#portadiottone
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L’ultima Cena
Ancora un passo
verso l’ignoto.
Che spinge la crosta terrestre
a dividersi in moto
sotto le onde irrompenti
del mare del tempo.
Irreale silenzio
che precede l’azione,
lo scroscio improvviso del mio stesso pensiero,
che lacera dentro e mi lascia da solo
all’ombra di un vizio che il raziocino elude.
Strisciando, pimpante
nell’acido sangue
di un sacrificio di un essere inerme.
Follia o confusione
Non trovo la quadra
da qual direzione questa luce s’irradia.
Son cieco e contento
e respiro a malapena
Rifiuto il compromesso
e ne taglio la corda
che mai torni in me la voglia
di adattarmi alle sue catene.
Mi scorre nelle vene tutta quella rabbia
che giace infondo al mare.
Tu credi che sia sabbia,
invece è cenere del mio coraggio
scomposta in frammenti alle rive del mondo.
Mi coloro di ogni forza elementale
e tutte le incarno nel bene e nel male.
Anche quando il fuoco mi ustiona le membra,
così poi le lacrime mi rendono degna,
di essere solo una goccia di pioggia
che cade per fede e la terra accarezza,
che penetra dolce senza farsi domande,
ignara del giorno in cui tornerà in superficie,
si immola al suo essere quadro e cornice.
Dalla materia alla forma
dalla padella alla brace.
Non trovo la quadra,
ma vi siedo al centro.
Sono il punto nel mezzo di un passaggio nel tempo.
Dal gelido futuro
al passato bislacco,
dal luogo più oscuro, al più diafano albergo,
dal luogo da cui vengo, a quello in cui mi perdo.
Di tutte le storie che ho mai immaginato,
di quei mondi attraenti
dove non più mi reco,
è rimasto un alone,
viola come il mio nome,
un impasto sfuocato di un tormento voluto.
Un livido al braccio,
un embargo sfacciato,
un passaggio obbligato
verso il lato sbagliato.
E’ questo che prova il vento,
quando viene calmato?
E’ questo che provò il primo uomo
quando venne creato?
Il cosmo nell’occhio
ed il caos nel petto,
il timor divino di sentirsi prescelto.
La noia mortale,
che tale è di fatto,
il prendere atto di un limite imposto.
Il contro-pacco di chi si credette furbo,
lo schiaffo morale che conduce al risveglio.
Sbadiglio.
E l’ossigeno mi informa della composizione atmosferica
che mi circonda.
La luce mi parla
ed il suono mi assilla
ed io sono stanca
come un cuore ed una stella.
Pulsante del niente che tutto alimenta,
schiavo ed amante
di una dea senza nome
La mia mente si ribella
al paradosso del normale,
sono l’alfa privativo
del destino morale.
Sono io, l’alga che intossica il mare
la reazione spontanea di una tribù ancestrale.
Sono la protezione della glia universale,
l’anello di congiunzione
tra l’erudito ed il banale.
La scomodità di non avere un colore,
mentre la strega comanda al mio cuore.
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Ora giungo per forza,
e non per volere,
ad una risoluzione
perché è cosi’ che funziona
in questo mondo mortale:
la fine è l’inizio della trasformazione.
Dunque eccomi all’uscio
di una porta di ottone,
intarsiata ad arte da ogni scelta ed azione,
raffigurante la vita che hai scelto di fare,
il piano infinito e la sua rampa di scale.
Ed ogni gradino
è una stella nel cielo,
un cancello che porta ad un prescritto sentiero.
Ad ogni livello, ti ritrovi al cospetto
di un confine cobalto che ti mostra te stesso.
Guardati in tasca:
c’è il tuo passaporto!
Una collezione di tutti i viaggi che hai fatto,
i visti e i giudizi,
i vizi e gli indizi,
i test superati ed i sogni nascosti.
Alienato da un mondo che tu stesso hai creato,
ti portano il conto e nemmeno hai mangiato.
Eri sazio e ubriaco e
e sei stato tradito.
Ma all’ ultima cena, chi è che ha pagato?
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