#rapporto stato-mafia
Explore tagged Tumblr posts
nicolacostanzo · 6 months ago
Text
2 notes · View notes
abr · 2 years ago
Text
Secondo lo statalista il problema Mafia non sta negli obiettivi, uguali precisi a quelli del suo Stato, ma nel fatto che gli fa concorrenza.
Gli strumenti sono quelli del Mercato: prezzo più basso, “servizi” migliori, miglior soddisfazione del cliente. E risoluzione rapida dei “problemi”.  Lo statalista non a caso odia il Libero Mercato, adora gli interventi distorsivi e i Monopoli. 
Corollario: le Mafie/Cartelli dei Riina e dei Chapo Guzman che invece dell’efficienza , dell’agilità, del miglior rapporto prezzo/prestazioni abbraccino gli stessi strumenti, le medesime strategie dello Stato - la repressione e la coercizione, il confronto armato diretto - sono come quelle aziende che copiano e seguono invece di innovare prodotti e/o processi. Doomed to fail. 
12 notes · View notes
the-lived-abstractionism · 13 days ago
Text
🇪🇺🇧🇪Il tribunale di Liegi ha rifiutato di proseguire le indagini sulla causa contro il capo della Commissione europea, ursula von der merden, accusata di corruzione nell’acquisto di 1,8 miliardi di vaccini Covid-19 per 35 miliardi di euro.
Qualche giorno fa si è parlato di un procedimento atteso presso un tribunale belga contro Ursula Von Der Leyen e ci brutte notizie. Facciamo prima a tradurvi direttamente il comunicato di Frédéric Baldan, il lobbista belga che ha dato il via al c.d. UrsulaGates e vi ricordiamo che il tribunale doveva esprimersi non nel merito dell'acquisto vaccini, contratti con Pfizer etcc, ma solo sull'immunità della Presidente della Commissione. Superato questo scoglio, si sarebbe dovuto procedere poi ad un processo vero e proprio.
Ecco il comunicato tradotto (abbiamo tradotto velocemente, perdonate eventuali refusi):
(segue….. ).
ORGANIZZAZIONE DELL'IMPUNITÀ DI URSULA VON DER LEYEN
RIFIUTO DI ESAMINARE IL CASO NEL MERITO NONOSTANTE I FATTI
"I fatti ci sono, ma i tribunali hanno rifiutato di giudicare nel merito del caso"
Di conseguenza, Ursula von der Leyen gode di impunità. Le violazioni sono state effettivamente commesse, ma sembra che nessuno possa richiedere che vengano perseguite o punite. Rifiutandosi di affrontarle, i tribunali stanno dimostrando che l'Unione Europea è diventata un'area di mancanza di libertà, insicurezza e ingiustizia.
"Grave attentato allo stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali"
Dichiarando che "la violazione di un diritto, anche se considerato fondamentale, non implica necessariamente la correlativa esistenza di un danno da parte di chi lo invoca", la sezione istruttoria di Liegi ha gravemente compromesso l'efficacia dei diritti umani. Questa decisione è contraria alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ed è incomprensibile ai sensi del Codice Penale belga, che punisce le violazioni arbitrarie dei diritti garantiti dalla Costituzione.
"La giustizia belga ha creato due classi di cittadini"
In primo luogo, quella della signora von der Leyen, che può commettere reati senza che il sistema giudiziario intraprenda alcuna azione per perseguirla, e in secondo luogo quella degli altri europei, ridotti allo status di sub-cittadini privati dell'esercizio dei propri diritti. Forse è per questo che Emily O'Reilly, il Mediatore dell'Unione Europea, avendo constatato personalmente la distruzione dei diritti umani all'interno delle istituzioni, ha descritto la Commissione Europea come un'organizzazione simile alla Mafia.
"Questa procedura ci ha permesso di ottenere alcune importanti vittorie"
Abbiamo ottenuto una copia non censurata del contratto con Pfizer, in modo legale;
Ora siamo in possesso del rapporto d'indagine della Polizia Federale belga;
Ora possiamo dimostrare che sono state commesse violazioni;
Non siamo più vincolati dal segreto sull'indagine.
"Continueremo a perseguire la signora von der Leyen"
Imporremo il ritorno della democrazia, il rispetto dello stato di diritto, il ripristino dei diritti fondamentali, e non permetteremo che la corruzione rimanga impunita.
La sentenza consente temporaneamente alla signora von der Leyen di sfuggire alla giustizia, simbolicamente lo stesso giorno in cui Anthony Fauci ha ottenuto un indulto preventivo presidenziale per i suoi crimini.
- Davide Lombardi Official
Continua nel primo commento ⤵️
Tumblr media
1 note · View note
carmenvicinanza · 2 months ago
Text
Maricla Boggio
Tumblr media
Maricla Boggio, drammaturga, regista e giornalista, è autrice di numerose sceneggiature, drammaturgie, testi di critica, libri di narrativa, saggistica e antropologia.
La sua produzione teatrale è tutta caratterizzata dall’impegno politico e sociale e da un grande interesse antropologico per ciò che è ritenuto diverso.
Nella sua militanza culturale fatta di teatro, insegnamento, film, documentari e tanto altro, ha valorizzato molte figure femminili e affrontato diverse e controverse tematiche come il disagio dei manicomi, la religione, la guerra, l’Olocausto, la mafia, la piaga dell’Aids. Non c’è, praticamente, tema sociale o accadimento storico che non abbia affrontato.
Dal 2007 è direttrice editoriale della rivista teatrale Ridotto.
Nata a Torino l’11 dicembre 1937 è laureata in legge e diplomata in regia all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, dove ha insegnato recitazione, teorie e tecniche dell’interpretazione e drammaturgia. È stata docente di Espressività Teatrale e Scienza della Formazione all’Università Salesiana di Viterbo.
Nel 1969 è stata regista e autrice, insieme a Franco Cuomo, di Santa Maria dei Battuti, rapporto sulla istituzione psichiatrica e sua negazione in quindici misteri, su vessazioni e abusi nell’ambito in ambito psichiatrico, nove anni prima della Legge Basaglia e, successivamente di Compagno Gramsci, Passione 1514 e Egloga, presentata alla Biennale di Venezia nel 1972.
Nel 1973 ha fondato, con Dacia Maraini e Edith Bruck, il Teatro femminista della Maddalena.
Nel periodo della seconda ondata femminista, tra gli anni Settanta e Ottanta, ha scritto testi come Marisa della Magliana, diventato il primo telefilm femminista italiano, Anna Kuliscioff – Con gli scritti di Anna Kuliscioff sulla condizione della donna, Fedra, La monaca portoghese, Medea, Mamma eroina, Donne di spade, Anita Garibaldi – L’ultimo sogno di Anita Ribeiro sposata Garibaldi e Schegge: vite di quartiere, che ha avuto la regia di Andrea Camilleri.
Nel 1991 ha fondato l’associazione Isabella Andreini comica gelosa che ha riunito autrici, attrici, registe, studiose e operatrici teatrali.
Ha vinto due volte il Premio Giacomo Matteotti, nel 2004, con Matteotti, l’ultimo discorso e, nel 2011, con La Merlin.
Insignita con numerosi riconoscimenti,  tra cui il Cavalierato al Merito della Repubblica Italiana.
Dal 2022, è stato istituito il Premio Nazionale di drammaturgia Maricla Boggio sostenuto dalla SIAD (Società Italiana Autori Drammatici) per valorizzare autori e autrici senza alcuna discriminazione e offrire a Compagnie e attori/attrici testi nuovi e inediti.
Nella sua lunga e prolifica carriera, da vera intellettuale belligerante, ha schivato ogni moda mantenendosi fedele alla sua idea di drammaturgia civile.
0 notes
empedoclecielo · 3 months ago
Text
Sciascia Alien
Universo senza donne: Sciascia non narra mai di grandi passioni sentimentali. Nel suo universo la donna, come costante essenziale di tutte le altre vicende umane, non esiste.
Protagonisti sono i capipopolo e gli assassini, i cardinali, i ruffiani, i colonnelli dei carabinieri, i ministri, i confidenti di polizia, i teologi, i viceré, gli accattoni: la donna mai!
In quello che probabilmente resta il suo libro esemplare, per perfezione narrativa e nitidezza di significati morali, “Il giorno della civetta”, unico personaggio femminile presente in tutto l’arco del racconto è la vedova Nicolosi, che praticamente costituisce il perno dialettico dell’intera vicenda: il marito è stato assassinato per un delitto di mafia, e tuttavia qualcuno vuole dimostrare com’egli sia stato semplicemente trucidato da un misterioso amante della donna. C’è, per un attimo, un presentimento da tragedia greca. Ma appena la vedova Nicolosi fa un passo avanti (che diamine, l’uomo che hanno ucciso era il suo uomo, tutto dovrebbe gridare vendetta, violenza, passione in lei) Sciascia la ricaccia subito gelidamente indietro. E’ gelido anche nel descriverla, quasi con l’involontaria ironia di un verbale di carabinieri: «Era bellina la vedova; castana di capelli e nerissimi gli occhi, il volto delicato e sereno ma nelle labbra il vagare di un sorriso malizioso. Non era timida. Parlava un dialetto comprensibile. Qualche volta riusciva a trovare la parola italiana, o con una frase in dialetto spiegava il termine dialettale!».
Tutta la storia d’amore di questa donna, giovane, bella, alla quale hanno letteralmente strappato il marito per farne pupo da zucchero (un dolce tipico siciliano che si regala ai bambini nel giorno dei Morti), tutta la passione, i fremiti, il desiderio tradito, il dolore, la violenza sensuale, i sogni spezzati, l’essere donna di questa vedova, tutto il suo grido di femminilità violentata, si racchiude in questo placido periodo, allorché ella racconta il suo rapporto con l’ucciso:
«Egli ha conosciuto me ad un matrimonio: un mio parente sposava una del suo paese, io sono andata al matrimonio con mio fratello. Lui mi ha vista e quando quel mio parente è tornato dal viaggio di nozze, lui gli ha dato incarico di venire da mio padre per chiedermi in moglie. Dice “è un buon giovane, ha un mestiere d’oro”, e io dico che non so che faccia ha, che prima voglio conoscerlo. E’ venuto una domenica, ha parlato poco, per tutto il tempo mi ha guardata come fosse in incantamento. Come gli avessi fatto una fattura, diceva quel mio parente. Per scherzare, si capisce. Cosi mi sono persuasa a sposarlo!». Nelle donne di Sciascia non ci sono proiezioni d’ombre e trasalimenti di Ecuba, Fedra, Medea, nessuna femminilità tragica e furente, nessuna donna come madre della vita. Il rapporto sentimentale fra uomo e donna è sempre grigio, usuale, senza misteri. Sciascia probabilmente non ritiene la donna pari all’uomo, né come individuo, né dentro la storia. Una aggregazione, una appendice, un elemento di spettacolo. Le donne: mogli, amanti, duchesse e puttane, vengono sulla scena a recitare la loro parte e basta. Sono ininfluenti, emettono suoni, non comunicano sentimenti. Comparse che servono semmai alla battuta del maschio, alla sua riflessione; al più sono comprimarie utili al dialogo, in cui tuttavia gli uomini protagonisti formulano infine il pensiero essenziale, l’unico degno di rispetto.
da I Siciliani (maggio 1983)
0 notes
agrpress-blog · 4 months ago
Text
"Nel nome del silenzio": il docufilm sui legami tra Chiesa e mafia Il docufilm “Nel nome del silenzio”, di... #aamod #AntonioBellia #chiesa #Chiesaemafia #docufilm #FrancescoLaLicata #mafia #Nelnomedelsilenzio #PietroGrasso #PippoDelbono #vincenzovita https://agrpress.it/nel-nome-del-silenzio-il-docufilm-sui-legami-tra-chiesa-e-mafia/?feed_id=7181&_unique_id=66feb077cff68
0 notes
giancarlonicoli · 6 months ago
Text
8 ago 2024 17:36
“DOPO UNA RIUNIONE, BORSELLINO DISSE A PIGNATONE E LO FORTE: “SUL RAPPORTO MAFIA E APPALTI NON ME LA RACCONTATE GIUSTA” – L’EX MAGISTRATO ANTONIO INGROIA, STRETTO COLLABORATORE DEL GIUDICE AMMAZZATO NEL ’92, RIVELA IL CLIMA ALL’INTERNO DELLA PROCURA DI PALERMO GUIDATA DA PIETRO GIAMMANCO: “ERA IL 14 LUGLIO DEL ’92 E L’INCONTRO ERA STATO CONVOCATO DOPO LE POLEMICHE SEGUITE ALLA PUBBLICAZIONE DI STRALCI DEL DIARIO DI FALCONE, IN CUI SI PARLAVA DELLA DIFFICOLTÀ DI LAVORARE IN PROCURA. QUANDO USCIMMO DALLA STANZA, PAOLO MI DISSE: “QUESTI QUI CERCHERANNO DI METTERMI IN UN ANGOLO…” -
Estratto dell’articolo di Salvo Palazzolo per www.repubblica.it
Sono passati trentadue anni, ma lo ricordo come fosse ieri – dice Antonio Ingroia, all’epoca sostituto procuratore a Palermo – Al termine di una movimentata riunione nella stanza del procuratore Giammanco, Paolo Borsellino si avvicinò a Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, disse: “Voi due non me la raccontate giusta sul dossier mafia e appalti».
Loro cosa risposero?
«Fecero un sorriso e si allontanarono».
Quando si tenne quella riunione?
