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carly404error · 2 years ago
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This post is a bit of a propaganda post for something I’m working on, so, if u want, go ahead and read it:
Recently I started to work in this proyect with some friends about making some kind of indie videogame, and we had to name our group and we had to look for some people etc, etc, etc…
The thing is, that we would really appreciate if you go follow @retrocultofficialblog , bc that would really help a lot with publicity and stuff. Also, we are going to post process of the game there.
Aaaaand if you speak Spanish or you’re Spanish (like us), then you can also go follow @retrocultofficialblog-esp , which is the same one but in spanish.
Anyways, propaganda out, I just wanted to announce this in some way to, idk, maybe have a little more succes when we finish and all of that. If you have any questions, you can go to the blog I just tagged and ask questions, I remembe to y’all that this blog of for my own entertainment and hobbies and that stuff :)
Thank you for your attention :)
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If you can read italian, here’s my article about The Dispossessed, utopias and dystopias on Tom’s Hardware Italia!
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fwacata · 7 years ago
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Tomorrow night! #Repost @retrocultmiami (@get_repost) ・・・ Very cool gathering tomorrow! Art On Palm!!! Live music, art and more!!! The fine folks at @tattooscomics @lividtees and @fineprintshoppe will be there with plenty of goods for you to pick up. #hialeah #florida #miami #305 #doral #Kendall #homestead #art #music #comics #tattoos #silkscreen #shirts #tshirts #artonpalm #retrocult #retrocultmiami (at Tattoos And Comics)
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levysoft · 6 years ago
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[...] La storia della scienza mostra infiniti esempi di gente che ha inventato o scoperto qualcosa di straordinario e non ha saputo metterlo a frutto, o peggio non s’è nemmeno resa conto di quello che aveva trovato, o ne ha scandalosamente sottovalutato le potenzialità. Erone nel I secolo d. C. aveva inventato la macchina a vapore, il cui impiego pratico era però reso inutile dalla concorrenza della manodopera servile o comunque a basso costo, per cui andò a finire nel dimenticatoio. I vichinghi scoprirono l’America e cosa ne ricavarono? Qualche tronco d’albero e un paio di saghe norrene.
Insomma, aveva ragione Napoleone Bonaparte a dire che l’ideazione è niente, la realizzazione è tutto. Allo stesso modo, se creare è importante, rendersi conto di quello che si è creato e soprattutto sapere – o almeno immaginare – cosa farne, lo è ancora di più.
Un secondo insegnamento che ci arriva dal passato è altrettanto importante: quando si crea, è bene sapere cosa stanno facendo gli altri, perché ci fa risparmiare una quantità di tempo e di lavoro. Se i medici del passato, invece di conservare gelosamente i loro segreti, avessero comunicato di più con i loro colleghi, probabilmente la medicina avrebbe fatto progressi molto più rapidi. Parlando per esperienza personale, quante volte mi è capitato, conducendo delle ricerche storiche su Montagnana (comune in provincia di Padova di cui Alberto si è occupato con passione, NdC), di sentirmi dire: ma non lo sai che c’è già Tizio o Caio che se ne sta occupando da anni?
Una cosa che ho trovato sempre divertente è il terrore maniacale che hanno tanti scrittori esordienti di essere “copiati”, un terrore che diventa una sorta di paranoia che li spinge a escogitare complessi meccanismi di auto-difesa informatica e legale. Quasi che al grande editore non bastasse esibire un assegno da due o tremila euro per comprargli in blocco tutti i diritti in esclusiva.
Speculare, ma molto più realistico, è il timore di scoprire che il nostro libro era già stato scritto da altri, a volte quasi tale e quale nell’idea di fondo, nei personaggi, nello sviluppo. Ecco perché alcuni giovani scrittori affermano sdegnosamente: “io non leggo nulla e nessuno, per non farmi influenzare”. E invece, ahimè, alla fine sono proprio quelli che finiscono per scopiazzare di più, quantunque inconsapevolmente, proprio perché, avendo letto poco, ignorano che altri hanno avuto prima di loro la stessa idea. [...]
