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Marcello Veneziani è il più grande intellettuale politico e culturale che oggi l'Italia ha, il CDX dovrebbe prendere spunto dai suoi scritti.
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LA MALAITALIA INCLUDE I GIUDICI E LA SINISTRA
È passato inosservato un libro che fa la storia di Tangentopoli, scritto da un inviato speciale de la Repubblica che per tanti anni seguì in prima linea Mani pulite e si trovò tempestato di querele. Sto parlando di Enzo Cirillo, autore di un libro uscito da poco: “Mani pulite. Fu vera gloria?” edito da Gangemi col sottotitolo “perché non è mai morta la prima repubblica e perché l’Italia rischia”.
Ma come, il libro di una firma di Repubblica contro la corruzione che passa in silenzio? Si, perché sostiene tre tesi non proprio in linea col mainstream. La prima è che Tangentopoli coinvolse appieno la sinistra, anche se fu risparmiata nelle inchieste giudiziarie e mediatiche. La seconda è che la magistratura non era la parte sana che indagava la parte malata delle istituzioni, ma era pienamente dentro quel potere e lottava per la supremazia. La terza è che la corruzione non fu sradicata affatto ma ha continuato imperterrita anche dopo Mani Pulite.
Percorro in grandi linee le tesi di Cirillo. Per cominciare, la corruzione che passava dal ministero dei lavori pubblici (e dei favori privati) arricchiva tutti, “rubavano tutti”; e la corruzione politica fece da volano al salto di qualità di Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta e alla loro longa manus nella pubblica amministrazione.
Il libro si apre con una citazione di Luciano Violante: “Noi magistrati eravamo pronti a prendere il potere in Italia. Dopo Tangentopoli aspettavamo il passaggio del testimone”. Lo stesso Violante, passato dalla toga al Pds, sposta le aspettative di ricambio dal piano giudiziario al piano politico e afferma: “Aspettavamo, noi del Pci-Pds che la mela cadesse. Puntavamo sui benefici di mani pulite”, non cogliendo quel che invece Bettino Craxi aveva ben colto: la disgregazione dei partiti trascinerà e delegittimerà tutti. Infatti arrivò il Cavaliere outsider con le opposizioni non coinvolte in Mani pulite, vale a dire l’Msi e la Lega, più i sopravvissuti del pentapartito non assorbiti dalla sinistra.
Oltre le spartizioni trasversali, Cirillo cita anche altre pagine del malaffare che coinvolsero imprenditori sotto l’ombrello protettivo della sinistra. È il caso di Carlo De Benedetti, all’epoca editore de la Repubblica, “finito nel grande proscenio della corruzione che flagellava l’Italia” e sentito a San Vittore da Tonino Di Pietro. Ne nacque pure un’intervista di Giampaolo Pansa all’editore che aveva ammesso di aver pagato tangenti. La difesa dell’editore-finanziere fu che se avesse provato a rivelare il sistema delle tangenti “mi avrebbero distrutto”; dunque per sopravvivere meglio l’omertà e la partecipazione al gioco… L’intervista è dura ma chi ne esce bene è l’intervistatore, Pansa, non certo l’intervistato, e il suo gruppo.
È pure il caso dei Benetton, legati al Pd e al gruppo L’Espresso, e della tragedia del ponte Morandi, con 43 morti, dopo più di vent’anni di gestione della società autostrade con profitti per decine di miliardi. Cirillo si addentra nella vicenda e nella manutenzione mancata del ponte, col finale salvacondotto firmato dal governo giallo-rosso. A la Repubblica di De Benedetti, si affianca l’Unità, ancora organo del Pci, poi Pds, “un giornale – scrive Cirillo – indispensabile e utile per disarticolare il dissenso e distruggere professionalmente e umanamente i nemici, in ossequio alle verità inoppugnabili del Bottegone, ma se necessario anche randello mediatico per amici poco ortodossi e alleati riluttanti o troppo autonomi per accettare la leadership culturale e politica del Pci”.
C’è poi il capitolo dei “faccendieri falce e martello”: “la lunga strada del business tra consulenze, voti di scambio, mazzette, appalti miliardari e occupazione dei posti di comando e gestione nasce e si sviluppa, a sinistra, a partire dagli anni ottanta”. Ovvero, faccio notare, da quando si chiuse il generoso rubinetto sovietico, le mediazioni sull’export-import con l’est, gli aiuti di Mosca. Ma per dirla in sintesi con il titolo di un capitolo: “Corruzione. Il Pci-Pds era parte del sistema”.
