#pittori olandesi
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fashionbooksmilano · 1 year ago
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The Bamboccianti
The Painters of Everyday Life in Seventeenth Century Rome
Giuliano Briganti - Ludovica Trezzani - Laura Laureati
Ugo Bozzi Editore, Roma 1983, 405 pages, 26x29cm, 65 colurs tables and 284 ill. b/n., ISBN 9788870030105
euro 60,00
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The Bamboccianti were genre painters active in Rome from about 1625 until the end of the seventeenth century. Most were Dutch and Flemish artists who brought existing traditions of depicting peasant subjects from sixteenth-century Netherlandish art with them to Italy, and generally created small cabinet paintings or etchings of the everyday life of the lower classes in Rome and its countryside.
Typical subjects include food and beverage sellers, farmers and milkmaids at work, soldiers at rest and play, and beggars, or, as Salvator Rosa lamented in the mid-seventeenth century, "rogues, cheats, pickpockets, bands of drunks and gluttons, scabby tobacconists, barbers, and other 'sordid' subjects." Despite their lowly subject matter, the works found appreciation among elite collectors and fetched high prices.
A questa scuola aderirono pittori fiamminghi, olandesi e italiani che furono attivi a Roma, tra gli artisti di questo movimento pittorico troviamo pittori come Jan Miel, Andries Both, Karel Dujardin, Thomas Wijck, Johannes Lingelbach, Jan Asselyn, Pieter van Lint, Michael Sweerts, e Keil Eberhard e, tra gli italiani, Viviano Codazzi (1611-1672), Michelangelo Cerquozzi (1602-1660) e il siciliano Filippo Giannetto (1631-1702).
29/07/23
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bottegapowerpoint · 1 year ago
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Jan Weissenbruch, Steigerpoort te Leerdam
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principessa-6 · 2 years ago
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Slava Fokk è un artista russo, nato nel 1976 in una famiglia di artisti.
La sua pittura è stata definita “retrospezione intelligente“, un’accurata selezione di tecniche pittoriche che consente la creazione di opere altamente espressive. Slava evoca le origini della pittura ad olio e le tecniche creative dei vecchi pittori olandesi.
Attualmente vive negli Stati Uniti
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mariozepponiarte · 6 days ago
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AELST, Willem van Pittore olandese (n. 1627, Delft, m. ca. 1683, Amsterdam) Natura morta di uccelli morti e armi da caccia 1660 Olio su tela, 86,5 x 68 cm Staatliche Museen, Berlino L'ostentata esposizione di animali uccisi dopo la caccia aveva una funzione rappresentativa e simbolica. Il motivo di un animale morto appeso a testa in giù - una vera e propria usanza di caccia - era stato ripreso dai pittori olandesi del XVII secolo da artisti precedenti come Jacopo de' Barbari e Lucas Cranach il Vecchio.
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viviween · 3 months ago
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Tutto ciò che fa apologia dell'odio - e, quindi, ha contenuti razzisti, maschilisti, misogini, xenofobi, omofobi - non è considerabile come Arte.
Io, non ho alcun rispetto di chi non conosce la Storia: che non sa nulla della vita (dura) degli artisti, sotto il regime teocratico cristiano.
Leonardo da Vinci scappò dall'Italia; Michelangelo era omosessuale, e tormentato dal senso di colpa.
Le opere commissionate dalla Chiesa sono pura, merdosa, propaganda religiosa, che gli artisti di punta erano costretti a fare, per non morire di fame: non erano felici di farle!: avrebbero preferito una vita da pittori olandesi, liberi di esprimersi.
Smettere di vedere le opere religiose come Arte, ma qualificarle per quello che sono: pura propaganda di una religione di merda, è un primo passo per riconoscersi la dignità di persona intelligente.
Vengono prima le persone: la tutela dei loro Diritti - e, fra quei diritti, non c'è l'aderire ad una setta cattolica misogina, maschilista, xenofoba, razzista, omofoba, capace solo di costruire odio sociale.
"Credere" non è "sapere" - ed è proprio perché si crede ancora troppo (si danno per scontati pregiudizi) che è necessaria, quanto prima!, in Italia, una sana iconoclastia - fenomeno, in Europa, affatto nuovo, ma che ha dettato, e detta ancora, l'impronta più umana, in tutti i settori, nei Paesi più civili, in Europa.
