#prevenzione malattie occhi
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Giornata Mondiale della Vista: La prevenzione come priorità per l’oculistica nel Servizio Sanitario Nazionale
In occasione della Giornata Mondiale della Vista, AIMO promuove la prevenzione delle malattie oculari, sottolineando l'importanza di diagnosi tempestive e accesso equo alle cure per la popolazione.
In occasione della Giornata Mondiale della Vista, AIMO promuove la prevenzione delle malattie oculari, sottolineando l’importanza di diagnosi tempestive e accesso equo alle cure per la popolazione. In occasione della Giornata Mondiale della Vista, l’Associazione Italiana Medici Oculisti (AIMO) ha rinnovato il proprio impegno nella prevenzione delle patologie oculari e nella promozione della…
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unfilodaria · 2 years ago
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L'Occhio di Santa Lucia
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E’ uno degli amuleti più popolari contro il malocchio. Gli si associa il potere di occhio buono e protettivo capace di bloccare ogni altro occhio malevolo. Può essere indossato sia come gioiello, che nascosto tra gli abiti. L’occhio di Santa Lucia è l’opercolo calcareo che il mollusco Bolma rugosa utilizza per chiudersi all’interno della conchiglia. Si presenta con la caratteristica forma ad occhio ed è molto ricercato anche dai collezionisti. In Sardegna si trova facilmente sulle spiagge, specie dopo le mareggiate. L’occhio di Santa Lucia si presenta di un colore rosso vivo se è stato prelevato dal mollusco ancora vivo. Mentre, ha un colore rosa spento se è stato raccolto sulla spiaggia dopo aver subito l’usura della sabbia e del mare. All’occhio di Santa Lucia, oltre al potere contro il malocchio, viene attribuito anche il potere benefico contro le malattie degli occhi e in particolare contro la cataratta. A Oristano era usanza diffusa incastonare numerosi occhi di Santa Lucia in una placca rettangolare d’argento, che si posava sul ventre delle gestanti al momento del parto. Questo era un dono d’obbligo delle nonne e delle madrine di battesimo, o in occasione di una promessa di matrimonio. Veniva regalato solo in ambito familiare e non veniva prestato, ma neppure chiesto in prestito. https://www.corbula.it/storie-miti-leggende-sarde/prevenzione-malocchio/
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infoerba · 4 months ago
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Straordinari Benefici degli Omega 3 per la Salute
I benefici dell'assunzione di Omega-3 sono stati descritti per la prima volta negli anni '70 del secolo scorso da ricercatori che notarono come negli Eschimesi Inuit che vivevano in Groenlandia – una popolazione che assumeva dosi elevate di Omega-3 di origine marina – le membrane delle piastrine erano molto ricche di questi acidi grassi e il rischio di aterosclerosi era ridotto.
1. SALUTE DEL CUORE: gli Omega 3 aiutano a ridurre i trigliceridi, abbassano la pressione sanguigna e riducono il rischio di formazione di coaguli, proteggendo così il cuore. Attacchi di cuore e ictus sono le principali cause di morte in tutto il mondo.
2. BENESSERE CEREBRALE: questi acidi grassi sono fondamentali per lo sviluppo e il funzionamento del cervello. Contribuiscono a migliorare la memoria, la concentrazione e l’umore, riducendo il rischio di depressione.
3. RIDUZIONE DELL’INFIAMMAZIONE: gli Omega 3 hanno potenti proprietà antinfiammatorie, alleviando i sintomi di molte malattie infiammatorie croniche come l’artrite.
4. SALUTE DEGLI OCCHI: gli Omega 3 sono essenziali per la salute degli occhi, contribuendo a prevenire la degenerazione maculare e il glaucoma. Il DHA, una forma di acido grasso omega-3, è un importante componente strutturale della retina.
5. PELLE SANA: grazie alle loro proprietà anti-infiammatorie, gli Omega 3 possono migliorare la salute della pelle, riducendo la secchezza e l’eczema. Gli Omega-3 aiutano a mantenere la pelle in salute.
6. MIGLIORAMENTO DEL SONNO (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7830450/): alcuni studi suggeriscono che gli Omega 3 possono contribuire a migliorare la qualità del sonno, riducendo l’insonnia.
7. PROTEZIONE DELLE ARTICOLAZIONI: Gli Omega 3 possono alleviare il dolore e la rigidità articolare, in particolare nelle persone affette da artrite.
8. AUMENTO DELLA PERFORMANCE SPORTIVA: gli Omega 3 possono migliorare le prestazioni atletiche, riducendo i tempi di recupero e diminuendo il dolore muscolare. Alcuni studi ne hanno dimostrato anche l'efficacia nel miglioramento delle performance sportive.
SALUTE MENTALE: gli Omega 3 sono importanti per il mantenimento di una buona salute mentale. Oltre ai benefici sul cervello che abbiamo menzionato in precedenza, possiamo notare che gli omega 3 sono utili noti anche per placare lo stato d’ansia.
9. PREVENZIONE DI ALCUNE MALATTIE: gli Omega 3 sono associati a una riduzione del rischio di sviluppare alcune malattie croniche, come il diabete di tipo 2 e alcune forme di cancro.
10. GLI OMEGA-3 SONO ESSENZIALI PER LO SVILUPPO E LA CRESCITA DEL CERVELLO DEI BAMBINI. Il DHA costituisce il 40% degli acidi grassi polinsaturi nel cervello e il 60% nella retina degli occhi. Non sorprende quindi che i neonati alimentati con formule arricchite di DHA abbiano una vista migliore rispetto a quelli alimentati con formule a basso contenuto di DHA.
11. SALUTE DELL’INTESTINO. Gli acidi grassi omega 3 sono dei veri e propri alleati per il nostro microbiota intestinale, in quanto sono in grado di influenzarne la composizione batterica, riducendo così il rischio di numerosi disturbi di salute.
#omega3#erboristeria_arcobaleno_schio
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cinquecolonnemagazine · 9 months ago
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Maculopatia secca: una sfida alla vista
La maculopatia secca, conosciuta anche come atrofia geografica, è la forma più comune di degenerazione maculare legata all'età (DMLE). Interessa la parte centrale della retina, chiamata macula, responsabile della visione centrale nitida e dettagliata. Cause e fattori di rischio della Maculopatia secca L'invecchiamento è il principale fattore di rischio per la maculopatia secca. Altri fattori includono: - Fumo - Predisposizione genetica - Esposizione alla luce solare - Ipertensione - Obesità Sintomi La progressione della maculopatia secca può essere graduale e asintomatica. I sintomi iniziali possono includere: - Visione offuscata - Distorsione delle immagini - Difficoltà nella lettura - Percezione dei colori alterata - Sensibilità alla luce intensa Diagnosi La diagnosi di maculopatia secca viene effettuata da un oculista mediante: - Esame del fondo oculare - Tomografia a coerenza ottica (OCT) - Fluorangiografia retinica Trattamento Non esiste una cura definitiva per questa malattia. Tuttavia, esistono diverse strategie per rallentare la progressione della malattia e preservare la vista: - Integratori alimentari: L'assunzione di integratori a base di luteina, zeaxantina e vitamine C ed E può essere utile per proteggere la macula. - Fotobiomodulazione: La terapia con luce a bassa intensità può stimolare la rigenerazione delle cellule retiniche. - Terapia anti-VEGF: In alcuni casi di atrofia geografica avanzata, possono essere utilizzate iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF per inibire la crescita di nuovi vasi sanguigni anomali. - Impianto di lenti intraoculari: Le lenti SML o Macula Lens possono aiutare a migliorare la visione centrale in alcuni pazienti con maculopatia secca avanzata. Consigli per la prevenzione È possibile ridurre il rischio di sviluppare la maculopatia secca adottando alcune misure preventive: - Evitare il fumo: Il fumo è uno dei principali fattori di rischio per la DMLE. - Proteggersi dal sole: Indossare occhiali da sole con filtro UV aiuta a proteggere la macula dai danni causati dai raggi solari. - Avere una dieta sana: Consumare cibi ricchi di antiossidanti, come frutta e verdura, può aiutare a proteggere la salute degli occhi. - Controllare la pressione sanguigna e il colesterolo: Mantenere sotto controllo i valori di pressione sanguigna e colesterolo può ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, che a loro volta possono aumentare il rischio di DMLE. - Effettuare controlli oculistici regolari: È importante sottoporsi a controlli oculistici periodici, soprattutto dopo i 50 anni, per identificare precocemente la maculopatia secca e iniziare il trattamento tempestivo. Foto di LhcCoutinho da Pixabay Read the full article
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newsnoshonline · 10 months ago
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Un'infezione mortale del cervello da parte dell'ameba può derivare da un risciacquo nasale non sicuro, avverte il CDC Un’allerta del CDC: l’ameba che può infettare mortalmente il cervello tramite il risciacquo nasale non sicuro I Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) hanno rilasciato un rapporto che mette in evidenza il rischio di infezioni da ameba a causa del risciacquo nasale con acqua non sterile, portando a pericolose infezioni della pelle, degli occhi, dei polmoni e del cervello. Il Pericolo delle Infezioni da Ameba Nel rapporto pubblicato sulla rivista “Malattie Infettive Emergenti”, il CDC ha documentato 10 casi di pazienti negli Stati Uniti infettati dall’ameba Acanthamoeba tra il 1994 e il 2022, con nove casi
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wdonnait · 1 year ago
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Zuppa di Piselli Spezzati e Cavolfiore al Curry con Zenzero
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/zuppa-di-piselli-spezzati-e-cavolfiore-al-curry-con-zenzero/116886?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=116886
Zuppa di Piselli Spezzati e Cavolfiore al Curry con Zenzero
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Ecco la ricetta per preparare una deliziosa zuppa con piselli spezzati e cavolfiore, arricchita dal sapore avvolgente dello zenzero, del cipollotto, dell’aglio e della polvere di curry.
Ingredienti:
1 tazza di piselli secchi spezzati, precedentemente ammollati 1 cavolfiore medio, diviso in cimette 1 cipollotto, tritato finemente 2 spicchi d’aglio, tritati 1 pollice di zenzero fresco, grattugiato 2 cucchiai di olio d’oliva 1 cucchiaino di polvere di curry (o a piacere, regolate secondo il vostro gusto) 1 litro di brodo vegetale Sale e pepe nero q.b. Coriandolo fresco (opzionale) per guarnire
Istruzioni:
Iniziate scaldando l’olio d’oliva in una pentola capiente a fuoco medio. Aggiungete il cipollotto, l’aglio e lo zenzero grattugiato. Fate soffriggere per alcuni minuti finché le verdure diventano tenere e rilasciano i loro aromi.
Aggiungete la polvere di curry e mescolate bene per farla tostare leggermente e sviluppare i suoi sapori.
Aggiungete le cimette di cavolfiore e i piselli spezzati ben scolati dall’ammollo. Mescolate bene in modo che le verdure si impregnino del condimento.
Versate il brodo vegetale nella pentola. Portate a ebollizione, quindi riducete il fuoco e lasciate cuocere a fuoco medio-basso per circa 20-25 minuti o fino a quando i piselli e il cavolfiore sono teneri.
Aggiustate di sale e pepe secondo il vostro gusto.
Una volta cotta, la zuppa può essere frullata parzialmente con un frullatore ad immersione se desiderate una consistenza più cremosa, o lasciata così se preferite una consistenza più rustica.