«Giammanco l’aveva convocata per il 14 luglio, dopo le polemiche seguite alla pubblicazione di stralci del diario di Falcone, in cui si parlava della difficoltà di lavorare alla procura di Palermo».
Che cosa si disse in quell’incontro?
«Si fece il punto su diverse indagini, ma su quella riunione ho ricordi sbiaditi. La collega Antonella Consiglio raccontò qualche settimana dopo al Csm che Borsellino espresse un certo dissenso: lamentava che alcuni atti della procura di Marsala non erano stati acquisiti nel fascicolo su Angelo Siino».
Anche a Marsala vi eravate occupati di mafia e appalti?
«Dopo aver ricevuto il rapporto del Ros, Giammanco aveva fatto una sorta di spezzatino, inviandoci uno stralcio che riguardava il porto di Pantelleria. Il procuratore Borsellino aveva incaricato me di occuparmene, arrivammo ad arrestare il sindaco. Ricordo pure che eravamo stati a Palermo per parlare di alcuni aspetti dell’indagine con Giammanco».
Quando avvenne?
«Paolo era ancora il procuratore di Marsala, erano i giorni in cui stava meditando di fare domanda per ricoprire la funzione di procuratore aggiunto a Palermo, incarico che poi iniziò nel settembre 1991».
Cosa accadde in quest’altra riunione con Giammanco?
«Ricordo che nella stanza c’erano i colleghi Lo Forte e Pignatone, i più fedeli collaboratori di Giammanco. Parlammo dello stralcio di mafia e appalti che ci avevano inviato, ma Paolo lanciò anche una battuta a Giammanco: “Se faccio domanda a Palermo come procuratore aggiunto mi metti a occuparmi di esecuzioni in un sottoscala?”. Giammanco sorrise, disse che gli avrebbe dato la delega a seguire le indagini di mafia su Trapani e Agrigento. Tornando a Marsala, Paolo mi disse: “Questi qui cercheranno di mettermi in un angolo”. Ma fece comunque domanda per Palermo».
Aveva visto giusto Borsellino, si trovò presto isolato all’interno della procura di Giammanco.
«Dopo il delitto Lima, Falcone e Borsellino compresero che era accaduta una cosa epocale. Borsellino voleva indagare sulle dinamiche mafiose di Palermo e anche sull’omicidio dell’europarlamentare Dc, ma Giammanco glielo negò. Borsellino voleva anche andare negli Stati Uniti per interrogare Buscetta: pure questo Giammanco impedì. Il procuratore arrivò a nascondergli la notizia del pentimento di Gaspare Mutolo».
[…]
In quello che abbiamo dei diari di Falcone, ci sono molti riferimenti all’isolamento all’interno della procura di Giammanco. Cosa le disse Paolo Borsellino al proposito?
«Paolo era convinto che dietro ogni annotazione potesse nascondersi uno spunto importante per comprendere la causale della strage di Capaci. Per questo voleva indagare a fondo su ogni spunto».
[…]
0 notes
scienza-magia · 11 months ago
Text
Rapporto sugli attuali pericoli alla sicurezza Nazionale
Tumblr media
Gaza, Ucraina, terrorismo: l'analisi dell'Intelligence italiana. Presentata oggi la 'Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza' per il 2023. Dai rischi del conflitto in Medio Oriente alla mafia, cosa c'è nel report degli 007 italiani Dal conflitto a Gaza e i rischi in Medio Oriente passando per la guerra tra Russia e Ucraina, ma anche l'Africa, i Balcani, la minaccia della disinformazione, la cybersicurezza e l'Intelligenza Artificiale, il terrorismo, i migranti e la mafia. Questi i temi analizzati nella 'Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza', curata dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e relativa all’anno 2023 presentata oggi. Gaza e Medio Oriente "L’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese contro il territorio israeliano ha rappresentato uno spartiacque nelle dinamiche politiche internazionali e del quadrante mediorientale. Localizzato nella Striscia di Gaza, il conflitto è infatti caratterizzato da elementi dalla portata regionale che, anche sull’onda della pronunciata valenza simbolica insita nella questione palestinese, hanno riattivato linee di faglia ad ampio raggio, spingendo diversi attori d’area a forme di reazione, con il rischio di innescare un conflitto di più ampia portata", è quanto si sottolinea. "Inoltre, le ostilità hanno inciso in modo significativo anche sui processi di riallineamento geopolitico in corso, congelandone nei fatti lo sviluppo e provocando nell’intero mondo arabo-islamico sommovimenti e tensioni - prosegue - L’azione di Hamas, circa 1.100 morti e oltre 200 ostaggi tra civili e militari, ha inflitto una ferita profonda nel tessuto della società e nella sicurezza israeliana, inducendo il Governo di Tel Aviv a rispondere sul piano militare contro la Striscia di Gaza. L’ultima parte dell’anno è stata infatti segnata dalle operazioni militari delle Forze di Sicurezza Israeliane contro il territorio della Striscia di Gaza finalizzate a smantellare le capacità militari dei gruppi estremisti palestinesi e a liberare gli ostaggi. Tensioni crescenti si sono registrate anche in Cisgiordania, oggetto di diverse operazioni speciali condotte dalle Forze di Sicurezza Israeliane, anche in questo caso volte a disarticolare le articolazioni estremiste palestinesi". Con crisi Gaza stop processi distensione e rischi per stabilità - "La crisi tra Israele e Gaza ha restituito priorità alla questione israelo-palestinese nelle agende politiche della comunità internazionale, marcando al contempo una linea di discontinuità nell’andamento delle dinamiche dell’intera regione del Medio Oriente. Sul piano strategico, sino ai fatti del 7 ottobre, il quadrante mediorientale era stato attraversato da importanti processi di riallineamento che avevano coinvolto diversi attori regionali. Emblematica nel senso la prosecuzione del rafforzamento dei processi di normalizzazione che vedevano al centro proprio Israele e parte della comunità dei Paesi arabi (Accordi di Abramo) e che, in prospettiva, avrebbero potuto coinvolgere anche l’Arabia Saudita, realtà di riferimento per il mondo arabo e musulmano". "Analoghe politiche di riavvicinamento avevano coinvolto anche attori come Iran, Arabia Saudita, Siria, Turchia, indirizzando il quadrante verso una graduale riduzione delle tensioni - prosegue la relazione - Lo scoppio della crisi di Gaza ha provocato un arresto di tali processi di distensione, riportando il Medio Oriente nuovamente al centro di dinamiche di polarizzazione e conflittualità che ruotano intorno alla questione israelo-palestinese e che rischiano di far ulteriormente degenerare la stabilità del quadrante". Rischio ricadute in Egitto e Cisgiordania - "Il riaccendersi delle ostilità ha comportato, e continuerà a causare, rilevanti ricadute di carattere securitario in tutta la regione alla luce dei numerosi attori locali coinvolti e dell’elevato rischio che la crisi possa allargarsi ad altri contesti. In prima linea, tra le realtà che rischiano di essere interessate dalle ricadute della crisi di Gaza, vi sono l’Egitto e la Giordania, Paesi tradizionalmente vicini alla causa palestinese e, per evidenti motivi di prossimità geografica, maggiormente esposti a potenziali destabilizzazioni in caso di ulteriore allargamento della crisi". "Nell’ultima parte del 2023 - prosegue il report - si è altresì registrato un deciso innalzamento delle tensioni in contesti in cui la crisi di Gaza ha rappresentato un fattore di innesco per l’avvio di attività potenzialmente destabilizzanti condotte da attori locali riconducibili al cosiddetto 'asse della resistenza', un’alleanza informale che unisce sul piano strategico diverse realtà del quadrante, Iran, Hezbollah libanesi, Houthi yemeniti, milizie sciite in Iraq e Siria, gruppi sunniti palestinesi, in una connotazione anti-israeliana e anti-occidentale". Alterazione di equilibri, attenzione al Libano - "Tema di stretta attenzione degli organismi intelligence è anche il rischio che il protrarsi della crisi di Gaza provochi un’alterazione degli equilibri settari e religiosi delle comunità mediorientali. Diversi contesti del Medio Oriente sono tradizionalmente caratterizzati da un’elevata eterogeneità delle componenti confessionali, la cui pacifica convivenza e il mantenimento del triplice equilibrio demografico, sociale e politico rappresentano elementi chiave per la stabilità generale del quadrante". "I conflitti che negli anni hanno interessato Libano, Iraq, Siria e Yemen sono stati provocati anche dalla percepita alterazione degli equilibri tra le diverse comunità interne, con rivendicazioni settarie e religiose strumentalizzate in chiave politica e tramutate in confronto militare interno - prosegue la relazione - La crisi in atto a Gaza – oltre a essere percepita da una parte del mondo musulmano come un confronto tra ebraismo e comunità islamica – rischia di provocare, specie in Libano, conseguenze sul predetto triplice equilibrio". "Un eventuale allargamento del conflitto nel Paese dei Cedri, con un ingaggio militare più ampio del gruppo arabo-sciita libanese Hezbollah, potrebbe infatti arrecare ulteriori e non sostenibili tensioni interne, provocando la reazione delle diverse componenti cristiane, druse e sunnite, peraltro già sotto pressione per la presenza nel Paese dei profughi siriani", conclude. Aumento tensioni in Siria e Iraq - "Lo scoppio del conflitto di Gaza ha provocato un aumento delle tensioni anche in Siria e Iraq, specie per la presenza in questi contesti di gruppi che, partendo da rivendicazioni relative alla questione palestinese, conducono azioni offensive contro assetti statunitensi nell’area, nell’ottica di combattere la presenza occidentale in Medio Oriente". "Tale situazione rileva sul piano securitario anche in ottica nazionale, considerando la presenza del contingente italiano in Iraq operativo sia all’interno della coalizione internazionale anti-Daesh sia nella Nato Mission in Iraq (missione di cui l’Italia ha avuto il Comando fino al mese di maggio)", continua. Preoccupa attivismo Houthi - "Nell’ultima parte dell’anno, ha suscitato particolare preoccupazione il rinnovato attivismo della milizia sciita Houthi in Yemen che, a fronte di avviati colloqui di pace con Riyadh, ha condotto una serie di attività offensive sullo stretto di Bab el Mandeb". "Gli Houthi hanno infatti attaccato e tentato di sequestrare navigli commerciali diretti in Mar Rosso rivendicando tali azioni come attività condotte contro gli interessi israeliani e occidentali in solidarietà con il popolo palestinese, obbligando così parte del flusso commerciale internazionale marittimo a modificare le proprie rotte", prosegue la relazione. Almeno "25 attacchi Houthi" e "-35%traffici nel Canale di Suez". Sono alcuni dei dati, sulla crisi di Gaza e il Mar Rosso, contenuti nella relazione Terrorismo "A seguito dell’attacco di Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre e del conflitto che ne è derivato, l’Intelligence si è focalizzata in via prioritaria sull’impatto della crisi sulla minaccia terroristica in Italia e in Europa, con particolare attenzione sulle reazioni di al Qaida e Daesh e sulle possibili ricadute sul jihadismo globale". "Negli ultimi mesi dell’anno si è infatti assistito a una rivitalizzazione della propaganda jihadista, non solo in chiave antisionista, ma anche tesa a rilanciare lo scontro tra Islam e Occidente, nell’intento di proiettare la minaccia oltre i confini del teatro del conflitto". "Appare dunque concreto il rischio che la crisi possa costituire una cassa di risonanza per il messaggio jihadista, non solo andando a incidere sui processi di radicalizzazione, ma potendo anche fungere da innesco di potenziali lupi solitari stanziati in Europa, inducendoli a passare all’azione", continua. Crescono attentati islamici in Europa - "In Europa, la minaccia jihadista ha conservato una crescente e quasi esclusiva connotazione endogena. Nel 2023, gli attentati direttamente riconducibili a una matrice islamista sono numericamente raddoppiati rispetto all’anno precedente (da 3 a 6), ma hanno mantenuto un numero di vittime relativamente contenuto (6 morti e 16 feriti)". "In analogia con gli ultimi anni, si è trattato di azioni compiute da singoli soggetti, già presenti e/o residenti nel Paese target, non intranei a organizzazioni jihadiste e che, a eccezione del caso di Bruxelles (dove è stata utilizzata un’arma da fuoco automatica), hanno fatto uso di mezzi offensivi semplici (armi bianche) - sottolinea - Peraltro, l’azione belga si è distinta ulteriormente dalle altre in quanto è sembrata il frutto di una pianificazione più complessa, che avrebbe visto il coinvolgimento di diversi soggetti implicati soprattutto in circuiti criminali, ed è stata l’unica ufficialmente rivendicata da Daesh tramite la casa mediatica Amaq". Italia potenziale bersaglio - "L’Italia si è confermata potenziale bersaglio per la sua centralità nel mondo cristiano, il suo impegno nella Coalizione antiDaesh e la presenza di luoghi simbolo della storia occidentale come il Colosseo che continua a essere considerato, dalla retorica d’area, obiettivo di conquista privilegiato nel cuore dell’Europa 'miscredente'", continua. "Si è mantenuta elevata l’attenzione informativa sui foreign fighters che a suo tempo hanno raggiunto il quadrante siro iracheno per unirsi a Daesh o ad altre formazioni terroristiche ivi operanti. Nel 2023, sono aumentati a 149 (di cui 39 returnees) i soggetti inclusi nella 'lista consolidata' redatta in ambito di Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo, in quanto a vario titolo connessi con l’Italia".   "Con riguardo poi all’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale, nel 2023 sono stati eseguiti, pure grazie al contributo informativo dell’intelligence, 77 rimpatri di cui 13, in prevalenza tunisini, a carico di soggetti che erano riusciti a rientrare in Italia clandestinamente nonostante fossero stati già rimpatriati negli anni precedenti", conclude. Ucraina-Russia "A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, il tema della consistenza degli effettivi dei due eserciti assume assoluto rilievo. In Russia, le perdite nel conflitto, sia di morti che di feriti, così come i cittadini fuggiti a causa della guerra, hanno ulteriormente peggiorato la crisi demografica. Si stima che negli ultimi quattro anni la popolazione russa abbia perso circa 2 milioni di persone a causa di guerra, esodo e pandemia. Nel lungo termine, il declino demografico inciderà negativamente sullo status della Russia quale grande potenza e sulla sua capacità di innovare". E' quanto si sottolinea nella relazione sul conflitto in corso. "Mosca può comunque contare su un bacino di potenziali 'reclutandi' quattro volte più ampio di quello del suo avversario. In Ucraina, conclusasi la mobilitazione dei volontari, il Paese dibatte su come ottenere un numero maggiore di truppe per consolidare le difese o tentare nuove azioni di controffensiva nel 2024 - prosegue - Inoltre, un nuovo disegno di legge governativo che mira, tra le altre misure, ad abbassare la soglia per i coscritti da 27 a 25 anni, è stato inviato a dicembre in Parlamento". Calo degli aiuti occidentali - "Quanto all’entità degli aiuti assicurati dall’Occidente e da Paesi terzi, si evidenzia il delinearsi di due traiettorie distinte. Da un lato, sullo sfondo di una costante evoluzione di posizioni in seno alla Comunità internazionale, il sostegno dei Paesi Occidentali all’Ucraina, focale per la prosecuzione dello sforzo militare di Kiev, è continuato durante tutto il 2023, pur registrando un importante calo rispetto all’anno precedente. A fine anno l’aiuto militare complessivamente stanziato dai Paesi europei superava, per la prima volta, quello offerto dagli Stati Uniti". "Dall’altro lato, è in aumento il sostegno che attori terzi offrono alla base industriale militare russa. Pechino, oltre ad accrescere le importazioni di prodotti energetici dalla Russia, ha probabilmente fornito a Mosca alcune tecnologie duali. Altri Paesi hanno invece offerto un supporto militare diretto: l’Iran ha messo a disposizione della Russia ingenti quantità di droni pronti all’uso e ha contribuito a creare la capacità di costruirne ulteriori; la Corea del Nord ha intensificato la cooperazione militare con Mosca, inviando supporto in munizionamento", si osserva. Nel 2023 "soluzione conflitto rimasta remota" - "Durante il 2023, lo scenario di una soluzione del conflitto e di un conseguente avvio della ricostruzione dell’Ucraina è rimasto remoto. Non si sono svolti negoziati di pace significativi tra Mosca e Kiev per tre ragioni principali: è mancata la necessaria fiducia tra i belligeranti affinché si convincano a sedersi a un tavolo negoziale; nessuno dei due contendenti ha modificato i propri obiettivi strategici; ragioni di politica interna (non c’è sostegno a concessioni territoriali né da parte della popolazione ucraina, né da quella del presidente russo)". "In particolare, ogni tentativo di Putin di segnalare l’avvio di possibili negoziazioni si è scontrato contro l’espressa volontà di non voler offrire alcuna concessione, in quanto una pausa nei combattimenti servirebbe solo alla ricostituzione delle Forze russe per sferrare nuovi attacchi - prosegue - Ciononostante, si è assistito a un proliferare di 'iniziative di pace' promosse da vari attori. Rilevano, al riguardo, il piano varato da un gruppo di esperti internazionali denominato 'Kiev Security Compact', le iniziative di Cina, Sudafrica (che ha guidato una proposta esibita a nome dell’Unione Africana) e Brasile, nonché ulteriori tentativi da parte di altri Stati". "Tra le diverse iniziative, l’Ucraina ha cercato di aggregare consenso intorno alla 'Formula di Pace' del Presidente Zelensky, presentata già nel 2022, che prevede un piano in 10 punti, fondata sui seguenti cardini: sicurezza nucleare, sicurezza alimentare, sicurezza energetica, rilascio dei prigionieri, restaurazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ritiro delle truppe russe e cessazione delle ostilità, giustizia e creazione di un tribunale internazionale, protezione ambientale, prevenzione di un’escalation, conferma della fine della guerra - conclude la relazione - A compimento di un percorso di consultazioni multilaterali, che include la partecipazione dei Paesi del Sud Globale e riunioni tra i Consiglieri di Sicurezza Nazionale – a Copenaghen (24 giugno), Gedda (5 agosto) e Malta (28 ottobre) – nel 2024 Zelensky mira a indire un Summit della pace globale che dia inizio all’implementazione pratica della formula". Da Russia disinformazione per minare Ue e Nato - "Nel 2023 gli apparati di informazione legati al Cremlino hanno continuato a operare all’interno del dominio dell’informazione per minare la coesione europea e la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni sia nazionali che dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica. Dopo il blocco imposto dall’UE alle attività verso gli Stati membri dei media russi, come Rt e Sputnik, e l’adozione di politiche più stringenti a contrasto della disinformazione e della propaganda di Mosca, quest’ultima ha potuto contare sull’appoggio di network mediatici di Paesi terzi per promuovere le proprie narrative ampliando, allo stesso tempo, la propria capacità di coordinamento a livello internazionale". "Le narrazioni diffuse dalle campagne disinformative russe hanno riguardato, anche nel 2023, la colpevolizzazione della Nato e dei Paesi occidentali per la guerra in Ucraina, alla quale si aggiunge, come elemento di novità, quella per la guerra tra Israele e Hamas", conclude. Nuove tecnologie e disinformazione, voto e minaccia ibrida Nella relazione annuale dell'intelligence "viene dato il giusto spazio all'effetto dirompente delle nuove tecnologie" e al tema "della disinformazione". Così il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, intervenendo a Palazzo Dante durante la presentazione della relazione annuale dei Servizi. Dalla relazione "emerge ancora una volta la consapevolezza" di quella che Guerini, parlando della disinformazione, non esita a definire "una minaccia per la nostra società". Per il numero uno del Copasir servono "strumenti a livello nazionale e internazionale" per mettere in atto "una reazione efficace alla disinformazione". "Nel 2024 ben 76 Paesi sono chiamati a votare, il 51% della popolazione mondiale, metà del Pil del mondo". Lo afferma il direttore generale del Dis Elisabetta Belloni alla presentazione pubblica della “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, curata dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, sottolineando che davanti a ciò "è intuitivo" parlare dei "rischi di interferenze e condizionamenti dei processi elettorali attraverso la minaccia ibrida". Balcani "L’Intelligence dedica costante attenzione ai Balcani Occidentali osservando, in particolare, le aree connotate da latenti instabilità. La regione continua a presentare significative criticità, cui non sono estranei problemi di governance, dinamiche interetniche, fenomeni di criminalità e corruzione diffusa, ponendo ostacoli al progresso del cammino dei Paesi della regione verso l’Unione Europea e, in alcuni casi, influenzando negativamente la loro situazione securitaria". "Sul piano dell’integrazione comunitaria, dalla fine del 2022 tutti i Paesi della regione, Kosovo escluso, hanno ottenuto lo status di candidato all’ingresso - prosegue - Ciononostante, le valutazioni date da Bruxelles sugli effettivi progressi raggiunti non fanno sperare in un’integrazione in tempi brevi: anche i Paesi più avanzati nei negoziati, come Serbia e Montenegro, scontano ritardi dovuti, da un lato, a una scarsa attitudine dei Governi della regione a riformare ambiti fondamentali per l’Unione Europea, come il settore giudiziario e la promozione dei diritti fondamentali, dall’altro, alla difficoltà delle Istituzioni comunitarie a rilanciare il processo di allargamento. In tale cornice, l’Italia svolge un ruolo fondamentale nel cercare di avvicinare la regione balcanica all’Unione Europea attraverso iniziative miranti ad accelerarne l’integrazione e sostenendo i processi di riforma interni". "Nel 2023, il quadro securitario balcanico si è connotato fortemente per l’incerto sviluppo del processo di normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, che al momento appare in sostanziale stallo, nonostante l’iniziale sviluppo positivo dell’accordo raggiunto a voce, ma mai firmato, tra i due Paesi a Ohrid (febbraio) Read the full article
0 notes
Text
youtube
youtube
Due video, il primo sul patto fra Stato e mafia, il secondo sul rapporto fra i gangli del potere politico e giudiziario con il deep state, imprescindibili per chi voglia avere una visione meno limitata della politica italiana rispetto a quella fornita dal mainstream.
2 notes · View notes
corallorosso · 3 years ago
Photo
Tumblr media
‘Ndrangheta e chiesa, Gratteri: “Legame forte”. I media? “Un’arma di difesa” Il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri ha presentato il suo ultimo capolavoro a quattro mani con Antonio Nicaso, “Non chiamateli eroi”, nella piazza di Nicotera. Nel dialogo con la giornalista di Rai News24 Angela Caponnetto, il magistrato ha disquisito dei rapporti stretti tra ‘ndrangheta e Chiesa: “In questo ultimo libro raccontiamo un secolo e mezzo di episodi che vedono preti e vescovi in rapporti con la ‘ndrangheta. Molti camminavano armati perché avevano paura di essere ammazzati. Negli anni ’70 diversi sacerdoti poi uccisi camminavano con un milione di lire in tasca”. L’aneddoto del vescovo “corrotto” Per rinsaldare il concetto, Gratteri intrattiene il pubblico con un significativo aneddoto: “Spesso un vescovo mi chiedeva il motivo dei numerosi arresti. Io gli risposi chiedendogli, a mia volta, il motivo delle mangiate che spesso faceva a casa del capo-mafia”. ‘Vado a recuperare la pecorella smarrita’, mi disse. Io gli risposi che se la pecorella non si ravvede mai, l’effetto di queste visite è una legittimazione delle sue azioni. Forse sarebbe stato più opportuno recarsi a casa di un contadino. Da quel momento in poi, il vescovo non è più venuto a trovarmi”. Il magistrato fa comunque notare che “la situazione in Calabria, grazie a Papa Francesco, sta migliorando notevolmente. Nel Sud, la Chiesa ha un potere molto forte: nei piccoli paesi i sacerdoti hanno seguito, votano e fanno votare. Avere un prete che investe il suo tempo nella cura dei giovani è una fortuna, discorso diverso per uno che invece pensa solo al suo potere”. Il rapporto con i media (...) . “Sono spesso criticato perché vado continuamente in televisione – ha affermato. Più me lo dicono e più io ci vado, perché la gente deve sapere e deve essere informata. Molti giornalisti hanno l’ossessione di Gratteri e i loro pezzi sono composti dall’80% di notizie false. Io ho nervi di acciaio e spalle larghe, continuo per la mia strada perché ho una grande responsabilità con migliaia di uomini che lavorano per la Procura di Catanzaro. La comunicazione è la mia unica arma di difesa. Non faccio parte di nessuna corrente, non ho partiti alle mie spalle ma ho la possibilità di andare in trasmissioni importanti per parlare di fenomeni e soluzioni ai problemi”. (...) “Dov’è il sindacato dei giornalisti? A me non interessa granché, vado in conferenza stampa per raccontare il sacrificio di centinaia di forze dell’ordine. E’ giusto che chi non può parlare venga rappresentato e gli sia data la giusta gratificazione”. (a.b.) https://calabria7.it/
21 notes · View notes
seguendotracce · 4 years ago
Text
ILARIA ALPI: SABBIE TOSSICHE E INSABBIAMENTI INTERNAZIONALI
Una storia che ci porta fino ad oggi...
"E' la storia della mia vita, devo concludere, voglio mettere la parola fine... " - Ilaria Alpi
Tumblr media
Questa storia scava nel cuore di catrame dello Stato Profondo. Si tratta di eventi che mostrano come si muove quella che, ancora oggi, potremmo definire "la Struttura".
"Menti raffinatissime, altroché mafia" (cit. Giovanni Falcone). Una struttura criminale, trasversale, sovranazionale. La vicenda è estremamente complessa e ramificata e, da parte mia, mi focalizzerò su alcuni punti che credo siano cruciali.
IL COMITATO D’AFFARI
Era il 1992, quando Mustafa Tolba, responsabile dell'Agenzia dell'ONU per la Protezione dell'ambiente (Unep) a Nairobi, denunciò il fatto che imprese italiane e svizzere stavano per realizzare un vasto piano di smaltimento di rifiuti tossici in Somalia. Da questa indagine emergerà il nome di una società, la Fin Chart, con sede Via Fauro 43, a Roma.
Nota (e collegamento) importante: una delle bombe della strategia di destabilizzazione del 1993 scoppierà proprio in Via Fauro, il 14 Maggio, tra il civico 41 e il civico 43.
Il "Comitato d'Affari" agisce tramite le società Fin Chart e Interservice e stabilisce rapporti con importanti figure politiche somale (come Nur Osman, Min. somalo della Sanità) anticipando, tramite un giro di titoli di credito, denaro a pioggia. Da chi è composto questo "Comitato d'Affari"? C'è Giannoni (Società italiana Progresso), Amalow (governatore della Banca Centrale somala), Ruppen (Publitalia '80 di Dell'Utri ma anche Nomisma, Centro Studi prodiano e consulente editing Iri), Ferdinando Dall'O e l'affarista Giancarlo Marocchino. Ma ai traffici somali era interessato anche l'ex agente segreto (“supersismi”, cit. Giovannone) Francesco Pazienza.