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lamilanomagazine · 8 months ago
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Milano: Castello Sforzesco, una mostra racconta il meglio dei lavori a sanguigna dal cinquecento all'ottocento
Milano: Castello Sforzesco, una mostra racconta il meglio dei lavori a sanguigna dal cinquecento all'ottocento. Fino all'8 agosto, nelle Salette della Grafica al Castello Sforzesco, è aperta al pubblico con ingresso gratuito la mostra "... per gitar diverse linee. Disegni a pietra rossa da Leonardo alle Accademie", un nuovo appuntamento promosso da Comune di Milano-Cultura e Castello Sforzesco legato alla valorizzazione del patrimonio artistico della città che consentirà al pubblico di ammirare, tra gli altri, la celebre "Testa di Leda", disegno attribuito a Leonardo da Vinci e custodito presso il Gabinetto dei Disegni. Frutto di un progetto di ricerca internazionale, cui hanno partecipato studiosi di università olandesi e ricercatori italiani, la mostra, curata da Michael W. Kwakkelstein e Luca Fiorentino, è una selezione di fogli eseguiti a sanguigna tra la fine del Quattrocento e il primo decennio dell'Ottocento, realizzati da differenti artisti, alcuni dei quali di grande importanza per la storia dell'arte italiana. La sanguigna è una pietra naturale estratta in diversi luoghi d'Europa e utilizzata in differenti settori (dai disegni architettonici alla sartoria) e che, verso la metà del Quattrocento, divenne strumento artistico di larga diffusione. Importanti artefici, infatti, scelsero questo mezzo quale medium privilegiato per lo studio su carta dei loro primi pensieri: dallo schizzo allo studio anatomico, dal progetto d'insieme allo studio dei dettagli. Il mezzo della sanguigna vanta variegate possibilità d'impiego tecnico: linea di contorno e trattamento del chiaroscuro a incrocio, sfumato (tramite sfregamento delle dita sulla polvere, con lo sfumino o pressando la punta della sanguigna sul foglio), il famoso "red on red" di invenzione leonardesca (ovvero disegnare in rosso su un supporto colorato rosso), intrecciando a piacimento i mezzi grafici (pietra nera e rossa, gessetto, biacca, acquarello). Si è dunque scelto di indagare tra le collezioni del Castello all'interno di un lasso cronologico ampio all'incirca quattro secoli: gli artisti lombardi hanno avuto più larga attenzione, potendo le raccolte civiche vantare nomi come Leonardo da Vinci, Francesco Melzi, Ambrogio Figino e anche i protobarocchi Cerano, Procaccini e Morazzone e infine i classicisti dell'Accademia come Giuseppe Bossi e Luigi Sabatelli. Il percorso di mostra, che si snoda nelle due Sale della Grafica del Castello, vede le seguenti sezioni: Leonardo e la sua scuola, l'importante restauro di un Nudo accademico attribuito ad Andrea Sacchi, le tecniche (con materiali esposti e video), le differenti tipologie di disegno con fogli di scuola lombarda, romana, napoletana e veneta. Nel catalogo che accompagna la mostra è stata anche avanzata qualche proposta attributiva, nella speranza di dar vita a un dialogo scientifico in grado di arricchire le collezioni pubbliche: Jacopo Ranzani (Institut National d'Histoire de l'Art, Paris) ha approfondito l'uso della pietra rossa nelle botteghe artistiche, Francesco Lofano (Università di Bari) ha studiato i pittori napoletani e il loro particolare utilizzo della sanguigna nel XVII secolo partendo da una nuova attribuzione di un foglio del Castello a uno dei più importanti artisti partenopei quale fu Bernardo Cavallino, Luca Fiorentino (Ricercatore, NIKI Florence) ha approfondito le tecniche grafiche utilizzate nella prima metà del Seicento a Milano, Alessia Alberti rende conto delle svariate collezioni dalle quali provengono i disegni esposti. Il contributo degli studenti olandesi è stato possibile grazie al sostegno della Fondazione Amici del NIKI. Il progetto grafico della mostra è stato realizzato dagli studenti della Civica Scuola d'Arte & Messaggio. Info su www.milanocastello.it Il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco Il Civico Gabinetto dei Disegni nasce negli anni Venti del Novecento per offrire un'adeguata collocazione alle opere d'arte su carta, che avevano iniziato ad affluire nelle collezioni cittadine a partire dalla metà dell'Ottocento su iniziativa di artisti e di esponenti dell'aristocrazia milanese. Con il tempo il patrimonio si è arricchito e conta oggi circa 35.000 disegni di maestri italiani e stranieri dal Quattrocento ai giorni nostri, con particolare ricchezza di esempi lombardi. Le Salette della Grafica al Castello Sforzesco Inaugurate nel 2020 con una mostra-omaggio a Raffaello attraverso l'opera e la collezione di Giuseppe Bossi, le Salette della Grafica nascono con l'intento di rendere accessibile, a rotazione, il patrimonio grafico del Castello Sforzesco, un prezioso archivio di stampe e di disegni che, per ragioni di conservazione, è normalmente custodito in locali a condizioni di temperatura e umidità controllate e non è inserito nel percorso museale del Castello.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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motolesechloe · 1 year ago
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Tecnica di Turner
La tecnica di Turner non mancava di sollevare una certa curiosità. Come i pittori dell'epoca, avidi di ricette, di inven- zioni, di trucchi del mestiere di cui poter approfittare, anche il vecchio accademico Joseph Farington andava ad informarsi nello studio del pittore. Ecco gli appunti del suo diario: Turner dipinge su fondi molto assorbenti preparati da Gran- di (Sebastian Grandi, il suo assistente) che lui stesso poi leviga con la pomice. Questo fondo assorbe ancora la pittura a olio dopo quattro passaggi. Quando il quadro è terminato bisogna stendervi tre o quattro mani di mastice perché i colori tengano. Egli non utilizza l'olio normale, ma quello di lino. Con questa tecnica riesce ad ottenere l'aria, che gli evita l'aspetto rugoso»> Quindici giorni dopo Farington è ancora nello studio di Turner e descrive nel suo diario, con una certa meraviglia, il numero limitato di pigmenti colorati di cui il pittore si serve: «bianco, ocra, giallo, terra di Siena e terra di Siena bruciata, rosso veneziano, cinabro, terra d'ombra, blu di Prussia, blu nero, blu oltremare. Soltanto olio di lino» (Finberg). Come nota John Walker, questa maniera di dipingere sembra
ham (1799)
essere stata efficace poiché le tele di quel periodo hanno resistito meglio all'invecchiamento. Le tele successive dipinte, pare, con minor precauzioni, si rovinarono più facilmente sono oggi causa di gravi preoccupazioni specialmente per i curatori della Tate Gallery. Recentemente il visconte Dunluce, direttore del reparto restauri del museo, ha dichiarato: «In alcuni casi i deterioramenti sono dovuti ai metodi personali di lavoro di Turner. Su alcuni dipinti ha lavorato molto, su altri ad intervalli che vanno dai due ai tre anni. Quando si rimetteva al lavoro su queste tele c'erano degli strati induriti, gli strati di pittura nuova non erano legati, ed ecco il motivo per cui oggi si staccano dei pezzi di pittura» (Observer, 25-12-1980). Ma l'interesse per i metodi di lavoro del giovane artista non modificò il giudizio di Farington, che riprese le accuse di evaghezza» e di «disordine» lanciate nel 1802 da True Briton nei confronti di alcune opere di Turner. «Turner ricerca lo strano e il sublime ma non ha la forza di condurre in porto ciò che intraprende. I suoi quadri hanno molte qualità, ma ciò che manca loro è la tecnica e la precisione accademica di un Poussin quando egli si rivolge allo stile epico. Inoltre, nelle scene con soggetti navali gli manca il gusto dell'abilità, del tratto preciso, che sono le qualità per eccellenza dei maestri olandesi e fiamminghi».
