#sacco a pelo
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MusucBag: il sacco a pelo innovativo https://www.design-miss.com/musucbag-il-sacco-a-pelo-innovativo/ Gli appassionati di campeggio estremo non potranno fare a meno di MusucBag, un sacco a pelo estremamente funzionale, realizzato appositamente per dormire, ma anche per camminarci agevolmente. Progettato da Rodrigo Alonso, questo sacco a pelo rivoluzionario è fornito di pratiche cerniere di ventilazione in corrispondenza della gambe e ad azione rinfrescante, tasche MP3 per ascoltare […]
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Ho conosciuto cosi tante maschere in vita mia che alla fine per amore di qualcuna di loro, l'ho dovuta indossare anch'io. D'altronde se tu vuoi essere gradito ad un pazzo, devi sembrargli un pazzo anche tu come Jack Nicholson con i suoi "picchiatelli". O se vuoi conquistare la fiducia di un povero, devi essere povero anche tu, come Gesù che scelse di essere povero, ci si era fatto da solo fino dall'inizio, ed ha vissuto in mezzo a loro e ai lebbrosi, agli affamati, e ai mendicanti, alle prostitute e ai peccatori "il medico viene per i malati e non per i sani", se dunque vuoi entrare nelle grazie di qualsiasi altra persona sofferente e sensibile, non puoi non sanguinare come loro.
Come dice Paolo nelle lettere ai Corinzi "mi son fatto giudeo con gli ebrei per poter guadagnare i giudei, debole con i più deboli, per guadagnare i deboli, mi sono fatto tutto a tutti, per poterne guadagnare il maggior numero". E cosi, se essi fanno festa, fai festa con loro e se piangono, tu piangi insieme a loro, se ridono ridi, e se ballano balla anche tu. Se vuoi vivere le emozioni delle persone e trovare complicità, allora sii anche tu un portatore sano di emozioni, ed un complice sincero per tutti coloro che ti seguono e ti sono vicini. La verità, è che non ho dovuto indossare nessuna maschera perchè nella realtà della mia vita e nei venti anni di cammini, io ho praticato tutto questo naturalmente e senza sforzo. Amo la buona tavola e mangiare e bere bene, ma, so anche mangiare pane e cipolla e sentirmi grato, amo il mio letto a due piazze, ma da pellegrino e indiano navigato, so anche dormire per terra nel sacco a pelo. Per tutto questo, mi sento spesso un privilegiato. Sono stato ricco e povero e Re e mendicante, è stato cosi che ho imparato che la ricchezza vera, reale non la determina il conto in banca, ma l'abbondanza di quell'amore che si ha nell'anima e nel cuore. L'apostolo Paolo termina poi dicendo: "Ora io faccio questo per l'evangelo affinchè ne sia partecipe anch'io". Fin da sempre ho seguito le orme di Paolo per seguire quelle di Gesù. Era un fariseo peccatore, io ero ateo gran peccatore antifariseo, ma come lui, disarcionato e salvato per grazia. Un fuorilegge, protestante.
lan ✍️📷
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🇮🇹 Italian Vocab - Camping 🏕️
campsite - il campeggio
shelter - il riparo
tent - la tenda
tent peg - il picchetto da tenda
tent pole - il paletto da tenda
mallet - il martello da campeggio
camping mattress - il materassino da campeggio
inflatable mattress - il materassino gonfiabile
camp bed - il lettino da campeggio
sleeping bag - il sacco a pelo
firewood - la legna da ardere
campfire - il fuoco di bivacco
camping stove - il fornello da campeggio
gas canister - la bombola del gas
picnic - il picnic
backpack - lo zaino
compass - la bussola
binoculars - il binocolo
a hike - l'escursione
hiking pole - il bastone da escursionismo
path - il sentiero
caravan - la roulotte
camper van - il camper
a tow hook - il gancio da traino
trailer - il rimorchio
roof rack (on a car) - il portapacchi
insect repellent - l'insettifugo
toilets - i bagni
showers - le docce
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NOI SIAMO VITTIME E NON CARNEFICI
Lisa, Marco e il cane Lino. Dalla primavera vivono in questo angolo di Cinecitta', fermata Lucio Sestio della metro. Il muretto e' il loro letto, la panchina di marmo il loro salotto. Quell'angolo a cielo aperto e' la loro casa in tutto e per tutto. Una valigia con qualche straccio di ricambio, le colonnine telecom a fare da mensola per saponi, deodoranti, zucchero, sale, qualche barattolo di vetro pieno di detersivo e un marciapiede- pavimemento sempre lindo e pinto da poterci mangiare sopra. E poi c'e' la loro storia. Buttati fuori dalla loro casa popolare da delinquenti mafiosi che poi quelle case le rivendono. Nessun aiuto, nessuna giustizia. Lisa si e' tagliata i capelli a zero per avere una testa piu' pulita. Cardiopatica, diabetica e altre mille complicanze. Marco, il giorno se ne sta spesso vicino al mercato con il suo bastardino nella speranza di rimediare