Di cosa si occupava il “Comitato d'Affari”? Traffico di armi e rifiuti tossici.
Dalla confessione di Giannoni al PM Tarditi: i rifiuti industriali smaltiti in Somalia erano utilizzati per mascherare il “check" (radioattivo), che è un misto derivante dalla lavorazione dell'uranio [uranio U-308, in gergo "yellow cake"]. Il trasporto era affidato, sempre secondo la confessione di Giannoni, alla "Contenitorti e Trasporti" il cui proprietario era Orazio Duvia, di La Spezia. Duvia (in contatto, tra gli altri, con Roberto Pazienza) era soprannominato il "Re Mida dei traffici ambientali". E qui occorre fare un altro collegamento molto interessante. Duvia era assistito da Romano Tronci (azionista della finanziaria milanese Fined Spa), uomo di fiducia di Vito Ciancimino  con costanti rapporti d'affari – per volontà di Riina - con Vincenzo Virga (implicato nell’omicidio Rostagno). Ma torniamo per un attimo a Francesco Pazienza: fin dall'epoca delle inchieste trapanesi e trentine del giudice Carlo Palermo era stato collegato (tramite il generale piduista dei Servizi Segreti Santovito) con il colonnello somalo Osman Anaghel. A trattare con Anaghel (e con i signori della guerra in Somalia, nel dicembre 1992) sono Luca Rajola Pescarini (responsabile per l'Africa della seconda divisione del Sismi, che si occupava delle attività del servizio estero), il generale Pucci (Sismi), Marocchino e Duale. Ho scritto poco sopra di Amalow, governatore della Banca Centrale somala e imprenditore socio della società "Progresso" di Livorno. Amalow è un personaggio trasversale, inamovibile nel suo ruolo di governatore, ruolo che ricoprirà sia sotto Siad Barre che sotto Ali Mahdi. Intorno al 1990/91 la Somalia aveva ricevuto dal Kuwait circa 70 milioni di dollari (depositati in Svizzera). Buona parte di questo denaro venne "prelevato" dal governo di Ali Mahdi ma né gli investigatori ONU, né il governo svizzero erano riusciti a capire dove fosse finita. Oppure non  si sono mai impegnati a capire... ma questa è un'altra storia. Si sospettò (è nel rapporto degli investigatori ONU) che una parte di quel denaro fosse stata usata da Ali Mahdi per l'acquisto di armi tramite il trafficante siriano Monzer Al Kassar. Tra il 1990 e il 1991 Saddam Hussein invade il Kuwait e l'alleanza occidentale (a guida USA) entra in guerra con l'Iraq. Quindi: in piena situazione di guerra, una cifra del valore di 70 milioni di dollari è stata inviata dal Kuwait alla Somalia... magheggi e intrecci: guerra e finanza, in fondo, sono gestite a monte dalle stesse persone.
L’ESPLOSIVO SVANITO NEL NULLA
E qui inizia una storia molto strana... di cui non molti sanno. Tra il 1990 e il 1992 la stessa organizzazione di trafficanti che fa capo al Al Kassar si trova a smerciare illegalmente armi in due delle principali aree di guerra:la ex Jugoslavia e la Somalia. L'organizzazione di trafficanti che fa capo ad Al Kassar smercia carichi di un particolare esplosivo al plastico di tipo militare: l'Rdx. Nel 1990 un enorme quantitativo di Rdx, prodotto in Spagna, è stato acquistato dall'azienda polacca Cenrex (con cui traffica Al Kassar). Beh... di gran parte di quella enorme partita di esplosivo, dopo l'acquisto da parte della Cenrex, si perdono le tracce.
Nota tragica e curiosa: in tutte le stragi italiane occorse tra il 1991 e il 1993, comprese quelle dove furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono presenti sia Rdx che miccia detonante alla pentrite.
Quel particolare tipo di esplosivo venne individuato dalle perizie tecniche negli ordigni utilizzati nella strage di Capaci, di via D'Amelio, di Firenze, Roma e Milano. E anche nella strana esplosione che ha preceduto la collisione del traghetto Moby Prince con la petroliera Agip. Potrebbe trattarsi dell'esplosivo trafficato da Al Kassar? E la miccia alla pentrite? Torniamo in Somalia, per valutare un'altra "storia curiosa", una vicenda emersa proprio nelle indagini relative all'assassinio Alpi-Hrovatin...
Nel 1993 a Mogadiscio, Giancarlo Marocchino (componente del "Comitato d'Affari - di cui scrivevo all'inizio - e primo italiano ad accorrere sul luogo dell'omicidio di Ilaria e Miran), subisce una perquisizione da parte di militari italiani perché sospettato di traffico d'armi.
Preziosissima sarà la deposizione di Scialoja (ambasciatore, all'epoca responsabile dell'unità speciale del Ministero degli Esteri italiano a Mogadiscio) davanti alla Commissione Alpi-Hrovatin... Così dichiarò Scialoja: “Tra il materiale di Marocchino furono trovate e sequestrate anche delle armi integrate, anche degli Rpg-7, se non sbaglio, altre armi di varia natura e, fatto che mi colpì e che ricordo bene, un quantitativo non trascurabile di miccia detonante." Anche il generale Giampiero Rossi, all'epoca comandante del contingente italiano in Somalia, ha ricostruito l'episodio descritto da Scialoja. Della miccia detonante, però, Rossi non parla. Della perquisizione a Marocchino esiste un riscontro nel “Diario degli Avvenimenti. Operazione Ibis” dove si legge che l'Operazione fu condotta dai reparti speciali Col Moschin e Folgore. Ma in questo elenco (verbale 31.01.93) non vi è traccia della miccia detonante (sulla perquisizione in oggetto: si veda il Post Scriptun in calce a questo articolo).
Torniamo alla strage del Moby Prince., A bordo del traghetto sono state individuate dalle perizie ordinate dalla Procura della Repubblica di Livorno tracce di miccia detonante alla pentrite e dell'esplosivo militare T4-Rdx, dello stesso tipo di quello trafficato da Al Kassar. Nello stesso porto di Livorno c'è la presenza - prima, durante e dopo il disastro Moby Prince – dell'ammiraglia della Shifco, la flottiglia di pescherecci partner di Al Kassar nei suoi trasporti di armi. Le stesse navi su cui indagava Ilaria Alpi. Scrisse a tal proposito il giudice Carlo Palermo: "il 10.04.1991 era l'ultimo giorno dell'emergenza Golfo Dall'11 aprile alcune operazioni militari non sarebbero state più consentite. Questo potrebbe spiegare i movimenti di diverse imbarcazioni che navigavano sotto copertura".
VINCENZO LI CAUSI E IL CENTRO SCORPIONE Da chi Ilaria Alpi, molto presumibilmente, aveva ricevuto informazioni sul traffico di armi e rifiuti tossici? Quasi certamente alcune determinanti informazioni furono passate a Ilaria da Vincenzo Li Causi. Esisteva un livello occulto e segretissimo di Gladio, non divulgato. Vincenzo Li Causi faceva parte di quel livello... o meglio: Li Causi era una delle punte di diamante di quel livello. Li Causi faceva parte anche degli Ossi (Operatori Speciali dei Servizi Italiani), la struttura segreta che effettuava operazioni di “guerra non ortodossa”. Vincenzo Li Causi era a capo del Centro Scorpione di Trapani, forse il più misterioso dei cinque centri S/B italiani. Le indagini su questo Centro (condotte dopo la scoperta dell'esistenza di Gladio) non sono mai riuscite a ricostruirne lo scopo, il lavoro svolto e la provenienza/quantità di fondi. Quando Giovanni Falcone provò a svolgere indagini in tale direzione (in relazione all'assassinio di Pio La Torre) non ottenne il via libera dal suo capo, l'allora procuratore Pietro Giammanco. Li Causi morirà in Somalia il 12.11.93 ucciso ufficialmente da una banda di somali con un fucile di precisione a telemetro dragunov (i somali disponevano dell'AK-47 ma non del dragunov). Perché venne ucciso Li Causi? Probabilmente perché era ormai compromesso e quindi "inservibile". La magistratura lo tallonava (per via della scoperta di alcuni suoi passaporti falsi) e avrebbe dovuto essere interrogato in Italia nel Novembre 1993. Il 12 Novembre venne ucciso. La "Struttura" (di cui il Centro Scorpione era il fiore all'occhiello) non poteva rischiare di essere scoperchiata. Li Causi ovviamente sapeva di essere compromeso e in pericolo e probabilmente contattò la Alpi proprio per passarle alcune preziose informazioni. Li Causi e Ilaria Alpi, infatti, si erano conosciuti anni prima durante un corso di lingua araba in una scuola di Tunisi. Nota a margine: Il PM Franco Ionta archivierà l'inchiesta sull'omicidio di Li Causi ma a tale riguardo c'è un piccolo "giallo", una sorta di "mistero nel mistero"... Pare che per ben due volte il Ministero della Giustizia (guidato prima da Flick e poi da Diliberto) abbia negato l'autorizzazione a indagare su un somalo sospettato di essere l'assassino. Entrambi i Ministri, però, affermano di non aver mai ricevuto le carte a riguardo. Partendo da Li Causi, però, possiamo arrivare anche alla Falange Armata, l'organizzazione eversiva più misteriosa che mai si sia affacciata sul territorio italiano... Tra i 16 ufficiali di Gladio sospettati di appartenere alla Falange Armata (la famosa "lista Fulci") figuravano anche Vincenzo Li Causi e Giulivo Conti (che era con Li Causi il giorno dell'imboscata in Somalia in cui quest'ultimo venne ucciso). Dalle indagini sulla Falange Armata emerse poi il fatto che 15 di questi uomini (tutti esperti di esplosivi) appartenevano a una stessa Sezione: gli Ossi, poi divenuta "Sezione K" della VII Div. Sismi: la Divisione di Gladio, del Centro Scorpione e di Li Causi. Però attenzione perché in questi contesti non è mai tutto come sembra e non è mai tutto come appare (c’è ad esempio chi giura che Li Causi possa essere ancora vivo)... Di certo la Falange Armata anticipò di molto (comunicato del giugno 1991) il verificarsi delle stragi del 1992 e del 1993. Interessante la rivendicazione - codice di riconoscimento 763321 - arrivata il 19 Luglio '92 alle 18.15 alla sede palermitana dell'Ansa in occasione della strage di Via D'Amelio... dove però la Falange parla di "azione ai danni del giudice Borsellino in Via Autonomia siciliana" (e non in Via D'Amelio). Scrivono Grimaldi e Scalettari (”1994″, Chiarelettere 2010 - p. 181 cit. da: analisi Eurispes): “(...) la Falange Armata è un’organizzazione di terrorismo virtuale, un ‘quasi terrorismo’ legato alle rivendicazioni telefoniche degli atti più diversi per cui furono sospettati e allontanati dal Servizio Segreto militare molti ufficiali. Un’organizzazione dedita al terrorismo psicologico attraverso un complesso di messaggi criptico e indecifrabile ai più, al quale può essere attribuito senso e significato solo da limitati ambienti e soggetti.” Chi gestiva la Falange Armata? Da quale parte stava? Per concludere questa carrellata di notizie forse poco note al grande pubblico, ricordo che per la morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin è stato in carcere 17 anni, innocente, il somalo Hashi Omar Hassan (scarcerato solo nel 2016). Ricordo anche la vergognosa Commissione di inchiesta presieduta dall'Avv. Taormina ("Ilaria uccisa da cause fortuite", ebbe a dire).
Come scrissero Scalettari e Grimaldi nel libro "1994": si tratta di "una catena in cui la figura e la storia di Li Causi finiscono per rappresentare il filo rosso che collega tante diverse storie apparentemente lontane tra loro.”
Un filo che venne spezzato in Somalia.
Tumblr media
Post Scriptum importante: LA STRANA MORTE DI MARCO MANDOLINI Sempre sulla perquisizione (di cui ho parlato sopra) nei magazzini di Mogadiscio di proprietà del trafficante Giancarlo Marocchino: la stessa fu condotta dai reparti speciali Col Moschin e Folgore. Del reparto “Col Moschin” faceva parte Marco Mandolini...
... e anche la sua storia è sconosciuta ai più.
Tumblr media
Marco Mandolini incontrò la morte la sera del 13 giugno 1995 quando venne ferito con quaranta coltellate e finito con un masso pesante 25 chili sugli scogli del Romito (Livorno), tra Calignaia e Calafuria.
Uno dei “trucchi magici” del Sistema (o della “Struttura”, come mi piace chiamarla) è quello di deviare mediaticamente l'attenzione da un fatto ritenuto pericoloso per la tenuta della trama della Struttura stessa.
La storia inizia con i diari del Maresciallo capo Francesco Aloi, 37 anni, paracadutista del primo battaglione Tuscania. Aloi rientrò dalla Somalia nel 1993 e qualche anno dopo rese pubblici i suoi diari (due taccuini, 120 pagine in totale) relativi a quel periodo di servizio. Nei suoi diari, Aloi denunciava alcuni comportamenti altamente deplorevoli tenuti dai militari italiani (violenze, furti, stupri). I diari trovarono ampio spazio sui media italiani. Ma alcune notizie contenute in quei diari, al contrario di altre, non ebbero “stranemente” alcun risalto mediatico... Il Maresciallo Aloi conosceva bene Ilaria Alpi. Ilaria si confidò con lui relativamente ad alcune indagini che stava svolgendo. Scrisse Aloi nel suo primo taccuino: “Pare che [Ilaria] abbia scoperto essere in atto traffici di armi che dall'Est, passando per l'Italia, giungono in Somalia...” Sempre nei diari del Maesciallo Aloi (primo taccuino) si legge: “Ilaria probabilmente ha scoperto uno dei canali che vengono utilizzati per il traffico delle armi e che è lo stesso che serve a società di vari Paesi – tra cui l'Italia – allo smaltimento di scorie radioattive.”