“Si inizia con le cooperative emiliane per finire a D’Alema, Renzi ed Emiliano, il presidente della Regione Puglia…passando per Carrai e il suicidio-omicidio di Davide Rossi del Monte dei Paschi di Siena. Matteo Renzi è il più fantasioso. D’Alema il più grezzo e arrogante”. Eccoli, “i piazzisti d’Arabia”: altro che rottamazione e discontinuità, siamo in piena continuità. Sorse un conflitto tra la linea di d’Alema che difendeva (come Craxi) il primato della politica e la linea giustizialista di Violante. Al pool di Mani pulite, commenta Cirillo “mancò il coraggio di sedersi sulle macerie di un sistema dove anche i magistrati avevano giocato la loro partita sporca”. Chi non era di sinistra è finito in galera per traffico d’influenza, collusioni, voti di scambio e via dicendo. A sinistra, invece l’hanno fatta franca quasi tutti.
Il libro si conclude senza happy end, anzi: l’Italia del Malaffare non fu affatto sgominata con Mani Pulite ma prosegue ancora, con la sinistra ancora coprotagonista. “Il sistema della tangenti si spezza ma non crolla” dopo le inchieste giudiziarie. Molti gli episodi recenti citati.
Perché ho ripreso questa ricostruzione di Tangentopoli? Perché per capire il presente dobbiamo capire meglio il passato che lo ha prodotto. E per capire le tensioni odierne tra politica e magistratura di oggi dobbiamo tornare alle tensioni di ieri e ai moventi, che non sono cambiati. Serve conoscere quella storia per capire il ruolo di potere della sinistra anche oggi, nell’epoca Meloni. Tangentopoli non fu una guerra tra i corrotti e gli onesti, tra guardie e ladri, ma un conflitto di poteri, anzi una contesa per la supremazia in Italia; quasi un derby. Poi, certo, ci sono da distinguere gradi e livelli diversi di corruzione e responsabilità.
Faccio notare che la sinistra nel nostro Paese ha giocato su due tavoli, anzi tra un tavolo e sottobanco: da un verso partecipava alla spartizione del potere e dei vantaggi derivati dal malaffare e dall’altro portava all’incasso la sua posizione di partito moralizzatore e anti-corrotti, ergendosi al ruolo di giudice in un processo in cui avrebbe dovuto essere coimputata. La vera accusa da rivolgere sul piano storico e politico alla sinistra non è dunque solo di aver partecipato al malaffare, ma di aver giocato due parti in commedia, ossia una partita doppia, ambigua, succhiando sia i benefici pratici del malaffare che i benefici etici contro il malaffare. Con una mano rubava e con l’altra puntava l’indice accusatore.
La Magistratura e i suoi alleati in alto loco non hanno combattuto una battaglia nel nome della giustizia contro l’illegalità, ma una guerra per l’egemonia giudiziaria, interna al Palazzo. Lo confermò Giovanni Pellegrino, esponente dei dem e all’epoca presidente della commissione autorizzazioni a procedere e poi della commissione stragi. La molla di Mani pulite, dichiarò, fu il primato del potere giudiziario, “in contrasto col disegno costituzionale”. E su Tangentopoli: “Apparentemente il mio partito non prendeva soldi, però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa con una percentuale dei lavori dal 10 al 15%”.
Non so se davvero, come sostiene Cirillo, sia ancora vivo come allora il malaffare ma so che anche oggi non siamo dotati di anticorpi per fronteggiare il malaffare: ossia forti motivazioni politiche e ideali, rigorosi criteri di selezione e rotazione della classe dirigente, basati sulla capacità e sulla qualità e non sull’affiliazione servile; la lungimiranza di chi sa vedere oltre il “particulare” e oltre il presente, alla storia e a quel che lasciamo in eredità a chi verrà dopo. Senza questi tre fattori, la politica è ancora esposta al malaffare, a destra come a sinistra.
Marcello Veneziani.
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La creazione del cane

(La scena si apre sul Paradiso Terrestre. Ci sono piante lussureggianti, cascatelle d’acqua, ninfee, leoni, elefanti, caimani e zanzare. Sulla scena, in piedi, vicini l’una all’altro, Eva e Adamo.)