qualche elemosina o qualcosa da mangiare, regalata da persone di cuore che tirano fuori cose dai loro carrelli della spesa per sostenere tutta quella pena comunicativa. Quando ci parli racconta poco di se' stesso. Tutto il suo fiume di parole lo regala per quella sua compagna cosi sfortunata e malconcia. Pero' non ne parla mai con rassegnazione. No! Sempre con spirito fiero, come avesse accanto una combattente nata. Lei dorme, ricoperta da un sacco a pelo, lui racconta e le carezza continuamente la testa, come a volerle dire: "dai, vedrai che insieme ce la faremo anche questa volta. Ce la caveremo come abbiamo fatto sempre". Quel "ce la caveremo" non pretende molto, anzi, quasi niente. Questa e' gente disperata dalla nascita, gente abituata a lottare ogni giorno con le unghie e con i denti. Gente che se riesce a mangiare e' come vincere una lotteria. Gente comunque fiera, dignitosa. Ci parli e sembra sempre vogliano scusarsi per il fastidio che potrebbero dare a chi ce l'ha fatta, scusarsi per quelle loro mani tese che chiedono aiuto: qualche spicciolo o una semplice mela. Quando passo davanti quella loro casa sotto le stelle mi fermo sempre. Chiedo come se la stanno passando. A volte do a lui qualche 20 o 50 euro. Li do sempre con un po' di vergogna, forse perche' non e' solo quello che a loro serve. Stamattina Marco m'ha commosso. M'ha chiesto se conoscevo qualche B&B in zona che potesse accettarli per un paio di giorni. Ha detto che Lisa doveva riposare, farsi una doccia perche' non puoi lavarti sempre alla fontanella. Questa estate e' stata durissima sotto quel sole cocente, quel caldo asfissiante. Lisa doveva riposare, ne aveva bisogno estremo e lui voleva accontentarla. Voleva solo vedere la sua Lisa almeno una notte dormire sopra un letto vero. Voleva farle almeno questo regalo. Un regalo enorme, come chi regala un brillante enorme alla sua donna.
Noi siamo abituati a vedere storie come queste in tv o a leggerle sui giornali. Abbiamo uno schermo che racconta, che fa vedere ma non tocchiamo mai con mano e invece le cose, per capirle, per capirle veramente le devi toccare, ci devi stare dentro. Per capire, come e' scritto in quel cartello che Marco ha messo in un angolo di quella sua casa, che loro sono vittime e non carnefici. @ilpianistasultetto
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Fiabe classiche
Rosabianca e Rosarossa o Biancaneve e Rossella.
C'era una volta una povera vedova madre di due belle bambine che aveva chiamato Rosabianca e Rosarossa come i due roseti che crescevano intorno alla loro casetta.
Le due sorelle si amavano moltissimo anche se di carattere erano molto diverse ,Biancaneve era più mite e Rosarossa era più vivace ma nonostante questo amavano passare del tempo insieme e non si separavano mai.
Alle due ragazze piaceva passare molto tempo nel bosco tra i fiori le farfalle e gli animali che non facevano loro nel male anzi al loro passaggio si ammansivano e facevano loro le feste .
Capitava spesso che a volte si trattenessero così tanto che si addormentavano nel bosco
Una mattina le due fanciulle si svegliarono sull'orlo di un precipizio e davanti a sé scorsero una figura eterea di donna con una veste luccicante (in alcune versioni e'un bambino )
La mamma disse loro che sicuramente era un angelo che le aveva protette.
Arrivò l'inverno ma nella casetta di Rosabianca a e Rosarossa benché umile era pulitissima e accogliente e non mancava niente,legna cibo ,ma soprattutto tanto amore.
La sera si mettevano davanti al camino e la mamma leggeva loro un bel libro e a farle compagnia avevano anche un capretto e un uccellino.
Una sera venne a bussare alla porta un grosso orso,all'inizio ci fu un vero spavento il capretto cominciò a belare ,l'uccellino si nascose e le due ragazze si camuffarono dietro la veste della madre.
Ma l'orso disse loro che voleva solo scaldarsi perché fuori faceva tanto freddo e poi se ne sarebbe andato .
La madre lo fece entrare e lo fece accomodare davanti al camino e Rosarossa e Rosabianca gli tolsero la neve dal pelo;poi cominciarono a giocare con lui e così passò la notte
Così tutte le sere l'orso si presentava si scaldava e giocava con loro poi diceva loro una frase "per favore non vi maritate mai".
Arrivò di nuovo la primavera e l'orso disse alle due sorelle che non sarebbe più venuto la sera a trovarle poiché doveva proteggere i suoi averi dai nani che con la primavera uscivano da sottoterra e rubavano tutto quello che trovavano.
Una sera le sorelle erano nel bosco a fare legna quando scorsero un nano a cui era rimasta impigliata la barba dentro un tronco.
Così Rosarossa dopo tanto tirare decise di tagliare la barba del nano con un paio di forbici per liberarlo.