Servite la zuppa calda, guarnendo con foglie di coriandolo fresco se lo desiderate.
Questa zuppa è nutriente e ricca di sapori, perfetta per riscaldarsi nelle giornate più fresche. Buon appetito!
Zuppa di Piselli e Cavolfiore
La zuppa con piselli spezzati e cavolfiore arricchita da zenzero, cipollotto, aglio e polvere di curry offre diversi benefici per la salute grazie agli ingredienti utilizzati. Di seguito sono elencate alcune delle proprietà benefiche:
Piselli Spezzati:
Ricchi di proteine vegetali, fibre e vitamine del gruppo B. Apportano ferro, importante per la formazione dei globuli rossi. Cavolfiore:
Una fonte eccellente di vitamina C, che sostiene il sistema immunitario. Contiene antiossidanti, come la glucosinolati, che possono contribuire alla prevenzione di alcune malattie. Zenzero:
Ha proprietà anti-infiammatorie e antiossidanti. Può contribuire a ridurre le nausee e migliorare la digestione. Cipollotto:
Fornisce vitamine A e C, importanti per la salute degli occhi e del sistema immunitario. Contiene composti antiossidanti. Aglio:
Ha proprietà antibatteriche e antivirali
Può contribuire a mantenere la salute cardiaca e abbassare la pressione sanguigna. Polvere di Curry:
Spesso contenente spezie come curcuma, coriandolo, cumino, offre antiossidanti e ha potenziali benefici anti-infiammatori. Brodo Vegetale:
Contribuisce all’idratazione e fornisce vitamine e minerali. Può essere una base leggera e salutare per la zuppa. Olio d’oliva:
Fonte di grassi monoinsaturi salutari per il cuore. Contiene antiossidanti che possono contribuire alla protezione delle cellule. Coriandolo (opzionale):
Aggiunge un tocco di freschezza e può contribuire con proprietà antiossidanti. Questa zuppa è quindi non solo gustosa ma anche nutriente, offrendo una varietà di nutrienti essenziali che supportano la salute generale. Tuttavia, le proprietà esatte possono variare in base alle quantità degli ingredienti utilizzati e alla preparazione specifica.
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keforma · 1 year ago
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https://www.keforma.com/omega-3-benefici-per-il-cuore-e-la-salute-cardiovascolare/
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https://www.keforma.com/prodotto/omega-3-xxl-150-perle/
Omega-3: Gli Straordinari Benefici per la Salute Cardiovascolare
Gli acidi grassi Omega-3 sono spesso definiti “essenziali” e sono celebri per i loro molteplici benefici per la salute, tra cui un ruolo cruciale nel promuovere il benessere del cuore. contribuiscono a ridurre il rischio di malattie cardiache abbassando i livelli di trigliceridi nel sangue, diminuendo la pressione sanguigna, la formazione di coaguli e migliorando la funzione dei vasi sanguigni.
In questo articolo, esploreremo approfonditamente gli Omega-3, i loro molteplici vantaggi, le fonti alimentari, nonché le precauzioni da prendere.
Cos’è Omega-3?
Gli Omega-3 sono una classe di acidi grassi polinsaturi che sono fondamentali per il nostro organismo. Ciò che li rende “essenziali” è il fatto che non possono essere prodotti dal nostro corpo e devono essere assunti attraverso la dieta o integratori. Questi acidi grassi essenziali comprendono principalmente l’acido alfalinolenico (ALA), l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA). Sono noti per i loro effetti positivi sulla salute cardiovascolare e non solo.
Ruolo degli Omega-3 nel Funzionamento del Cuore
Uno dei principali benefici degli Omega-3 è il loro contributo al normale funzionamento del cuore. L’EPA e il DHA in particolare svolgono un ruolo cruciale in questo contesto. Questi acidi grassi riducono i livelli di trigliceridi nel sangue, aiutando a mantenere una circolazione sanguigna efficiente. Inoltre, contribuiscono a ridurre l’infiammazione nei vasi sanguigni e prevengono la formazione di coaguli che potrebbero portare ad eventi cardiovascolari indesiderati, come l’infarto. Assumere oli ricchi di Omega 3 e Omega-6 migliora il profilo lipidico di chi soffre di artrite reumatoide e permette di ridurre il rischio cardiovascolare in generale.
Fonti Alimentari di Omega-3
Gli Omega-3 possono essere facilmente incorporati nella tua dieta attraverso una varietà di fonti alimentari. Alcuni degli alimenti più ricchi di Omega 3 includono:
Olio di Pesce: L’olio di pesce è una delle fonti più concentrate di EPA e DHA. È disponibile sotto forma di integratore e viene spesso raccomandato per coloro che desiderano aumentare il loro apporto di Omega-3.
Pesci Grassi: Pesci come il salmone, il tonno, l’aringa e la trota sono ricchi di Omega-3, soprattutto EPA e DHA. Consumare pesce grasso regolarmente può aiutare a mantenere il cuore in salute.
Semi di Lino: I semi di lino contengono ALA, un tipo di Omega-3. Sono una scelta eccellente per i vegetariani e vegani.
Oli Vegetali: Oli come l’olio di canola e l’olio di soia contengono ALA. Sono spesso utilizzati nella preparazione di cibi.
Frutti a Guscio: Noci e mandorle sono fonti di Omega-3, in particolare ALA. Un pugno di frutta secca al giorno può contribuire a raggiungere il fabbisogno giornaliero.
Benefici Collaterali degli Omega 3
Oltre ai loro effetti benefici sul cuore, gli Omega-3 possono offrire una vasta gamma di vantaggi per la salute, tra cui:
Riduzione dell’infiammazione, che può contribuire al sollievo dei sintomi di condizioni come l’artrite reumatoide.
Supporto per il benessere mentale, con alcune ricerche che suggeriscono che gli Omega-3 possono aiutare ad alleviare la depressione e l’ansia.
Benefici per il cervello, inclusi miglioramenti delle funzioni cognitive e della memoria.
Supporto per la salute degli occhi e la prevenzione di disturbi visivi legati all’età.
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atossite · 1 year ago
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🔴VITAVISIN CHE COS’È? | COMO FUNZIONA VITAVISIN?🔴
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stefanoligorio · 1 year ago
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Visita:
Riflessioni di Stefano Ligorio.
Riflessioni (immagini) di Stefano Ligorio.
Raccolta di alcune Riflessioni, di Stefano Ligorio, su: amore, intelligenza, ignoranza, sofferenza, libertà, emozioni, conoscenza, delusione, ipocrisia, felicità, solitudine…
Alcune Riflessioni, di Stefano Ligorio, in formato pdf.
Riflessioni – Mettere in pratica quel che si sa…
Riflessioni – La consapevolezza e la conoscenza delle cose…
Riflessioni – Cultura della legalità e corretta applicazione della legge.
Riflessioni – L’intelligenza emotiva…
Riflessioni – La bontà lascia teneri ricordi…
Riflessioni – La ragione, alla fine, vince sempre sulle emozioni…
Riflessioni – Il vano soccorso…
Riflessioni – Un sereno Natale a tutti…
Riflessioni – Un pregiudizio…
Riflessioni – Il ‘fato’…
Riflessioni – Imparare a limitare l’egoismo…
Riflessioni – La sofferenza interiore…
Riflessioni – L’importanza della psicologia applicata…
Riflessioni – ‘Entrare’ nel proprio inconscio emotivo.
Riflessioni – La ‘libertà…’ è anche salute.
Riflessioni – Il dovere del medico e il dovere del paziente.
Riflessioni – Evoluzione non solo tecnologica e culturale, ma anche ‘emotiva’…
Riflessioni – L’illusione e il disincanto…
Riflessioni – Accusare per ignoranza…
Riflessioni – La verità nelle cose…
Riflessioni – Il campo da coltivare…
Riflessioni – Le emozioni.
Riflessioni – Gli ostacoli limitanti l’intelligenza…
Riflessioni – Essere coerenti a ciò che si crede.
Riflessioni – L’intelligenza non va sprecata…
Riflessioni – L’importanza del ‘conoscersi’.
Riflessioni – Gli occhi ‘di fuori e di dentro’…
Riflessioni – Libertà vera è avere un ‘IO morale’ liberale e consapevole…
Riflessioni – Il giudizio, nel pregiudizio, verso i malati psichici…
Riflessioni – ‘La mamma è sempre la mamma…’.
Riflessioni – Il vigliacco…
Riflessioni – Sognare non illudersi…
Riflessioni – Follia…
Riflessioni – Vivere nell’illusione di quel che non si è…
Riflessioni – I veri ignoranti.
Riflessioni – L’importanza di una corretta applicazione della legge.
Riflessioni – Le persone non cambiano.
Riflessioni – L’immane potenza della viltà e dell’ipocrisia.
Riflessioni – Un vero augurio di serenità e felicità…
Riflessioni – L’insegnamento della solitudine.
Riflessioni – La regola da non trasgredire…
Riflessioni – La delusione.
Riflessioni – La stupidità.
Riflessioni – La malasanità.
Riflessioni – A volte si crede a ciò che si vuol credere sfuggendo la realtà delle cose…
Riflessioni – L’ignoranza…
Riflessioni – Trattare le persone come meritano.
Riflessioni – Ansia e depressione.
Riflessioni – La dipendenza dalle droghe.
Riflessioni – Gli impedimenti all’intelligenza.
Riflessioni – L’inutile dispendio di ‘energie’…
Riflessioni – Gli effetti dei giudizi della gente che ‘ignora se stessa’…
Riflessioni – Il valore di un uomo…
Riflessioni – Cos’è l’amore?
Riflessioni – I ‘buoni’ e i ‘cattivi’ di fronte agli eventi avversi…
Riflessioni – La complessa battaglia tra il raziocinio e le emozioni.
Riflessioni – Le malattie psichiche.
Riflessioni – I ‘tubi digerenti’…
Riflessioni – ‘Potenziare’ la ‘ragione’ contro le emozioni ‘sfavorevoli’…
Riflessioni – Prevenzione non solo ‘primaria’, ma, ove ‘necessario’, anche solo ‘alternativa’…
Riflessioni – Prevenzione efficiente: praticare, con costanza, attività motoria…
Riflessioni – Dittatura e moderno Totalitarismo…
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Il soldato ruffanese Rocco Gnoni e le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale
  di Paolo Vincenti*
  Giovani soldati che verranno cancellati dal tempo
e dimenticati come cenere dispersa nel vento
figli di una terra che non vuole più tenerseli  accanto 
cosa rimane dopo un sacrificio inutile
di questa vita già finita in un istante soltanto il mio onore
il bene più importante
(Enrico Ruggeri, Il mio onore)
  Una dolorosa pagina di storia nazionale, una delle più inquietanti della Prima Guerra Mondiale, è quella delle fucilazioni sommarie, che vide alcune centinaia di soldati morti per repressione interna, ovvero uccisi sul fronte dallo stesso esercito italiano per episodi di insubordinazione o resistenza agli ordini, diserzione o altro ancora. Nella Prima Guerra Mondiale non si moriva solo di fame, di freddo, di stenti, di malattie contratte nelle trincee, o sotto i colpi dell’esercito nemico.
In migliaia di processi sommari a discapito di soldati italiani, mandati alla sbarra per futili motivi, molti di questi soldati con estrema superficialità vennero condannati. Soldati innocenti, con un banale pretesto, venivano accusati di gravi misfatti e passati alle armi, assolvendo alla funzione di capro espiatorio, secondo la più classica concezione di derivazione ebraica.
