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La vera storia dietro "La canzone di Marinella"
Quella di Marinella è una storia vera, ambientata a Milano. Non tutti sanno che la celebre canzone di Fabrizio De André, scritta nel 1964, non è frutto della fantasia dell'autore, ma si ispira a un dramma reale: la vita di Maria Boccuzzi, una giovane ragazza arrivata dal sud Italia con il sogno di diventare ballerina.
Un sogno spezzato
Maria Boccuzzi nacque nel 1920 a Radicena, in provincia di Reggio Calabria. La sua famiglia si trasferì a Milano quando lei era ancora bambina, alla ricerca di un futuro migliore. A soli 14 anni, Maria si innamorò di uno studente universitario e, contro il volere della sua famiglia, scappò con lui per vivere in una soffitta. Tuttavia, la relazione durò appena un anno, lasciandola sola e disonorata.
Dopo aver lasciato il suo lavoro in una ditta di lavorazione del tabacco, Maria decise di inseguire il suo sogno: diventare ballerina. Iniziò così a esibirsi nei piccoli teatri d'avanspettacolo sotto il nome d'arte Mary Pirimpo, ma senza mai raggiungere il successo sperato.
In questo periodo conobbe Luigi Citti, un uomo affascinante e frequentatore di locali notturni, che le promise di aiutarla a sfondare nel mondo dello spettacolo. Fu lui a presentarla a Carlo Soresi, un impresario che, in realtà, era un protettore. Maria si ritrovò coinvolta in un mondo pericoloso e finì per strada a soli 20 anni, ma continuava a coltivare la speranza di una vita diversa, sognando di aprire un negozio e di ricucire i rapporti con la sua famiglia.
Purtroppo, questi sogni non si realizzarono mai. Maria fu uccisa con sei colpi di pistola e gettata nel fiume Olona, dove il suo corpo venne ritrovato il 28 gennaio 1953.
Un mistero senza risposta
I principali sospettati furono Luigi Citti e Carlo Soresi, ma entrambi riuscirono a dimostrare la loro estraneità ai fatti. Nonostante l'ampia copertura mediatica, le indagini si arenarono e l'omicidio di Maria rimane ancora oggi un mistero irrisolto.
La sua tragica storia è stata resa eterna da Fabrizio De André, che ha saputo trasformare il dolore di una vita spezzata in una delle sue ballate più celebri: "La canzone di Marinella".
Fonte Web Univers
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Mi hai chiesto una poesia
che parlasse del Natale,
che ti piace così tanto,
ma non l’ho;
la cerco in questa casa senza facce,
fra le rose luminose con la pila,
che ho comprato dai cinesi, già frugate
nei cestoni da altre mani,
ma non c’è.
Io vorrei darti le pigne che ti aspetti,
i teatri in miniatura con la neve.
Non lo sai quanta cannella, quanto muschio,
quanti piccoli pacchetti bianchi e rossi,
ti darei,
ma il Natale non è
qui con me;
l’ho lasciato alla bambina che guardava
il disegno sul servizio
di piatti di Limoges,
svenduto al primo offerente,
l’ho soffiato via col talco nelle calze
di mia nonna,
l’ho perduto nel gonfiore delle dita
che graffiavano nel gelo i parabrezza
di una fuga,
l’ho mangiato,
a piccoli pezzetti, anno
dopo anno,
sulla tavola, da sola.
L’ho dormito,
pregato via, dissolto
nella scusa fosse un giorno come un altro.
E ora non ho più
Natale
per la semplice poesia che tu mi chiedi.
Mi è rimasta:
la coda da lucertola a ricrescere
della stella che realizza i desideri
e la nascita del giorno
di ogni giorno che verrà,
te le lascio tutte e due,
a te che forse
sei l’unica persona che saprebbe
farmi amare anche il Natale.
Beatrice Zerbini
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Ha sempre il suo fascino lavorare nei piccoli teatri retrò.
E per "piccoli" piaceri quotidiani, intendo anche queste sfaticate che però ti riempiono cuore, intelletto e ti fanno tornare a casa con il sorriso.