Il nano invece di ringraziare prese un sacco di gemme preziose che stava sotto l'albero e se ne andò imprecando senza ringraziare
Un pò di tempo dopo le ragazze si recarono a pescare quando videro il solito nano che urlava poiché un pesce lo trascinava perché era rimasto impigliato alla lenza
Così le due sorelle tagliarono un altro pezzo di barba al nano per liberarlo ma lui ancora ingrato se ne andò brontolando senza aver preso prima un grosso sacco pieno di perle.
Un pò di tempo dopo incontrarono di nuovo il nano che era stato catturato da un aquila e lo liberarono dai suoi artigli e il nano come al solito invece di ringraziare se ne andò lamentandosi della giacca lacerata ,poi si caricò sulle spalle un sacco di monete d'oro e se ne andò.
Sulla strada del ritorno Rosabianca e Rosarossa videro il nano spargere tutti i suoi averi sul prato,quando fu attaccato da un grosso orso.
Il nano pregava l'orso di risparmiarlo e di mangiare le due ragazze al posto suo .
Ma l'orso non lo ascoltò e gli dette una grossa zampata.
Le due sorelle stavano per fuggire terrorizzate quando l'orso le chiamò e fu così che riconobbero la voce dell'amico,che improvvisamente si tramutò in un bel giovane vestito d'oro.
Il ragazzo spiegò loro che era il figlio del re ma che il nano che aveva appena sconfitto gli aveva fatto un incantesimo per rubargli tutti i suoi averi costringendolo a vagare nei boschi sotto forma di orso.
Cosi Rosabianca dopo un pò sposò il principe e Rosarossa il fratello ,la madre andò a vivere a palazzo con loro e vissero felici ancora per molti anno
Fratelli Grimm
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Via degli Dei Tappa 1: Bologna - Brento
- la genialità del sacco a pelo la sapete già. Mi aspetta sui binari in attesa che torni. Era un’amore impossibile. Per fortuna che in centro a Bologna c’è una Decathlon anche se avrei preferito risparmiare sto cinquantello
- sono rimasto bloccato al -4 della stazione di Bologna perché hanno chiuso tutte le scale mobili. 3/4 d’ora in fila per l’ascensore. Questi sono segni che dovrei tornare a casa MA NON MOLLO
- mezza Bologna bloccata per la strabologna ma me ne strafrego e passo ovunque senza che nessuno mi fermi. Strano
- a una certa sorpasso una coppia che mi fa “si vede che sei nell’esercito, guarda che passo portentoso” grazie zi ma mai stato nelle guardie sorry
- pensavo che le salite fossero graduali invece si passa da pianura da centro storico a discesa libera Bormio 2000 a Salita da monte Fato
- il mio B&B è pieno di gatti mi trasferisco qui
Acciacchi: spalle dolore 5/10
Felice: 7/10
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Dovrei potare le piante ma piove, quindi animata da un insolito spirito produttivo decido di contrastare la mia tendenza all'accumulo e dedicarmi alla casa sistemando un armadio che non ha mai avuto un uso specifico. Nel senso ci ho messo le cose provvisoriamente e a caso che tanto poi le sistemo, ma son passati 5 anni e va be avete capito. Oltre a troppe cianfrusaglie e vestiti di due taglie fa che ho già smistato tra beneficenza, mercatini e Vinted nei ripiani in alto ho trovato: una racchetta da tennis, gli scarponi da snowboard, un sacco a pelo, tre clavette da giocoliere, un trivial pursuit, un materasso gonfiabile, delle ciabatte giganti a forma di dinosauro, un accordatore per chitarra elettrica, un poster di Miss Dronio, delle tende non mie, degli scampoli di stoffa e delle formine per ghiaccio a forma di pene. Ma come è possibile avere tutte queste cose? Ovviamente molte sono nuove o quasi, per alcune mi sono dovuta concentrare per ricordare da dove venissero o perché le avessi comprate. In futuro cercherò la forza di affrontare altri armadi. Forse. Tra un po'.
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UN VIAGGIO NELL'ORRORE
Tranquilli, non è il vostro viaggio ma il mio.
Io sono nato all'inizio degli anni '70, quindi mi sono fatto prima tutta la cinematografia horror di Dario Argento&co e poi tutti gli slasher americani con le icone classiche quali Jason, Freddy, Leatherface etc.
Ma c'è un problema...
Io non ho mai visto nessuno di quei film fino al 1990.
Vedete, io vivevo in una famiglia molto particolare™ dove la televisione era vista come il male assoluto, ragion per cui fino ai 14 anni io sono stato costretto ad andare a letto alle nove di sera e durante il giorno potevo guardare solo un'ora di televisione (stranamente non era conteggiato il tempo davanti al Commodore 64 e indovinate un po' chi era il mio migliore amico).
In quell'ora a disposizione io cercavo, ovviamente, di farci stare i miei cartoni animati preferiti ma non mi era possibile guardare film, tantomeno di sera.
Me li facevo raccontare.
Sì perché, evidentemente, il concetto di film non adatto ai bambini si applicava solo a me mentre tutti i miei amici, invece, rimanevano alzati fino a tardi a guardare film pazzeschi insieme ai loro genitori e il giorno dopo me li raccontavano.