E anzi se la guerra stessa, secondo l’interpretazione antropologica abbondantemente sviluppata da Renè Girard della violenza fondatrice della nazione, sta alla base della odierna società[1], a maggior ragione, il sacrificio di un drappello di soldati, per giunta giovani, si presenta come una specie di macabra sineddoche, pars pro toto, cioè, della guerra, che è essa stessa sacrificio di massa, secondo Roger Caillois[2].  Le motivazioni spesso addotte dai tribunali erano del seguente tenore: «il tribunale non ritiene di dover concedere le attenuanti generiche nell’interesse della disciplina militare per la necessità che un salutare esempio neutralizzi i frutti della propaganda demoralizzatrice».  Ossia, le condanne venivano comminate anche «in chiave di ammonimento e di prevenzione generale», fedelmente al motto di Mao Zedong  “colpirne uno per educarne cento”, poi fatto proprio dalle Brigate Rosse italiane negli anni del terrorismo. L’arroganza del Generale Cadorna, il senso di sfiducia e di sospetto da parte del Comando Supremo nei confronti dei soldati, generato dalla consapevolezza della palese impreparazione del nostro esercito rispetto alle forze nemiche, portarono alle sanguinose repressioni di militari sui militari. Queste repressioni avvenivano per i più svariati motivi, quali diserzione, comportamenti indisciplinati, atti di autolesionismo. Quello che è peggio è che questi severi provvedimenti venivano lasciati all’arbitrio degli ufficiali sul campo, i quali erano costretti ad assumere delle decisioni fatali senza il giusto discernimento, turbati dalla grave tensione del momento o dal timore di essere essi stessi oggetto di provvedimenti disciplinari per mancato decisionismo. Il tragico conto finale delle fucilazioni è di 750 soldati con processi dei tribunali militari e oltre 300 vittime di giustizia sommaria, come approfondiremo in questa trattazione.
Il problema era anche dovuto alla vetustà della normativa militare italiana in vigore nella Prima Guerra Mondiale. Infatti, il codice penale militare risaliva al 15 febbraio 1870 e questo, a sua volta, riproduceva, con solo lievi modifiche, quello dell’esercito sardo dell’ottobre 1859. Dobbiamo le notizie che riportiamo in questo saggio a due libri fondamentali: Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, di Enzo Forcella e Alberto Montico ne[3], e Le fucilazioni sommarie nella prima guerra mondiale, di Marco Pluviano e Irene Guerrini[4].
«L’edizione del 1914 del codice penale per l’Esercito del Regno d’Italia prevedeva la pena di morte per un’ampia casistica di reati commessi in tempo di guerra, quali lo sbandamento o l’abbandono di posto in combattimento, il tradimento, la diserzione, lo spionaggio, la rivolta, le vie di fatto contro un superiore, l’insubordinazione in faccia al nemico, la mancata consegna o l’abbandono di posto da parte di vedetta o di sentinella di fronte al nemico; la sollevazione di grida allo scopo di obbligare il comandante a non impegnare un combattimento, a cessare da esso, a retrocedere o arrendersi; inoltre lo spargimento di notizie, lancio di urla per incutere spavento o provocare il disordine nelle truppe, nel principio o nel corso del combattimento. La pena capitale era riservata anche ai comandanti, per reati particolarmente gravi, quali ad esempio la resa di una fortezza senza aver esauriti gli estremi mezzi di difesa e l’abbandono di comando in faccia al nemico»[5].
E l’Italia non era nemmeno la nazione ad avere il codice penale più obsoleto, in quanto, «ad esempio, l’esercito tedesco impiegò nella Grande Guerra il codice penale militare del 20 giugno 1872, mentre quello austro-ungarico risaliva al 1868 (modificato nel 1869 e nel 1873)»[6]. Agli ufficiali era conferito il potere di emanare dei bandi, in base all’articolo 251 del codice penale militare, ai quali tutti dovevano rigidamente attenersi. Tali bandi prevedevano delle norme di comportamento draconiane e delle pene durissime per i trasgressori. Queste pene, poi, data l’ampia facoltà discrezionale dei comminatori, si potevano trasformare in definitive, capitali. Gli inferiori erano tenuti ad ubbidire senza pensare, a dimostrarsi forti, coraggiosi, sprezzanti del pericolo in ogni circostanza.
Si può capire come questi episodi contribuiscano a smontare del tutto i luoghi comuni sulla “guerra gloriosa” che l’enfasi patriottarda ha stratificato per anni nell’immaginario collettivo che sempre si alimenta di esempi edificanti quanto edulcorati. La guerra perde così qualsiasi aura di “guerra giusta”, perde ogni legame con l’aggettivo “grande”, che la pubblicistica le ha cucito addosso, per rivelarsi ai nostri occhi per quello che essa è, cioè guerra, anzi «Guerra! Guerra!», come grida la Norma di Bellini (“guerra, strage, sterminio”), maledetta, come tutte le guerre.
La dura repressione partì da una Circolare del Generale Cadorna che nel maggio 2015 stabiliva: «Il Comando Supremo vuole che, in ogni contingenza di luogo e di tempo, regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina». Per mantenerla, era scritto, «si prevenga con oculatezza e si reprima con inflessibile vigore»[7]. Nel settembre di quell’anno, venne emanata un’altra Circolare, col n. 3525, secondo la quale, al verificarsi di atti di «indisciplina individuale o collettiva nei reparti al fronte», bisognava rispondere con un immediato intervento di repressione, che prevedeva anche la fucilazione, come giustizia sul campo, sommaria, se i sintomi di tale insubordinazione fossero stati gravi[8]. Si lasciava cioè ai militari superiori, ufficiali e Regi Carabinieri, una enorme discrezionalità nelle decisioni da adottare e, in buona sostanza, il diritto di vita e di morte sui loro sottoposti. Se poi non fosse stato il caso di intervenire immediatamente con la condanna capitale, questi atti di insubordinazione sarebbero stati giudicati dai tribunali militari e ad essi deferiti i soldati che se ne fossero resi colpevoli.  «Il superiore ha il sacro diritto e dovere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi. Per chiunque riuscisse a sfuggire a questa salutare giustizia sommaria, subentrerà inesorabile quella dei tribunali militari. Ad infamia dei colpevoli e ad esempio per gli altri, le pene capitali verranno eseguite alla presenza di adeguate rappresentanze dei corpi. Anche per chi, vigliaccamente arrendendosi, riuscisse a cader vivo nelle mani del nemico, seguirà immediato il processo in contumacia e la pena di morte avrà esecuzione a guerra finita»: così il testo della Circolare[9].
Facendosi più cruente le fasi della guerra, anche l’autorità statale diventava più stringente e pervasiva; di pari passo con i poteri speciali del Comandante di Stato Maggiore Cadorna, aumentava la severità delle sue disposizioni, mentre veniva quasi esautorato il ruolo del Parlamento. Tutte le funzioni ricaddero progressivamente nella competenza dei tribunali militari e le pratiche autoritarie imposte dalla legislazione di guerra si facevano aberranti. «Al culmine dello sforzo bellico funzionavano complessivamente 117 tribunali militari in Zona di Guerra, marittimi, nel Paese e in Colonia»[10]. Tutto ciò, oltre ad indebolire lo stato democratico, «era funzionale alle sempre più forti pulsioni autoritarie che percorrevano la nazione. Queste, sostenute da larga parte della stampa e in particolare dal Corriere della Sera trovavano nel Generale Cadorna uno dei punti di riferimento più autorevoli»[11]. E non solo gli ufficiali che dovevano mantenere la disciplina venivano costretti ad essere inflessibili con i loro sottoposti, ma anche i giudici dei tribunali militari erano continuamente richiamati ad una maggiore severità nella comminazione delle condanne; il Generale Cadorna riteneva che molti di essi fossero troppo teneri e che la procedura concedesse troppe garanzie ai processati[12]. Al tempo stesso, se gli atti di insubordinazione si erano resi così frequenti, Cadorna era convinto che ciò fosse dipeso proprio dalla debolezza degli ufficiali superiori e poi dei giudici e propose di istituire un maggior numero di tribunali militari con una distribuzione capillare sul territorio, sicché essi, come si può capire, finirono con l’avocare a sé anche le competenze di quelli civili. In pratica, nulla di minimamente rilevante, sia civilmente che penalmente, in Italia, soprattutto nelle zone di guerra, poteva sfuggire alla giustizia militare[13]. Per l’effetto contrario di ogni inasprimento legislativo, però, i reati che si volevano colpire aumentavano. «Dall’analisi di Giorgio Mortara sull’operato della giustizia militare risultò che i reati più frequenti furono: diserzione volontaria per 162.563 casi, indisciplina per 24.601, cupidigia per 16.522, mutilazione volontaria per 15.636, resa o sbandamento per 5.325 e violenza per 3.510»[14].
Anche Bruna Bianchi, nel suo libro La follia e la guerra, riporta i dati dell’Ufficio Statistico del Ministero della Guerra pubblicati da Giorgio Mortara nel 1927, dai quali si evince che «le denunce per renitenza dal 24 maggio 1915 al 2 settembre 1919 furono 470.000 (di cui 370.000 italiani residenti all’estero); le denunce per diserzione furono 189.425», ma indica che «nell’arco del conflitto si conclusero 162.563 processi e furono emesse 101.685 condanne»[15].
Leggere la pubblicistica sulla materia ci fa capire come ai concetti alla base dei reati sopradetti fosse data dai tribunali militari una interpretazione estensiva, su sollecitazione del Generale Cadorna, in modo da colpire quanti più soldati possibile.
Pluviano e Guerrini spiegano come, fra le carte d’archivio, sia avvenuto il fortunoso ritrovamento della Relazione sulle fucilazioni sommarie durante la Prima Guerra Mondiale, redatta nel 1919 dall’Avvocato Generale Militare Donato Antonio Tommasi, sulla quale torneremo. Questa relazione, insieme agli Allegati, ritrovati da Giorgio Rochat (che firma la Prefazione del loro libro) il quale li ha messi a disposizione, hanno costituito la base del volume[16]. Nel mentre gli autori proseguivano nell’indefesso lavoro di ricerca negli archivi, essi hanno presentato una prima ricognizione del loro studio nella relazione Il memoriale Tommasi. Decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la Grande Guerra[17]. Prima di questi lavori, le cifre sui fucilati di guerra erano piuttosto vaghe, certamente discordanti. Gli studiosi si barcamenavano fra le cifre fornite dalla politica che indicavano le vittime della giustizia sommaria in poche centinaia e quelle fornite dal giornale socialista «L’Avanti» che parlava di più di 1000 morti. Pluviano e Guerrini si sono invece basati sulla Relazione del Generale Tommasi, integrandola con le risultanze della istituita Commissione d’inchiesta parlamentare del 1919[18], e poi con molte altre fonti emerse durante il lavoro di ricerca, fra queste anche le dichiarazioni dei parlamentari durante i lavori della Commissione.