EVA: Adamo, hai portato fuori il cane? ADAMO (la guarda interrogativo): Cane, quale cane? EVA (comincia ad irritarsi): Il nostro cane! ADAMO (didascalico): Ma noi non abbiamo un cane! EVA (irritata): Tutti hanno un cane! ADAMO (come sopra): Ma se qui ci siamo solo tu ed io! EVA (come sopra): Ecco, sempre pronto a contraddirmi. Vuoi che litighiamo di nuovo? ADAMO (conciliante): Ma no, cara, non è per contraddirti, ma qui non c’è nessun cane. EVA (come sopra): Oh, ma va’ al diavolo! SERPENTE (scende serpeggiando giù dall'albero): Mi ha chiamato? EVA: Fila via, tu: entri solo al prossimo atto! SERPENTE: Ah, scusate (serpeggia sull'albero, mogio, mogio) EVA (ad Adamo): Hai visto? Hai messo scompiglio nel Giardino. Quello ha pure fatto l’entrata sbagliata, ora lo senti il Regista! DIO (svegliandosi): Eh? ADAMO: Cosa? EVA: Che dice? DIO: Meditavo e mi è parso di sentire invocare il mio nome ADAMO ed EVA (all’unisono): No, no. Continui pure a meditare. EVA (ad Adamo): Senti… ADAMO: Cosa c’è? EVA: Ma… e il cane? ADAMO: Ancora il cane? Quando ti metti in testa una cosa…. Sei proprio cocciuta: non abbiamo cani qui! EVA: Io lo voglio ADAMO (sconsolato): Già EVA (fa una bizza): Lo voglio, lo voglio, lo voglio! ADAMO (fa spallucce): Non ci posso fare niente, è colpa del Regista. DIO (si sveglia di nuovo): Eh? Che c’è? Mi si nomina ancora invano laggiù? EVA (sommessamente): No, è per il cane… DIO (che sa tutto): Quale cane? Non ci sono cani costì. ADAMO (gongolando, rivolto a Eva): Ecco, vedi, che ti dicevo! EVA (a bassa voce, rivolta ad Adamo): Sta invecchiando, allora: si è dimenticato di crearlo… DIO (che sente tutto): Mi sono dimenticato? EVA (umile): Ehm … sembrerebbe… DIO: Mah, ho perso la lista delle cose da fare, può darsi…. Non sono più attento come un tempo. (Rivolto a se stesso) Forse ho fatto male a crearlo, il Tempo, ma qui devo fare sempre tutto da solo, e qualche volta… ADAMO ed EVA (si guardano, scuotendo la testa, senza parlare) DIO (tuonando): Eccovi il cane! CANE (compare tra Adamo ed Eva, fa qualche passo, si avvicina all’Albero del Bene e del Male e fa pipì) SERPENTE: Attento, mi hai schizzato tutto! CANE: (sorride, compiaciuto)*. EVA: Adamo, questo cane non mi piace. ADAMO (rivolgendo lo sguardo in alto): Oh Santo Cielo! DIO, SERAFINI, CHERUBINI, TRONI, DOMINAZIONI, VIRTÙ, POTENZE, PRINCIPATI, ARCANGELI e ANGELI (in coro): Eh? Che c’è? ADAMO (fa un passo avanti sul proscenio): Qui non ne usciamo più. Vogliamo chiudere il sipario e passare al secondo atto?
(Cala il sipario)
[*] I cani sorridevano, nel Paradiso Terrestre. È da quando ne sono usciti che hanno smesso.
Ispirato ad Achille Campanile.
Immagine: Luca Cranach, particolare da: Paradiso Terrestre (1530)
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
LA RELAZIONE
Il gioco della visione appartiene alla pittura: fenomeno ottico, l'anamòrfoṡi sorge sul proscenio dell'immagine per rammentarne la natura ambigua.
Già sperimentata da Leonardo nella sua "Annunciazione" conservata agli Uffizi, con Hans Holbein il Giovane (1497-1543) diventa figura che ammonisce: un teschio appare, di scorcio, osservandolo da destra, nel sorprendente "Ambasciatori", 1533, Londra, National Gallery.
Certo, è un ammonimento, il classico "memento mori".
Ma c'è qualcosa di più, un effetto che supera la tecnica e il significato.
Si tratta della "relazione".
Il dipinto è oggetto dello sguardo.
Il dipinto è oggetto.
Eppure, il dipinto osservato, a sua volta osserva.
Lo spettatore guarda.
E, improvvisamente, è guardato.
L'immagine non è più, solo, un oggetto: è espressione vivida.
Chiede attenzione.
Diventa soggetto.
Ci ri-guarda.
E ci riguarda.