A difesa dei miei genitori posso dire che in effetti ero un bambino particolarmente impressionabile ed è forse a causa dei sogni che facevo alle elementari che scelsero di non espormi a quello che in linguaggio tecnico viene definito nightmare fuel.
Non che ne avessi bisogno, intendiamoci.
Per esempio, in terza o in quarta elementare fui perseguitato da quello che io avevo soprannominato Il Burattinaio Cadavere, che si manifestava nel seguente modo: prima io mi trovavo in un qualsiasi luogo a me conosciuto (casa, scuola, parco giochi etc) poi improvvisamente tutto diventava scuro e dei fili tipo ragnatele scendevano dal cielo per toccare le decine di cadaveri che improvvisamente erano apparsi accasciati a terra, i quali si rianimavano come burattini e mi venivano barcollando incontro. Ovviamente mi svegliavo urlando come un ossesso.
E che dire della Lamante, una donna che ogni notte mi faceva vedere un buco sul braccio e mi sussurrava 'Se mi aspetti poi ti faccio vedere cosa mi hanno fatto'. E dopo tornava con le braccia amputate e due lame lunghissime innestate cercando di trafiggermi.
E poi il Buio, la Porta, il Verme Oculare, lo Sghignazzatore Maledetto...
(Beh, forse ero un qualcosa di diverso da 'impressionabile' ma vabbe'...)
Comunque, il primo film horror che vidi a casa di un amico fu Halloween di John Carpenter e al di là dell'angoscia di vedere REALMENTE un qualcosa horror, mi piacque parecchio e lì cominciò la mia collezione di problemi.
Come qualsiasi manuale di pedagogia insegna fin dai primi capitoli, la lunga privazione di un qualcosa di proibito che ero l'unico a non possedere mi spinse a fare binge watching di ogni film horror, di ogni libro di Stephen King, Clive Barker, Lovecraft e persino a scegliere come gioco di ruolo preferito Call of Cthulhu invece del più innocuo Dungeons&Dragons.
Andai fuori di testa.
Ogni notte un Geteit Chemosit che indossava la faccia strappata di mia madre cercava di entrare in camera mia e di giorno giravo sempre armato perché non si sa mai.
Mandai quasi in ospedale la mia povera mamma che ebbe la pessima idea di entrare in camera mia perché mi lamentavo nel sonno (non avevo capito che la faccia era attaccata alla persona giusta) e a distanza di anni ancora ridiamo con i miei amici di quando in campeggio tenni sollevato per il collo lo sventurato che fece un verso sospetto quando, uscendo per pisciare ancora mezzo addormentato, calpestai per sbaglio il suo sacco a pelo.
Per me valeva il motto 'L'uomo che dorme con un machete sotto al cuscino è un pazzo tutte le notti tranne una' e infatti la routine serale dei miei amici era aspettare che mi addormentassi e poi nascondere tutte le mie armi (grazie Francesca perché quella notte particolare avrei senza dubbio ucciso tutti con la mia Katana).
La notte, insomma, non mi è stata mai amica perché forte in me era la convinzione, per non dire la certezza, che il sonno rendesse possibile la venuta di orrori innominabili che si arrampicavano lungo la parte sbagliata della luce.
Verso i diciannove anni facemmo una festa per la fine della Maturità in un'enorme casa di campagna di non mi ricordo chi e dopo aver bevuto l'impossibile ognuno si appropriò di una stanza a casa, chi per trombare (non io) chi per collassare (io).
Solo che non collassai.
Come in un racconto breve di Stephen King mi misi a sedere su un vecchio letto col materasso di lana e tenendo i piedi nudi su un pavimento di cotto dalle piastrelle tutte storte (assurdo come certi particolari rimangano impressi) cominciai a fissare la porta chiusa.
Faceva caldo ma l'avevo chiusa.
Improvvisamente sento una sensazione strana sulla schiena, come di brividi, e i capelli mi si rizzano sulla nuca.
Un pensiero mi si insinua nelle tempie come un ago nel polistirolo...
'Sta arrivando'.
E poi abbasso lo sguardo e vedo che sto tenendo in mano un lungo coltello da macellaio, che evidentemente non ricordavo di aver preso giù in cucina.
Non ricordavo di averlo preso o forse in quel momento avevo capito qualcosa?
Sta arrivando
Punto i piedi a terra...
STA ARRIVANDO
Mi alzo e stringo più forte il coltello
STA ARRIV...
Ma io mi muovo per primo e scatto verso la porta con un fendente dal basso verso l'alto che avrebbe aperto in due la pancia dell'essere non appena avesse spalancato la porta.
TUNC!
Guardo la lama affondata a metà nel pannello della porta chiusa, assolutamente chiusa ma così chiusa che pareva l'emblema della possibilità che io quella sera trombassi.
Allora scendo in cucina, rimetto il coltello nel cassetto e tra i gorgoglii dei conati di vomito di chi aveva ecceduto e l'assoluto silenzio di chi non stava minimamente trombando, mi sdraio sul letto e mi addormento di un sonno senza sogni.