Fra le varie fonti dirette, una delle più accreditate «è la relazione “Dati di statistica giudiziaria militare” del giugno 1925. Si tratta della statistica delle sentenze e dei procedimenti penali dei tribunali militari presso l’esercito operante e di quelli territoriali fuori e dentro la zona di guerra. Secondo questa relazione, furono comminate nel corso del conflitto 4.028 condanne a morte, delle quali 2.967 in contumacia, 311 non eseguite e 750 eseguite. Di queste ultime, 391 riguardarono il reato di diserzione, 5 la mutilazione volontaria, 164 la resa o sbandamento, 154 atti di indisciplina, 2 la cupidigia, 16 per violenza, 1 per reati sessuali, le rimanenti per reati diversi. Un’altra fonte importante ai fini della quantificazione è una tabella del Reparto disciplina, avanzamento e giustizia militare del Comando Supremo dal titolo “Specchio dei giudizi durante la campagna” datata 24 dicembre 1917 e relativa al periodo giugno 1915 – settembre 1917, conservata presso l’archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Tale tabella è importante perché è l’unica a contenere anche il dato dei giudizi sommari: 112, che coincidono in buona parte con quelli riportati da Forcella e Monticone, fino all’agosto 1917. Nel settembre 1919 il ministro della guerra Generale Albricci, in sede parlamentare, ammise 729 condanne a morte eseguite durante tutta la guerra, mentre “le tristi esecuzioni sommarie superano di poco il centinaio”»[19]. Nel maggio-giugno 1916, a seguito dell’offensiva austro-ungarica, il regime disciplinare fu inasprito con l’ordine di ricorrere alle fucilazioni sommarie con ampia libertà, fino a colpire anche gli ufficiali. Dopo lo sfondamento austro-ungarico della nostra resistenza, il Comando Supremo ordinò al comandante delle truppe operanti sull’altopiano di Asiago di prendere le più energiche ed estreme misure: «faccia fucilare, se occorre, immediatamente e senza alcun procedimento, i colpevoli di così enormi scandali, a qualunque grado appartengano. […] L’altopiano di Asiago va mantenuto a qualunque prezzo. Si deve resistere o morire sul posto»[20].  Inoltre, di fronte «alle diserzioni, che sempre più numerose si manifestavano sia presso i reparti schierati in zona di guerra che all’interno, nel dicembre 1916 il Ministero della guerra decise di togliere il sussidio economico ai famigliari dei colpevoli del grave reato, i cui nomi furono pubblicati nei loro comuni natii»[21]. La pena capitale, specie per i soldati che si erano macchiati del reato più grave, la diserzione, avveniva con fucilazione alla schiena. «Altre norme legislative emanate durante la permanenza di Cadorna alla carica di capo di Stato Maggiore dell’Esercito furono il bando del 28 luglio 1915 del Comando Supremo contro la diffusione di notizie sulla guerra e la denigrazione dell’esercito o della guerra stessa ed il decreto luogotenenziale del 19 ottobre 1916 n. 1417 per la repressione dell’autolesionismo»[22].
Di fronte al numero spropositato di esecuzioni, si avvertì l’esigenza di istituire una commissione interna che vagliasse le tante condanne comminate ed i metodi usati nella spregiudicata gestione Cadorna. Questa commissione venne affidata all’Avvocato Generale dello Stato Donato Tommasi, sul modello della già costituita “Commissione d’inchiesta sugli avvenimenti militari che hanno determinato il ripiegamento al Piave”, comunemente definita “Commissione d’inchiesta su Caporetto”, di nomina regia, istituita nel 1918, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, che era nata in seguito all’ondata di paura e malcontento generatasi dopo la clamorosa sconfitta di Caporetto[23]. Già dalla Commissione d’inchiesta «il ricorso alla decimazione[24] fu stigmatizzato … e definito “provvedimento selvaggio, che nulla può giustificare” tra l’altro per via della pena di morte così ingiustamente comminata a numerosi innocenti»[25].
Il Generale Tommasi[26] stilò una Relazione, in base alla quale i fatti vennero così suddivisi: Esecuzioni sommarie che appaiono giustificate; esecuzioni sommarie che appaiono ingiustificate; esecuzioni sommarie per le quali l’azione penale è improcedibile; esecuzioni sommarie per le quali manca nei rapporti ogni elemento di giudizio[27]. Dei vari tipi, riportiamo alcuni esempi.
Per le esecuzioni sommarie giustificate: Brigata Messina, 93°reggimento, 30 giugno 1915, numero imprecisato di vittime, diserzione in complotto al nemico; Brigata Verona, 85° reggimento, 31 ottobre 1915. 1 fucilato. Abbandono del posto in faccia al nemico; Brigata Acqui, 18° reggimento, 22 aprile 1916. 3 fucilati, rivolta; Brigata Ancona, 69° reggimento, 13 giugno 1916. 3 fucilati. Sbandamento e mancata possibile difesa: Brigata Pavia, 27° reggimento, 11 novembre 1916. 1 fucilato. Insubordinazione e omicidio; Brigata Verona, 85° reggimento, 6 agosto 1916. 1 fucilato. Abbandono del posto e rifiuto di obbedienza in presenza del nemico: Brigata Catanzaro, 141° e 142° reggimento, 16 luglio 1917, 28 fucilati, rivolta. Per le esecuzioni sommarie ingiustificate: Brigata Ravenna, 38° reggimento, 21- 22 marzo 1917, 7 fucilati, rivolta. Per le esecuzioni sommarie per le quali l’azione penale è improcedibile: Brigata Salerno, 89° reggimento, 2 luglio 1916, numero imprecisato di morti. Diserzione al nemico, 3 luglio 1916, 8 fucilati, istigazione alla diserzione. Per le esecuzioni sommarie per le quali manca ogni elemento di giudizio nei rapporti e documenti esaminati: Brigata Catanzaro, 141°reggimento, 27 maggio 1916, Altipiano d’Asiago, 12 fucilati, sbandamento di fronte al nemico; Brigata Lazio, 131° reggimento, 15 giugno 1916, basso Isonzo, 1 fucilato, minacce e vie di fatto o rifiuto di obbedienza; 14° reggimento Bersaglieri, XL battaglione,16 giugno 1916, Altipiano d’Asiago, 4 fucilati, sbandamento; 5° reggimento Genio, 31°compagnia minatori, 26 luglio 1916, luogo imprecisato, 1 fucilato, vie di fatto a mano armata contro superiore;  XLVII battaglione Bersaglieri, 5 agosto 1916, quota 85 Monfalcone, 3 fucilati, diserzione; Brigata Regina, 9° e 10° reggimento, 13 maggio 1917, vallone di Doberdò, 6 fucilazioni non confermate, diserzione; Brigata Toscana, 77° reggimento, 23 giugno 1917, retrovie di Monfalcone, 2 fucilati, rivolta. Alla fine, “caddero vittime della giustizia sommaria 262.481 soldati e di essi 170.064, cioè il 62%, subirono una condanna. Furono comminati 15.345 ergastoli, dei quali 15.096 per diserzione. Le percentuali sono impressionanti: il 6% dei mobilitati fu rinviato a giudizio e quasi il 4% subì una condanna penale. Dei 262.481 processati, 177.648 passarono dai tribunali dell’esercito operante, mentre gli altri 84.883 furono giudicati dai tribunali territoriali. Sebbene i primi fossero più severi (ritennero colpevole il 66,3% dei processati), anche i tribunali territoriali condannarono il 61,8% dei giudicati”[28].
Fra le vittime della giustizia sommaria, anche un soldato salentino. E veniamo così all’oggetto della nostra trattazione.
Rocco Gnoni, questo il suo nome, era nato a Torrepaduli, frazione di Ruffano, il 6 agosto 1888. Figlio di contadini, Rocco aveva sposato una sua compaesana di nome Giovanna Crudo; il matrimonio fu celebrato l’11 gennaio 1915. Pochi mesi dopo, il 29 maggio 1915, Rocco partì per la guerra, come riportato sul suo foglio matricolare n.31904. Dal foglio matricolare apprendiamo che Rocco Gnoni, di professione contadino, già ritenuto «rivedibile» a causa della «debole costituzione fisica», viene poi arruolato nell’11 Compagnia di Sanità (44° Divisione Sanità) e viene considerato «disperso nel fatto d’armi dell’ottobre 1917»[29].
Dopo quasi due anni di servizio al fronte, Rocco ottenne con ogni probabilità una licenza, durante la quale lui e sua moglie concepirono l’unico figlio, Donato, che venne alla luce il 19 novembre 1917. Gnoni però non poté mai conoscere il bambino, perché morì pochi giorni prima della sua nascita.
Pluviano-Guerrini riportano nel Capitolo «La Relazione Tommasi. Esecuzioni sommarie per le quali manca ogni elemento di giudizio nei rapporti e documenti esaminati»[30], un corpus molto più consistente di esempi. Fra questi, oltre a quelli sopra elencati: Brigata Ivrea, 162° reggimento, 21 febbraio 1917. 2 fucilati. Diserzione; Brigata Palermo, battaglione complementare, 20 maggio 1917. 3 fucilati. Rivolta; e poi 44° sezione di sanità, 4 novembre 1917. 1 fucilato. Accusa sconosciuta. Quest’ultima è quella che a noi interessa, perché il soldato fucilato per motivi sconosciuti è Rocco Gnoni, «un ventinovenne nato a Ruffano, provincia di Lecce. L’ordine di fucilazione fu impartito dal comando della 2°armata il 3 novembre 1917, mentre la ritirata era ancora in corso. L’esecuzione sommaria avvenne presso il Cimitero di Porcia, nel Pordenonese, alle 6.15 del 4 novembre 1917, quando i reparti italiani si apprestavano ad abbandonare la zona. Il plotone di esecuzione era composto da dodici carabinieri della 128° sezione, addetta al comando della 2° armata. La scheda compilata da Tommasi e i documenti allegati non riportano la ragione della condanna, e questo è un fatto di particolare gravità perché la fucilazione avvenne per ordine di un comando d’armata»[31]. Gli autori inoltre riportano in nota che nell’Allegato 40 sono contenute «la lettera di trasmissione del comandante dei carabinieri dell’armata al comando della 2°armata, il processo verbale dell’esecuzione sommaria, a firma del tenente dei carabinieri Nicola Crocesi, comandante del plotone di esecuzione, e l’atto di morte del soldato Gnoni, redatto dal capitano medico Ario Airaghi, sempre il 4 novembre 1917»[32].  Si apre allora una incongruenza nella ricostruzione della vita di Gnoni. L’Albo d’Oro dei caduti della Grande Guerra, infatti, dice di lui che fu disperso in battaglia il 30 ottobre, «nel ripiegamento al Piave», dopo la tragica sconfitta di Caporetto[33].  E anche il foglio matricolare, come già detto, annota «disperso» e «rilasciata dichiarazione di irreperibilità»[34]. Come tale viene ricordato nella targa commemorativa del Monumento ai Caduti del suo paese, la piccola frazione di Torrepaduli. In realtà, egli fu fucilato, come dimostrano inconfutabilmente Pluviano e Guerrini sulla base dei documenti ufficiali. Fu vittima della repressione interna, uno di quei capri espiatori, di cui si diceva all’inizio.
La storia ci insegna che la guerra, come evento straordinario, che sconvolge cioè il regolare procedere del tempo ordinario, frange prassi, codici, norme di comportamento e garanzie. Ogni guerra porta esecuzioni sommarie, decimazioni, pene di morte, e non solo scombina le regole del vivere civile ma sovente calpesta la stessa etica militare. La Prima Guerra Mondiale non fa eccezione: questa fu la grande delusione che già nel 1916 si impossessò dei ragazzi che con entusiasmo e fiducia erano partiti per il fronte.  Nihil novi sub sole è il motto tragicamente fatalistico che si potrebbe trarre. E non meno che appropriato ci appare l’aggettivo fatalistico, se pensiamo che ad una vera e propria roulette russa era affidata la vita di questi soldati, nelle parole del Generale Cadorna: «non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l’accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte»[35].
