#sì sono stanchissima e si vede
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luce e buio
#sì sono stanchissima e si vede#e si vedono pure tutte le imperfezioni#ma questo top mi piace tanto#me
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Quella ragazza adolescente
Quella ragazza adolescente, Come al solito, è triste. È incazzata con il mondo. È nel suo letto, è sera, tardi, Ha il telefono in mano, le cuffiette.
Sta scorrendo una vecchia chat, Le viene da sorridere. Sale ancora, Torna indietro nel passato. Un passato di cui ha una nostalgia assurda. Le scende una lacrima ma la asciuga subito incazzata E gliene scende subito un’ altra, allora respira e le lascia cadere. Ma non smette di leggere… “Non sarai mai sola”. E invece adesso, nel presente, lei lo è. Chiude gli occhi, vede quel sorriso. Ripensa a tutte le risate che lui le ha provocato. E allo stesso tempo pensa a tutte le delusioni, le cattiverie che lui le ha fatto.
Ora che il trucco è tutto spalmato qua e là sul suo viso, Gli scrive. Ma sì. Gli scrive un “oh ei” E lui: “ei” La ragazza non si sente ancora felice. Lei: “come va?” nel suo cervello già sa che risponderà “tutto bene“ perché a lui va sempre tutto bene. Perché lui non è innamorato di nessuno. E lei? Lei vorrebbe il suo affetto più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ma non l'avrà mai. Lui: “tutto bene” “tu?” Scoppia a piangere. Si chiede cosa abbia di sbagliato per non meritare nemmeno un po’ di bene da parte sua. Risponde: “Tutto bene anche io”
Scrive: “ma perché non mi ami? Io farei di tutto per te. Supererei gli ostacoli più invalicabili, attraverserei il deserto a piedi se sapessi che dall'altra parte troverei te con le braccia aperte. Farei davvero di tutto, e tutto quello che potevo fare l'ho fatto. Ti ho sempre perdonato. E tu mi hai sempre preso in giro. Sai che con due parole potresti distruggermi, e te ne approfitti. Perché non mi vuoi? Non sono così male alla fine. Cioè non sono perfetta, anzi sono piena di problemi, ma in quanti adorano vederti sorridere come lo adoro io?” Prima di inviare aspetta…
Lui è ancora online, a parlare con chissà chi. Ma in realtà lei sa bene con chi sta parlando. Non ha senso tutto questo, tutte queste parole, lui non la capirà mai. Lei è una canzone, lui un sordo.
La ragazza prende e cancella tutto, piano piano È arrivata forse l'ora di dormire “Io sono stanchissima, vado a dormire” E a questo punto, come a ricordarle un passato in cui erano più che conoscenti, lui la saluta così: “Notte gioia” Gioia, sì. I due si chiamavano così un tempo. Quella gioia che è svanita dagli occhi di lei, sotto forma di lacrime salate, nel corso dei mesi. Ora la ragazza vorrebbe urlare con tutta la sua voce, ma è costretta a chiudere gli occhi e pensare. E poi riaprirli per inviare un: “Notte gioia”
Ma lui non visualizzerà il messaggio fino alla mattina dopo, quando una volta usciti di casa andranno fianco a fianco verso la fermata. Come se non fosse successo nulla. Parlando del più e del meno. Mentre lui starà un po’ per i fatti suoi, e lei raccoglierà ancora un po’ dei suoi occhi marroni prima di passare un’ altra, fredda anche se è Aprile, giornata di scuola.
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⁖ ♡ Sophia & Valentyne @ Campo da Quidditch / 3 Febbraio.
( ... ) quando si tratta di Quidditch la mente di Sophia s’annienta più del solito, come adesso: come una scheggia s’è premurata di correre lungo il campo verso gli spogliatoi, seguendo quella maglia verde che segna “ Urquhart “ sul retro. ‹ / Baby /! › e gli si arrotola sulla schiena, con un versetto euforico...! ‹ Mi dispiace sia andata male la tua prima partita come Capitano. › le gambe attorno i fianchi, le braccia intorno il collo.