La parte più nobile e metafisica di me vuole pensare che con quell'ultimo fendente dato al vuoto in realtà uccisi definitivamente l'oscurità in me ma in realtà credo di aver semplicemente realizzato che chiunque fosse entrato in quel particolare momento si sarebbe visto rovesciare gli intestini sul pavimento e questo non rientrava tra le cose che avrei voluto fare da grande.
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la gif del fisico femminile che si tocca il corpo che ho condiviso, ha fatto un sacco di like, sicuramente per via del seno, ma io l'ho condivisa per altro 😅 menomale che non vi siete scandalizzati per il pelo, anzi!
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Luca Marinelli da brividi: l'attore nella veste insolita di cantante esegue 'The ghost of Tom Joad'
Marinelli canta Springsteen che parla dell'interprete di "Furore" (Steinbeck)
Testo in Italiano
Uomini camminano lungo i binari,
vanno in un posto da cui non si ritorna,
elicotteri della polizia stradale arrivano sopra il ponte,
minestra scaldata su un falò sotto il ponte
la fila per un soccorso è così lunga da girare l'angolo,
benvenuti al nuovo ordine mondiale
famiglie dormono nelle loro macchine nel Sudovest
senza casa, senza lavoro, senza pace, senza riposo.
l'autostrada è viva stasera,
ma nessuno prende in giro nessuno su dove porti,
sto qui seduto alla luce del falò
cercando il fantasma di Tom Joad
lui prende un libro di preghiere dal proprio sacco a pelo,
il predicatore accende una sigaretta e aspira
aspettando il giorno in cui l'ultimo sarà il primo e il primo sarà l'ultimo
dentro una scatola di cartone nel sottopassaggio
hai un biglietto di sola andata verso la terra promessa,
hai un buco nello stomaco per la fame e una pistola in mano
dormi su un cuscino di pietra dura
ti lavi negli acquedotti della città
l'autostrada è viva stasera,
tutti sanno dove porti,
sto qui seduto alla luce del falò
cercando il fantasma di Tom Joad
Tom disse "mamma, ovunque trovi un poliziotto che picchia un ragazzo,
ovunque trovi un neonato che piange per la fame
dove ci sia nell'aria la voglia di lottare contro il sangue e l'odio
cercami, mamma, io sarò lì
ovunque trovi qualcuno che combatte per un posto dove vivere
o un lavoro dignitoso, un aiuto,
ovunque trovi qualcuno che lotta per essere libero,
guarda nei loro occhi, mamma, vedrai me"
beh l'autostrada è viva stasera
ma nessuno prende in giro nessuno su dove porti,
sto qui seduto alla luce del falò
con il fantasma del vecchio Tom Joad
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Ho notato anche io che gli italiani sui commenti dei social sono una cosa insopportabile.. si lamentano sempre di tutto e in maniera pesante, anche quando non serve. E soprattutto prendono tutto quello che si dice come se fosse rivolto a loro nello specifico.. e devono farti sapere che il tuo contenuto non gli piace. Proprio non ce la fanno a dire "okay non mi piace, passo avanti o clicco che non mi interessa"
Esempio 1: tizio pubblica un video di consigli su ristoranti/pasticcerie buoni di una città. I commenti: "eh ma non sono ristoranti tipici del posto!!", "Che schifo, chi si mangerebbe un brownie invece che un cornetto?", "Ma questi non sono ristoranti italiani"
Ma io dico... ha scritto "ristoranti tipici di xyz"? No! E allora di cosa ti lamenti! Magari non è un video per i turisti ma semplicemente un video per chi già vive lì e vuole provare cose nuove.. ma sia mai 😩
Esempio 2: persona vegana pubblica una ricetta vegana/persona pubblica una ricetta rivisitata. I commenti: "eh ma io sono allergica a quello", "che schifo questa roba", "e ma la ricetta originale non è così!!!", "Eh ma non capirò mai voi vegani"
Esempio 3: ragazza con qualche pelo sulle gambe/ascelle/viso sta parlando di qualcosa. I commenti: "si ma depilati", "che brutta mamma mia", "con quei peli non ti troverai mai nessuno"
Io boh, mi fanno venire un nervoso delle volte! Perché i commenti così sono molto più presenti dei commenti positivi sotto questi video, e mi dispiace un sacco per le persone che si mettono d'impegno a crearli.
Scusa alla fine mi sono lamentata anche io, da true italian 😭
Verissimo, la cosa che a me dà più fastidio di tutte è dover sottolineare sempre la superiorità di tutto ciò che è italiano, nostro, tradizione. Una persona non può trasferirsi all'estero e stare bene perché bisogna sempre ricordare che il panorama dell'Italia è migliore, la pizza è meglio del sushi quindi dio non voglia che una sera usciamo a mangiare qualcosa di diverso, noi siamo carnivori quindi vade retro le ricette vegane. Denota una chiusura mentale esagerata and also che vita noiosa senza confrontarsi mai con qualcosa fuori dalla tua piccola bolla nazionale.
+ noi ci lamentiamo ma almeno lo facciamo sui nostri blog o tra di noi, non nei commenti di gente che sta vivendo la sua vita lmao
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Sempre a proposito del "suono - senso"...