Ma la parte più agghiacciante dei diari di Aloi è forse quella scritta nelle pagine 68 e 69: “Mantengo i contatti con Ilaria e con Li Causi. Lei mi confida di avere paura e non dei somali. (...)” Secondo taccuino, pag. 41: “Li Causi mi confida che teme per la sua vita (...)”.
Tornando a Marco Mandolini, in occasione della sua morte il Maresciallo Aloi scriverà nel suo memoriale: “E' morto anche il maresciallo Mandolini, non c'è male come sceneggiata. Solo un incursore può uccidere un altro incursore”.
Chi era Marco Mandolini? Maresciallo del IX Btg. “Col Moschin”, paracadutista e incursore, nell'ultimo periodo addestratore dei corpi speciali alla base NATO di Weingarten (Germania). Nel 1992 svolse il compito di caposcorta (e addetto alla comunicazione) del generale Loi, in Somalia. Poco sopra ho scritto del misterioso “Centro Scorpione” di Trapani, forse il più occulto tra i quattro Centri Stay Behind in Italia. Gli altri Centri del livello occulto di Gladio erano: Libra (Brescia), Ariete (Udine), Pleiadi (Asti). Ognuno con diverse finalità e compiti (che qui però non ho modo di approfondire). Ma certamente il Centro Scorpione era quello più “particolare”.
Tumblr media
Il giorno 9.11.89: al Centro Scorpione arriva un messaggio inviato dal Sios Carabinieri Alto Tirreno-La Spezia: “Nostro operatore Ercole est accreditato presso Ufficio sped. Oto Melara La Spezia. Est confermato invio materiale vostro Centro (…) Richiedesi presenza Capo Centro Vicari”
Secondo il messaggio, il militare “Ercole” stava per effettuare trasporto materiale dalla Oto Melara (industria bellica spezzina) verso il Centro Scorpione. Data la delicatezza dell'operazione si richiedeva la presenza del Capo Centro Scorpione, “Vicari” (Vincenzo Li Causi). Ma chi è “Ercole”? Secondo le dichiarazioni di una fonte riservata raccolte da B. Carazzolo, L. Scalettari e A. Chiara (Ilaria Alpi, “Un omicidio al crocevia dei traffici”, Baldini&Castoldi 2002, pag. 228) si trattava proprio di Marco Mandolini. Un operativo di alto livello.
Mandolini fu ucciso il 13.06.95 su un scogliera di Livorno. Aveva 36 anni. A meno di 24 ore dalla sua morte le Agenzie di stampa già collegavano la sua uccisione a un presunto giro di amicizie omosessuali.
Ma 15 giorni prima di morire, Marco Mandolini aveva confessato alla madre di avere paura: “Sono morti due miei colleghi, ho paura di fare la stessa fine”. Poco prima dell'omicidio gli era stata tolta l'autorizzazione a viaggiare armato al di fuori dell'orario di servizio. I familiari avevano potuto vedere il corpo di Marco solo dopo 8 giorni e non erano mai riusciti a recuperare né la sua alta uniforme né la sciabola. Inoltre non videro mai il referto dell'autopsia. Secondo il fratello, Marco Mandolini era amico di Vincenzo Li Causi (avevano frequentato insieme un corso alla base Gladio di Capo Marrargiu) e non era assolutamente convinto della versione ufficiale sull'agguato in Somalia nel quale Li Causi aveva perso la vita.
Se dunque il militare “Ercole” citato nel messaggio riservato del Sios spezzino era proprio Mandolini allora è chiaro che non solo con Li Causi si conoscevano bene ma che avevano anche condiviso missioni riservate. A questo link una testimonianza della famiglia.
A Marzo 2021 anche i media hanno iniziato a parlare della “pista somala” relativamente all'omicidio di Marco Mandolini.
Per il momento chiudo qui, sperando che si possa fare luce dove ancora regna una coltre di tenebra.
Bibliografia:
- B. Carazzolo, A. Chiara, L. Scalettari, Ilaria Alpi - Un omicidio al crocevia dei traffici, Baldini & Castoldi 2002 - Grimaldi, Scalettari, “1994″, Chiarelettere 2010 - Ferdinando Imposimato, La grande menzogna, Ediz. Koinè 2006 - Carlo Palermo, La Bestia, Sperling & Kupfer 2018 - M. Giannantoni. Skorpio - Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto, Edizioni Round Robin 2018
8 notes · View notes
ballaadeer · 3 years ago
Text
Reduce da video riguardanti spoiler di Bsd Beast sento la necessità di scrivere i miei pensieri riguardo al rapporto tra Dazai ed Oda.
Nulla a che vedere con la Odazai come ship romantica.
Piccola premessa: saranno presenti molti spoiler oltre che la mia incapacità nello spiegarmi.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Lunge da me scrivere post per esporre e condividere le mie idee, ma non ho alternative trattandosi di Bungo Stray Dogs. Alcuni miei amici non sono in pari con l'opera, altri ancora non sembrano molto presi, di conseguenza eccomi qui. Magari ne uscirà qualcosa di buono e positivo, chissà.
Non ho letto Beast, non avendo ancora l'opera tra le mie mani, ma TikTok ed Instagram hanno provveduto a spoilerarmi tutto.
Cosa ho compreso da tutto ciò?
Che ho sottovalutato, forse fin troppo, l'affetto che Dazai prova nei confronti di Odasaku. Non ho mai messo in dubbio che Osamu volesse bene ad Oda, un bene dell'anima, eppure non mi sarei mai immaginata provasse un amore simile nei suoi confronti. È una sorta di amore, suppongo,sebbene non sia romantico.
Non ho dato molto peso al fatto che Dazai abbia lasciato il Port Mafia perché era stato l'ultimo desiderio di Oda. Il mio primo pensiero fu: Beh, vuole esaudire il desiderio del suo miglior amico.
Gli spoiler di beast, però, mi hanno aperto gli occhi, in un modo fin troppo devastate.
Da quel che ho compreso, Dazai, ha creato più universi paralleli al fine di far vivere Oda. Tutti sono stati un grande fallimento, tranne quello in cui è ambientato Beast, che lo è stato parzialmente.
Si è sacrificato perché in quel mondo Odasaku era ancora vivo. Non so, ma morire per una persona alla quale si tiene, provare a salvarla più e più volte arrivando al punto di sacrificare la loro amicizia pur di saperlo vivo, sono stati questi dettagli che mi hanno fatto comprendere quanto in realtà Oda sia importante per Osamu. Più che il sacrificio di per sé, il suo costante tentare.
Mi chiedo perché non mi sia resa conto prima di quanto fosse una figura importante, quella di Oda, per lui.
E con il senno di poi, penso che fin quando Oda era vivo, Dazai non volesse effettivamente morire. Ma, inutile negarlo, ormai è letteralmente morto dentro, e tutti i suoi atteggiamenti sono una sceneggiata per ingannare sé stesso e forse per tirare avanti, nella speranza di poter mantenere la parola data.
6 notes · View notes
novalistream · 5 years ago
Photo
Tumblr media
"Caro Antonio, questa sera sento il bisogno di dirti parole che vorrei fossero nuove, ma so per certo di non dirti nulla che tu non sappia già! Sarà una sorpresa per te ascoltare queste mie righe, scritte in una fresca serata di silenzio di un periodo di emergenza sanitaria, inattesa e drammatica, che ha costretto tutti noi a fermarci, che ha ridotto il nostro spazio di movimento e di azione e ci ha obbligato a vivere uno stile di vita nuovo. Ho riaperto un cassetto, uno di quelli che si tiene chiusi per anni. Sai, ho sempre creduto che tra le cose più belle della nostra vita ci siano i ricordi, credo siano persino più belli dei sogni, perché nei ricordi resistono frammenti di realtà. Certo, i ricordi possono essere neri, tristi, ma senza di essi non siamo nulla e a volte possono diventare per noi un regalo da aprire quando desideriamo riempirci di gioia. È una sera senza luna questa, c’è una nuvola che disegna strane figure nel cielo scuro, ed io con in mano vecchi giornali e qualche foto riavvolgo il nastro della nostra vita. Il mio pensiero va a quando da bambini quei disegni ci portavano a immaginare di affrontare belve strane e sconosciute e tu t’imponevi il coraggio di combattere battaglie per liberare il mondo. Quelle belve che da bambini immaginavamo, poi hanno preso corpo e tu hai dovuto affrontarle davvero un giorno di maggio. “Fiore di maggio" cantava una delle tue canzoni preferite e a noi, da bambini, in un’infanzia semplice, ma piena di vita, quel mese, forse per il risveglio completo della natura che vivevamo spensierati nel nostro giardino, ci trasmetteva forti emozioni. Mai, e dico mai, avrei immaginato, che col tempo, questo mese avrebbe assunto un “colore" diverso e che quelle emozioni avrebbero lasciato il posto alla tristezza, al dolore alla rabbia.Il 23 maggio del ‘92 caro, Antonio, ha cambiato la vita e, forse, anche la storia di questo Paese.La strage di Capaci. È così, sai, che è passata alla storia. Ha fatto capire anche ai più riottosi sostenitori della tesi avversa che la mafia esisteva, era pericolosamente attiva e viveva di collusioni, omicidi, stragi e di un rapporto con una politica corrotta che le aveva permesso di sopravvivere, anzi prosperare, in 50 anni di Repubblica. Quei 600kg di tritolo, esplosi sotto l’autostrada che collega Punta Raisi a Palermo e che tu, Rocco, Vito, il dott. Falcone e la dott.ssa Morvillo, percorrevate, sono entrati violentemente in casa nostra e da allora niente, dico niente, è stato più come prima. Osservando nostra madre negli anni in cui è sopravvissuta alla tua assenza, ho capito che il dolore straziante non ha data di scadenza: quel dolore ha continuato a scavarle dentro, diventando nel tempo suo compagno di vita. Quello che abbiamo vissuto è stato un momento fortissimo, ma, nonostante ciò, abbiamo cercato ogni giorno di onorare il tuo coraggio provando anche a farlo nostro conservando la memoria di quella tragedia. E lo facciamo ogni giorno, prendendoci cura del tuo ricordo, cercando di essere la tua voce, riportando al cuore di tanti la tua storia, che racconta di violenza ma che ci restituisce anche la speranza, il bisogno di pace, di democrazia e di giustizia. La tua, Antonio, è la storia di un giovane del sud della Puglia che ha vissuto i sogni, le speranze, le preoccupazioni e i dubbi della sua età. È la vita di un ragazzino con una inconsapevole “profondità", ritrovata poi, in una professione che hai vissuto con autentica Etica, diventando “eroe" tuo malgrado. La tua una scelta che ti è costata la vita ma che non ha tradito il tuo senso del dovere. Senso del dovere che non ha ceduto il passo nemmeno di fronte alla paura di morire, senso del dovere che trapela ancora oggi in una tua intervista che io considero il tuo testamento morale: “Chiunque fa questa attività, - dicevi- ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana [...]". Oggi avresti 58 anni e, per i tanti ragazzi che ti hanno conosciuto attraverso i nostri racconti, sei come un papà: pensa che molti di loro hanno cominciato a “camminare"a partire da un’emozione accesa in loro dalla tua storia. Il tuo sogno, quello di Antonio Montinaro, è diventato per loro impegno, memoria operante per costruire una società migliore. Quello che è successo appartiene ormai alla storia di questo nostro Paese e, se mi soffermo un attimo a riflettere, mi rendo conto che sono passati 28 anni, ma la tua immagine per me è ferma lì, a quell’età in cui la tua vita è stata spezzata, a 29 anni. Ma io so, che, nonostante la tua breve esistenza, è come se tu avessi vissuto tante vite. I tuoi anni sono valsi almeno il doppio o il triplo, e allora mi piace immaginarci, oggi “diversamente giovani", come direbbero i nostri figli, seduti qui a guardare, in una serata silenziosa senza luna, una nuvola che disegna strane figure nel cielo scuro. E tu a raccontare di te, con la tua ironia e la tua chiacchiera, e io a dirti come quando eravamo ragazzi: “Antonio, statti zitto un pochino… riposati, fumati una sigaretta". E pensare, però, in quello stesso istante, che essere tua sorella è stata sempre una sfida difficile, ma anche un orgoglio e un onore che mi ha portato a fare del tuo esempio il mio impegno". Ciao Antonio. Matilde Montinaro
1 note · View note
paoloxl · 5 years ago
Link
Tumblr media
Placido Rizzotto, partigiano socialista e segretario della camera del lavoro viene sequestrato e ucciso dalla mafia. Il suo corpo non è stato mai ritrovato
Placido Rizzotto era nato a Corleone, in Sicilia, nel 1914. Rimasto orfano di madre da piccolo dovette lasciare la scuola per mantenere la famiglia dopo l’arresto del padre, accusato ingiustamente di associazione mafiosa. Durante la Seconda guerra mondiale combatté in Carnia, in Friuli, e dopo l’8 settembre si unì ai partigiani della Resistenza; tornò in Sicilia a guerra finita. Qui divenne presidente dei combattenti dell’ANPI, l’associazione dei partigiani, si iscrisse al Partito Socialista Italiano e divenne sindacalista della CGIL. Rizzotto cercò di convincere i contadini a ribellarsi al sistema di potere della mafia, che possedeva gran parte della terra, opprimeva i lavoratori e li assumeva soltanto su raccomandazione e per motivi nepotistici: li guidò nell’occupazione delle terre gestite dalla mafia e nella distribuzione dei terreni incolti alle famiglie oneste. La mafia tentò di isolarlo e lo minacciò più volte, Rizzotto proseguì nelle sue lotte e continuò a guidare il movimento contadino di occupazione delle terre, diventando anche segretario della Camera del lavoro di Corleone.