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coolsvilleee · 7 years ago
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Credit to @retrocults for this astonishing edit of the lovely Miss Lauren Cohan. I honestly love this edit so fricken much, it just made me fall even more in love with her. This audio makes me so sad and it probably shouldn’t with happy edits like this, but when I just see someone so happy it makes me so happy they’re happy to the point of where I’m sad, if that even makes sense. Other times it makes me sad because I know I can’t be as happy. But sad edits with this audio make me REALLY sad. But with Lauren it doesn’t make me completely sad, but with it being her birthday it does make me nostalgic. I just hope she’s had the best day today and that it ends right tonight. @laurencohan #laurencohan #happybirthdaylaurencohan
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levysoft · 8 years ago
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levysoft · 7 years ago
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La Divina Commedia di Dante è un'opera a carattere teologico-morale-enciclopedico. Non è fantasy, non è horror, tanto meno fantascienza; questo almeno si dice di solito, ma forse non è esattamente così. A ben guardare, nella Divina Commedia sono presenti elementi riconducibili un po' a tutti i generi letterari con le loro varianti: l'epos (si pensi al Canto di Ulisse), la poesia didascalica (le spiegazioni gentilmente fornite dalle anime incontrate, da Virgilio a Beatrice, dai santi ai teologi e filosofi su punti dottrinali).
Può forse mancare l'horror? Pensiamo al canto XXVIII dell'Inferno con i seminatori di discordie affettati dalla spada aguzza di un diavolo, o i surgelati del Cocito. E dove mettiamo il dramma amoroso di Francesca da Rimini? Aggiungiamo il fiabesco folklorico dei diavoli dispettosi nel canto dei barattieri, la polemica politica, il fantasy con la cavalcata in groppa a Gerione o la discesa sul palmo di un Gigante, e commedia, tragedia, giallo, noir. Perché dovrebbe mancare proprio la fantascienza?
Risposta: perché è un genere peculiare del mondo moderno, perché si richiede dallo scrittore un'adesione alla realtà scientifica incompatibile con il periodo in cui viveva Dante, e insomma, perché nel '300 non si scriveva di fantascienza e basta.  La fantascienza, infatti, è sì esperienza del non-quotidiano, che però non può adagiarsi sulle fumose e traballanti spiegazioni della magia o del mistero, ma si collega a fatti scientificamente possibili, agli effetti di teorie o tecnologie plausibili anche se non ancora scoperte.
Obiezione: esiste una data prima della quale non si possa parlare di fantascienza? E quale sarebbe questa data? E ora una grossa obiezione, un po' provocatoria, se vogliamo: siamo così sicuri di conoscere la struttura dell'Universo in modo netto, preciso e definitivo, oppure fra una o due generazioni gli studiosi cancelleranno tutti i nostri più venerati maestri del genere con la sacrosanta giustificazione che "con le conoscenze che avevano nel secolo XX e XXI, non si poteva fare fantascienza"?
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fwacata · 7 years ago
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New from @retrocultmiami we got even #importgames into the shop! Some of this stuff even @fwacata or @xorart don't what the hell it is! Come in and check it out! #retrocult #gamegainz #importgaming #dragonballz #supermario #streetfighter #famicom #famicomgames (at Tattoos And Comics)
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levysoft · 7 years ago
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levysoft · 7 years ago
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Un po' per topi di biblioteca, un po' per chi ha avuto una fatale distrazione e vorrebbe disperatamente recuperare, un po' per chi crede in quello sprazzo di lucida follia che porta a creare opere meravigliose e uniche.
Una metropolitana che si chiama Moebius è l'opera sconosciuta di un autore sconosciuto dalla quale è stato tratto un film pressoché ignoto. In questa specifica categoria di storie, quelle che esistono nonostante la maggioranza di noi le ignorino, è forse la più bella che possiate leggere. Potete trovarla in due diverse raccolte Le grandi storie della fantascienza: 12 a cura di Isaac Asimov (1985, ristampato da Bompiani del 1994) e Il passo dell'ignoto - un'antologia di racconti di fantascienza curata da i Carlo Fruttero-Franco Lucentini.