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Alessandro Baricco "racconta" Carmelo Bene
Carmelo Bene. Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui. Perduto, insomma. Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una lettura dei Canti Orfici di Dino Campana.
L'ho mancato per un pelo un sacco di volte, e alla fine ci sono riuscito a trovarmi una poltrona, in un teatro, con davanti lui. A Napoli, all'Augusteo. Scena buia, solo un leggio. Lui, lì, con una fascia sulla fronte alla McEnroe, e dei segni di cerone bianco sotto gli occhi. Un microfono davanti alla bocca, e una luce addosso. Cinquanta minuti, non di più. Non so gli altri: ma io me li ricorderò finché campo.
Non è che si possa scrivere quel che ho sentito. Né cosa, precisamente, lui faccia con la sua voce e quelle parole non sue. Dire che legge è ridicolo. Lui diventa quelle parole, e quelle non sono più parole, ma voce, e suono che accade diventa Ciò-che-accade, e dunque tutto, e il resto non è più niente. Chiaro come il regolamento del pallone elastico. Riproviamo.
Quando sono uscito non avrei saputo dire cosa quei testi dicevano. Il fatto è che nell'istante in cui Carmelo Bene pronuncia un parola, in quell'istante, tu sai cosa vuol dire: un istante dopo non lo sai più. Così il significato del testo è una cosa che percepisci, si, ma nella forma aerea di una sparizione. senti il frullare delle ali, ma l'uccello non lo vedi: volato via. così, di continuo, ossessivamente, ad ogni parola. E allora non so gli altri, ma io ho capito quel che non avevo mai capito, e cioè che il senso, nella poesia, è un'apparizione che scompare, e che se alla fine tu sai volgere in prosa una poesia allora hai sbagliato tutto, e, a dirla tutta, la poesia esiste solo quando diventa suono, e dunque quando la pronunci a voce alta, perché se la leggi solo con gli occhi non è nulla, è prosa un po' vaga che va a capo prima della fine della riga ed è scritta bene, ma poesia non è, è un'altra cosa.
Diceva Valéry che il verso poetico è un'esitazione tra suono e senso: ma era un modo di restare a metà del guado. Se senti Carmelo Bene capisci che il suono non è un'altra cosa dal senso, ma la sua stagione estrema, il suo ultimo pezzo, la sua necessaria eclisse. Ho sempre odiato, istintivamente, le poesie in cui non si capisce niente, neanche di cosa si parla. Adesso so che c'è qualcosa di sensato in quel rifiuto: rifiuta una falsa soluzione. Quel che bisognerebbe saper scrivere sono parole che hanno un senso percepibile fino all'istante in cui le pronunci, e allora diventano suono, e allora, solo allora, il senso sparisce. Edifici abbastanza solidi da stare in piedi, e sufficientemente leggeri da volare via al primo colpo di vento.
È meraviglioso come tutto questo non abbia niente a che fare con l'idea che si ha normalmente della poesia: un poeta soffre, esprime il suo dolore in belle parole, io leggo le parole, incontro il suo dolore, lo intreccio col mio, ci godo. Palle: per anime belle. Tu senti Carmelo Bene e il poeta sparisce, non esprime e comunica niente, l'attore sparisce, non esprime e comunica niente: sono sponde di un biliardo in cui va la biglia del linguaggio a tracciare traiettorie che disegnano figure sonore: e quelle figure, sono icone dell'umano. Le poesie non sono delle telefonate: non le si fanno per comunicare. Le poesie dovrebbero esser pietre: il mare o il vento che le hanno disegnate, sono poco più che un'ipotesi.
Non spiega quasi nulla, Carmelo Bene, durante lo spettacolo. Solo un paio di volte annota qualcosa. E quando lo fa lascia il segno. Dice: leggere è un modo di dimenticare. Testualmente, nel suo linguaggio avvitato sul gusto del paradosso: leggere è una non-forma dell'oblio. Non so gli altri: ma a me m'ha fulminato. L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato. Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere. Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pagina soltanto, che poi qualcuno prende in mano, e a voce alta la pronuncia, e nell'istante in cui la pronuncia, parola per parola, sparisce, parola per parola, sparisce per sempre, sparisce anche l'inchiostro sulla pagina, tutto, e quando quello arriva all'ultima parola sparisce anche quella, e alla fine ti restituisce il foglio e il foglio è bianco, neanche tu ti ricordi bene cosa avevi scritto, solo ti rimane come una vaga impressione, un'ombra di ricordo, qualcosa come la sensazione che tu, una volta, ce l'avevi fatta, e avevi scritto una poesia.
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Alessandro Baricco "racconta" Carmelo Bene
Carmelo Bene. Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui. Perduto, insomma. Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una lettura dei Canti Orfici di Dino Campana.