Rizzotto sostenne con forza i Decreti Gullo, che imponevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte o malcoltivate dei proprietari terrieri. Uno dei terreni che vennero assegnati alle cooperative apparteneva a Luciano Liggio, all’epoca giovane mafioso di Corleone che negli anni Cinquanta si affermò come uno tra i più sanguinosi boss della mafia. La mafia decise di reprimere i tentativi di rivolta dei contadini e il primo maggio del 1947 sparò contro duemila persone – soprattutto contadini – che manifestavano contro il latifondismo a Portella della Ginestra. Undici persone furono uccise, ventisette restarono ferite, negli anni sulla strage si fecero molte altre ipotesi e riflessioni relative agli interessi di chi, oltre la mafia, poteva voler reprimere le rivolte. La situazione di Rizzotto divenne sempre più difficile, peggiorata anche dal cattivo rapporto con Liggio: Rizzotto lo aveva umiliato pubblicamente sollevandolo durante una rissa scoppiata tra ex partigiani e uomini del boss mafioso Michele Navarra – a cui Liggio era affiliato – e appendendolo all’inferriata della villa comunale.
Il 10 maggio del 1948 Rizzotto, che aveva 34 anni, venne attirato in un’imboscata da Pasquale Criscione, un compagno del sindacato fedele a Navarra, e venne rapito e ucciso nella campagna di Corleone. La CGIL proclamò uno sciopero generale. Giuseppe Letizia, un pastore di 13 anni, assistette al suo omicidio di nascosto ma venne scoperto e fu ritrovato il giorno dopo dal padre, mentre delirava. Questi lo portò nell’Ospedale dei Bianchi, diretto da Navarra, dove il ragazzo, sempre delirante, parlò di un contadino assassinato durante la notte e venne curato con un’iniezione. Morì pochi giorni dopo per tossicosi, molto probabilmente avvelenato su ordine di Navarra.
Le indagini sull’omicidio di Rizzotto vennero condotte dall’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e portarono all’arresto di Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che confessarono di aver rapito Rizzotto insieme a Luciano Liggio. Collura raccontò anche che Liggio aveva gettato il corpo di Rizzotto nelle foibe di Rocca Busambra, dove il 7 settembre 2009 sono stati trovati i resti riconosciuti come quelli di Rizzotto confrontandone il DNA con quello del padre, morto da tempo e riesumato. Criscione e Collura ritrattarono la confessione durante il processo e furono assolti per insufficienza di prove.
1 note · View note
il-giardino-del-castello · 5 years ago
Text
Dei problemi dell'arco finale della terza serie di Bungou Stray Dogs
La terza serie di BSD - ma non ne dubitavo - mi è molto piaciuta. La prima parte è fantastica (non dico solo Fifteen, ma anche gli episodi singoli, con standing ovation per quelli di Dostoevskij e di Fitzgerald) ma... ho trovato la seconda, su carta molto interessante, nella realizzazione piuttosto, uhm, problematica. 
Ho parlato ore e ore e ore (?) con Tayr di questi Grandi Problemi dell'Umanità Tutta e ho deciso di metterli per iscritto perché mi andava. 
Premetto una cosa: mi ero vagamente spoilerata ed ero giunta alla conclusione che fosse un arco dedicato soprattutto a Ranpo e Chuuya, visti i loro ruoli di effettivi capi provvisori; ciò non è corrisposto al vero ma manco per sbaglio però, visto lo svolgimento, alla fine credo sia meglio così.
Vittime per contratto 
Fukuzawa, Mori e Dazai sono vittime per contratto. Cosa significa? Esattamente ciò che ho detto: le tre scene in cui vengono messi fuori gioco per tutto l'arco esistono solo perché nel contratto (= trama) che hanno firmato c'era scritto così. 
La scena di Fukuzawa: il buon signore cammina da solo di notte, in una strada deserta; nota una scia di macchie di sangue (caduto, non da trascinamento) che lo porta in un vicolo losco. Ovviamente, Fukuzawa sa benissimo che è una trappola, difatti ferma l'attacco dell'assassino con assoluta nonchalance.
Tuttavia, viene colpito alle spalle da un cecchino. 
Come caspiterina ha fatto Fukuzawa non solo a non percepire la presenza di un cecchino o avere la sensazione di essere osservato, ma anche di non sospettare che fosse un'imboscata di più persone? Se io dovessi attaccare il capo, di certo non ci manderei una persona sola.
Negli episodi precedenti è stato tirato fuori il fascicolo circa i genitori di Kyouka, uccisi da un ability user in grado di manipolare il sangue; l'Agenzia sa che la Gilda è ancora in giro e che Hawthorne, manipolatore del sangue, è disperso. Com'è possibile che Fukuzawa non abbia pensato all'istante che l'abilità dell'assassino fosse il sangue stesso? E come acciderbolina ha fatto a non pensare subito ad Hawthorne? Di conseguenza, come ha fatto a non collegare la Gilda (che solitamente fa muovere i suoi sottoposti in coppia) o una terza fazione, magari più pericolosa, cosa che comporterebbe il dover rimanere più in guardia?
Probabilmente, Dazai sapeva della presenza di Dostoevskij in città e si suppone abbia avvisato Fukuzawa. Se così fosse, Fukuzawa, sapendo di Dostoevskij da quelle parti, della Gilda in giro, di Hawthorne disperso e dell'esistenza di manipolatori di sangue, non ha collegato assolutamente nulla e ha pensato che fosse solo un assassino random che ha voluto fargli lo scherzone in un vicolo.
La scena di Mori: a spasso con Elise, evita per un soffio di esplodere insieme all'automobile che stava per prendere; nel mentre, ha mandato qualcuno ad occuparsi dell'assassino che certamente era da quelle parti. Un poliziotto sopraggiunge sul luogo dell'esplosione, per assicurarsi che i due stiano bene. Alla risposta affermativa, il poliziotto sembra deluso. Dopo qualche secondo, il poliziotto pugnala Mori: è Dostoevskij, che poi sparisce tra la folla. Solo allora Elise inizia ad inseguirlo, perdendolo però di vista.
Né Mori né Elise si sono fatti la minima domanda sul fatto che il poliziotto sembrasse deluso del loro essere interi. Ma potrei dare per buono che non ci abbiano fatto caso.
Dostoevskij ha pugnalato Mori da davanti, da una certa distanza, di fronte ad Elise. Come accidenti ha fatto Mori, assassino a sua volta, a non accorgersi che il poliziotto stava tirando fuori un pugnale (un pugnale, non una pistola, e perché un poliziotto dovrebbe avere dietro un caspita di pugnale piuttosto che una caspita di pistola o un più banale (caspita di) manganello?)? Come ha fatto Elise a non placcare all'istante il pugnale, che era proprio alla sua altezza? Un assassino con esperienza decennale e un'abilità guerriera contro uno scheletro con un coltello: vince lo scheletro col coltello.
Come ha fatto Dostoevskij a seminare Elise? Era vestito da poliziotto, spiccava abbastanza nella folla...
... e perché nessuno tra la folla ha cercato di fermare Dostoevskij? Capisco che la maggior parte della gente possa essere spaventata ma, per quanto ne sappia io, gli attentatori che scappano in mezzo alla folla vengono quasi puntualmente placcati da qualcuno.
All'inizio di questa serie, Dostoevskij era prigioniero del Port Mafia. Mori e Kouyou hanno mandato apposta Ace per levarsi quest'ultimo di torno, sapendo perfettamente che poi Dostoevskij sarebbe scappato. Si può dunque supporre che abbiano fatto scappare una persona così pericolosa da averla messa in cella d'isolamento, legata e con cappuccio in testa senza neanche prendersi la briga di monitorarla o mettergli anche solo un chip sotto pelle?
La scena di Dazai: Dazai fa un agguato a Dostoevskij. Dazai sa benissimo che c'è un cecchino e lo dice esplicitamente. Il cecchino spara. Il cecchino prende in pieno Dazai. Dostoevskij si chiede cosa cazzo stia succeden
... E niente, cosa dovrei domandare? Perché Dazai non si sia liberato del cecchino come prima cosa? Perché Dazai si sia fatto colpire? (Il fatto che tenti spesso il suicidio non è una giustificazione, non in questa situazione.) Questa di Dazai è la scena che più palesemente mostra il punto seguente.
Eliminiamo i personaggi importanti 
L'idea di base di questo arco è interessante: se Fukuzawa e Mori fossero in fin di vita e "nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive", cosa farebbero i membri delle due agenzie? Come reagirebbe ciascuno di loro? Avranno spazio anche i personaggi che solitamente ne hanno meno? 
Questa premessa viene buttata nel gabinetto quando non solo Fukuzawa e Mori finiscono in fin di vita in delle scene stupidissime, ma Dazai sta lì fermo a fare da sagoma per il tiro al bersaglio per il solo ed unico scopo di non partecipare a quest'arco. 
Quando poi Ranpo (il genio) e Chuuya (il super-OP) vengono fatti sparire a caso, allora si tira lo sciacquone. 
Non perché Fukuzawa, Mori, Dazai, Ranpo e Chuuya siano speciali, ma perché sono quelli che più di ogni altro avrebbero dato problemi al concludere l'arco in cinque capitoli / due episodi, quindi la cosa migliore che si è pensato di far fare a Dazai, Ranpo e Chuuya è stato autoeliminarsi.
La scomparsa di Ranpo e Chuuya  
Guardando la serie, se non sapessi come prosegue, dopo la scena di Ranpo e Chuuya penserei ad un episodio dedicato magari non interamente a loro due nel libro ma per la maggior parte. 
Ranpo e Chuuya non solo non avranno niente, ma non riappariranno più fino alla fine dell'arco - Ranpo, perché Chuuya avrà bisogno di almeno un altro arco e mezzo prima di riapparire in prima persona. 
Cosa accidenti hanno fatto nel libro? Sono stati appiccicati per sei mesi e non hanno sviluppato nessun rapporto (antipatia, odio, indifferenza, vago rispetto?)? E, soprattutto, anche senza poteri, Chuuya sa combattere e sa far male. Come ha fatto quel grissino di Ranpo a scappare da Chuuya per sei mesi? 
Questo punto è più che altro triste: la scena del libro, per quanto di per sé divertente, non porta a nulla, lasciando capire che era solo e soltanto un espediente per togliere di scena due personaggi "scomodi". 
(Magari il Bones rimedierà almeno alla mancanza di approfondimento e ci illuminerà con un OAV filler?)
Lo strano caso di Kunikida 
Kunikida è caratterizzato dal fatto di dover essere puntualmente traumatizzato. Se non c'è un trauma per un Kunikida, non è una serie di BSD. Prima l'arco del Messaggero Azzurro tratto dalla prima novel, poi l'OAV. 
In questo arco, hanno deciso di traumatizzarlo facendogli morire davanti una bambina con tre granate per un giochetto psicologico di Dostoevskij. Molto tragico, certo. 
Come ha fatto Kunikida a sopravvivere con giusto i vestiti un po' logori dopo tre granate in quasi piena faccia?
Perché né il fratello della bambina né Atsushi né Dostoevskij sono minimamente toccati in un qualsiasi modo dalla cosa?
Come hanno fatto Atsushi e il fratello della bambina a non sentire un'esplosione sotto di loro?
Come ha fatto il soffitto a crollare esattamente sopra la bambina evitando per un pelo Kunikida a due centimetri?
Perché, invece di tutto questo drammone, Kunikida non ha subito creato una pistola a dardi soporiferi per mettere a dormire tutti i bambini ed evitare qualsiasi spargimento di sangue?
Perché, invece di tutto questo drammone, Dostoevskij non ha semplicemente usato come ostaggio Katsura, che già ha come ostaggio e a cui sta descrivendo il nuovo trauma di Kunikida? Nota: Dopo questa scena, Katsura non si vedrà mai più e non si sa cosa ne sia stato di lui. Effettivamente, non si sa neppure perché Dostoevskij l'abbia catturato, in primo luogo. Forse l'ha davvero rapito e legato solo perché voleva qualcuno che lo ascoltasse suonare.
Perché, invece di tutto questo drammone, non hanno semplicemente sfruttato il fatto che di lì a mezz'ora avrebbe scoperto che il suo grande amico Katai è forse morto perché non ha fatto in tempo ad arrivare da lui?
Aggiungiamo il fatto che la storia di Kunikida che deve salvare una bambina da delle bombe è presa pari pari dall'OAV. E il colpevole era Katsura. Che Dostoevskij tiene in ostaggio per costringerlo a sentirlo suonare. Mi fa piacere che almeno siano consci del fatto di star replicando una situazione - all'epoca fatta infinitamente meglio, qui risparmiabilissima e a dir poco ridicola nel suo essere "angst gratuito strappalacrime".