La storia di questa novella, in Italia, risale però agli anni '60. In particolare al 24 febbraio 1963: quel giorno usciva il bisettimanale Urania 302 con il romanzo L'atomo azzurro di Robert Moore Williams. Il volume originale si trova in giro, per esempio su eBay, o su qualche sito specializzato. A differenza delle ristampe successive, è l'unico che include il racconto di appendice - un'altra cosa che si usava a quei tempi - oggetto di questo articolo e firmato da A.J. Deutsch.
Armin Joseph Deutsch (1918-1969) era un astronomo statunitense laureatosi all'Università dell'Arizona nel 1940 e addottoratosi all'università di Chicago nel 1946. Specializzatosi in spettroscopia, lavorò dapprima a Yerkes e poi a Monte Wilson e Monte Palomar. La sua ricerca si concentrò sull'analisi di una sottofamiglia di stelle di tipo A dette Ap (p per "peculiare"), stelle con un campo magnetico molto potente e una distribuzione irregolare di elementi pesanti sulla loro superficie.
Come autore di fantascienza produsse ben poco, cioè esattamente un solo racconto, pubblicato nel 1950. E questo probabilmente è il motivo per cui potreste non aver mai sentito parlare di lui. Quello che è uno dei più bei racconti di fantascienza mai scritti è quindi l'unica opera di uno sconosciuto astronomo, che dedicò la vita a tutt'altro ma che fu in grado di tirar fuori dal cappello qualcosa di assolutamente straordinario. Deutsch morì a Pasadena in California nel 1969 e il riconoscimento della comunità internazionale gli arrivò purtroppo fuori tempo massimo sotto forma di un premio Hugo solo nel 2001, cinquant'anni dopo essere stato nominato.
Per nostra fortuna il racconto non sfuggì a Fruttero e Lucentini, che dirigevano la collana Urania in quegli anni. Le loro antenne, sempre pronte a sintonizzarsi su ogni vibrazione del tessuto fantascientifico mondiale, riuscirono a captare l'eccezionale qualità di Una metropolitana chiamata Moebius. Lo considerarono così importante da inserirlo nel progetto del 1982 "L'ora di fantascienza", un'antologia pensata per le scuole medie che oltre al racconto dello sconosciuto Deutsch conteneva contributi di autori del calibro di James G. Ballard, Isaac Asimov e Arthur C. Clarke, solo per citarne alcuni.
Il racconto è ambientato nella metropolitana di Boston. Un treno scompare improvvisamente dalla rete ma per qualche giorno nessuno se ne accorge:
Il treno Cambridge-Dorchester che scomparve il 4 marzo era il numero 86. Dapprima nessuno si accorse della sua mancanza. Durante le ore di punta serali il traffico era un po' più pesante del solito su quella linea. Ma una folla è una folla. Gli addetti ai grandi quadri-orari al deposito di Forrest Hills cercarono il n. 86 verso le 7 e 30, ma nessuno dei due accennò alla sua assenza fino a tre giorni più tardi.
La storia pochi giorni dopo diventa di pubblico dominio e il direttore generale Kelvin Whyte viene contattato da un matematico di Harvard, Roger Tupelo, che pensa di avere alcune idee su cosa possa essere successo. Tupelo è tenace e deve combattere su due fronti: da un lato l'enigma è davvero complesso, la sparizione di un trenocon a bordo 350 persone non è un problema che si possa affrontare a cuor leggero; dall'altro lato c'è la crescente ostilità del direttore generale Whyte che fatica a comprendere le teorie di Tupelo e ad accettare le contromisure da lui proposte.
Tupelo non crede che il treno sia esattamente scomparso; pensa che sia ancora lì, da qualche parte nella rete, e cercherà di dimostrarlo. La forma vera e propria del problema da risolvere e i tentativi che verranno fatti per risolverlo saranno di un'originalità strabiliante e forse irripetibile. Non guarderete più una mappa di una metropolitana con gli stessi occhi.