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daniela--anna · 4 years ago
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Albert Williams era un pittore britannico noto per le sue raffigurazioni di composizioni floreali variegate.
Ha impiegato un processo unico di pittura di singoli fiori freschi raccolti dal suo giardino, usando questi studi per comporre composizioni più elaborate su tele più grandi.
Williams fu particolarmente influenzato dai pittori di fiori olandesi del XVII secolo, come Gerard Van Spaendonck.
Nato il 20 marzo 1922 nel Sussex, in Inghilterra, Williams imparò a dipingere da suo padre e suo nonno e continuò a studiare pittura di figure e ritratti sotto Louis Ginnett e al Brighton College of Art.
Nel corso della sua vita, Williams ha esposto alla Royal Academy, alla Royal Watercolor Society e alla Royal Society of British Artists.
È morto nel 2010 a Brighton, in Inghilterra.
(Fonte ArteNet)
(🎨 Anemoni in vaso di Albert Williams)
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gregor-samsung · 5 years ago
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In antico, le tracce dei fabbricati e la storia lo provavano, doveva essere stato un complesso imponente con possedimenti che si stendevano per boschi fitti e campi, per paludi, fino al mare. Delle costruzioni erano rimasti in piedi scheletri architettonici immensi, esposti al sole e alle bufere: solo un fabbricato laterale all'ingresso degli edifici era rimasto intatto, abitabile. Era parte dell'antico refettorio con le pareti affrescate da splendidi pittori e vi abitavano poche monache olandesi attratte dal fascino della campagna. I resti disposti su un poggio, con pochi gruppi di alberi, lasciavano scorgere prati e terreni, in principio ingombri di rovine e poi erbosi e verdi, seminati alcuni a grano e a granoturco. Sulla sinistra, parallela alla via provinciale, non molto lontana, una strada portava a una costruzione a cupola: era sempre aperta e recava la prova di un miracolo avvenuto nel medioevo. Durante una notte, un giovane di abitudini libertine se ne tornava a casa a cavallo. Fu colto da sonnolenza e a sua insaputa il cavallo lo portò in quel luogo a lui sconosciuto, presso l'abbazia. Una voce gli disse: "Abbandona questa vita di turpitudini. Fermati qui e inizia una vita da eremita". Come prova che quella fosse la voce di Dio il giovane aveva risposto: "Se la mia spada trafiggerà quella pietra obbedirò". La spada si era conficcata fino all'impugnatura nel masso ed era ancora lì, alla vista dei visitatori. Marco mi aveva condotto proprio all'abbazia per pregare dinanzi alla pietra trafitta. Forse la pace sarebbe tornata nella mia famiglia.
Romano Bilenchi, Il gelo, Milano, Rizzoli, 1984 [Libro elettronico]
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quellodiarte · 6 years ago
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L'evoluzione di Mondrian
La direzione dell'Arte è verso la sintesi. Ogni periodo ha avuto il suo modo: è lo stile. Oggi in StArt seguiremo passo passo l'evoluzione di #Mondrian da quando era un paesaggista fino quando è diventato un paesaggista. Ci sentiamo dalle 9:15 su Spreaker.
La direzione dell’Arte è verso la sintesi. Ogni periodo ha avuto il suo modo: è lo stile. Oggi in StArt seguiremo passo passo l’evoluzione di Mondrian da quando era un paesaggista fino quando è diventato un paesaggista.