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Il sistema familarista instaurato da Giorgia Meloni rappresenta il punto cardine del suo progetto politico, una vera e propria trasposizione della famiglia all’interno del partito “Fratelli d’Italia” e cosa ancor più grave all’interno della compagine governativa. L’Italia democratica e caciottara, concepita dalla famiglia Meloniana, viene a fondarsi su una vera parentopoli allargata, dove cognato, sorella, madre, ex cognato, amici personali e fidatissimi si intrecciano con gli interessi politici del Paese. Il “tengo famiglia” del grande Totò De Curtis la dice lunga sul modo di rapportarsi della Premier con questa, e il suo trovare sostegno e forza proprio nei vincoli di parentela. Fratelli d’Italia, il partito personale della Premier, non rappresenta altro che la sua identità fascio caciottara, la sua anima politica in cui si ritrovano interessi familiari, amicali, parentali.generazionali di un mondo nostalgico che sopravvive e si nutre ancora oggi dell’ideologia del ventennio. Del resto mai scelta del nome, Fratelli d’Italia, fu più azzeccata per il partito di cui “Giorgia” è fondatrice e madre. Un coacervo di “valori” propagandistici ingialliti dal tempo, Dio, Patria, e Famiglia, e il ricordo nostalgico del “bastone e della carota” in un Paese come l’Italia fragile e di memoria corta sono ritornati alla ribalta. [...] Solo un rigurgito del ventennio, un uso privatistico della politica, un cumulo di menzogne e di arrogante ipocrisia fanno da proscenio all’azione di questo governo, il peggiore dell’epopea conservatrice. Qualsiasi circostanza anche riservata, qualsiasi manifestazione e azione comportamentale della Premier viene celebrata e veicolata dai media con l’apoteosi degna del vecchio Istituto Luce. L’immagine di questi giorni di una serafica Meloni, donna , madre, e cristiana davanti il presepe di casa, il suo apprezzamento verso quello che rappresenta il fulcro della nostra cultura cristiana, il pensiero alla figlia Ginevra, e le critiche rivolte a coloro che la pensano in maniera diversa, danno la dimensione della sua innata ipocrisia. [...]
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Florecer En Vivo: N.Hardem Cultiva «Verdor» En CDMX
México, CDMX | Agencia de Noticias ArrimetricA. Jueves, de una calurosa noche de verano. Afuera, sobre la avenida México-Tenochtitlán, las animadas luces de la marquesina del foro Hilvana invitaban a los coches y a los transeúntes a pasar un rato con N. Hardem y Mismo Perro e Invitados. Para quienes no pudieron verlo hace un año, el rapero bogotano ha vuelto con una gira corta por el país que arrancó ayer en Guadalajara y termina en Puebla, hoy está de vuelta en el pardo corazón de esta ciudad.

El set de bienvenida estuvo a cargo de Bobby Soprano quien giró una fina colección de hits duros y pavonados como Monch o Biggie para los asistentes que todavía iban llegando. Una hora más tarde Charlot La tribu salió a despabilar a los heads que tímidamente se acercaban. Con una actitud relajada y humor, el cacunense recibió a un público todavía discreto. Minutos más tarde, AfroOmega y Ese-O salieron a dueto para dar un show rebosante de beats duros y basslines graves. Fue una actuación imprevista luego de que la banda poblana Fat Mojo no pudiera llegar. Al irse, un intermedio largo y sin música, dejaron una sensación de incertidumbre pues el acto principal se haría un poco del rogar.
Cerca de la medianoche las luces se apagaron anticipando el inicio. Suspenso. No hubo música o setlist ni fanfarrias. Serenidad ceremonial. Mismo Perro salió y tomó su posición, y segundos después, N. Hardem emergió como un fantasma salido de los altavoces. Gritos y aplausos llegaron hasta el techo. Dio unos pasos alrededor, cayeron los primeros compases, se balanceaba sobre sus pies, y con el puño en alto dedicó 'Mi Juego Zen' a Rafael Cassiani quien falleció ese mismo día. Le siguió con 'LQME' luego oportunamente con 'Señales de humo' cuando el olor turbio a mota estaba en su punto. En la intensidad de la peste los ánimos se pusieron pata pa' arriba con 'Director y Protagonista'. Vapores y olores se mezclaban en la atmósfera. Como las espirales de humo, la noche empezaba a elevarse con un repertorio de canciones que se esperaban sonar en el algún momento.
La presencia de Hardem se hizo notar fluyendo sobre las bases como si su verdadera voz floreciera desde el escenario. No toda la atención recayó en él, Mismo Perro cargó el peso del show como DJ manipulando los platos o haciendo la doble voz, también pasó al frente con un par de canciones hipnóticas: 'Burundangalas' y 'Merthiolate' del DBEN. Su verborrea hustla más sus instrumentales sin tarolas y bombos le dieron un toque espeso al ambiente.