Subito dopo la guerra, ci fu molta confusione sul numero esatto delle vittime di esecuzioni sommarie. Questo numero oscillava fra 109, indicato dall’On. Vito Luciano alla Camera dei Deputati il 19 settembre 1919[36], 152, il numero avanzato dall’Avvocatura generale militare, e più di 1000, come sosteneva il giornale del Partito Socialista «L’Avanti».  Come già detto, Pluviano e Guerrini, utilizzando le due fonti di segno opposto, ossia quella ufficiale della Relazione sulle esecuzioni sommarie del Generale Tommasi e quella non ufficiale e antimilitarista dell’Avanti, integrandole con i tanti documenti rinvenuti nell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (USSME) e dalla memorialistica e dai resoconti di guerra, hanno calcolato questo numero in 750 fucilati[37].
Dopo il conflitto, la Relazione del Generale Tommasi restava la fonte più credibile sui fucilati di guerra, anche se il numero che presenta è in difetto e tende a colpevolizzare esclusivamente il Generale Cadorna facendo credere che col Generale Diaz la situazione fosse cambiata e le esecuzioni del tutto cessate (è invece dimostrato che vi fossero ancora dei casi), ma queste erano le pressioni che Tommasi aveva ricevuto dall’alto. In effetti, il Generale Cadorna nel frattempo era stato sostituito da Diaz.
Tuttavia, il destino della Commissione fu di essere insabbiata, analogamente a quella su Caporetto. Le sue risultanze vennero dimenticate e nessuno degli ufficiali colpevoli fu processato per i delitti commessi.
La linea del Parlamento italiano divenne quella di elogiare e ringraziare l’esercito e i suoi vertici per l’alto eroismo (dando avvio alla magniloquenza propagandistica che caratterizzerà tutto il dopoguerra fascista) e sostanzialmente perdonare i responsabili della carneficina, considerando quanto avvenuto come un male necessario, nonostante l’unica voce dissonante in Parlamento, quella del Partito Socialista, si alzasse contro simile conclusione. Di conseguenza, siffatti crimini contro l’umanità rimasero impuniti e un velo di oblio cadde sulla triste vicenda fino quasi ai giorni nostri[38]. Bisognerà attendere la pubblicazione dei libri di Forcella e Monticone del 1968[39] e di Procacci del 1993[40], basati sull’inchiesta del Generale Tommasi del 1919 fino ad allora segretata, per avere chiarezza. Queste ricerche hanno permesso anche di venire a conoscenza della vera fine del soldato Rocco Gnoni.
Nel 2016 è stato anche organizzato dall’Istituto Comprensivo Statale di Ruffano un incontro dal titolo    “I fucilati per mano amica nella Grande Guerra: verità e riabilitazione. La storia del soldato ruffanese Rocco Gnoni”.  Gli organizzatori di quell’incontro, in primis il prof. Roberto Molentino, referente del progetto “Cento anni fa… la Grande Guerra”, ed i docenti coinvolti, hanno voluto far luce sulle vere cause della morte di questo concittadino. Hanno ricercato il Verbale di esecuzione sommaria del soldato Gnoni Rocco, dal quale risulta che «detto militare venne fucilato il 3 novembre 1917 in Porcia per ordine del Comando della 2° Armata. Non vi è alcun accenno ai fatti che determinarono detto giudizio sommario e pertanto occorrerebbero nuove indagini per poter esaminare se l’ordine del detto Comando fu conforme alla legge». La fucilazione dunque avvenne nei pressi del cimitero di Porcia, paesino in provincia di Pordenone.          «Al soldato Rocco Gnoni furono sparati in due riprese complessivamente 12 colpi di moschetto M.1891, che lo resero all’istante cadavere»[41].  Sempre secondo il verbale, il cadavere del soldato fu seppellito all’interno del Cimitero di Porcia.
Per saperne di più, gli studenti del progetto scolastico coordinati da Molentino hanno intervistato il nipote del soldato, Gino Gnoni, il quale ha detto di essere a conoscenza del fatto, anche se non in grado di provarlo.
Gino ha sostenuto che suo padre, Donato, non voleva ricordare e non parlava mai di ciò che era accaduto a Rocco, anche se provò per tutta la vita sentimenti ostili nei confronti dell’arma dei Carabinieri[42]. Nonna Giovanna, vedova di Rocco, raccontava invece che un reduce le aveva riferito quanto accaduto al marito: sembra che mentre si trovava in un’osteria a rifocillarsi dopo le dure battaglie delle settimane precedenti, fosse stato redarguito da un superiore a cui, forse, rispose in modo irrispettoso. Questo segnò il suo destino.
Quanto scoperto trova un riscontro anche nel libro Nel vortice della grande guerra. Porcia nell’anno dell’invasione di Sergio Bigatton e Angelo Tonizzo, pubblicato dal Comune di Porcia nel 2010[43]. Il volume, incentrato sulla partecipazione della cittadina del Pordenonese alla Prima Guerra Mondiale, riporta nella seconda parte il Discorso pronunciato dal generale Umberto Pastore a Palse per l’inaugurazione del mausoleo ai Caduti in guerra, l’opera di don Francesco Cum Le memorie di un parroco dell’anno dell’invasione, e gli scritti di Antonio Forniz La prima guerra mondiale nei piccoli ricordi di un friulano adolescente. Sono riprodotti inoltre alcuni passi del diario del pittore futurista e scrittore Ardengo Soffici, scritti dal Castello di Porcia, dove soggiornò durante la ritirata di Caporetto. Infine, alcune memorie di Pietro Masutti e di Luigi Del Ben. In Appendice, sono riportati i nomi dei caduti di Porcia. Fra questi caduti non figura Rocco Gnoni, ma gli autori riferiscono un episodio che a Porcia era ben conosciuto e che ci fa chiaramente pensare al Nostro. Parlano della storia-leggenda di un povero soldato giustiziato di cui a Porcia girava insistente la voce, un «soldato italiano fucilato dai suoi al cimitero di Porcia durante la ritirata», individuato dagli autori grazie al ritrovamento di una planimetria del cimitero dove, fra i morti sepolti, viene ricordato anche un «Italiano fucilato»[44]. Ne parla con un fugace cenno il religioso Don Francesco Cum nel suo discorso (stampato a Udine nel 1920), che gli autori riportano nella seconda parte del libro[45].  Uno degli autori, Sergio Bigatton, contattato dagli organizzatori della manifestazione ruffanese, ha affermato che il soldato cui si accenna nel libro è senz’altro Rocco Gnoni. A maggior conferma, l’episodio dell’uccisione di Gnoni si potrebbe ricavare da un’altra fonte, che è il libro di Ardengo Soffici, La ritirata del Friuli. Note di un ufficiale della Seconda Armata[46], in cui il pittore e poeta futurista narra la sua esperienza nella prima guerra mondiale. Nella notte fra il 3 e il 4 novembre, scrive che, mentre era uscito con alcuni compagni a fare due passi nel paese, nel buio più fitto, avvertì dei rumori nei pressi del cimitero e fu attirato dalla luce di una lanterna. Incontrò alcuni uomini, dei carabinieri, e ai loro piedi un uomo morto, che Soffici ed i compagni scambiarono per una donna, in quanto l’uomo era acconciato in abiti femminili, probabilmente per sfuggire ai suoi assalitori. I carabinieri riferirono a Soffici e compagni che il loro superiore aveva ordinato di ammazzare sul posto quell’uomo, e loro avevano eseguito immantinente l’ordine, fucilando il malcapitato. Si trattava di una punizione esemplare. Anche se Soffici non fa il nome di Gnoni, è facile supporre che si tratti di lui[47].
Non sorprenderebbe che il soldato ruffanese si trovasse in un’osteria a sbronzarsi. Il vino e la prostituzione erano fin dall’inizio della guerra i soli due svaghi consentiti ai soldati nella terribilità del momento. Si trattava di svaghi autorizzati o meglio “istituzionalizzati” dalle autorità[48]. Il vino in trincea era un farmaco potentissimo, ne parla anche Emilio Lussu in Un anno sull’altopiano[49]. Utilizzato in quantità massicce dai soldati per fare fronte alla drammaticità della situazione, esso dava loro sollievo, potenziandone l’audacia e la bellicosità in alcuni casi, fungendo da oppiaceo e quindi anestetizzando la paura e il dolore in altri. Comunque, sia che lo usassero come coadiuvante per darsi forza e coraggio, sia come tranquillante per attutire nei fumi dell’alcol lo shock di un impatto emotivo devastante, tutti i soldati ne diventavano dipendenti. Tanto vero che anche nelle cosiddette Case del soldato[50], circoli ricreativi religiosi, creati dalla chiesa per contrastare le case di tolleranza (e fu una battaglia persa fin dall’inizio di fronte al proliferare delle case chiuse e al massiccio ricorso dei militari al sesso a pagamento), i soldati bevevano[51]. Anzi, una delle voci di spesa più alte negli acquisti delle Case del soldato era proprio quella per il vino, poiché i preti ritenevano che un consumo, sia pure moderato, della bevanda alcolica dovesse comunque essere permesso, anche per contrastare il ricorso alla prostituzione: come dire, si sceglieva il male minore[52]. Mons. Giuseppe Pellizzo, Vescovo di Padova, in una lettera affermava che avevano come unico pensiero quello di svuotare le cantine nei paesi abbandonati ed erano talmente attaccati alla bottiglia che se le montagne fossero state damigiane i soldati le avrebbero custodite meglio, essendo sempre aggrappati ad esse[53]. Questo scritto è anche più importante per quanto il prelato sostiene dopo[54], cioè che proprio a causa dell’ubriachezza, alcuni giorni prima un battaglione aveva rifiutato di andare avanti ed era stata sorteggiata una compagnia e decimata. Importante dappiù, questa lettera di Mons. Pellizzo, per la data in cui viene inviata, ossia il 31 maggio 1916, in un periodo in cui nessuno dei soldati dal fronte osava confessare tale pratica aberrante. L’alcol, dunque, veniva largamente usato nelle trincee e finanche incoraggiato dal Comando supremo. Esso costituiva proprio la benzina dei soldati, come dice Emilio Lussu.Ma poi, fuori dalle trincee, per somma incoerenza, specie con la gestione Cadorna, esso veniva proscritto, quasi demonizzato nelle Circolari del Generale che imponevano ai soldati, negli ambienti civili, assoluta sobrietà ed un severo contegno in ogni circostanza. Gnoni pagò con la vita la sua mancanza di contegno.