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big-lio · 8 years ago
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Una prima parte di una serie di quadri di pittori olandesi e delle loro opere. Si salta di stile, periodo e soggetti rispetto alle precedenti condivisioni, ma resta sempre un piacere da scoprire :) (almeno spero lo gradiate) Come al solito in un album sulla pagina FB del mio sito. E, se vi va, lasciate un segno del vostro passaggio :)
Natura morta olandese con fiori 17°-18° secolo
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floweredalmond · 3 years ago
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Giovane donna con perla, Jean-Baptiste Camille Corot,
Il quadro raffigura una donna seduta e rivolta verso sinistra. Le mani della giovane sono poggiate sul ventre verso sinistra mentre il suo volto è rappresentato leggermente di tre quarti quasi frontalmente. Lo sguardo, invece è diretto al centro, verso lo spettatore ma non cerca la sua complicità. La sua espressione sembra assorta è rivolta a pensieri lontani. Indossa un abito chiaro, stretto in vita è molto scollato. Intorno alle spalle a un gilet scura. La sua capigliatura è semplice e porta capelli lunghi stretti e annodati dietro la schiena, intorno al capo ha una corona filiforme. La capigliatura lascia scoperto l’ovale del volto e lo incornicia esaltandolo.
Il quadro ricorda lo stile dei pittori olandesi del 600, soprattutto Vermeer. La stesura di colore è realizzata con pennellate dirette che creano campiture uniformi soprattutto nell’abito. Il modellato del volto e delle mani è più raffinato e l’ovale del viso risulta levigato e privo di segni di espressione. L’abito è dipinto con una tecnica che conferisce al tessuto un realismo nella resa delle pieghe scomposte. La capigliatura è stata trattata come una massa uniforme chiaroscurata nella parte alta.
Il dipinto ha un tono generale caldo e tendente al bruno con le lumeggiature virate verso il giallo chiaro. La resa è quella di un dipinto monocromatico. Il gilet e la capigliatura sono le parti più scure del dipinto che si intonano con gli occhi profondi della giovane donna. L’abito è chiaro nella parte alta e ocra più scuro nelle maniche e in alcune fasce della vita. Le parti scure del vestito e il gilet creano un contrasto con il tessuto e il resto della figura.
La luce è diretta e proviene dall’alto a destra creando ombre nette soprattutto nelle pieghe degli abiti. Il viso è illuminato direttamente come le mani. Soprattutto la parte destra del volto viene valorizzata da un riflesso sotto il mento che accentua l’ovale perfetto della ragazza. Lo sfondo è leggermente illuminato in corrispondenza della sagoma ritagliata della giovane donna.
Lo spazio tridimensionale, è limitato al primo piano nel quale si trova la ragazza seduta. La profondità, tra la figura ritratta e lo sfondo, non è facilmente valutabile poiché non si colgono ombre dal corpo della ragazza o da altri arredi dipinti.
Il ritratto è esposto al Museo del Louvre (Parigi).
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bottegapowerpoint · 1 year ago
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Hendrik Willem Mesdag, Zee met pinken
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museoweb · 4 years ago
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La Mauritshuis (letteralmente Casa di Maurizio) è un museo che si trova a L'Aia nei Paesi Bassi. Ospita una vasta collezione d'arte che comprende dipinti dei più famosi pittori olandesi come Johannes Vermeer, Rembrandt van Rijn, Jan Steen, Paulus Potter e Frans Hals, oltre ad opere del pittore tedesco Hans Holbein il Giovane.
WIKI - SITO - MOSTRE
HIGHLIGHTS
Jan Vermeer - Ragazza con un orecchino di perla
Jan Vermeer - Veduta di Delft
Carel Fabritius - Il cardellino
Rembrandt van Rijn - Autoritratto
Paulus Potter - Il toro
Jan Steen - “As the Old Sing, So Pipe the Young”
Hans Holbein il Giovane - Robert Cheseman
Ambrosius Bosschaert il Vecchio - Vaso di fiori in una finestra
Rembrandt van Rijn - La lezione di anatomia del Dr. Nicolaes Tulp
Rembrandt van Rijn - Saul e David
Jan Bruegel il Vecchio - Il giardino dell’Eden con la Caduta dell’Uomo
Hendrick Avercamp - Scena ghiacciata
Adriaen Coorte - Natura morta con fragole selvatiche
Frans Hals - Bambino che ride
Clara Peeters - Natura morta con formaggi, mandorle e pretzel
Peter Paul Rubens - Vecchia e bambino con candele
Willem van Haecht - Apelle dipinge Campaspe
Rogier van der Weyden - Il lamento di Cristo
Jacob van Ruisdael, - Vista di Harlem con campi bianchi
Antoon van Dyck - Ritratto di Peeter Stevens
Gerrit Dou - La giovane madre
Gerard ter Borch - Cercando le pulci
Rembrandt van Rijn - Canto di lode di Simeone
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annalisalanci · 4 years ago
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Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre
Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre
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Il Giudizio universale di Bruegel il Vecchio, 1558
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La bocca dell'Inferno, Jacobus da Theramo, Das Buch Belial, Augusta, 1473
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I demoni contendono l'anima di un moribondo agli angeli. Ars Moriendi, Augusta, 1471 circa
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San Michele che sconfigge il drago,  di Martin Schongauer, 1420-1488
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Per tutta l'epoca in cui il cattolicesimo resse le sorti spirituali dell'Europa, ci fu - a opporsi alla chiesa del bene - una chiesa del male; contro la chiesa di Dio, una chiesa del demonio che come l'altra aveva i suoi preti, i suoi riti, il suo culto, i suoi libri, le sue adunate, le sue apparizioni.