La primera mitad fue un viaje ascendente por dos décadas de epés, música, y proyectos de N. Hardem, la variedad de sus estilos fue clave para mantener al público moviendo el cuello. Una mezcla de estados y estilos variados que resumen su trayectoria, sin embargo, lo más frenético de la velada ocurrió cuando inesperadamente bajó del proscenio y formó una rueda de gente a su alrededor. La división entre artista y público se desvaneció, se armó un slam. Más que un concierto, aquello era una fiesta. «El hip hop es un deporte de contacto y el que diga lo contrario no es bienvenido aquí» dijo al volver a la tarima.
La noche por fin llegó al clímax con las últimas canciones de la obra estelar, «Verdor», que todavía tiene a Hardem de aquí para allá. Las cajas jazzy y los beats drumless dieron paso a percusiones percutidas y samples arenosos de salsa con funk que evocaban el calor de una madrugada de un viernes sin estrellas, pero iluminada por un juego de tiras de luces. Con una trompeta por lo alto, el negro Hardem se despidió con 'Apolo' para llegar al final de un largo recorrido de canciones, no hubo encore con 'Otro Agosto' sonando al último los fans estuvieron complacidos.
A diferencia del sonido introspectivo de su último álbum, N. Hardem estalló con cadencias, flows y deliverys que parecen ser re-escritos para la ocasión. Su show está muy bien trabajado y su voz diverge radicalmente en vivo, en este caso adquiriendo una dimensión única. Tal como lo declaró en una entrevista, el escenario es donde sus creaciones alcanzan su plena realización.
ᵢ ₜₕₑ Wᵢₜₜₙₑₛ
#The i Wittnes#conciertos#crónicas#Nhardem#Mismo Perro#Bobby Soprano#Fat Mojo#Ese-O#AfroOmega#hiphop
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PROSCENIO
Respira, vuela, hazlo otra vez
Enamorado hazlo otra vez
El drama habita este lugar
Yo puedo ser cualquier cosa
Yo moriré con flores en mi cabeza
Esta vez estoy soñando con los ojos abiertos
Voy a celebrarlo con todo mi corazón.
Mira, hazlo otra vez
La sangre es falsa
Pero por dentro todo se siente real
Bienvenidos a mi realidad
Por favor señores no me juzguen
Si algo sale mal
Yo trataré de interpretar con mi corazón
Yo moriré, moriré, y moriré, en el piso del teatro
Yo bailare, bailare y bailare, hasta que mis pies estén sangrando
Soy un Ángel, un demonio
No creas nada...
ESTA NOCHE TODO ES FALSO
Y PARA TU ENTRETENIMIENTO.

Carta de suicido de Judas Adam.
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Estos días de congoja para Iglesia Católica van a ser seguidos por unos muy agitados. Menos mal que hay un trámite que ya no será necesario, el de palparle las bolas al futuro Pontífice. Aquí una de las notas más pedidas y celebradas por nuestros seguidores.
'Las bolas papales'
Las historias de los papas, son una fuente inagotable de anécdotas increíbles. Los que hayan tenido la dicha de visitar el museo vaticano, quizás hayan reparado en una silla más parecida a un inodoro antiguo que a un trono papal. Tiene forma de sillón de comedor de madera y con un agujero redondo en el centro del asiento. Si creyeron estar frente a un antepasado del inodoro le erraron por mucho. Se trata de la ‘sedia stercoraria’, donde los nuevos papas se sentaban para que un cardenal con la dalmática arremangada metiera la mano y comprobara si le colgaban pelotitas.
Si ya se, piensan que es una chanza, pero no lo es. Todo esto es el resultado de una mácula en la línea de sucesión papal que la iglesia categóricamente la puso en la columna de las leyendas. Allá por mediados del siglo IX, asumió un papa muy particular, que en su segundo año en ejercicio engordó más de la cuenta. Todo se fue al demonio cuando en plena procesión desde San Pedro a San Juan de Letrán, se descompensó, abrió sus piernas y nació un saludable niño. No sabían cómo pudo haber pasado, en realidad sí sabían, pero no lo podían creer. Le habían metido la mula a tan sagrada institución.
Juana fue una vergüenza para la iglesia ya que estuvo años ascendiendo en su carrera hacia el papado sin que nadie la detectara. Las pocas certezas del relato nombran a Lamberto de Sajonia como el amante de la papisa Juana y por ende, padre del retoño. Según el cronista domínico Martín de Opava, la papisa murió a causa del parto, pero según el compilador Jean de Mailly fue atada de una pierna a la montura de un caballo y arrastrada por las calles mientras era lapidada. Muerte más a la atura de los despelotes que le provocó a la Santa Sede.
