ha provato durante la pandemia e, a questo proposito, ha menzionato che lo stare a ‘poltrire’ senza ‘fare niente’ è sicuramente un modo per disfarsi dello stress.
“Credo il momento in cui mi trovo più a mio agio in assoluto sia quando sto sdraiato sul sofà, a casa, senza dover fare nulla. L'ideale sarebbe poter riposare per un po' – non troppo, ma neanche troppo poco, magari per tre giorni, tipo. Sì, credo tre giorni sarebbero perfetti (ride).”
Jimin, che non ha paura di mostrare la sua fragilità, sa anche esprimere magistralmente luci ed ombre dell'animo umano, nelle sue performance. Ma cosa pensa di questi due aspetti, quando sono parte di lui, e come vi si approccia?
“Sono convinto che ognunə di noi abbia un lato più radioso e felice ed uno più cupo e triste. Penso sia importante accogliere e sperimentare appieno la gioia, quando stiamo bene, ma accettare anche le difficoltà e ciò che comportano. Credo il mio consiglio ed approccio riguardo lo stress sia semplicemente accettare ed affrontare di petto ogni momento per quello che è.”
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Per questo servizio fotografico, Jimin indossa gioielli firmati Tiffany. “Come sempre, sono molto soddisfatto di questi accessori, perché sono molto d'impatto pur nella loro semplicità.” Descrive i bijou come un 'cambiamento, qualcosa di diverso' per se stesso
“Quando indosso articoli di gioielleria, mi sento diverso. E questo vale specialmente quando ho riprese o servizi fotografici per riviste di moda. Quando porto gioielli diversi dal solito, provo anche sensazioni nuove, particolari.”
Osservare Jimin, il suo modo di porsi, il suo make-up ed il suo approccio alla vita – lui che accoglie e vive ogni momento per quello che è -, mi dà grandissima gioia e percepisco quel suo spirito libero. Quando gli ho chiesto se avesse un qualche segreto per fare suo quello stile, l'artista ha risposto:
“Non ho esattamente 'un segreto'. Semplicemente, sono grato per il senso di libertà che posso provare sul palco, quando mi esibisco, o durante un servizio fotografico – come quello di oggi, grazie a questi nuovi stili e concept.”
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L'anno scorso, i BTS hanno festeggiato il loro 10° anniversario; “Non significa che cambieremo, solo perché ora abbiamo raggiunto questa tappa nella nostra carriera. Da parte mia, farò del mio meglio per mostrarvi sempre lati nuovi e migliori di me, pur continuando a concentrarmi su ciò che ho sempre fatto.”
In conclusione, ricollegandomi al suo brano solista ‘Promise’, gli ho chiesto quale promessa avrebbe voluto fare a se stesso.
“ <Cerca di non cambiare troppo, in futuro>, è questo ciò che vorrei dire a me stesso.”
E allora aspettiamo con trepidazione il giorno in cui potremo rincontrare questo infaticabile e propositivo Jimin, che è sempre pronto a dare il meglio di sé.
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Se le foto potessero parlare, avrebbero tanto da raccontare.
Matteo Pirro
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rosaleona · 1 year
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Quando, qualche mese fa, il ministro Giorgia Meloni, per giustificare i suoi fallimenti politici, disse che stava governando nel periodo più difficile della Repubblica Italiana, pensai:
- E questo ti sembra il periodo più difficile della Repubblica? Che cacchio avrebbe dovuto dire allora Giuseppe Conte che ha governato durante una pandemia?-
Lo pensavo allora, nel bel mezzo della quarantena, lo penso adesso e lo penserò sempre: abbiamo avuto un culo immane ad avere Conte al governo durante la tempesta del Covid-19.
È stato il primo governante in Europa ad adottare misure drastiche pur di salvare quanti più cittadini possibile, ritenendo che la salute e la vita della società fossero più importanti dell'economia (economia=guadagni di una ristretta élite a discapito della maggior parte della popolazione).
Probabilmente si sarebbe potuto fare anche di più e di meglio se tre individui di nome Renzi, Salvini e Meloni non avessero rotto i cabbasisi per tutto il tempo.
La fortuna di questi tre soggetti è che si trovavano all'opposizione. Non dovevano prendere decisioni vitali in una situazione mai accaduta prima.
Se si fossero comportate da adulti maturi, avrebbero potuto avanzare non solo leciti dubbi su come gestire l'emergenza ma fornire anche pareri su come aggiustare e migliorare le leggi attuate.
Invece i tre soggetti trovavano molto più semplice (e forse, anche più divertente) sparare a zero contro qualsiasi iniziativa.
L'apice è stato raggiunto dal signore di Rignano, quello che si vanta continuamente del suo 41% di voti perché è stato l'unico successo degno di nota della sua carriera ( ma poi, 41% su quanti votanti? Un milione? Centomila? Diecimila? Perché se il suo 41% equivale a ventimila voti, non mi sembra abbia molto da tirarlsela) che arrivò a vaticinare "Se i morti di Bergamo potessero parlare, direbbero di riaprire tutto."
Ma certo.
Sono morta da sola in un letto d'ospedale per una malattia sconosciuta e il mio primo pensiero è per l'economia.
Non mi preme per la salute dei miei cari, per salvaguardarli ed evitare che si ammalino, sono angosciata solo dall'idea che l'imprenditore Ambrogio Brambilla non guadagni il suo milione d'euro mensili. Sono queste le priorità, in vita come in morte.
E nel loro piccolo, anche il signor Salvini e la signora Meloni hanno remato contro con tutte le loro forze, facendo sprecare al parlamento energie e tempo che avrebbero potuto essere meglio impiegate.
Spero che quei tre, dentro di loro, avessero la decenza di pensare " Cazzo che culo che non ci siamo noi a governare! Non sapremmo che fare al posto di Conte ". Ma è anche possibile che fossero talmente ignavi da non essere sfiorati da questi dubbi.
E il ministro Giorgia, a quei tempi tanto brava a pestare pugni sul tavolo (una parola, un pugno), adesso che ha la possibilità di mostrare agli avversari come si fa a farsi rispettare dall'Europa, non pugna più.
E ha la faccia tosta di dire che lei sta affrontando il periodo più duro della Repubblica.
E la maggioranza, per stornare l'attenzione dalle porcate commesse da quell'individua della Santanchè, decide di indagare Conte e Speranza per la gestione dell'emergenza covid.
Indagate quanto vi pare.
Perdete solo tempo.
Così come avete fatto perdere tempo al governo (e al Paese) quando blateravate di riaprire tutto in nome dei morti di Bergamo.
Dato che il fatto non sussiste, Conte e Speranza ne usciranno sempre puliti.
Fatevene una ragione.
Ma tanto non ve la fate.
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