Nel 2015, gli Onorevoli Giorgio Zanin e Gian Piero Scanu hanno voluto proporre una legge sulla riabilitazione di questi caduti della prima guerra mondiale. In effetti, nel 2014, nell’ambito delle celebrazioni in occasione del centenario della Grande Guerra, si segnalava l’iniziativa di un gruppo di 50 intellettuali che inviavano un appello al Presidente della Repubblica per la riabilitazione dei soldati fucilati. Essi si costituirono in un Comitato nell’ambito del Ministero della Difesa. All’iniziativa di questo Comitato si unirono i deputati Gian Piero Scanu e Giorgio Zanin, rispettivamente primo firmatario e relatore alla Camera dei Deputati della proposta di legge n. 2741 finalizzata «ad attivare il procedimento per la riabilitazione dei soldati italiani condannati alla pena capitale nel triennio 1915-18, nonché per restituire l’onore militare e riconoscere la dignità di vittime di guerra a quanti furono passati per le armi senza processo con la brutale pratica della decimazione o per esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori. Verrà così restituito l’onore militare e la dignità di vittime della guerra a quanti vennero fucilati. Infatti, una volta approvata la legge verranno inseriti nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze I caduti»[55]. Giorgio Zanin venne anche invitato a Ruffano nel già citato Convegno del 2016 e in quell’occasione si è soffermato su questa triste vicenda e ha sottolineato l’alto dovere morale e civile di riaprire una delle pagine più nere della storia d’Italia.
Nella maggior parte dei casi, i sospetti e le accuse di delazione, spionaggio, intelligenza col nemico, diserzione, di cui erano fatti oggetto taluni soldati, rimasero tali, solo frutto di menti paranoiche o soggiogate. Le fucilazioni che ne seguirono furono invece reali, come molta memorialistica conferma e certa stampa dell’epoca andava denunciando. Soprattutto nelle interviste ai reduci, nelle testimonianze orali e in tanti diari pubblicati dopo la guerra, molto vivi e brucianti i ricordi delle esecuzioni sommarie[56]. Non così invece nelle lettere, quelle inviate dal fronte, che erano sottoposte a censura[57].
Alle esecuzioni dei militari, bisogna aggiungere quelle dei civili. Le fonti dimostrano che fin dai primi giorni del conflitto il nostro esercito si macchiò di vari delitti perpetrati a danno delle popolazioni di confine, uccidendo tantissimi abitanti dei territori occupati, con esecuzioni sommarie[58].
Una certa pubblicistica antimilitarista sostiene senza indugio che i veri eroi furono proprio questi, i disertori, i ribelli, i fuoriusciti. Questa pubblicistica porta a sostegno della propria posizione un abolito articolo della Costituzione, per l’esattezza l’articolo 50, poi divenuto articolo 54 che, al secondo comma, poi cassato, recitava: «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino»[59]. Ma al di là delle posizioni di un certo pacifismo radicale, tutto l’orientamento dell’opinione pubblica in questi ultimi anni in Italia è stato quello di riabilitare non solo i fucilati di guerra ma anche i renitenti e i disertori, considerati anch’essi vittime della sofferenza procurata dalla guerra. Un articolo pubblicato su «La Repubblica» nel 2014 dà voce al Vescovo Santo Marcianò, Ordinario Militare, il quale parla delle diserzioni come di «un fenomeno che coinvolse tutte le forze in campo, alimentato non tanto dalla paura quanto dalla nostalgia per la famiglia e odio per l’ingiustizia delle autorità militari. Le condanne furono circa centomila. Impossibile sapere con esattezza i fucilati, almeno un migliaio»[60].
Come non vedere, in questi soldati ingiustamente massacrati, come Rocco Gnoni di Ruffano, dei martiri laici? Eroi minori di una beffarda tragicommedia.
Per concludere con le parole di Ardengo Soffici: «sono forse costoro dei vinti, dei disertori, dei rivoltosi, dei traditori? O sono, diciamo la parola, dei vigliacchi? No. Basta vederli. Basta lasciare entrare la loro anima nella nostra. Sono delle vittime. Sono degli incoscienti. Sono degli illusi – e il male non è qui. … il male è nelle radici – il male è laggiù sotto di noi: nell’ignominia di chi divide, di chi baratta, di chi mente, di chi mercanteggia. Di chi abbandona. Il male è dappertutto; ma non è qui. Qui si soffre soltanto. Non è la via dell’infamia, qui. È la via della croce»[61].
* Società di Storia Patria per la Puglia, [email protected]
  Vivamente ringrazio gli amici Francesco Frisullo, che per primo ha fatto luce sulla storia del soldato Rocco Gnoni, e Roberto Molentino, che mi ha messo a disposizione alcune fonti documentarie.
  Note 
[1] R. Girard, La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980.
[2] R. Caillois, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati-Boringhieri, 2001.
  [3] E. Forcella – A. Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, Bari, Laterza,1968, 2° ed. , 2014.
[4] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella prima guerra mondiale, Udine, Gaspari, 2004, p.12.
[5] F. Cappellano, Cadorna e le fucilazioni nell’esercito italiano (1915-1917), p.1, in  www.museodellaguerra.it/wp-content/…/09/annali_23_Cadorna-e-le-fucilazioni.pdf. L’autore si rifà al libro di Forcella e Monticone, Plotone di esecuzione cit.
[6] Ivi, p.36.
[7] Circolare n. 1 Disciplina di Guerra in data 24 maggio 1915, conservato presso l’archivio dell’USSME (Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito), repertorio L3, b. 141, fasc. 3, riportato in M. Pluviano e I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.36.
[8] Circolare n. 3525 in data 28 settembre 1915, Disciplina di guerra, USSME, Ivi, p.36.
[9] Ibidem.
[10] Ivi, p.14.
[11] Ivi, p.15.
[12] Ivi, p.20.
[13] Ivi, p.21.
[14] Ivi, p.23.
[15] Ministero della Guerra, Ufficio Statistico, Statistica dello sforzo militare italiano nella guerra mondiale. Dati sulla giustizia e disciplina militare, a cura di G. Mortara, Roma, 1927, in B. Bianchi, La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano 1915-1918, Roma, Bulzoni, 2001,
[16] Ivi, pp.1-6. Sulla copertina del libro è raffigurata un’immagine tratta dal film di Francesco Rosi Uomini contro, del 1970, ispirato al romanzo di Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano.
[17] Letta al convegno “Scampare la guerra”, tenuto a Fogliano  Redipuglia nel 1990. Questa relazione è poi confluita nel libro con cui si pubblicarono gli atti: 1914-1918 scampare la guerra : renitenza, autolesionismo, comportamenti individuali e collettivi di fuga e la giustizia militare nella Grande Guerra, a cura di L. Fabi, Ronchi dei Legionari, Centro culturale pubblico polivalente, 1994, pp.63-75. Guerrini – Pluviano sono anche autori di La giustizia militare, in Dizionario storico della Prima Guerra Mondiale, a cura di N. Labanca, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 137-146.
[18] Commissione d’inchiesta Dall’Isonzo al Piave. 24 ottobre-9 novembre 1917, Roma, Stabilimenti tipografici per l’amministrazione della guerra, 1919. Istituita con R.D.12 gennaio 1918, n.35.
[19] Atti parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura XXIV, 1ª sessione, discussioni, tornata del 12 settembre 1919, in                         F. Cappellano, Cadorna e le fucilazioni nell’esercito italiano cit., p.12.
[20] Lettera in data 26 maggio 1916 del capo di Stato Maggiore dell’Esercito al Generale Clemente Lequio – USSME, in Filippo Cappellano, op. cit., p.6.
[21] Circolare n. 32800 in data 28 dicembre 1916, Conseguenze del reato di diserzione, Comando 3ª Armata. Altre conseguenze di legge del reato di diserzione erano: interdizione perpetua dei pubblici uffici, interdizione legale con la perdita di amministrazione dei propri beni, patria podestà, autorità maritale e capacità di fare testamento: fonte USSME, in F. Cappellano, op. cit., p.7.
[22] Ivi, p.11.
[23] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.41.
[24] La decimazione, che consisteva nel tirare a sorte il nome dei fucilati,come esempio di estrema disciplina militare inflitta ai soldati era una pratica già conosciuta dai Romani ma fu nella Prima Guerra Mondiale che se ne fece largo uso.
[25] Relazione della Commissione d’inchiesta, Dall’Isonzo al Piave 24 ottobre – 9 novembre 1917, vol. II, Le cause e le responsabilità degli avvenimenti, 1919, in F. Cappellano, op. cit., p.7.
[26] Il giurista Donato Antonio Tommasi (1867-1949), tarantino di nascita, era leccese. Stimato magistrato, durante la guerra ricoprì il ruolo di Avvocato Generale presso il Tribunale supremo di Guerra e di Marina e poi dell’Esercito. Fu parlamentare, eletto nelle file del Partito Popolare, negli anni Venti. Strenuo oppositore del Fascismo, in occasione della Marcia su Roma, redasse il decreto per lo stato d’assedio per conto del Presidente del Consiglio Luigi Facta che venne respinto dal Re Vittorio Emanuele III. Per questo, fu ostracizzato dal regime. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale e venne ferito dallo scoppio di una bomba lanciata sul centro militare clandestino che dirigeva a Roma, e fu onorato della medaglia d’argento al valor militare: M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.48.
[27] Ivi, Le fucilazioni sommarie cit., p.47.
[28] Ivi, p.19.
[29]Archivio di Stato di Lecce, Vol. 194, Ruoli matricolari soldati appartenenti alla classe 1890.
[30] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., pp.113-130.
[31] Ivi,p.125.
[32]Ivi, p.129.
[33] Albo d’Oro, Volume XVIII, Puglie, N. 902. Nell’Albo d’Oro, giusta circolare del Ministero della Guerra, 8 giugno 1926, sono inclusi tutti i militari del R. Esercito, della R. Marina, della R. Guardia di Finanza, il cui decesso o scomparsa sia avvenuta per causa di guerra dal 24 maggio 1915 al 20 ottobre 1920, data di pubblicazione della pace.
[34] Archivio di Stato di Lecce Vol. 194, Ruoli matricolari soldati appartenenti alla classe 1890. La dichiarazione di irreperibilità veniva rilasciata dal CIFAG (Centro interministeriale per la formazione degli atti giuridici) di Roma, ora soppresso.
[35] Telegramma circolare nr. 2910 del 1 novembre 1916 del Comando Supremo, in Filippo Cappellano, op.cit., p.7.
[36] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.2.
[37] Ivi, pp.2-3.
[38] Ivi,pp.5-6.
[39] E. Forcella- A. Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, Bari, Laterza, 1968 (poi 2014).
[40] G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1993. Sulle punizioni esemplari e le fucilazioni anche: A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni, Milano, Mondadori, 2014, p. 24.
[41] Si veda il Verbale della fucilazione allegato.
[42] Sul ruolo dei Regi Carabinieri: F. Angeletti, Il ruolo dell’arma dei carabinieri durante il primo conflitto mondiale: il fronte interno, in  «Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali», a. IV, n. 2, 2015, pp.371-386.
[43] Nel vortice della grande guerra. Porcia nell’anno dell’invasione. Documenti e memorie sulla prima Guerra mondiale, a cura di S. Bigatton e A. Tonizzo, Pordenone, Sage Print, 2010.
[44] Ivi, pp.39-40.
[45] Ivi, pp.81-107.
[46] A. Soffici, La ritirata del Friuli. Note di un ufficiale della Seconda Armata, Firenze, Vallecchi, 1919.
[47]Ivi, pp.192-193.
[48] Sulle case di tolleranza, si veda E. Franzina, I casini di guerra, Udine, Gaspari, 1999.
[49] E. Lussu, Un anno sull’altopiano,Torino, Einaudi, 1964.
[50] Don G. Minozzi, Ricordi di guerra, Amatrice, Vol. I, 1956.