Aprovechando que eran años convulsionados por la irrupción del antipapa Anastacio, la iglesia la borró de sus registros y adornó los de Benedicto III y Juan VIII para cubrir los años oscuros. Pese a los esfuerzos del catolicismo por tildarla de leyenda, la historia le tenía reservada un lugar de la mano de cientos de escritos medievales. Si la historia oficial fuera correcta, para que la iglesia se tomó la molestia de idear un método para que no vuelva a pasar lo que no pasó nunca. Estaré eternamente agradecido que el procedimiento ideado por la iglesia católica para evitar una nueva papisa haya sido la ‘sedia stercoraria’. Una delicia para este reducto de anécdotas de la historia.
La ceremonia no se le hubiera ocurrido ni al propio Federico Fellini. El papa seleccionado por sus santos méritos, debía demostrar que tenía cojones para el cargo. En vergonzosa presencia de los cardenales electores, se sentaba en el incómodo escaño y un prelado metía la mano por una puertita lateral debajo del asiento para tantear. Si encontraba que estaba todo en su lugar gritaba: ‘duos habet et bene pendentes’ (tiene dos y cuelgan bien), creer o reventar. La ceremonia terminaba con todos gritando: ‘Deo gratias’ (gracias a Dios) y mientras el cardenal se lavaba las manos, el papa saludaba en el proscenio.
El primer papa en ser palpado de bolas fue Benedicto VIII en el año 1012. Luego de 150 pelotitas manoseadas a 75 papas, llegó el turno de Adriano VI que al parecer no le causó ninguna gracia y en 1522 el método fue abolido, término más que apropiado.
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Carnevale. Nel giorno del giovedì grasso le chiavi della città ai due Re di Fermo e Porto San Giorgio
Carnevale sempre più nel vivo. E’ sempre caratterizzato da una bella e colorata festa il giovedì grasso di Baraonda, il Carnevale delle Città di Fermo e Porto San Giorgio, che come tradizione questa mattina si è svolto in Piazza della Libertà a Capodarco, con la direzione artistica di Marco Renzi ed il coordinamento di Proscenio Teatro. Una festa molto sentita, nel solco di una tradizione…
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#ElEscenarioDelMundo
🎭Teatro: “VOTO POR LA LIBERTAD [La Lucha por el Voto de la Mujer”🗣📝💃👊🙋♀️💪👀
✍️ Dramaturgia: Cecilia Paitamala

🗯 Argumento: Puesta en escena que recrea la cruda historia sobre la lucha por el voto de la mujer. El sufragismo británico fue especialmente activo congregando a mujeres trabajadoras de toda la región para alcanzar, además del derecho a votar, el derecho a ser tutoras legales de su hijos, de heredar la propiedad, de disponer de su dinero sin autorización de sus esposos, su incorporación a la carrera judicial, entre otros..

👥 Elenco: Judith Calderón, Angie Derteano, Mercedes León, Roxana Márquez, Michell Juárez, Javier Collao, Diego Cruzado, Silvia García, Renzo Lima, Stephanie Pagador, Carla Neyra, Dayana Roque, Gustavo García, Hugo Melgar, Juan Carlos Vargas, Johan Cárdenas y Fabían Guzmán.

📢 Dirección: Cecilia Paitamala
© Producción: Proscenio Teatro.
▶️ Vídeo Promocional: https://youtu.be/ggzpav50Uh0

📌 FUNCIÓN:
📆 Jueves 05 y 12 de Diciembre
🕗 8:30pm.
🏪Teatro Auditorio Miraflores (av. José Larco 1150, sótano - Miraflores)

🎯 Entradas:
🎫 Adultos: S/.45
🎟 Estudiantes y Jubilados: S/.35
🖱 Reservas: https://bit.ly/votoporlalibertad
👀 A tener en cuenta: Obra recomendada para mayores de catorce años. (14+)
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Il Teatro Olimpico è una delle meraviglie artistiche di Vicenza.
È il primo e più antico teatro stabile coperto dell'epoca moderna ed è anche noto per il suo sfondo scenico a "Trompe-l'œil", un'illusione ottica dipinta che crea la prospettiva di un antico palcoscenico all'aperto.
Dalle cinque aperture del proscenio si irradiano le scene che rappresentano le sette vie di Tebe, costituite da finte quinte architettoniche classicheggianti, che un artificio prospettico prolunga ben oltre l'effettiva profondità di 12 metri in modo da accentuarne visivamente la dimensione.
Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l'incarico dall'Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile.
Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio: una cavea gradinata ellittica, cinta da un colonnato, con statue sul fregio, fronteggiante un palcoscenico rettangolare e un maestoso proscenio su due ordini architettonici, aperto da tre arcate e ritmato da semicolonne, all'interno delle quali si trovano edicole e nicchie con statue e riquadri con bassorilievi.