Ma le stranezze non finiscono qui. Da questo racconto nel 1996 è stato tratto un film scritto e diretto dal regista argentino Gustavo Mosquera (che in carriera scriverà e dirigerà un totale di tre film) e interpretato da Guillermo Angelelli la cui carriera di attore, in paragone, è estremamente prolifica. Il film si intitola semplicemente Moebius e la sua genesi non poteva che essere speciale: Mosquera insegnava alla "Universidad del Cine" di Buenos Aires quando ebbe l'dea di coinvolgere 45 suoi studenti nella trasposizione cinematografica del racconto.
Avevo letto un racconto di A.J. Deutsch che si chiama Una metropolitana chiamata Moebius e che mi aveva colpito. Aveva quattro elementi fondamentali: primo, che in una rete chiusa di sotterranei un treno non possa scappare, pertanto la sua scomparsa implica qualcosa di più. Secondo, il fatto che non si veda la città in superficie permette un'ambientazione atemporale. Terzo, il racconto presenta un'ambiguità tra fantascienza e fantasia e, non concludendo il racconto con un finale chiuso, permette un maggiore mistero. Quarto, le connotazioni sociali che comporta, in un paese come il nostro, l'idea di "sparizione" di un treno
La scrittura del film incontrò diversi ostacoli, a partire dal budget limitatissimoche costrinse Mosquera e i ragazzi a fare quasi tutto in casa per arrivare al tema vero e proprio del racconto, quello della sparizione - che in Argentina naturalmente assume un significato simbolico e metaforico molto potente, legato alla storia e all'identità nazionale. Ci fu una serie infinita di riscritture, ma alla fine il risultato è più che dignitoso e Moebius, selezionato tra l'altro per il Sundance Film Festivale per il festival di Berlino. Vinse qualche premio ed è certamente un film che va visto.
Vi invitiamo dunque a leggere il racconto e a vedere il film. Entrambi fanno parte di quella strana categoria di opere che quasi nessuno conosce ma che quasi tutti dovrebbero conoscere. Trovate il racconto incluso in questa antologia e il film sia in DVD sia in Blu-ray.
Miki Fossati, classe 1966, si è formato come matematico ma non esercita. Progettista di cervelli positronici e scrittore, è appassionato di cinema e teatro. Ossessionato dalla fantascienza, vive nella campagna inglese dove ha scritto il suo ultimo romanzo, La mossa del tapiro: una storia di Amazzonia, calcio e amache e diversi racconti. Potete seguirlo su frenf.it.
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levysoft · 8 years ago
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levysoft · 7 years ago
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Nota del curatore. Vidi Donnie Darko quando era già diventato un film piuttosto chiacchierato, la sua trasformazione in cult indipendente già in atto e quasi completa. E mi avvicinai al film di Kelly con un buon carico di scetticismo.
Mi dicevo che sarebbe stata la solita sparata intellettualoide piena di ammiccamenti, di trabocchetti messi lì per farti pensare a qualcosa di profondo ma incapaci di resistere a un'analisi appena meno superficiale del solito.
Mi sbagliavo. Donnie Darko ha saputo segnare la sua epoca e Kelly ha mostrato di avere una sua nota autoriale, un personalismo che sa superare i facili cliché senza scivolare in complicazioni superflue. Il suo linguaggio, riproposto in The Box, funziona.
Grazie ad Elena Di Fazio, dunque, che ha trovato il tempo di scrivere l'articolo che state per leggere e che mette nella giusta luce quello che, in effetti, è stato un piccolo capolavoro del cinema indipendente e che rappresenta, quasi vent'anni dopo, ancora qualcosa che vale la pena di riguardare e di ridiscutere.
Elena che, ci tengo a sottolinearlo prima che iniziate a leggere, ha saputo raccontare le qualità di questo film, almeno alcune, senza togliere proprio nulla al piacere di una prima visione - per chi non lo avesse ancora visto.  Persino io, che amo e cerco gli spoiler, non posso che apprezzare l'incredibile delicatezza di questa autrice. Spero tanto che presto vorrà tornare a farci compagnia su Retrocult. Buona lettura!
Valerio Porcu
La notte del 2 ottobre 1988 il motore di un aereo apparso dal nulla precipita sulla casa della famiglia Darko, distruggendo la stanza del figlio Donnie. Il ragazzo però non è a letto: una voce allucinatoria lo ha condotto fuori dall'abitazione e gli ha dettato una sequenza di numeri che sembra un inquietante countdown. Il mondo finirà tra ventotto giorni, o Donnie è solo vittima della propria schizofrenia?