Dovrebbe dirle che è felice che abbia giocato dopo la caduta della Walsh, che è stata brava, e dovrebbe esser fiero che nonostante la sconfitta ha giocato bene, /ma/... Ma Valentyne detesta perdere. È una cosa che non accetta, è il suo punto debole, e avverte il fastidio fargli formicolare le mani, i muscoli tesi. 《 Sei venuta a girare il coltello nea piaga? 》 Niente, non ce la fa. Scusatelo.
Lei li odia, i meccanismi di difesa che mette su Valentyne quando è infastidito — quindi non può fare a meno di scendergli di braccio, e fare il giro per piantarglisi davanti. Ancora con la divisa, e i capelli tutti appiccicati di sudore. ‹ No. Sono venuta a dirti che / mi dispiace /, invece di stare a festeggiare. Lascia stare. › E scuote il capo, ovviamente.
《 Ti dispiace per cosa? Di aver giocato contro tuo fratello durante la sua prima partita da capitano? 》 Quella domanda sferza l'aria come una lama, tant'è tagliente, perché anche se è fiero di lei, lui è così-- egoista, ed egocentrico, e bisognoso d'amore e di attenzione! Soprattutto da lei: avrebbe voluto vederla sugli spalti, no? A fare il tifo per lui, e invece... 《 Và a fare una doccia, o farai tardi e non potrai festeggiare con i tuoi amici. 》
Sophia lo fissa dritto in volto per quello che pare un istante interminabile, seccata –– con il naso che si arriccia. Certo, voleva vincesse la sua prima partita come Capitano, ma... ‹ Non posso farci niente. Willa è caduta dalla scopa, io sono la riserva. Non è neanche colpa mia se giochiamo lo stesso ruolo e / non potevo / non mostrare che sono brava alla mia prima partita! › e si riferisce ovviamente al fatto che gli ha rubato la pluffa di mano, ma... ‹ Ma sì, mi / dispiace /. Lo so che avresti preferito vedermi con gonnellina e pon pon a fare il tifo per te, ma non è andata così. › e si stringe nelle spalle, eh, poi si lascia scappare una risata secca a quella sottospecie di... accusa? ‹ Già. Infatti. › E si volta, affrettando il passo verso gli spogliatoi.
Onestamente sì. Avrebbe voluto essere incoraggiato, supportato, ma non s'aspetta nulla di tutto ciò, da Sophia, che ora ritiene egoista quasi quanto lui. Stringe appena i denti, quindi, quando lei gli dà le spalle, e lui s'avvicina, un braccio intorno alla sua vita, la sospinge verso il proprio petto, le labbra vicine al suo orecchio. 《 Non saresti mai dovuta venire, mi fai desiderare di finire l'anno in fretta per tornare a non vederti per più di quindici giorni. 》 E così la lascia andare, brusco, come se lei fosse niente, e si mette a camminare per superarla.
Sophia lo è, egoista. Non ha mai osato ammettere il contrario, anche se per quelli che ama darebbe via persino il proprio orgoglio. E Valentyne è perfetto. Voti altissimi, diligente, la spilla da Capitano, l'amore di sua madre. Sophia invece ha solo il Quidditch, no? È una delle poche cose in cui è brava. Perciò sì, è egoista. E se non avesse giocato avrebbe fatto il tifo per lui! Ma una volta in campo... Solo che adesso, quando si vede bloccata così, quando sente quelle cose... Gli occhi pizzicano, non può farci niente. Sono parole / cattive /. E se lui la supera, be'... Sophia lascia cadere il costoso manico di scopa sul campo, incurante, avanza il passo per raggiungerlo e dargli uno spintone.