Il Palladio appronta il disegno pochi mesi prima della sua morte e non lo vedrà realizzato; sarà il figlio Silla a curarne l'esecuzione consegnando il teatro alla città nel 1583.
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il pascolo delle cicogne
L'artista trova non cerca scopre e poi propone un istante notturno che diventa sotterraneo e galeotto di una promessa ai tanti poeti incontrati e non letti una passione latente mai abbracciata incomprensibilmente continua a provocare ,tratteggiando, momenti che ridestano e confondono un delirio di onnipotenza non compiace donne pur rimanendo adoratore devoto della femminilità occulto amante della bellezza ne esteriore ne interiore piacere puro e denso parole tra singhiozzi sguardi tra le lacrime incompleto gronda sudore salato in chiare notti mondane concede presunzione all'amante di scardinare con il fascino al proscenio la scenografia mentre lamenta irragionevolmente ventre piatto inutilmente non atletico e occhi di inenarrabili visioni sul palco del teatro cancella la stagione della danza o della prosa e senza fine porta il rapimento trasporto disorientato offerto gratuitamente sola intimità puramente fisica inizia ieri su onde modeste e toni blandi inseguendo le tracce della caccia non cruenta sfreccia l'autostrada scorge di lato il pascolo delle cicogne nella capitale sabauda
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Bobos, lambones y esnobistas
Reinaldo Spitaletta
Todo parece indicar que asistimos a un proceso de amaestramiento masivo, o, por qué no, de domesticación universal, en el sentido no solo de estar obedeciendo, sino, peor aún, consintiendo al verdugo, al domador, al que nos quiere enseñar a amar las cadenas, ni siquiera el punto-cadeneta-punto, solo los grilletes y los eslabones. Y para llegar a estos estados deplorables de consentimiento de la opresión y de la desaparición de la crítica, o asuntos similares, nos han intervenido el cerebro y hasta los intestinos.
Uno de los múltiples mecanismos usados para estos efectos es el del “seguidismo”. El creer a ciegas, o a tontas y locas, al elegido, al “mesías”, a una autoridad que utiliza tramposos disfraces. Lo que diga el maestro, o el presidente, o el dictador, es “palabra de dios”. Y ahora, la divulgación de órdenes, y otros llamados a la genuflexión y a la adoración, se transmiten con facilidad y alta velocidad, por redes sociales, porque, como se puede notar aquí y allá y acullá, más se gobierna a través de la virtualidad que desde la consulta popular.
Hay un catecismo, unas palabras divinizadas, una falsa sensación referida al “patriarca”, a quien hay que seguir, sin vacilaciones y sin cuestionamientos. Bueno, esa es una de las numerosas maneras contemporáneas en las que esa nebulosa denominada el poder nos ha hundido en la aquiescencia. Nos amputaron la facultad de preguntar por esto y por aquello, por todo, como lo sugirió hace años un poeta y dramaturgo alemán. Es mejor el dejar pasar, sin inquietarse por lo que puede haber detrás de un discurso, de un decreto, de una propuesta que puede ir contra nuestros intereses, que ya ni sabemos cuáles son.
Nos sumergieron en los espectáculos que hacen gritar a la galería, diseñada precisamente para dar sentido de aprobación, o de aceptación a lo que se mueve en la platea y en el proscenio. Para estas abyecciones se reduce el lenguaje, se crea una “neolengua” (por qué no un empobrecido parlache, una jerga) y hay que ir haciendo desaparecer a los clásicos (en unos casos, del marxismo; en otros, de la literatura, las artes, la historia…), como lo sugiere Michel Onfray.
Entonces, además del sentido crítico (suponiendo que haya existido alguna vez), nos empobrecen el lenguaje, que se reduce a unos cuantos vocablos, y se crea una sensación de bienestar en lo efímero, en lo fugaz y deleznable. Así son, en general, los mensajes de redes sociales. Como lo que alguien, quizás también por alguna de esas redes, decía sobre los esnobismos y las modas, que nos avasallan y nos hacen creer que hay un barrio muy “cool”, y que ya no se dice “tinto” (en el sentido de un café negro), sino un “americano”. Y hasta nos avergonzamos, por estos breñales montañeros, de la arepa y otras comidas típicas.