Probabilmente, il prossimo trauma di Kunikida sarà non riuscire a salvare dei bambini orfani e malati dai nazisti comunisti che nel tempo libero uccidono i cuccioli di foca.
Batterio o abilità?
Il terribile virus protagonista di questo arco non può essere eliminato da Yosano in quanto abilità e non effettivo batterio; allo stesso modo, Dazai deve trovare l'ability user per annullare l'abilità, perché altrimenti dovrebbe aprire Fukuzawa o Mori e toccare precisamente il batterio. 
Ma se il virus è un batterio, in stato avanzato vuol dire che ha infettato il corpo, cioè è parte del corpo. 
Quindi, se il virus è un'abilità, toccare l'ammalato significherebbe toccare il virus/abilità, dunque magari non eliminarlo troppo ma almeno bloccarlo dal diffondersi ulteriormente; se, invece, il virus è un batterio, Yosano dovrebbe poter curare Fukuzawa in quanto in fin di vita. 
Posso pensare che Yosano possa curare solo le ferite e non le malattie, ma non si spiega perché Dazai non possa almeno frenare l'avanzata del virus.
La malattia al contrario 
Il terribile virus protagonista di questo arco sembra avere un funzionamento alquanto curioso: appena infettati, Fukuzawa e Mori sono in coma, moribondi; all'avvicinarsi dello scadere del tempo, i due si alzano, giusto un po' stanchini, ma camminando perfettamente e andando a combattere nel più o meno pieno delle loro forze. 
Davvero conveniente il fatto che questo virus funzioni al contrario, sennò si sarebbe rischiato di avere i capi in forze nell'iniziale momento del bisogno e moribondi quando la situazione si era fatta più critica nel climax finale! 
Nota: Questo funzionamento vale solo per i signori di mezza età, perché Atsushi e Akutagawa, giovIni e in forze, appena colpiti dal virus hanno giusto qualche linea di febbre e sono prontissimi ad ownare l'avversario con una trottola arcobaleno e così festeggiare il Pride Month.
Personaggi piegati alla trama in modo nonsense 
Il maggiore problema di questo arco, per riassumere, è che non è la trama a svolgersi per le azioni dei personaggi, ma sono i personaggi a venire innaturalmente piegati alle esigenze di una trama traballantissima. 
Gli unici personaggi che si salvano, di tutte le fazioni in gioco, sono Yosano, Kenji, Tanizaki, Kyouka, Higuchi, Kajii, Koyou e Hirotsu, e un pochino Ranpo e Atsushi. 
Per il resto, non si salvano neppure i personaggi assenti: dov'è Ango, mentre sta succedendo il disastro? Non si sa, ma appare in scivolata sul finale, quando tutto è praticamente risolto. 
Dell'idiozia di Fukuzawa, Mori e Dazai ho già detto, con Dazai in cima alla lista delle boiate (Tayr, invece, vota come scena più assurda quella di Mori); Kunikida è costretto a venire traumatizzato per delle cazzate invece che da cose sensate; Akugatawa, semplicemente, sparisce di scena fin quando la trama non lo richiede; Dostoevskij è un povero antagonista di tutto rispetto che non si merita di essere accostato ad un arco del genere; infine, per quanto riguarda Chuuya, per fare pendant con Dazai, sarebbe stato molto meglio se fosse stato in viaggio all'estero, piuttosto che essere scritturato per quest'arco. 
Partendo dall'inizio: 
Perché Dostoevskij non ha ucciso Fukuzawa o Mori in prima persona, facendo in modo che la colpa sembrasse della fazione rivale?
(SPOILER) Perché Dostoevskij non ha ucciso Fukuzawa E Mori, usato Oguri (un suo alleato che appare in seguito) per cancellare le prove e potersi così avvicinare ad uccidere in prima persona tutti gli individui per lui più pericolosi? (/SPOILER)
Perché Dostoevskij ha giustamente pensato di distruggere la mente di Kunikida ma non ha fatto un pensiero uno su mezzo membro del Port Mafia? E sì che gli sarebbe bastato presentarsi nella stanza d'ospedale di Dazai, rapirlo e farlo sapere agli altri per mandare nel panico tutta l'Agenzia e mezzo Port Mafia.
Per fare un esempio plateale di "personaggi piegati alla trama in modo nonsense", basta prendere l'intera scena del trasferimento/salvataggio di Fukuzawa ad opera dell'Agenzia.
Tutti i membri conosciuti del Port Mafia (tranne Q, probabilmente chiuso in un frigo) circondano l'ospedale, di fatto lasciando Mori incustodito. Una volta fatta irruzione e trovatisi davanti all'Agenzia, nessuno, ma proprio nessuno, neppure Chuuya o Akutagawa, nota che manca Dazai. Nessuno ha il minimo dubbio che sia una trappola, magari un'illusione creata da quel certo membro dell'Agenzia che ha l'abilità di creare illusioni, nessuno pensa neppure per sbaglio che forse c'è qualche membro dell'Agenzia che è andato a far fuori il Mori incustodito. In centoventi, nessuno viene sfiorato dal dubbio. Ovviamente è un'illusione di Tanizaki - che non ha messo Dazai perché sennò avrebbe spoilerato allo spettatore che si trattava della sua abilità, e non c'è nessun altro motivo per cui altrimenti non avrebbe dovuto metterlo - fatta per distrarli mentre Kenji sfondava il muro a mezzo metro di distanza e portava via Fukuzawa. Da questo esempio si può anche notare un secondo caso di sordità intermittente dei personaggi alle grandi esplosioni causate da cazzate. Dopo questo, Fukuzawa viene portato nella Stanza di Anne. Non si sa perché Lucy non sia stata chiamata prima di subito per metterlo al sicuro o, se proprio Fukuzawa doveva stare in ospedale, non l'abbiano anche solo chiamata a fargli da infermiera/guardiana in modo da portarlo subito nella Stanza di Anne in caso di aggressione.  
A proposito di aggressione, non si sa perché Chuuya non abbia 1. fatto cadere il soffitto in testa a Fukuzawa; 2. fatto aprire il pavimento sotto Fukuzawa in modo che si schiantasse; 3. fatto esplodere le finestre della camera di Fukuzawa in modo che i vetri lo colpissero; 4. bloccato tutti i presenti con la gravità per poter agire indisturbato; 5. sparato a Fukuzawa dal tetto di fronte controllando il proiettile. 
Il comportamento del Port Mafia si rivela il più insensato in assoluto. 
I più forti, al momento, sono Kouyou, Chuuya e Akutagawa: logica vuole che almeno uno rimanga con Mori e almeno uno vada di attacco brutale contro l'Agenzia, con il terzo magari a proteggere l'edificio del Port Mafia. Ponendo magari che quest'ultimo punto sia stato dato ad Hirotsu e alle Lucertole Nere, si vede Kouyou proteggere Mori, mentre si suppone che Chuuya sia il comandante delle forze d'attacco. Akutagawa, come già detto, evapora a caso. In sostanza, il Port Mafia ha isolato Kouyou - la seconda in comando, quella con più esperienza dopo Hirotsu e Mori - per proteggere Mori, la prima forza d'attacco viene annientata in una scena che coinvolge un libro e un procione e la seconda forza d'attacco non si sa dove sia. Non avrebbe avuto più senso lasciare Akutagawa con Mori, dare a Kouyou il comando di tutto il Port Mafia e, magari sapendo dell'assenza di Dazai, mandare Chuuya ad attaccare direttamente l'Agenzia? Probabilmente sì, ma così l'arco si sarebbe concluso in un capitolo e mezzo / dieci minuti di episodio. 
Un lato positivo di questo arco è che dà luce ai personaggi meno filati; tuttavia, escludendo i tre plurinominati sopra, Chuuya (so che fuori BSD è estremamente popolare e che questo potrebbe far pensare sia un personaggio importante ma, in realtà, le sue apparizioni sono ridicolmente poche e brevi) raggiunge la vetta dell'essere bistrattato: non solo non fa niente - ma proprio niente, nel senso che non si fa domande, non ragiona, tra un po' è già un miracolo se dice qualche battuta - ma viene pure fregato da Ranpo che gli va a dire che "ha perso contro Dazai", facendolo arrabbiare e attaccare proprio quell'individuo che lui stesso aveva appena riconosciuto come uno che non sa combattere e preferisce usare la mente. Ora, sorvolando sul fatto che non ricordo nessun caso in cui Dazai abbia sconfitto Chuuya (anche perché non mi risulta abbiano neppure mai avuto un vero e proprio scontro), seriamente è stato trattato come il primo delle teste calde senza cervello che perde la lucidità perché un tizio a caso lo prende in giro su una cosa mai successa? (Tra l'altro, non è che Ranpo gli faccia questo gran discorso provocatorio, sono quasi letteralmente un paio di frasi.) Nella serie animata, poi, la vicenda è ancora più bella perché la terza stagione è iniziata con Fifteen, dove quel poveretto ha finalmente un po' di screentime e si rivela magari non un genio ma discretamente intelligente.
Una riflessione seria sugli OP (Overpowered)
Come già dissi, l'unica cosa che non mi era piaciuta della seconda serie di BSD è che Chuuya non venisse fatto combattere fin da subito contro la Gilda per il solo motivo che, altrimenti, la serie si sarebbe conclusa al terzo episodio. In questo arco, questo fatto raggiunge livelli di idiozia davvero pesanti da digerire. Questo mi ha fatto fare una riflessione sugli OP (= Overpowered, ossia personaggi molto più potenti del normale), sia in generale che per BSD nello specifico. 
Credo che una cosa importantissima, se non vitale, nella costruzione di un personaggio OP sia dargli delle limitazioni. 
Faccio qualche esempio proprio con BSD. 
Kenji è tecnicamente OP, ma lo è solo a livello di forza fisica e può usare questa sua abilità solo quando ha fame; a questo limite già di per sé non controllabile si aggiunge il fatto che stare a digiuno + combattere potrebbe portare a conseguenze molto negative. 
Tanizaki è un altro personaggio con un'abilità potentissima (a mio parere una delle più potenti), però è frenato non da limiti materiali ma mentali: non ha fiducia in sé, nelle sue prime apparizioni afferma come la sua sia un'abilità inutile ed è perennemente preoccupato per Naomi. 
Ranpo non ha abilità, però la sua intelligenza è senza dubbio OP: il suo limite è caratteriale, in quanto è lui a scegliere quando fare cosa e ci vuole qualcosa di particolarmente grosso per destare la sua attenzione; nell'arco del Cannibalismo, poi, è sotto shock per ciò che è successo a Fukuzawa ed è preoccupato per lui. 
Per quanto riguarda Akutagawa, il suo limite dovrebbe essere il fatto che la sua abilità è un cappotto fisico e forse influisce in modo negativo sulla sua salute, dato che tossisce spesso. Questo non giustifica assolutamente la sua apparizione casuale nell'arco del Cannibalismo, ma almeno si è avuta la decenza di dargli spazio da co-protagonista sul finale. 
Chuuya è senza dubbio il più grande OP di tutto BSD. Con lui, il problema non è solo che non ha limitazioni, ma anzi che l'estensione del suo stesso potere si rivela di volta in volta sempre più ampia. Prima di dire qualsiasi cosa: il morire per la Corruzione è un limite alla Corruzione stessa, che è uno stadio avanzato a cui non si suppone lui arrivi. Con Fifteen, poi, si è capito che si tratta del potere di Arahabaki: è l’uso di questo potere ad avere un limite, non Yogoretsu chimatsuta kanashimi ni di Chuuya. 
In teoria, Chuuya ha il potere di manipolare la gravità di ciò che tocca. Nell'episodio contro Lovecraft, appare facendo fluttuare una ventina di persone senza toccarne neppure una: si può dunque dedurre che li stia toccando implicitamente usando il suo potere attraverso il suolo. Allo stesso modo, riesce a fermare i proiettili prima che arrivino a contatto con il suo corpo: si può quindi dedurre che li stia toccando implicitamente usando il suo potere attraverso l'aria. Da quanto è stato mostrato, dunque, il potere di Chuuya può diffondersi attraverso il suolo e l'aria e può dunque avere effetti indiretti - ad esempio, Dazai, nonostante abbia il potere di annullare le abilità, se fosse lontano da Chuuya potrebbe comunque riceversi un pezzo di soffitto in testa. Sempre da Fifteen, si vede che può persino appesantirsi fino a far franare un pezzo di scogliera o alleggerirsi fino a raggiungere un aereo in volo. Dato che il film è ufficialmente canon, lo si vede anche tirare su grattacieli e prenderci a schiaffi un drago mentre salta da un pezzo di terra fluttuante all'altro, cosa che mostra anche che può manipolare più cose contemporaneamente in modo diverso (= se ha fatto male al drago, di certo il grattacielo non poteva pesare due grammi come quando Chuuya lo solleva, il che significa anche una certa velocità nel modificare la gravità di un singolo oggetto mentre ne sta controllando altri). 
Qual è la restrizione al potere di Chuuya?
Nessuna. Non solo la sua abilità non ha la minima restrizione, ma ogni sua apparizione ne mostra un'estensione sempre maggiore. 
L'unicissima cosa che impedisce a Chuuya di rendere BSD una miniserie di cinque episodi è il fatto che non compare. Semplicemente. Se posso accettare il fatto che nella prima serie fosse all'estero e che sul finale della seconda fosse spompato dalla Corruzione, per la prima parte della seconda e soprattutto per l'arco del Cannibalismo ci si può solo incazzare. 