L'ho mancato per un pelo un sacco di volte, e alla fine ci sono riuscito a trovarmi una poltrona, in un teatro, con davanti lui. A Napoli, all'Augusteo. Scena buia, solo un leggio. Lui, lì, con una fascia sulla fronte alla McEnroe, e dei segni di cerone bianco sotto gli occhi. Un microfono davanti alla bocca, e una luce addosso. Cinquanta minuti, non di più. Non so gli altri: ma io me li ricorderò finché campo.
Non è che si possa scrivere quel che ho sentito. Né cosa, precisamente, lui faccia con la sua voce e quelle parole non sue. Dire che legge è ridicolo. Lui diventa quelle parole, e quelle non sono più parole, ma voce, e suono che accade diventa Ciò-che-accade, e dunque tutto, e il resto non è più niente. Chiaro come il regolamento del pallone elastico. Riproviamo.
Quando sono uscito non avrei saputo dire cosa quei testi dicevano. Il fatto è che nell'istante in cui Carmelo Bene pronuncia un parola, in quell'istante, tu sai cosa vuol dire: un istante dopo non lo sai più. Così il significato del testo è una cosa che percepisci, si, ma nella forma aerea di una sparizione. senti il frullare delle ali, ma l'uccello non lo vedi: volato via. così, di continuo, ossessivamente, ad ogni parola. E allora non so gli altri, ma io ho capito quel che non avevo mai capito, e cioè che il senso, nella poesia, è un'apparizione che scompare, e che se alla fine tu sai volgere in prosa una poesia allora hai sbagliato tutto, e, a dirla tutta, la poesia esiste solo quando diventa suono, e dunque quando la pronunci a voce alta, perché se la leggi solo con gli occhi non è nulla, è prosa un po' vaga che va a capo prima della fine della riga ed è scritta bene, ma poesia non è, è un'altra cosa.
Diceva Valéry che il verso poetico è un'esitazione tra suono e senso: ma era un modo di restare a metà del guado. Se senti Carmelo Bene capisci che il suono non è un'altra cosa dal senso, ma la sua stagione estrema, il suo ultimo pezzo, la sua necessaria eclisse. Ho sempre odiato, istintivamente, le poesie in cui non si capisce niente, neanche di cosa si parla. Adesso so che c'è qualcosa di sensato in quel rifiuto: rifiuta una falsa soluzione. Quel che bisognerebbe saper scrivere sono parole che hanno un senso percepibile fino all'istante in cui le pronunci, e allora diventano suono, e allora, solo allora, il senso sparisce. Edifici abbastanza solidi da stare in piedi, e sufficientemente leggeri da volare via al primo colpo di vento.
È meraviglioso come tutto questo non abbia niente a che fare con l'idea che si ha normalmente della poesia: un poeta soffre, esprime il suo dolore in belle parole, io leggo le parole, incontro il suo dolore, lo intreccio col mio, ci godo. Palle: per anime belle. Tu senti Carmelo Bene e il poeta sparisce, non esprime e comunica niente, l'attore sparisce, non esprime e comunica niente: sono sponde di un biliardo in cui va la biglia del linguaggio a tracciare traiettorie che disegnano figure sonore: e quelle figure, sono icone dell'umano. Le poesie non sono delle telefonate: non le si fanno per comunicare. Le poesie dovrebbero esser pietre: il mare o il vento che le hanno disegnate, sono poco più che un'ipotesi.
Non spiega quasi nulla, Carmelo Bene, durante lo spettacolo. Solo un paio di volte annota qualcosa. E quando lo fa lascia il segno. Dice: leggere è un modo di dimenticare. Testualmente, nel suo linguaggio avvitato sul gusto del paradosso: leggere è una non-forma dell'oblio. Non so gli altri: ma a me m'ha fulminato. L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato. Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere. Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pagina soltanto, che poi qualcuno prende in mano, e a voce alta la pronuncia, e nell'istante in cui la pronuncia, parola per parola, sparisce, parola per parola, sparisce per sempre, sparisce anche l'inchiostro sulla pagina, tutto, e quando quello arriva all'ultima parola sparisce anche quella, e alla fine ti restituisce il foglio e il foglio è bianco, neanche tu ti ricordi bene cosa avevi scritto, solo ti rimane come una vaga impressione, un'ombra di ricordo, qualcosa come la sensazione che tu, una volta, ce l'avevi fatta, e avevi scritto una poesia.
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Sono riuscito a chiudere il sacco a pelo alla prima botta senza l'aiuto di nessuno posso metterlo nel cv?
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Cani sciolti e bagnati
Sono le 2:50 del mattino, forse le 3.
La tenda è una toppa tra noi e il resto, fuori piove dalle 9 della sera precedente e dentro è tutto umido.
Clima da jungla di nylon e di plastica calda, odore di pelle e di stanchezza.
Sono mezzo dentro e mezzo fuori al sacco a pelo, cercando di mettere insieme la voglia e le gambe per uscire sotto il temporale e per riprendere a correre, o quanto meno iniziare a camminare mestamente.
Giulio è rannicchiato nell’ altro angolo, non credo dorma. Avrà gli occhi chiusi e le orecchie rivolte al temporale che batte forte su questo telo più simile ad un’ illusione che ad un riparo.