La chiesa indicava l'esistenza del diavolo non come uno scherzo o una facezia ma come un articolo di fede. Non potendo le masse analfabete andare a ricercare nei libri di teologia riservati al clero i particolari necessari per farsi un'idea esatta di questo principe delle tenebre, la sua effige, a uso del volgo, si trovava riprodotta a profusione nei timpani dei portali delle cattedrali, sulle vetrate delle chiese, nei bassorilievi dei cori, agli angoli delle grondaie e dei tubi pluviali che si popolavano di tutta una fama fantastica rappresentante in lineamenti presunti degli abitatori e padroni dell'inferno.
Il giudizio universale è il soggetto ricorrente preferito dagli scultori del periodo ogivale, probabilmente d'accordo col clero, per la decorazione delle facciate delle chiese sino al secolo XIV. Tali scene contengono sempre un certo numero di demoni nella rappresentazione dei quali gli artisti hanno dato libero sfogo alla loro straripante immaginazione.  
Uno dei più antichi esempi di scultura di questo genere è quello che orna il timpano della facciata occidentale della cattedrale d'Autun, che risale all'IX secolo; nella sua fattura arcaica e nella sua esecuzione primitiva non mancano tratti di viva bellezza e i visi di alcuni angeli e di alcuni beati sono d'una perfezione stupefacente.
Questo timpano è suddiviso in tre piani sovrapposti. Nel piano inferiore i mortali, risvegliati dal sepolcro, si avviano verso il giudizio in fila, e quì è particolarmente acccentuata l'espressione degli atteggiamenti dei volti. Giunti verso l'estremità destra della composizione, essi vengono afferrati da due mani gigantesche che ne serrano il volto in una specie di morsa e li sollevano al piano superiore in cui ha luogo il Giudizio.
Alla volta celeste è sopra una bilancia l'anima del defunto viene messa su uno dei piatti che un angelo cerca di far pendere dalla propria parte. I demoni sono cinque e d'una bruttezza uniforme, quasi stilizzata; uno d'essi cerca di far pendere la bilancia dalla sua parte tirando il piatto, mentre con l'altra mantiene un dannato per la collottola, quasi fosse un gatto: una specie di serpente gli sta aggrovigliato intorno alle gambe. Un altro demonio più piccolo si è addirittura messo senza tanti complimenti sul piatto stesso della bilancia; un terzo con in mano un rospo enorme sembra assistere in preda alla rabbia all'operazione. Dietro a questi, un demonio, in una posizione alquanto inverosimile, infila alcuni dannati in una tinozza, mentre un quinto, sporgendosi col busto fuori dalle fauci mostruose d'un drago, afferra con due braccia alcuni dannati che già forse credono, poveretti, di sfuggire al supplizio eterno.
Lo scultore, ha riservato ai demoni i più vistosi difetti di proporzioni: essi sono allampanati e scheletrici, hanno gambe e toraci scanalati come colonne romane, mentre il rictus della bocca ispira tale raccapriccio da rendere più terribile la ferma serenità del Giudice eterno, assiso nella sua gloria e sovrastante tutta la scena.
Molto più ricca e varia è la scena del timpano della cattedrale di Bourges che tratta lo stesso tema. Un angelo ampio e disteso tiene nella mano destra la bilancia del giudizio, che un piccolo diavolo dalle orecchie di pipistrello installato su uno dei piatti non riesce a far pendere dalla propria parte (fig. 4.) Con l'altra mano l'angelo accarezza affettuosamente la testa di un grazioso bambino nudo che non manifesta alcun timore di essere dannato osservando che la bilancia su cui viene pesata la sua anima pende decisamente dalla parte delle buone azioni.
Un diavolo lo spia, ma si tratta d'una creatura ben diversa di quelle d'Autun, con un viso maligno e sarcastico che fa di lui il diretto predecessore di Mefistofele: questo è già indubbiamente il diavolo dei maghi, il diavolo dei patti, colui che assisterà più tardi troneggiando al sabba e giocherà tiri scandalosi alle suore di Loudun. Egli è persino più conforme all'antica tradizione dei padri del deserto, in quanto ritroviamo in lui il naso a uncino e i corni del demonio che, a quanto dice sant'Antonio, tentò san Paolo l'eremita.
Gli altri due diavoli di questa scena presentano caratteri diversi e notiamo in essi deformità anatomiche e patologiche che diventeranno d'ora in poi gli attributi essenziali del demonio: due d'essi hanno infatti sul ventre un secondo viso tondo come la Luna, mentre un altro diavolo con ali sul posteriore, presenta sul petto due seni a forma di testa di cane.
All'estremità della scena c'è la caldaia infernale, d'un realismo fantastico e sconvolgente. Il fuoco è fornito da una mostruosa figura riversa che dalla bocca smisuratamente larga sputa fiamme; su queste soffiano, per attizzarle, due demoni dal volto avvinazzati, patibolari e truculenti; è questa la famosa gola dell'inferno, il gorgo dell'abisso, il marasma di zolfo e pece che non si estinguerà per tutta l'eternità.
Questo fuoco riscalda una vasta tinozza in cui cuociono i dannati, azzannati per di più da animali ripugnanti; un diavolo di cui non si vede il volto li pigia con brutalità, mentre un altro li ammucchia con una specie di bastone dalla lunga impugnatura. Nello spaventoso realismo con cui è trattata questa scena si riscontra l'influenza, di alcune pagine della letteratura medievale, come le visioni di san Salvo e dall'abate Sonniulfo riferite da Grégoire de Tours, o quelle del monaco d'Eversham del XII secolo, di cui Mathieu Paris ci ha lasciato una impressionante descrizione.