A vedere certe cose non ci si può non arrabbiare: non si può creare un OP ufficialmente Livello Divinità, non dargli la benché minima restrizione (mi sarebbe bastata anche qualcosa di stupidissimo come "funziona solo quando c'è la luna piena" o "funziona solo quando piove" o "funziona solo quando il giorno è dispari sia di numero che di settimana") e correre ai ripari facendolo apparire e scomparire a seconda di come conviene alla trama. Fosse almeno un suo tratto caratteriale, come Ranpo... 
Davvero non capisco questo comportamento da parte degli autori - o degli editor, o di chi per loro. Se tutta la serie è bella, i personaggi non sono certo sottilette e sono tutti trattati in modo dignitoso... cos'è questa cosa? Perché rendere un personaggio OP e non essersi limitati al "controlla la gravità per sé e per ciò che tocca direttamente"? Sono confusa. 
.
E questo è perché sono rimasta alquanto perplessa e delusa dall'arco del Cannibalismo. Al di là delle mie aspettative, ritengo sia un arco troppo piegato alle esigenze di trama, che spara OOC sul Senso Logico fino a farlo trapassare in una pozza di WTF?. 
Non dico non ci siano scene belle. Tutte quelle che coinvolgevano i personaggi più in disparte erano ben fatte (sorvolando sul fatto che Yosano, Kenji e Tanizaki non si fanno niente davanti ad un palazzo in fiamme a causa di esplosioni, neppure una scottatura minuscola), soprattutto il pezzo di Tanizaki al Port Mafia, l'incontro tra Kyouka e Akutagawa e Dostoevskij che suona la colonna sonora drammatica con Katsura che si chiede se l'ha rapito solo per fargli fare da pubblico. E la scena del libro, se non fosse così dannatamente stupida e fine a se stessa, sarebbe un epic win. 
Ma i difetti ci sono, e sono troppi. Mi dà l'idea di essere un arco fatto magari mentre uno dei due autori stava poco bene, magari con la scadenza stretta, magari con l'altro impegnato in consulenze per l'anime / scrittura delle novel; forse ci si è messo di mezzo qualche editor che ha forzato delle scene (quella della bambina con le tre granate è una delle scene più stupide che abbia mai visto in BSD e sta senza dubbio nella classifica di quelle più stupide in generale).
Questo perché è un arco che parte da un'idea interessante ma ha uno svolgimento pesante, anticlimatico in più punti e, personalmente, ho sentito la tensione solo quando ad essere in pericolo era Tanizaki come ostaggio del Port Mafia e quando si pensava che Katai fosse morto. Paradossalmente, snellendo i passaggi più nonsense e rendendoli meno contorti, la trama fila meglio, i personaggi rimangono IC e si creano interessanti possibilità di approfondimento. 
Faccio esempi a caso: Dazai si sarebbe potuto autoeliminare dall'arco, semplicemente, a seguito di un tentativo di suicidio finito quasi male, cosa che avrebbe portato Dostoevskij ad approfittare della sua assenza e magari aggredire Fukuzawa in ospedale per poi dare la colpa a Mori. Sempre in uno scenario in cui Dazai è quasi riuscito a suicidarsi, Dostoevskij avrebbe potuto rapirlo dall'ospedale e chiedere la vita di Fukuzawa o Mori per liberarlo, dato che è importante per entrambe le fazioni - seppur in modi differenti. Come già detto, il trauma di Kunikida sarebbe potuto essere solo la morte apparente di Katai. Chuuya poteva essere la persona di guardia a Mori, cosa che l'avrebbe costretto tra quattro mura e l'avrebbe dunque impossibilitato a partecipare alla trama di per sé. Ranpo poteva dire qualcosa di giusto un pelino più convincente per attirare Chuuya nel libro (Gli avesse detto anche solo "sei un nano con un cappello orribile" l'avrei accettato. Davvero.) - e, soprattutto, ci sarebbe dovuto essere almeno un capitolo dedicato a loro. Sì, uso il verbo "dovere". Magari il Bones- Di certo si possono fare anche esempi migliori, magari inserendo il virus in modo assolutamente coerente (cosa a mio parare fattibile solo in caso Dazai non sia proprio presente, perché altrimenti confesso di non riuscire ad immaginare uno scenario che fili bene con Dazai e il virus/abilità negli stessi cinquanta chilometri). 
È davvero un peccato, ma suppongo sia quel momento di calo che spesso (ma non sempre) capita naturalmente alle serie lunghe, soprattutto se avanzano ad archi più o meno autoconclusivi. Evvabbè. 
Comunque, questo post non è un rant melodrammatico di qualcuno che piange calde lacrime di sangue e ulula alla luna che la sua vita non ha più senso per UN arco dubbio di una serie altrimenti bella, ma solo un posto linkabile dove trovare tutte le mie critiche a questo arco invece di far sembrare che la terza serie di BSD non mi sia piaciuta. (!)
1 note · View note
giancarlonicoli · 1 year ago
Text
23 gen 2024 12:01
“UNO A CUI SQUILLA DI CONTINUO IL TELEFONO NON È POTENTE. IL POTERE, QUELLO VERO, NON VIENE MAI DISTURBATO” – SABINO CASSESE APRE LE VALVOLE, DALLA MORTE DI MATTEI AI CARABINIERI CHE AL TEMPO DELL'ENI PRESERO INFORMAZIONI SU DI LUI (“SCRISSERO CHE AVEVO IDEE COMUNISTE”) - GLI INCONTRI SEGRETI CON DAVIGO PER SCRIVERE LA FINANZIARIA NEL ’93 AL TEMPO DEL GOVERNO CIAMPI. “CESARE GERONZI CI MISE A DISPOSIZIONE UN UFFICIO DELLA BANCA DI ROMA IN VIA DEL CORSO” – LA CANDIDATURA AL QUIRINALE NEL 2022: “L’IDEA FU DI RENZI, SALVINI VENNE A CASA MIA PER…” -
«Uso una frase che mi aveva detto Guy Braibant, il più rispettato membro del Consiglio di Stato francese, un super mandarino che era stato capo di gabinetto di Fiterman quando i comunisti francesi erano nella coalizione di governo: le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano».
Tommaso Labate per il Corriere della Sera - Estratti
Professor Cassese, in un libro-intervista con Alessandra Sardoni, lei ha delineato le strutture del potere. Chi è stato il primo potente che ha incontrato?
«Enrico Mattei, conosciuto quando nel 1957, un anno dopo la laurea, andai a lavorare all’Eni».
Che ricordi ha della notte in cui morì Mattei?
«Fui tra i primissimi a sapere del disastro aereo. Mi avvisò quasi in tempo reale Stelio Valentini, un ragazzo di cui seguivo la tesi di laurea, che era figlio del capo di gabinetto del presidente del Consiglio Amintore Fanfani. Seppi tutto quasi in presa diretta: l’aereo di Mattei scomparso dai radar, poi dato per disperso, fino alla notizia della morte. Andai anche io all’Hotel Eden, vicino via Veneto, dove Mattei abitava quando stava a Roma; e ricordo come venne organizzato il convoglio speciale per portare a Milano i rappresentanti del governo e dell’azienda».
Come cambiava l’Italia con la morte di Mattei?
«Noi dell’Eni, come scrisse Marcello Colitti, perdevamo un padre. L’Italia perdeva l’uomo del futuro. Consideri che a mio avviso, pur essendo passati quasi diciotto anni dal 25 aprile, c’erano ancora dei fortissimi elementi di continuità col Ventennio».
Per esempio?
«Le racconto un episodio personale. Quando mi chiamarono all’Eni, un carabiniere si presentò nel mio palazzo a prendere informazioni su di me e chiese con discrezione al portiere dello stabile di che orientamento politico fossi. Nel rapporto finale c’era scritto che ero un uomo di sinistra, che pencolavo verso le idee del Partito comunista, ma che comunque ero “uno studioso, un bravo ragazzo”. Quindi, non una testa calda».
Secondo lei, Mattei fu ucciso?
«Non ho mai avuto elementi per dare una risposta certa a questa domanda. Le tesi dell’omicidio sono le stesse da sempre: che lo volessero morto gli americani, visto che aveva cambiato i rapporti tra i Paesi produttori di petrolio; che lo volesse morto un pezzo di Democrazia cristiana, visto che lui foraggiava la sinistra del partito; che lo volesse morto la mafia. A quest’ultima tesi è legata anche la scomparsa di Mauro de Mauro, il fratello del mio grande amico, e poi cognato, Tullio».
Il fascismo, in Italia, è un capitolo che può riaprirsi?
«No. È un capitolo chiuso».
Secondo molti, nel pezzo di Paese limitrofo alle idee di Fratelli d’Italia...
«Come le dicevo prima, il fascismo per certi aspetti è proseguito anche oltre la morte di Mussolini: la polizia politica ha proseguito il suo lavoro, la censura cinematografica è arrivata fino agli anni Sessanta, l’Iri è rimasto in vita fino all’ultimo decennio del secolo... Poi però la riforma agraria, la messa in funzione della Corte costituzionale, la nazionalizzazione elettrica, la riforma della scuola, la “pensione sociale”, lo Statuto dei lavoratori, l’arrivo del Servizio sanitario nazionale, ecco, tutto questo ha abbattuto quello che era rimasto del fascismo».
È vero che è stato vicinissimo dal diventare presidente della Repubblica?
«È vero che si è fatto e scritto il mio nome nel 2015 e nel 2022, che è diverso».
Come si vive nel condominio del totonomi?
«Credo che tutti quelli di cui si fanno i nomi nel momento in cui c’è da fare un governo o il nuovo presidente della Repubblica la vivano con distacco, anche perché quel mestiere è difficile e non sempre gradevole. Come se la circostanza di essere nominati ministri o eletti al Quirinale stia nel mondo delle cose possibili ma non di quelle probabili».
Nel governo Ciampi, 1993, la sua nomina a ministro fu possibile, probabile, infine reale.
«Ciampi mi telefonò per dirmi “penso a lei”, all’epoca ci davamo del lei, “come ministro della Funzione pubblica”. Ovviamente, aggiunse, “non glielo posso garantire finché non lo annuncio”».
Si era in piena Mani Pulite.
«Le racconto questa cosa: viste la dimensione delle malversazioni che emergevano via via dalle carte delle inchieste dei giudici milanesi, decidemmo di scorporare il costo della corruzione dal bilancio dello Stato e quindi di toglierlo dalla legge finanziaria. Serviva un lavoro preciso, fatto bene, che tra l’altro aveva iniziato anche l’ufficio studi della Banca d’Italia. D’accordo con Ciampi, presi contatto col pool di Milano e il dottor Davigo viene in gran segreto a Roma a lavorare sulle cifre con me. A Roma nessuno, a parte noi due e il presidente del Consiglio, sapeva di questi incontri. Anzi, solo un quarto, che mantenne il segreto».
Chi era?
«Cesare Geronzi, che ci mise a disposizione un ufficio della Banca di Roma in via del Corso. Io e Davigo lavorammo per un intero giorno, entrando separatamente in quel palazzo da due ingressi riservati.La finanziaria del 1993 la scrissi dopo quegli incontri».
A gennaio del 2022, in piena elezione del capo dello Stato, l’uomo che dava le carte, Matteo Salvini, venne a casa sua e mangiaste insieme un passato di verdure.
«Salvini venne per fare una verifica, per farmi un esame. Ma l’idea che io potessi andare al Quirinale era stata di Matteo Renzi. Infatti, la prima a interpellarmi in tal senso, prima dell’inizio delle votazioni, era stata Maria Elena Boschi».
Quando ci sono incontri di questo tipo, che cosa viene chiesto esplicitamente?
«La domanda è: “Sarebbe disponibile o indisponibile per...?”. Ma molte persone sono “sondate”, come è giusto».
Lei di solito che cosa risponde?
«Uso una frase che mi aveva detto Guy Braibant, il più rispettato membro del Consiglio di Stato francese, un super mandarino che era stato capo di gabinetto di Fiterman quando i comunisti francesi erano nella coalizione di governo: le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano».
Credette alla possibilità di diventare presidente della Repubblica?
«Nel 2015 scrissi un fondo per il Corriere in cui elencavo le caratteristiche per cui di solito si viene eletti al Colle. Sostanzialmente, bisogna essere stati presidenti di Camera o Senato, presidenti o vicepresidenti del Consiglio. Il motivo è semplicissimo: il Parlamento vota uno che conosce. Può immaginare quindi quale conclusione ne traessi a titolo personale».
Chi è stato il potente che ha meno fatto pesare il suo potere, di quelli che ha incontrato?
«Ciampi. Si metteva sempre un gradino sotto i suoi interlocutori, in una stanza non lo notavi neanche, poi finiva per prendere il meglio da tutti quelli che stavano accanto a lui. Era la coralità del potere. E poi, scusi, chi mai avrebbe potuto ambire a diventare capo del Servizio studi di Bankitalia, voluto da Menichella e Carli, partendo da una laurea in filologia e sbaragliando la concorrenza degli economisti?».
Craxi com’era?
«L’esatto contrario. Con Craxi in una stanza si vedeva solo Craxi, era o voleva essere il centro di tutti. Lo stesso può dirsi per Spadolini, in cui c’era anche quell’elemento di vanità tipico degli uomini di cultura».
Il potente più simpatico che ha conosciuto?
«Ciriaco De Mita, il potente che più di altri ha conservato e coltivato quell’elemento dubitativo e raziocinativo che è proprio dell’intellettuale».
(…)
1 note · View note