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CORPO A CORPO – LOUNGE – TERMINAL BEACH | Gender Bender parla ai corpi e alle persone
Ho passato un weekend a Bologna all’insegna di Gender Bender. File fuori dai teatri, abbracci calorosi, ciocche colorate e camicie stravaganti. A Bologna festival come questo parlano ai corpi e alla gente, muovono le masse, fanno incontrare grandi e piccoli in luoghi nei quali non si sarebbero mai incrociati altrimenti.
Come nei sotterranei di Palazzo Bentivoglio che ospitavano, sopra un cubo specchiato e umido, la performer Claudia Caldarano nella nuda semplicità del suo corpo, pesante, scivoloso, bagnato, tutto goccioline. Si vedeva tutto di lei. Dritta su quel parallelepipedo lucido si lasciava circondare dal pubblico che, seduto a terra o appoggiato alle pareti, tentava di stare con lei ancora un po’. Tra uno stiramento e un piegamento, una posizione yogica, un tentativo di disequilibrio, uno scivolamento e un tonfo, il suo corpo cambiava forma e schema, visibilmente affaticato ma non per questo rassegnato. Nel voltarsi, si poteva notare una macchiolina rossa in fondo alla schiena. Anche l’addome era rosso, segno di un passato sfregamento. Peli e pelle. Muscoli attorcigliati e poi tesi. Un’anatomia da sezionare con gli occhi.
Un sottile velo d’acqua ricopriva tutte le superfici. Anche Claudia era bagnata, le cadevano goccioline dai capelli. In un momento concitato, per un braccio agitato una ha schizzato sulla mia guancia. Ho sentito il bagnato e mi sono immaginata di essere al suo posto, completamente nuda, completamente bagnata. Fradicia, avvolta in una condizione umida. Umidi i suoni, quasi stridori, a volte urla. Umida l’aria. La pesantezza e la resistenza di un corpo per raccontare la condizione umana in relazione allo spazio e allo sguardo di chi lo attraversa. Anche il mio.
L’Ateliersì ha accolto invece Margarida Alfeirão e Mariana Benengue in un duo dalla forte carica sensuale. LOUNGE è stata carica erotica tesa al limite, accenno e mai volgarità, nel piccolo e morbido, nell’attesa più che nell’atto in sé. Le due performer, spesso al centro di un cono di luce, ora blu, ora giallo, ora viola, si muovevano sinuose, guidate dai fianchi che a piccoli cenni trascinavano il resto del corpo in micro onde. La musica spingeva ma i corpi resistevano. Indugiavano. Ancora.
Il gioco alludeva a una sessualità profondamente femminea, orgasmica, lenta, morbida, che sapeva di acqua e di moti ondulatori. Una sessualità da leccarsi le dita, da scambiarsi la saliva, da afferrare, da tirare i capelli. Il confine tra dare e avere, tra pubblico e privato si faceva sottile mentre i pieni e i vuoti, le luci e le ombre ribaltavano di continuo i punti di vista e di forza fino a sottrarre alla vista del pubblico le scene più saporite.
E domenica sera, nella nebbia dell’autunno che scivola verso l’inverno, ci siamo ritrovati tutti, ma proprio tutti all’Arena del Sole per TERMINAL BEACH. Un potpourri di scene prese dai mondi più diversi, abilmente cucite insieme dal coreografo Moritz Ostruschnjak, andava dall’America dei cowboys, ai supereroi della Justice League, attraversando sfilate trionfali sulle note del Nabucco e sfrecciate a tutta velocità sui rollerblades col rischio di scontri fatali.
Sul palcoscenico sgombro da quinte e fondali, periodi, generi, stili e tecniche differenti si susseguivano in andirivieni di passati e presenti fino a sventolare l’ultima bandiera, quella di una rivoluzione senza tempo, di tutte le generazioni, del per sempre e del mai.