[51] E. Franzina, I casini di guerra cit., p. 192. Sull’argomento, anche P. Vincenti, Tra vergogna e onore: le prostitute di guerra, in L’officina del sentimento. Voci gesti segni femminili in Terra d’Otranto davanti alla Grande Guerra (1915-1924), a cura di G. Caramuscio, in corso di stampa.
[52] M. Pluviano, Le case del soldato, in «Notiziario dell’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia», n.36, dicembre 1989, pp.5-88.
[53]I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, a cura di A. Sciottà, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, p.73. Mons. Pellizzo, fondatore del giornale cattolico «La difesa del popolo», scrive tra il 1915 e il 1918 ben centocinquantasei lettere a Papa Benedetto XV per informarlo sul drammatico andamento della prima guerra mondiale.
[54] Pubblicato da I. Guerrini – M. Pluviano, in Il memoriale Tommasi. Decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la grande guerra, in 1914-1918 scampare la guerra cit., pp.63-75.
[55] Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la Prima guerra mondiale https://www.camera.it › leg18
[56] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p. 239.
[57]Ivi, p. 240. Le lettere dal fronte avevano degli speciali censori che erano spesso gli ufficiali austriaci e tedeschi, incaricati di leggerle, allo scopo di emendarle da eventuali informazioni poco opportune e pericolose. Fra questi ufficiali, Leo Spitzer, il filologo austriaco al quale si deve il primo studio organico di carattere linguistico sulle lettere dei soldati dal fronte. Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani: 1915–1918, a cura di L. Renzi, Torino 1976, nuova ed., Milano 2016. Si veda anche D. Octavian Cepraga, Scritture contadine e censori d’eccezione: le lettere versificate dei soldati romeni della Grande Guerra, in Memorialistica e letteratura della Grande Guerra. Parallelismi e dissonanze Atti del Convegno di studi italo-romeno Padova–Venezia, 8–9 ottobre 2015,a cura di D. Octavian Cepraga, R. Dinu e A. Firţa, Quaderni della Casa Romena di Venezia, XI-2016, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, 2016, p.189.
[58] Ivi, pp. 196 -197.
[59] https://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/054/art054-011.htm
[60] P. Gallori, Grande guerra, l’ordinario Militare: “Riabilitare i disertori come Caduti”, in «La Repubblica», 6 novembre 2014
[61] A. Soffici, op. cit.,p.202.
Ringrazio gli amici Francesco Frisullo, che per primo ha fatto luce sulla storia del soldato Rocco Gnoni, e Roberto Molentino che ha messo a disposizione alcune fonti documentarie.
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crazy-so-na-sega · 3 years ago
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Si allarga, in Europa, l'allarme per le epatiti acute di origine sconosciuta, che colpiscono bambini sotto i 10 anni, in alcuni casi con forme talmente gravi da provocare un'insufficienza d'organo.
Dopo quelli in Scozia, Inghilterra e Spagna, nuovi casi sono stati segnalati in Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi e negli Usa.
Ad aggiornare è il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc), che ribadisce l'appello a "segnalare e condividere informazioni". Mentre proseguono le indagini per far luce sulle cause, nessun caso risulta per ora segnalato in Italia, ma si alza il livello di attenzione.
L'aumento dei casi di infiammazione acuta e grave del fegato di origine sconosciuta tra bambini sani è stata segnalata per la prima volta il 5 aprile in Scozia. L'Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito, il 12 aprile, ha poi riferito che, oltre a quelli, c'erano ulteriori casi oggetto di indagine in Inghilterra, che portavano a oltre 60 i casi attenzionati oltremanica. La maggior parte riguardava bambini tra 2 e 5 anni e alcuni avevano avuto bisogno di un trapianto di fegato, evento rarissimo in questa fascia di età. Il giorno dopo, 3 casi sono stati segnalati in Spagna. Le ultime segnalazioni arrivano da Danimarca, Paesi Bassi e Irlanda, mentre nel Regno Unito i casi sono saliti a 74 (49 in Inghilterra, 13 in Scozia, 12 in Galles). Ma l'allarme si estende anche fuori dall'Europa, con 9 bambini colpiti in Alabama, negli Stati Uniti. Manca un conteggio ufficiale ma i casi sembrerebbero circa un centinaio in totale in poco più di due mesi.
Al momento, la causa esatta rimane sconosciuta. Un'origine infettiva è ritenuta come la più probabile ma i casi non sono legati a epatiti virali note, come A,B,C,E. Tra le ipotesi, vi è quella di un legame con il Covid-19 o con altre forme di infezioni virali, come quella da adenovirus, visto che entrambi i virus sono stati riscontrati in alcuni dei piccoli pazienti. Mentre non è stato identificato alcun collegamento al vaccino contro il Covid-19. Le indagini sono in corso e l'Ecdc è al lavoro insieme all'Oms per supportare le indagini.
Intanto si alza il livello di attenzione in Italia. Il Servizio Regionale di Sorveglianza delle Malattie Infettive (Seresmi) dell'Istituto Spallanzani ha inviato a tutte le strutture del Servizio sanitario regionale un aggiornamento delle comunicazioni inoltrate dal Ministero della Salute sulle segnalazioni dell'Ecdc. "Nella nostra regione - fa sapere l'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato - finora non è stato segnalato nessun caso, ma comunque da giovedì della scorsa settimana, con una circolare della Direzione Salute, è stato elevato il livello di attenzione, fornendo a tutte le strutture della rete l'algoritmo diagnostico raccomandato nel Regno Unito e richiedendo di segnalare i casi di bambini che presentano epatite acuta, con esclusione di diagnosi di epatite da A a E". Fra i sintomi più comuni, l'ingiallimento della pelle e della sclera degli occhi, dolore nella parte alta destra dell'addome, nausea e vomito. 
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"l'origine sconosciuta... però di certo nessun collegamento" a pensar male somiglia a una excusatio non petita...;-)
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paranobio6 · 3 years ago
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safetyandpromo · 3 years ago
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Qual è la necessità dell'abbigliamento da lavoro?
Questa è la domanda che sorge nella mente del potenziale acquirente. Qual è il motivo della richiesta dell'azienda per l'abbigliamento da lavoro? Affinché qualsiasi lavoro sia produttivo e sicuro, è fondamentale disporre dell'abbigliamento da lavoro appropriato. I dispositivi di protezione individuale (DPI) sono forniti dal datore di lavoro ai propri lavoratori. Tuttavia, da qualche parte lungo la linea, perdono di vista l'importanza della salute e della sicurezza dei lavoratori o dei dipendenti. Di conseguenza, per creare un ambiente di lavoro migliore, hanno bisogno di rifornirli anche di abbigliamento da lavoro verona. Se vuoi saperne di più sui vantaggi aggiuntivi, puoi leggere i punti elencati di seguito:
Protezione contro gli infortuni: gli infortuni sono molto diffusi nel lavoro, indipendentemente dal settore. Di conseguenza, questi indumenti da lavoro protettivi proteggono i dipendenti da una varietà di disturbi come lesioni alla testa, lesioni alle mani, lesioni alle gambe, lesioni agli occhi e così via. Questi tipi di ferite sono causati da attività come la saldatura, la lavorazione del legno, la lavorazione dei metalli, l'estrazione mineraria e la costruzione di una struttura. Di conseguenza, l'abbigliamento da lavoro può aiutare a proteggere le persone dagli infortuni. Caschi, scarpe o stivali di sicurezza, occhiali o maschere di sicurezza, guanti di sicurezza e altri indumenti protettivi sono esempi di tale attrezzatura da lavoro. Di conseguenza, può proteggere i dipendenti da qualsiasi tipo di taglio, squarcio, graffio o altre lesioni.
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Registro dei dipendenti: con l'ausilio di uniformi, l'azienda può anche tenere traccia dei propri dipendenti o dipendenti dei dipendenti. Le persone che indossano le divise identiche come abbigliamento lavoro verona sono immediatamente distinguibili l'una dall'altra. Di conseguenza, sarebbe più semplice per l'organizzazione tenere traccia dei propri registri e condurre i propri audit.
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medicomunicare · 4 years ago
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Presbiopia: al vaglio le opzioni farmacologiche oltre a quelle correttive
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giancarlonicoli · 4 years ago
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7 gen 2021 09:02
LO SMART WORKING PORTA ALLO SMART DRINKING - IL VIRUS HA CREATO UN’EPIDEMIA DI ALCOLISMO: CHIUSI IN CASA PER LOCKDOWN E QUARANTENE, GLI ITALIANI AFFOGANO LE LORO SOLITUDINI NELL’ALCOL – IL CONSUMO È SALITO DEL 200% ED È UN DRAMMA PER LE CATEGORIE GIÀ ESPOSTE ALL’ABUSO, COME I GIOVANI. OGNI ANNO MUOIONO 300MILA EUROPEI PER LA DIPENDENZA DA ALCOL, SENZA CHE LO STATO FACCIA GRANCHÉ...
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Claudio Risé per “La Verità”
Il prossimo guaio sanitario è già cominciato, anche se ministri e commissari della sanità e affini fanno finta di niente, e continuano ad intrattenerci con il loro argomento preferito: il Covid 19, garanzia del loro stipendio alla fine del mese.
Il prossimo e già attuale guaio, cui si dedicano da mesi i bravi ricercatori e i clinici che studiano invece di gigioneggiare in tv, non è più il virus cinese con i suoi figli e nipoti, ma le ormai ben più diffuse malattie e epidemie già in atto, e messe in campo e aggravate proprio dal modo in cui coloro cui è stata distrattamente affidata la salute del Paese hanno gestito il virus Covid 19.
La più evidente è l'epidemia di alcolismo che si è alzata all'ombra protettrice dei confinamenti, unico strumento, oltre alla paura, con cui la politica ha pensato di gestire il Covid 19. Utilizzando soprattutto spavento e terrore: mezzi ampiamente collaudati, che hanno forse funzionato in comunità più primitive e meno numerose, ma non potevano fare granché in una complessa e multiforme società come è l'Italia di oggi.
Qualcosa hanno comunque combinato: guai. Il come mai lo raccontano con educata precisione gli specialisti della Società italiana di alcologia nel numero speciale della loro rivista Alcologia. Speciale Covid-19 (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/pdf/Rivista%20Alcologia%20Speciale%20Covid-19%20N.%2040.pdf).
Lo Sguardo selvatico lo ha segnalato più volte: non si può curare un'epidemia, per giunta di un virus psicoattivo, senza tener conto delle conseguenze psicologiche delle misure che si prendono. Il chiudersi in casa non fa parte degli istinti umani: l'uomo è fatto per camminare, muoversi, incontrare.
Per imporre chiusure e distanziamenti occorre accompagnarli con percorsi psicologici e igienici: come organizzare il tempo, come rimanere in movimento anche in casa, ma soprattutto come mangiare e bere, pilastri della salute e della prevenzione in qualsiasi epidemia, a cominciare dal Covid. Altrimenti si suscitano reazioni avverse e malattie altrettanto e più gravi di quelle che si combattono. Il confinamento obbligatorio non spiegato e non accompagnato da istruzioni su come viverlo fa sì che i reclusi si comportino come tutti i reclusi immobilizzati: si deprimono.
E quale è il pozzo in cui cade più frequentemente il depresso? Il bere. È ciò che è puntualmente accaduto: negli ultimi mesi il consumo di alcol è salito - dice l'Istituto superiore di sanità, - fino al 200%. Quello che è aumentato di più è poi il consumo nelle categorie già esposte per il loro abuso di alcool alle più gravi patologie: epatiche, tumorali, circolatorie, psichiche. Qui l'alcol uccide. Come del resto accade tra i giovani fino ai 29 anni, per i quali l'incidente automobilistico per ubriachezza è la prima causa di morte.