Donnie Darko ha sempre avuto quell'allure un po' misteriosa, come un oggetto alieno precipitato da un'altra dimensione. E, in quanto tale, ha faticato non poco per essere capito e apprezzato per ciò che è: un cult coi fiocchi, un piccolo gioiello di scrittura e regia, che sfugge le classificazioni di genere e crea un piccolo "universo espanso" necessario a fornire le giuste chiavi interpretative.
Leggi anche Il tempo perso a viaggiare nel tempo
Correva l'anno 2000 quando il regista esordiente Richard Kelly (che firmò poi anche The Box) girò la pellicola in ventotto giorni: neanche a dirlo, gli stessi che trascorrono all'interno della storia. Presentato nel gennaio 2001 al Sundance Film Festival, rischiò di finire nel circuito direct-to-video, finché (grazie alla Flower Films di Drew Barrymore, tra i protagonisti dell'opera) non fu programmata la release cinematografica per il 26 ottobre dello stesso anno.
Ma la Storia e la Sfiga entrarono in gioco e la tragedia dell'11 settembre rese poco appetibile un film che parlava (anche) di disastri aerei: motivo per cui Donnie Darkoebbe promozione pressoché nulla e incassi scarsissimi. Malgrado ciò, fu acclamato dalla critica e inserito dall'Empire nella lista dei cinquanta migliori film indipendenti di tutti i tempi. Nel 2004 fu pubblicato un director's cut e l'opera fu presentata fuori concorso a Venezia: è così che, finalmente, nel novembre di quell'anno abbiamo potuto vederlo nelle sale cinematografiche italiane.
Tutto in Donnie Darko concorre a farne un gioiellino. L'ambientazione anni '80, curatissima nei dettagli e lungi dall'essere un banale tocco di colore; le buone scelte di casting, dall'allora giovanissimo Jake Gyllenhaal a Patrick Swayze nel ruolo di un sinistro life coach motivazionale; il tocco visionario di Richard Kelly, che malgrado fosse un esordiente di venticinque anni riuscì a dare al film una regia sicura, intelligente e matura. Agli anni '80 si collega anche l'azzeccata colonna sonora, in particolare la cover di Mad World dei Tears for Fears eseguita da Gary Jules, che all'uscita del film ebbe ottimi riscontri nelle classifiche anglosassoni, contribuendo a dare un po' di visibilità all'opera.
La particolarità principale di Donnie Darko è, forse, anche il suo neo. All'interno della storia viene citato un libro, La filosofia dei viaggi nel tempo di Roberta Sparrow: un testo che il protagonista riceve dal suo insegnante di scienze e sul quale di fatto si basa l'intera architettura del film. Il libro è un'opera fittizia che poi fu pubblicata sul sito ufficiale del film, ma senza averlo letto è praticamente impossibile comprendere alcuni meccanismi dell'intreccio.
Ciò lascia lo spettatore ‒ almeno a una prima visione ‒ completamente spaesato. È solo dopo aver letto la teoria (anch'essa fittizia) su cui si basa che è possibile guardarlo di nuovo e capirne davvero il senso; e non parlo di sottotesti o altri livelli di significato, ma del puro e semplice susseguirsi degli eventi. Ciò implica un riferimento importante a un universo espanso che va oltre il film. Ai tempi non era un'operazione nuova (il primo esempio che mi viene in mente è The Blair Witch Project), ma neppure così chiara e immediata.
Per capire davvero Donnie Darko, insomma, occorre guardarlo, poi leggere "La teoria dei viaggi nel tempo", poi guardarlo di nuovo. Ne vale la pena? Neanche a dirlo, certo che sì. Perché è un film di cui ci si innamora, cesellato con cura, ricco di sfumature, unico nel suo genere, un cult a tutti gli effetti; che ha a sua volta ispirato altre opere interessanti, ultima fra le quali l'acclamata serie tedesca "Dark". E tu, perché indossi quello stupido costume da coniglio?
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