Ma quello che Sophia ha, e che lui le invidia da tutta una vita, è la libertà. Perché lui è quello da cui ci si aspettano le cose fatte bene. Sempre. Anche quando ha il cuore spezzato, anche quando è distratto. E nessuno gli dice mai bravo, nessuno gli dice mai grazie, perché tutto quel che fa è un dovere e non potrebbe essere altrimenti, no? Ecco. Le reazioni di Valentyne sono abbastanza calcolabili, ma Sophia... ! Si volta lentamente verso di lei, una volta ricevuto lo spintone, e le scocca un'occhiata gelida. 《 Ecco che cosa sei, sei manesca ed hai l'autocontrollo di un cane arrapato. 》 Freddo. Sibilante. 《 Vattene, Sophia. 》 E se non se ne và lei, be'...
A Sophia non interessa niente, di tutto ciò. Perché è stanca. È stanca di essere considerata sempre come “ quella con la libertà ”, o “ una Grifondoro ”, o, ancora, “ la ragazza viziata con la vita perfetta ”. È stanca. Stanchissima. Delusa. Si chiede perché ancora ci provi, soprattutto con lui. E in questo momento lo odia, lo odia infinitamente. Sente le viscere bruciare, il cuore divenire nero pece. Quelle parole la stuzzicano, le fanno male, e... senza che possa far niente, incapace di controllarsi, issa una mano e gli assesta uno schiaffo in pieno volto. Con tutta la forza che ha, che non è propriamente / poca /. Sente lo schiocco violento ancora nelle orecchie, come l'odio che la consuma. ‹ Non osare neanche più guardarmi, Valentyne. Non guardarmi, non parlarmi, non fare / niente /. Io per te non esisto più. Sono morta. Ora, e per sempre. Avrei dovuto reciderla quando ne ho avuto l'occasione, quell'adozione del cazzo. › Gelida quasi quanto lui, solo gli occhi fiammeggiano.
Lui non la odia nemmeno adesso, non potrebbe mai, mai, nonostante il gelo, nonostante il veleno sulla lingua, lei è l'amore più grande che conosce, quello più completo, con tutte le sue sfaccettature. Però lo sa che è colpa sua, che è sempre colpa sua, che le dà ogni giorno un nuovo motivo per odiarlo e non sa-- non lo sa, non lo sa più, se è una cosa che fa di proposito. Perché... quanto gli fa male averla lì, nelle stesse quattro mura tutti i giorni; mura che non gli sono sembrate mai così piccole, i giorni mai così lunghi. Strazianti. La fitta di dolore che gli attraversa gli occhi, quando apre appena la bocca e la richiude all'istante, perché la consapevolezza lo sta uccidendo. È consapevole della sua tendenza a distruggere tutto quello che ama. I tasti del piano, le pagine del suo libro preferito, le tele e i colori, i pennelli spezzati, smembrati, vuoti. Una vita vuota. Vuoto come il suo cuore. Come lui. Non dice nulla, quindi, si limita a superarla quando il contatto con i suoi occhi si fa troppo doloroso, da diventare insostenibile.
Sophia ne sa qualcosa di autodistruzione. Lei è una mina vagante, sempre pronta ad annientarsi — con le dita che si appigliano ovunque pur di non essere felice. Perché non crede di meritarlo, forse, o perché ne è semplicemente spaventata. E per questo lo capisce, ma la verità è che non le interessa. Non le interessa perché non fa altro che piangere, da quando è giunta in Inghilterra; credeva che la vicinanza con lui le avrebbe fatto bene, che un po’ di quel dolore che continua a stingerle il cuore in una morsa si sarebbe allentato... ma non è così. S’è ampliato, addirittura. È come se non potessero fare a meno di ferirsi a vicenda, ma Sophia è semplicemente stanca. Distrutta. Confusa. Non ne può più di esser ferita e venir trattata male, perciò non si pente di quello che ha detto — non adesso, almeno, che lo fissa in volto con la determinazione ad indurirle i tratti somatici. Non sarà lei a spezzare il silenzio, non sarà lei a tornare sui propri passi. Non sarà lei e basta. Non stavolta. Perciò si limita a sorpassarlo, senza neanche preoccuparsi di recuperare la scopa, incamminandosi verso gli spogliatoi.
❪ CONCLUSA ❫
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