Tra i minorenni i dediti al binge drinking (la ricerca di ubriacamento pesante e rapido, spesso con caduta finale) sono passati in quest' anno da 800.000 a un milione. A guardare questi dati e fatti salta agli occhi come il Covid 19 ponga un problema di civiltà, di stile e orientamento di vita, prima ancora che sanitario.
La nostra (come tutte quelle che si autodistruggono) è una civiltà malata, indebolita anche fisicamente e psicologicamente da uno stile di vita insensato e autodistruttivo, che qualsiasi virus, anche non particolarmente aggressivo come questo, può mettere in crisi in pochi giorni. Il nostro sistema di governo è talmente malato da pretendere di risolvere il problema con la passività, il chiudersi e il non fare, quando la forza dell'uomo, animale di per sé debole nei confronti della potenza della natura è invece proprio l'abilità nell'agire.
Certo che, però, per fare occorre pensare con intelligenza cosa fare, conoscere e studiare. Il guaio è che i ricercatori e i bravi medici, che sanno molto e hanno lavorato bene, nella vicenda Covid sono stati scavalcati da politici, burocrati e star della scienza tv che sapevano pochissimo e soprattutto non provavano pietà per i disgraziati di cui decidevano il destino.
Tutto ciò accade in un Paese, l'Italia, dove la dipendenza e abuso di alcol è già un problema grave, anche rispetto ai dati dell'Europa che già di suo è tra i continenti il primo consumatore nel mondo di alcol e il primo per tutte le patologie ad esso legate (infatti è anche uno dei continenti più in crisi, anche cognitiva e morale). Nell'ultimo anno per cui siano disponibili dati completi, il 2016, l'alcol è stato il responsabile del 5,5% di tutti i decessi registrati nell'Ue, per un totale di quasi 300.000 persone morte, in gran parte e prevalentemente per cancro (29% dei decessi attribuibili all'alcol), cirrosi epatica (20%), malattie cardiovascolari (19%) e lesioni (incidenti ed altro, 18%).
Come si vede, una strage di proporzioni non molto inferiori a quella procurata dal Covid 2019. Senonché la strage dell'alcol si registra regolarmente ogni anno, in misura sempre crescente, con un mortalità dunque complessivamente ben maggiore, e anche più preoccupante proprio perché endemica.
I 300.000 europei all'anno morti per alcol non sono uccisi da un virus misterioso ma sono persone che vengono distrutte dalla sostanza da cui sono diventati dipendenti senza che lo Stato faccia granché dal dissuaderli. Mentre per il Covid invece sono state prese misure straordinarie, facendo fallire interi settori produttivi con enormi danni per la condizione esistenziale di tutti.
Misure che inoltre (come dimostrano le ricerche dei ricercatori del campo), hanno gravemente danneggiato la condizione esistenziale di chi ha problemi con l'alcol, visto che sono state prese e presentate come se questi problemi non esistessero affatto, né per gli adulti né per i giovani e i minorenni. Infatti i consumi di alcol si sono impennati e diffusi, i disturbi aggravati, e buona parte del problema non ha potuto essere seguito visto che l'intero sistema sanitario è rimasto quasi totalmente occupato dal Covid.
Non solo, ma quando i giovani che durante il primo lockdown erano diventati dipendenti da alcol bevendolo in casa dove non sapevano che fare hanno finalmente potuto uscire e sono andati a bere con gli amici all'aperto, sono stati additati come untori pazzi e irresponsabili da autorità le cui provviste finanziarie provengono in parte notevole dall'alcolismo della popolazione.La situazione di chi ha problemi con l'alcol non è l'unica ad essere diventata altamente pericolosa per come la sanità nazionale ha gestito l'epidemia di Covid 19.
Tutte le altre malattie hanno problemi analoghi, a cominciare da quelle psicologiche e psichiatriche, e naturalmente le tossicodipendenze. È la nostra politica, ormai malatissima, ad aver bisogno di cure urgenti e profonde, e il nostro stile di vita a dover cambiare. O ci si ammalerà tutti.
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hoilcollobloggato · 4 years ago
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la mia vita al tempo del COVID-19 (giorno 10)
Una delle norme anti Covid-19 che potremmo definire “sottintesa”, comune a tutte le zone di classificazione delle regioni, prevede il divieto di baciarsi. Nell’accurato vademecum dal titolo: LE RACCOMANDAZIONI DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI ANDROLOGIA - Consigli su come vivere la sessualità e suggerimenti per evitare di contagiarsi e di diffondere l’infezione da COVID-19 -inviato dalla SIA al dicastero del Ministero della Salute, già dalle premesse è tutto decisamente molto dettagliato e chiaro:
– COVID-19 è stato trovato nella saliva e nel muco rinofaringeo, nelle feci e nelle urine delle persone infette. – È possibile contagiarsi da COVID-19 da una persona che lo possiede. – Il virus può diffondersi a persone che si trovano a circa 1,5/2 mt da una persona con COVID-19 quando quella persona tossisce o starnutisce. – Il virus può diffondersi attraverso il contatto diretto con la loro saliva o muco e quindi non solo con il bacio ma anche nei rapporti orali. – Passare la bocca sull'ano potrebbe diffondere COVID-19. Il virus che si trova nelle feci può riconoscere una porta di entrata dalla bocca.
"Porta di entrata" a parte, è innegabile, fin dall’infanzia, ogni bacio evoca piacere e legami affettivi; secondo una recente ricerca AECM Albert Einstein College of Medicine di New York, le nostre rappresentazioni cerebrali delle labbra e della lingua sono assai sviluppate. Mentre succhiamo, sentiamo e non dimentichiamo più. Persino nelle culture, in Afghanista ad esempio, in cui baciarsi con la lingua è oggetto di disapprovazione, l’umano bisogno di affetto e sicurezza dà luogo all’eros che scaturisce dal contatto guancia a guancia, dai morsetti e dall’inspirare l’odore del viso della persona amata. Da ragazzino quando sentivo odore (l’olfatto è senz’altro il più potente dei nostri sensi), di cipria o di rossetto ero vittima di un'attivazione generale dei miei ricettori nervosi, corrispondente a un enorme impennata dei livelli di ossitocina – circa 5 volte superiore a quelli usuali . Con la loro travolgente intimità, i baci siglano un patto, un legame profondo: SIAMO TU E IO CONTRO IL MONDO! Un motivo ricorrente nella letteratura occidentale è che, laddove all’individuo è negata la possibilità di scegliere il proprio compagno o di esprimere liberamente la propria sessualità, il baci simboleggiano il caos sociale. Per Romeo e Giulietta, ad esempio, baciarsi era pericolosamente compromissorio perché univa la coppia sbagliata.
Devi sapere che quando siamo morti, sottoterra, ed iniziamo a marcire, a consumarci – siamo destinati alla putrefazione, che horreur! – per prima cosa: i batteri bisocosis populi attaccano le pareti intestinali. Pare che da vivi, ci scambiamo qualcosa come 130.000 bisocosis populi ad ogni contatto con la lingua umana. In un bacio molto intimo salgono a 230.000. I primi entrarono in contatto all'alba della creazione, quando Adamo baciò Eva; questo rende improbabile che fosse stata Eva a baciare Adamo, perché in quel caso i primi 100.000 li avrebbe sprecati mordendo la mela. Questo giusto per dar sfogo al mio istinto primordiale di approfondire gli argomenti, non potevo esimermi dall’informarti delle peculiarità igienico/religiose del bacio... Ma torniamo a noi, così distanti da quell’Eden della prima coppia umana. La pertinente raccomandazione di evitare di baciarsi, di non baciare nessuno in questo momento di grande diffusione del virus, ma soprattutto evitare di baciare chiunque non faccia parte della tua cerchia di contatti stretti, è (giustamente) riconducibile al problema del distanziamento fisico. Oggi sappiamo che, anche la distanza di sicurezza tra le persone fissata internazionalmente a un metro, potrebbe non essere più sufficiente. I CDC Centri statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, stanno rilevando che il Covid-19 può diffondersi attraverso piccole particelle nell’aria lungo una distanza più estesa e per ore. Già poco prima di abbandonarci al bacio vero e proprio, infatti, le nostre labbra stanno ad un’unità Ångström – che corrispondente a 0,1 nm o 1×10⁻¹⁰ m un diecimiliardesimo di metro – da quelle del partner, pertanto le distanze minime per evitare la trasmissione del virus vengono meno ancor prima del bacio vero e proprio. Il NYC Health nel report dal titolo: “sesso più sicuro e Covid-19”, ammette che dobbiamo ancora imparare molto su Covid-19 e sesso, e aggiunge “Il virus si diffonde tramite le particelle nella saliva, nel muco o nel respiro delle persone, non sappiamo se il COVID-19 si può diffondere tramite il sesso vaginale o anale. Questo significa che il sesso probabilmente non è un modo comune per la diffusione del COVID-19, se hai rapporti sessuali con altre persone al di fuori del nucleo familiare, cerca di avere il minor numero di partner possibile e scegli partner di cui ti fidi”. Ebbene sì, anche i nostri amici di New York City hanno un Comitato Scentifico. È evidente che il mondo tutto, ha messo in campo le sue menti migliori per sconfiggere questa terribile pandemia. Comunque, peccato per ’sta storia dei baci. Il bacio può essere pulito e sporco, volto al futuro come al passato, universale, particolare…, e da meno di un anno a questa parte il bacio può facilmente passare COVID-19. Comunque, non preoccuparti puoi sempre tenerti in allenamento e fare pratica di baci strapazzando il cuscino o un poster. Oppure, come suggerisce il dottor J Simons, noto luminare di medicina degli sport olimpici, puoi sempre fare pratica con un amato o un’amata di fantasia. Dopotutto non dimenticare che baciare, è una capacità motoria che prevede un’intensa pratica mentale.
PROVIAMO: Ok… Tieni stretto il tuo cuscino, avvinghiati ad esso se preferisci?! Chiudi gli occhi e rilassati. Pensa a tua moglie, a tuo marito, o a qualcuno che ti piacerebbe baciare. Fatto? Cerca di sentirlo, ora… Lo senti? Concentrati: il tuo esercizio sarà tanto migliore quanti più sensi riuscirai a coinvolgere... Il tuo subconscio non è in grado di distinguere tra realtà e fantasia, e se lo farai seriamente, ti sembrerà di baciare sul serio l’oggetto dei tuoi desideri. Attenzione!!! Senti di aver bisogno di feedback? I tuoi baci sono troppo irruenti, poca lingua, troppa lingua, troppa saliva? Secondo te sono meravigliosi, ma il tuo partner reale sarebbe d’accordo? Insidie come queste, che nascono da aspettative realistiche, sono molto comuni tra quelli che si dedicano alla pratica del “bacio immaginario”, ma tu: FREGATENE! È quando le aspettative sono ridotte a zero che si apprezza veramente ciò che si ha.
Sarebbe un peccato se fantasticare una vita da fiaba facesse diventare la realtà una delusione. Dunque goditi i tuoi baci immaginari e non innamorarti delle tue fantasie. E ricordati di asciugare il cuscino prima di metterti a dormire!
Fine giorno10
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