I monumenti della scultura medievale, quale che sia la loro importanza, non sono altro che vestigia, dato l'incalcolabile numero di distruzioni dovute alle cause più disparate - vandalismi, trasformazioni o demolizioni di edifici - non sarà difficile giungere alla conclusione che la scena del giudizio universale doveva essere riprodotta in tutte le chiese d'un certo rilievo della cristianità.
Sul timpano dell'abbazia benedettina di Conques nell'Oveyron, un diavolo brandisce una specie di minaccioso bastone col quale batte i dannati; nel portale del duomo di Bamberga in Baviera un altro demonio tira un dannato con una catena.
Di fronte alla teologia, o scienza di Dio, la demonologia, o scienza del demonio, sua odiata rivale, trovava posto sul portale stesso dei templi che ospitavano la <<carne di verità>>. Chi avrebbe dunque potuto dubitare dell'esistenza di tutto questo mondo invisibile e oscuro che opponeva l'esercito dei diavoli a quello degli angeli?  E' ben vero che i teologi dissertavano con molto maggiore insistenza sulla natura di Dio, sulla sua bontà, sulle sue qualità infinite, che non sui diavoli: volontariamente o no, questi li lasciavano in una specie di indeterminatezza che non poteva non eccitare la curiosità popolare.
Nel momento in cui la scultura religiosa comincia a decadere per aver voluto rinnovarsi alle fonti pagane, l'arte cristiana accetta di piegarsi a forme primitive, come alla miniatura dei manoscritti o alle incisioni su legno degli incunaboli; le rappresentazioni infernali comunque passano nelle nuove arti ed esercitano sullo spirito umano la stessa influenza. Il famoso affresco diabolico della cappella di Stratford-on-Avon e quelli del camposanto di Pisa continuano la tradizione dei secoli passati, andando, grazie alla loro arte più facile, ben al di là delle già audaci creazioni degli scultori.
Un incunabolo tedesco di Jcobus da Theramo stampato ad Augusta nel 1473 e intitolato: Hie hebt sich an das bich Belial genant o più semplicemente Don bich Belial contiene un'incisione su legno rappresentante la bocca dell'inferno (fig. 5) che non ha nulla da invidiare  alle più orripilanti composizioni scultoree del XII secolo. La gola del drago è tenuta aperta da un solido palo di legno ai lati del quale stanno due diavoli, l'uno con l'occhio atteggiato a un'espressione spaventosa e l'altro con un riso da buontempone sul volto, espressione tanto più minacciosa dato il tipo di personaggio. Sul fondo ce n'è un altro che mostra un volto rabbioso, mentre il loro padrone Belial se ne sta al di fuori dell'abisso tenendo con essi un misterioso conciliabolo.
I pittori del XVI secolo, mitigarono la crudezza dei particolari e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni del giudizio universale, adottandone la rappresentazione alle esigenze di un'epoca già intaccata dallo scetticismo; ma gli incisori soprattutto fiamminghi e gli olandesi, dando libero sfogo al loro temperamento, si abbandonarono a vere e proprie orge della fantasia in cui si nota ancora una certa ingenuità, o una certa mancanza di rispetto.
Luca Cranach. il Vecchio (1472-1553), interpreta la scena in cui al termine del giudizio i dannati sono gettati nell'inferno (fig. 3). Il diavolo-istrice, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntuta, sono creature che ritroviamo spesso negli incisori del XVI secolo. il diavolo-istrice che vediamo a destra, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntita, sono creature che ritroveremo spesso negli incisori del XVI secolo.
In una stampa del maestro fiammingo Bruegel il vecchio, incisa nel 1558 da Cock (fig. 6) che, in una composizione a prima vista severa, introduce i particolari più stravaganti. La composizione di questa scena del giudizio è uguale a quelle delle cattedrali: il Figlio dell'uomo, assiso tra le nuvole, pronuncia le parole fatali: <<Venite, benedicti Patris mei, in Regnum aeternum; ite, maledicti Patris mei, in ignem sempiternum>>. La gola immensa dell'inferno occupa la parte destra del quadro ed è rappresentata dalla bocca di un pesce di proporzioni coloniali. Il torrente dei dannati vi si precipita; i demoni che li spingono non hanno più la figura umana deformata dei secoli precedenti, ma assumono le forme più assurde: uccelli da preda, rettili, batraci inverosimili gnomi dal becco piatto e dalle mandibole mostruose che sembrerebbero ispirati dalla forma preistorica e dalla paleontologia, se queste scienze a quell'epoca fossero state conosciute.
Nelle incisioni di Hieronymun Bosch, incisore olandese (1460-1518). La sua composizione dal respiro immenso è animata da un movimento, da una frenesia e da una vita tumultuosa e malata: e un turbinio di esseri indefinibili e malefici, nelle pose più indecenti e contorte, qualcosa che ricorda il sabba.
Una scena analoga a quello del giudizio universale, del XVI secolo, è quella della Discesa di Gesù all'inferno ci mostra Gesù Cristo che trionfa su un demonio, mentre altre due creature infernali cercano di impedire la figa dal limbo ai giusti che il Salvatore viene a liberare; i tre guardiani dell'inferno hanno quì volti d'uccelli rapaci, complicati da tentacoli e speroni, come corazze d'ippocampo o armature bergamasche.