Sucede igual, o peor, con los conceptos de arte, belleza, estética. Se ha reducido a emoticones, al sensacionalismo, a la calificación rápida de una canción sin fondo y sin forma, o un bodrio cualquiera, en decir “¡qué chimba!”, y así evitamos cualquier análisis o profundización, nos salimos por la tangente, y esa forma escapista nos salva de pensar en propuestas elaboradas, en filósofos, en tratadistas, “eso pa’qué”, se escucha decir. “Pa’qué putas” Kant y Hegel y Nietzsche, o Gutiérrez-Girardot, o los baldomeros sanines, o un viejito tacaño como Fernando González, y menos aún un escritor “costumbrista”, “montañero”, pero eso sí “desnudador”, como don Tomasito Carrasquilla. Cosas así se han visto. Cosas de nuestro tiempo, se dirá.
Fuente: El Espectador , 16 de abril de 2024
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The Teatro Olimpico in Vicenza was the last work of the architect Andrea Palladio, with the staging of Sophocles' Oedipus Rex.
It is the oldest covered theater in the world.
Construction began in 1580, but Palladio, due to his sudden death, did not see its completion;
his son Silla will continue the work, based on the notes left by his father.
The effect of the scenography, which reproduces the seven streets of Thebes in the five openings of the proscenium, is due to the refined perspective game created by the architect Vincenzo Scamozzi, spiritual heir of Palladio.
The theater is still a venue for performances and concerts and, since 1994, like other Palladian works, it has been included in the list of UNESCO World Heritage Sites!
#theater #unesco heritage #art
Il Teatro Olimpico di Vicenza, fu l' ultimo lavoro dell'architetto Andrea Palladio, con la messa in scena dell’ Edipo Re di Sofocle. È il più antico teatro coperto del mondo. La costruzione inizia nel 1580, ma il Palladio, a causa della sua morte improvvisa , non ne vede la realizzazione; sarà il figlio Silla a proseguire i lavori, sulla base degli appunti lasciati dal padre. L’effetto della scenografia, che riproduce le sette vie di Tebe nelle cinque aperture del proscenio è dovuto al raffinato gioco prospettico ideato dall'architetto Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del Palladio.
Il teatro è tuttora sede di rappresentazioni e concerti e, dal 1994, come le altre opere palladiane, è incluso nella lista dei Patrimoni mondiali dell'UNESCO!
#teatro #patrimoniounesco #arte
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14/02/2024
El día de la clase de hoy vimos teoría de las partes del escenario asi como: arriba, centro, abajo y proscenio. 🧐🤠😜Podemos encontrar las piernas y los arbades. 😊El ciderama es color azul claro y también en la parrila. 🚜🚘Me di cuenta de que estas palabras las usan mucho en mis clases de baile y me ayudó que Miss Pamela nos diera esta información en profundidad.
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Diario de Clase #8 (19-23/02/2024)
En esta semana, después de acabar los monólogos y haber visto algo de teoría acerca de las posiciones en el teatro, hicimos un ejercicio de acomodación para recordar todas las posiciones siguiendo una sucesión en particular, lo que al menos desde mi parecer, no se nos complico mucho, pues todos recordábamos muy bien cada una de nuestras posiciones, aunque ciertamente a la hora de organizarnos para ver quien iba primero o quien después, nos quedábamos algo confundidos, pero sin duda había esfuerzo de parte de todos, ya que a la hora del acto final (correr hacia el proscenio) ninguno se quedaba atrás o se avergonzaba.
Además de eso, volvimos a jugar varios de los juegos de improvisación de los que estábamos acostumbrados, aunque después de tanto tiempo sin practicarlos la verdad es que si estábamos un poco oxidados. Durante la semana jugamos al clásico "samurai" (del que cada vez somos más los que dan todo de sí para el juego), el juego de los nombres y las pelotas (con una dificultad más alta desde el principio, teniendo 6 pelotas en total), "mi barco viene de Londres y trae..." (rompiendo sorprendentemente un nuevo record pese a nuestra falta de práctica en este) y un nuevo ejercicio bastante divertido pero a la vez complejo el cual requería el uso de comandos para teatro como: salto, suelo, sleep, slow y stop, que aunque parezcan fáciles a simple vista, el truco aquí es que ciertos comandos están invertidos, es decir, en salto hay que agacharse y en suelo hay que saltar, o en stop por ejemplo hay que correr en vez de parar, sin embargo, aún con esta "dificultad" la verdad es que como grupo logramos entender muy rápidamente estas variaciones, por lo que fue una sorpresa tanto para nosotros como para la maestra misma que pudiéramos llegar hasta el sexto comando en un solo día, pues originalmente solo veríamos los primeros 4.
Por último, nos juntamos entre parejas para ponernos de acuerdo acerca de una escena corta que íbamos a hacer en conjunto.
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