Credits
CORPO A CORPO Ideazione e performance: Claudia Caldarano Consulenza artistica: Pietro Gaglianò Produzione: Mo-wan teatro Con il sostegno di: Nina
LOUNGE Concept: Marga Alfeirão Performance: Mariana Benengue, Marga Alfeirão Choreografia e Ricerca: Myriam Lucas, Cajsa Godée, Mariana Benengue Music Editing & Mixing: Shaka Lion, Hinna Jafri Scenografia: Yoav Admoni Costumi: Nani Bazar Styling: Marga Alfeirão und Mariana Benenge Light Design: Thais Nepomuceno Dramaturgie: Jette Büchsenschütz, Mateusz Szymanówka Supporto nella distribuzione: neon lobster / Giulia Messia & Katharina Wallisch Prodotto da Marga Alfeirão, in Co-Produzione con SOPHIENSÆLE
TERMINAL BEACH Coreografia: Moritz Ostruschnjak Collaboratrice coreografica: Daniela Bendini Danza: Guido Badalamenti, David Cahier, Daniel Conant, Robero Provenzano, Miyuki Shimizu, Magdalena Agata Wójcik Progettazione luci: Michael Peischl Dramaturg: Armin Kerber Costumi: Daniela Bendini, Moritz Ostruschnjak Mixaggio e montaggio musicale: Jonas Friedlich Direzione della produzione: Susanne Ogan Direzione: Alexandra Schmidt In tournée: Pascal Jung PR: Simone Lutz
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Blue Filange: “Se non te”
In radio dal 20 settembre il nuovo singolo che esplora il tema della gratitudine verso se stessi e della forza interiore
“Se non te”, il nuovo singolo di Blue Filange, rappresenta un viaggio introspettivo e personale, in cui l’artista esplora il tema della gratitudine verso se stessi e della forza interiore.
Il brano è un inno per tutti coloro che non si sono mai sentiti abbastanza e che non sapevano di avere il merito dei loro successi, piccoli o grandi che fossero.
«”Se non te” è una canzone che parla di me stessa. Ho speso sempre tanto tempo per gli altri e ho cominciato proprio la mia carriera dedicando i miei pezzi alle persone che mi hanno dato una mano, ma non sono mai stata grata a me stessa. Con questa canzone voglio ricordarmi che io sono la mia forza migliore, il mio supporto più grande.”» Blue Filange
Il brano è a firma M. Foderà e F. Vaccaro ed è stato registrato presso Vs Advice Music Recording Studio da Alberto Boi e Savino Valerio.
Blue Filange, il cui nome d'arte nasce dall'unione del suo cognome Filangieri, pronunciato e tagliato alla francese, e dalla sua passione per il colore azzurro, è un'artista italiana con una carriera musicale ricca e variegata.
Appassionata di musical e film di animazione Disney, Blue Filange ha coltivato il suo talento collaborando con teatri amatoriali e partecipando a concorsi canori in piccoli paesi. Dopo essersi diplomata in lingue straniere e aver capito che l'università del cinema non era la sua strada, ha iniziato a lavorare per strutture turistiche, esibendosi su palchi sempre più grandi.
A 23 è stata ammessa all’MTS di Milano, dove ha studiato per un anno e mezzo. Con una tecnica migliorata e una maggiore sicurezza, Blue Filange ha iniziato a partecipare a vari contest, tra cui il Tour Music Fest con la cover "Quando Viene Dicembre" di Tosca, Sanremo New Talent con la canzone "Io non Credo nei Miracoli" di Laura Bono, e The Coach, un programma televisivo su 7gold, ottenendo ottimi risultati.
Nel 2022, ha collaborato con l'etichetta discografica Up Music Studio con la quale ha pubblicato nel 2023 i singoli "Vorrei di Più" e "MAD(a)ME". Nel gennaio 2024 ha scritto "MARASma", pubblicato durante il Festival di Sanremo 2024, con showcase e interviste radio a supporto.
Oggi, Blue Filange collabora con Advice Music e lo studio di registrazione Vs Advice Music Recording di Milano. Il 20 settembre uscirà in radio e digital store il nuovo singolo “Se non te”.