Bruegel: I giusti liberati dal limbo. Il Cristo in un medaglione centrale mantiene tutta la imperturbabilità nel liberare la folla dei giusti dal limbo, senza alterarsi di fronte alla grottesca fama infernale che lo circonda, come quell'essere indefinibile sormontato da un elmo con visiera e il cui corpo è qualcosa di mezzo tra un maggiolino e l'uovo; il guscio si apre per lasciare uscire una nidiata di bambini liberati.
L'arcangelo Michele trionfa su Lucifero. Questa scena, si ricollega alle più profonde radici della teologia: l'angelo sconfitto identificato col Satana dell'Antico Testamento viene di solito rappresentato in forma di drago, così come appare nelle vetrate delle cattedrali dei secoli precedenti.
Verso la fine del medioevo la scena del giudizio individuale, che di rado la scena del giudizio individuale, che di rado figura nelle chiese, assume una certa importanza e tende anzi a sostituirsi a quella del giudizio universale, fino al punto che uno dei soggetti trattati più sovente dagli artisti diventa il moribondo affiancato da angeli e demoni che se ne disputano l'anima.
(Fig. 10)L'Ars moriendi, pubblicato ad Augusta tra il 1470 e il 1471. Un monaco consegna a un moribondo un cero acceso, mentre il coro degli angeli ne raccoglie l'anima rappresentata da una figurina nuda, a destra la crocifissione per significare che il moribondo partecipa ai meriti della croce del Salvatore. Ai piedi del letto però troviamo i nostri bravi demoni del timpano delle cattedrali sotto apparenze grottesche e orride: uno ha la testa di cane rabbioso, un alto di asino che getta alti ragli; un terzo, ai piedi della croce, è una caricatura di ebreo, mentre altri due con occhiali si contorcono mostrando zoccoli biforcuti di capra e poggiando su zampe a tre dita da gallinaceo. In un coro di rabbia e di disperazione nel vedersi sfuggire quell'anima, gridano come spiega la scritta delle banderuole:
Heu insanio
Spes nobis nulla
Animam amisimus
Furore consumor
Confusi sumus
IL poema, la cui influenza fu fin dalla fine del XIII secolo piuttosto importante in Europa, contribuì ad affermare le verità religiose incontestabili. Eppure questo inferno più moderno, più filosofico, con i suoi cerchi di dannati e il suo particolare simbolismo e diverso dall'inferno tradizionale. Il poeta, immaginando il castigo supremo per Giuda Iscariota, il più grande criminale dell'umanità, lo fa divorare dallo stesso Satana: .. è Giuda Scariotto Che'l capo ha dentro e fuor le gambe mena (Inferno, Canto XXXIV).
La vigorosa incisione su legno è tratta da un'edizione italiana: Opere del divino poeta Danthe; Venezia, Bernardino Stagnino, 1512, in 4°. Satana vi è rappresentato con una testa a tre volti, e mentre con la bocca anteriore diversa l'Iscariota, le sue due bocche laterali divorano ciascuna un dannato.
In tempi a noi più vicini, in paesi arretrati poco sensibili alle raffinatezze della civiltà, la chiesa presenterà ancora al popolo il diavolo sotto una forma più volgare; ricorrendo alle risorse della meccanica per dar luogo ad una puerile fantasmagoria.
In un mobile conservato al museo di Cluny a Parigi, probabilmente d'arte calabrese, eseguito verso l'inizio del XVII secolo, alcuni hanno creduto di riconoscervi una rappresentazione del cattivo ladrone mentre è abbastanza certo che il personaggio oscuro dal viso contratto e orribile che mostra una enorme lingua rossa è un diavolo che appare ad una finestra praticata nel mobile, simile ai teatrini per marionette. Un ingegnoso sistema di corde, pulegge, molle e contrappesi, che funziona ancor oggi, permetteva di far apparire a comando questa figura mostruosa, per terrorizzare qualche peccatore incallito e ribelle che si rifiutava di confessare le proprie colpe.
In fine se arriviamo all'epoca delle creazioni popolari, sono innumerevoli i documenti iconografici che hanno come fine quello di produrre nelle anime lo stesso terrore suscitato in molte epoche delle sculture delle cattedrali.
La buona confessione: un penitente arriva dalla destra della scena incatenato da un diavolo cornuto e ricoperto solo d'un perizoma; una penitente confessa le sue colpe nel confessionale e la grazia che discende dai meriti del Cristo spezza le catene che la legavano ad un altro diavolo, un terzo penitente esce a destra del confessionale condotto dal suo angelo custode, mentre un altro angelo gli tende una corona dal cielo. Nei due medaglioni degli angoli superiori vediamo il figliol prodigo peccatore e quindi lo stesso che si concilia col padre.
La cattiva confessione: un diavolo dal grugno sordido si è infilato sfrontatamente nel confessionale e tappa la bocca d'una penitente che nasconde le proprie colpe. A destra e a sinistra sette diavoli conducono sette penitenti incatenati, che si direbbe abbiano commesso ciascuno uno dei sette peccati capitali, a giudicare dai quadri retti dai diavoli essi rappresentano la collera mediante un uomo che brandisce una spada, l'orgoglio nelle vesti di un pavone che fa la ruota, la lussuria un convegno d'amore, la pigrizia con un uomo che dorme Due diavoli tendono alle loro vittime una borsa di scudi e una bottiglia che simbolizzano l'avarizia e l'ubriachezza; infine c'è l'invidia, che il diavolo cerca di suscitare mostrando la borsa di scudi dell'avaro.