È difficile dire se e quanto si riesca a dormire durante queste notti in tenda. A volte scivolo per minuti abissali. Scivolo sempre, ma non so dove.
Spesso la mente non stacca e continua a vedere sentieri, creste e valloni. Ma ne immagina anche di nuovi ed è una dolce e irritante ossessione nel dormiveglia, un’ altalena tra sonno, voglia di non ripartire, voglia di correre ancora.
Ieri abbiamo corso 60 chilometri, siamo arrivati tardi, abbiamo mangiato ancora più tardi e siamo entrati in tenda già umidicci.
Il tutto circa 4/5 ore fa al massimo.
Sono andato a dormire esattamente vestito così come ho corso nelle precedenti 14/15 ore, ho tolto qualche crosta di fango dalle gambe e basta, ma ho pettinato la barba come se fosse un cespuglio e mi sono lavato i denti almeno.
Poche ore fa, prima di infilarmi nel sacco, ho tentato di togliere i calzini per capire la situazione.
I piedi erano piagati dall’ acqua e c’era del sangue secco vicino ai mignoli. Le unghie erano ancora appese ai mignoli, ma abbastanza fresche da non poterle staccare, quindi le ho lasciate tranquille nelle calze. Ho scoppiato un paio di vesciche e ho strappato la pelle con le dita. Sotto la pelle resta rossa, un ‘rosso bambino’ e brucia, ma ho tirato su le calze bagnate e nient’ altro. Ho capito che basta non pensarci e correrci sopra come sempre. A volte bisogna essere bambini. Come nella vita, ma solo a volte, perché di solito penso troppo.
Domani sera a Tarvisio forse penserò ai piedi, dopo altri 45 chilometri. Magari potrò lavarmi.
Nel sacco a pelo, vicino a me, tengo alcune cose che vorrei si asciugassero un po’ con il mio calore corporeo, ma non ho ancora capito se sono le magliette bagnate a trasmettermi altro umido o se sono io ad asciugarle leggermente.
Credo che il livello di minimalismo ed essenzialità sia cos�� efficace, che ogni piccolo gesto è un inaspettato comfort, compresa una maglietta meno umida e riscaldata nel sacco a pelo.
Nell’ angolo della tenda, nel lato dove dormo, ogni mattina ritrovo le cose che rapidamente mi servono per la giornata. Pettorale, cappello e occhiali, zainetto, borracce e scarpe. Poi c’è lo zaino più grande con alcuni ricambi e dove infilo dentro il sacco e il materassino, prima di caricare tutto sul furgone.
Tutto è umido e puzzolente, io soprattutto, in particolare i piedi, ma quelli mi puzzano anche quando esco dalla doccia, nella vita ‘normale’.
La puzza di piedi è un’ eredità, non ci posso fare niente, è come un talento ma al contrario, tuttavia in questi 4 giorni di corsa, il mio odore/puzza ha trovato la sua dimensione, libero di essere ciò che è, senza costrizioni.
I cani bagnati puzzano, anche se in realtà i miei tre cani non puzzano per niente. Anche questo è un talento, in un certo senso.
Puzzo più io di loro.
Mi capita di pensare anche a loro tre in queste notti, perché quando corrono liberi sono felici.
Corrono e basta, senza avere bisogno di niente. No, in realtà sono felici di averci accanto suppongo. Mi piace pensare sia così.
Penso che in questi giorni eterni, in cui io e Giulio siamo letteralmente cani sciolti in montagna, ogni passo è letteralmente respiro e quindi vita purissima, profonda e insondabile.
Corriamo e camminiamo attraverso montagne sconosciute e di una bellezza a volte minacciosa, a volte rassicurante.
Per lo più indossiamo le stesse cose ogni giorno, più bagnate che sporche in realtà.
Il sudore non è altro che la pelle della pioggia, e la pioggia è il sudore di un cielo gonfio di presagi, paure e speranza.
Anche il cielo ha paura di se stesso.
Noi siamo cani sciolti e bagnati, corriamo su creste elettriche, attraverso valloni precipitati dal passato, in mezzo a scapole di verde profondo, abbandonati in un angolo di pietra, come un taglio, come una ferita, come un cuore di terra, di pianeta, di universo, di bellezza, di fede, di mistero, di tutto quello che ci resta e di tutto quello che non capiremo mai.
Siamo vivi, ancora per un po’.
Cani sciolti e bagnati.
A Tarvisio ho tolto finalmente le calze dopo 2 giorni interi e altri 100 chilometri di sentieri.
I mignoli erano senza unghie. Le unghie erano sparite, inghiottite da non so cosa in un buco nero a forma di calzino.
La pelle delle vesciche strappate ieri sera ora è meno rossa.
Il colore non è più rosso bambino.
Perché dura tutto così poco ?
Mi faccio la doccia con un pezzetto di sapone e penso ai miei cani.
Pezzo scritto per la fanzine Urma: Cani sciolti, dicembre 2024
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Voglio restare qui a giocare col vento
Con te che cerchi stelle sul tetto
Dentro un sacco a pelo in due
-Romantico ma muori-Pinguini tattici nucleari
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