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paoloxl · 7 years ago
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Sono passate da poco le 11 di sera, in radio siamo in una ventina, sto lavorando con mio fratello per riuscire a collegare dei ricetrasmettitori CB da portare in giro per la città e fare delle interviste volanti, intanto si discute dei fatti accaduti. La situazione nelle strade si è tranquillizzata, gli scontri che erano ricominciati anche questa mattina si sono fermati. Cominciamo a credere che siano finiti del tutto. Il manifesto di lancio della radio Improvvisamente sentiamo battere forte alla porta e, dalla finestra che guarda sulle scale, vediamo la polizia con i mitra spianati e i corpetti antiproiettile, una roba da squadra swat nei film americani. I compagni decidono di scappare dai tetti, rimaniamo in quattro, un quinto verrà arrestato sulle scale. Quei minuti drammatici di trasmissione fanno parte della storia della radiofonia e li potete ascoltare da qui. (Umberto Eco li userà poi per tenere una sua lectio magistralisalla Sorbona di Parigi, sulle forme di comunicazione radiofonica). Radio Alice non viene perquisita, viene letteralmente svuotata di ogni cosa, la polizia porta via perfino i telefoni di proprietà Sip (l’allora Telecom). Noi veniamo arrestati e, una volta negli uffici della “Mobile”, veniamo pesantemente picchiati dai poliziotti (Il dottor Lomastro, capo della Mobile, anni dopo dichiarerà a Repubblica, che quando ha saputo che eravamo stati picchiati gli è spiaciuto e mi ha chiesto scusa. Mentiva). In carcere ci siamo stati diversi mesi, io “solo” tre e mezzo, ma Stefano Saviotti oltre cinque. Ma per cosa? L’accusa era ovviamente ridicola: siccome uno dei ragazzi che avevano trasmesso la mattina aveva invitato gli ascoltatori a partecipare agli scontri, il magistrato sosteneva che la Radio dirigeva gli scontri, che tutti noi avevamo costituito la radio un anno e mezzo prima per poter delinquere poi, quando ce ne sarebbe stata l’occasione. D’altronde la responsabilità penale è personale e volendo arrestarci tutti e non solo chi aveva detto la frase, si era inventato questa roba assurda. Neanche a dirlo, quando sette anni dopo si sono degnati di processarci, l’assoluzione l’ha chiesta prima di noi il pubblico ministero. Ma perché Radio Alice? Radio Alice era da sempre una spina nel fianco dei partiti, delle istituzioni e degli affaristi. La radio non conosceva nessun filtro e nessuna censura, quindi chiunque poteva venire/telefonare in radio e trasmettere in diretta ciò che vedeva sui luoghi di lavoro e negli uffici, dire ciò che pensava di qualsiasi politico o amministratore. Più volte esponenti di PCI e DC ne avevano chiesto la chiusura. Mal sopportavano le trasmissioni satiriche, che li deridevano. Non avevano certo riso quando Bifo telefenò in diretta ad Andreotti, spacciandosi per Umberto Agnelli, e dicendogli che gli operai, sotto le sue finestre gridavano “Andreotti, tu sei pazzo, noi non pagheremo più un cazzo!”. La radio era diventata il cuore della creatività antagonista, il luogo in cui si trovavano tutti gli artisti, i maestri bolognesi del fumetto (Bonvi, Scozzari, Pazienza …), i musicisti demenziali o meno (Skiantos, Claudio Lolli, Gaz Nevada, Guccini, la Sarabanda …), i poeti e gli scrittori, i pittori e gli scultori, gli attori e i registi, i giornalisti. Tutti questi collaboravano, progettavano e trasmettevano assieme all’operaio, allo studente, al disoccupato, al collettivo “frocialista”, al collettivo femminista, ad un gruppo di maschi rattristati dalle morose che li avevano lasciati perché diventate femministe, ai fuorisede della Val Camonica. E’ evidente che una simile amalgama di irrispettosa creatività non poteva che scontrarsi con chiunque ritenesse se stesso una persona seria, il suo ruolo istituzionale serio, il suo partito serio. Alice non rispettava niente e nessuno, neanche se stessa, figuriamoci gli altri. Non aveva filtri e censure, abbiamo detto, ma non aveva neanche palinsesto (chiunque poteva trasmettera quel che gli pareva, quando gli pareva, perché gli pareva), non aveva una redazione (nessuno decideva quali notizie dare, se e perché). Uno dei nostri motti era “Notizie forse vere, forse false, ma sicuramente tendenziose”. Radio Alice era il faro dell’intelligenza che squarciava la buia notte dei grigi, degli ottusi e dei pericolosi. Su Radio Alice sono stati scritti una dozzina di libri, non solo italiani, sono stati girati due film (un documentario e uno di fiction), scritte centinaia di tesi di laurea, pubblicati migliaia di articoli di giornale, di blog e siti web, trasmissioni radiofoniche e televisive, le sono stati dedicati spazi nelle gallerie d’arte (anche alla GAM di Bologna, c’è uno spazio su Alice). Non c’è corso universitario sulla comunicazione che non la citi, ancora oggi, ma già nel ’76 abbiamo ospitato delegazioni universitarie olandesi, francesi e non ricordo più cosa, venute a studiare il fenomeno e la forma comunicativa. Tutto questo è sopravvissuto alla chiusura manu militari e ad ogni forma di repressione, malgrado Radio Alice non abbia memoria.
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