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Nasce "Digital Dante", l'IA nei panni del Sommo Poeta
Dante si proietta verso il futuro attraverso un “virtual twin” avveniristico. Questo avviene proprio nel periodo in cui gli esperti collocano la sua nascita a Firenze nel 1265, tra il 21 maggio e il 21 giugno. Il compito di “Digital Dante”? Diventare un ponte tra passato, presente e futuro, offrendo risposte precise e accurate a persone di tutte le età sulla sua vita, sulla Divina Commedia e molto altro. Alla base di questo gemello virtuale c’è QuestIT, un’azienda tecnologica senese specializzata in intelligenza artificiale. Cos'è Digital Dante? Il sommo poeta abbraccia non solo il presente, ma anche il futuro, diventando un avatar di ultima generazione grazie all’IA. Questo avatar, “Digital Dante”, integrato in sistemi come siti web o totem interattivi, sarà in grado di rispondere in modo chiaro a domande sulla sua vita, sulla Divina Commedia e su altre curiosità culturali, creando un’esperienza di apprendimento immersiva e divertente per tutti. La creazione di questo avatar è opera della tech company italiana QuestIT, con sede a Siena. “Per realizzare quest’impresa, siamo partiti dall’analisi della maschera di morte di Dante, ricreandone fedelmente le sembianze,” spiega Ernesto Di Iorio, CEO di QuestIT. “Abbiamo poi vestito l’avatar in modo da rispecchiare l’iconografia classica di Dante. Grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche dell’Università di Siena, grandi e piccoli possono vivere un’esperienza indimenticabile e chiarire dubbi culturali di ogni tipo”. I suoi compiti Il virtual human può essere utilizzato sia per scopi educativi, in università, scuole o da casa per l’e-learning, sia come guida virtuale nei musei. Inoltre, “Digital Dante” è dotato di un Large Language Model che gli permette di emulare al 100% il tono di voce del poeta italiano, utilizzando latinismi ed espressioni popolari dell’epoca. In questo modo, “Digital Dante” offre un’esperienza senza precedenti nel mondo della cultura e dell’intelligenza artificiale. L’avatar, addestrato tramite la piattaforma conversazionale Algho, è in grado di comprendere le domande degli utenti e rispondere con precisione, elaborando dati dalle opere di Dante. Questa creazione rappresenta un esempio di come i mondi della cultura e della formazione possano avvicinarsi all’IA e sfruttarne le potenzialità. Secondo un recente report del Politecnico di Milano, solo il 3% dei musei e teatri italiani utilizza avatar o assistenti virtuali: è necessario un cambiamento, e siamo convinti che “Digital Dante” sarà solo la prima di molte innovazioni che spingeranno l’Italia verso una nuova era in cui le nuove tecnologie saranno il motore dei principali settori operativi, inclusa la cultura. Foto di Michael da Pixabay Read the full article
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A luglio '23 qualcosa ha fatto crack. adesso se mi faccio una foto e la guardo mi vergogno, penso "che penserà chi me vede?" "sembro 'na bambina" "ho uno sguardo da fessa" "sisi popo sensuale sembro come no" e me vergogno a guardarmi. un po' è come se un buchino, prima insignificante, mo si è allargato tanto da rovinare la veste.
non riesco a pensare "ve' vara che bona che so", se non sono truccata almeno, ma manco truccata perché non riesco a fare quel tipo de trucco stile cat eye che te fa sembrare irraggiungibile e che si fanno tutte le ragazze che vogliono sembrare irraggiungibili. ho gli occhi troppo teneri e grandi e la forma poi è particolare e il cat eye è difficile da fare.
vabbè la sostanza non è il cat eye. scusat l'excursus.
la sostanza è che nun me riesco a vedè. o almeno non riesco più a vedermi, e guardare e pensare: "ho dei begli occhi però eh, sono grandi, profondi, hanno quella loro forma particolare poi, e le sopracciglia?? Manu, ne vogliamo parlà? sono popo bella oh. e che labbra 😏😏"
capito? tutto ciò di particolare che prima valorizzavo, mo non è niente di chè anzi è na cosa che non vorrei più.
me penso "particolare, non va bene, non voglio essere così" luglio 2023 mi ha rotto l'autostima.
e niente. lo condivido solo perché è triste, ed è una realtà. non sono sicuramente l'unica che pure senza avere nulla che non va, si fa questi pensieri e non riesce più a sentirsi bene con se stessa. e se ci penso mi dispiace, non è giusto alla fine. non è giusto per niente. una persona non deve sentirsi così. non deve correre dietro falsi canoni estetici, false foto, falsi corpi. non deve pensare di non andare bene solo perché non ha gli occhi allungati tipo da gatto, o le labbra carnose tipo da mordere, o la vita stretta, la pelle chiara, più scura, meno segnata. avere paura di non sembrare bella. sembrare. è proprio brutto che ti fanno pesare il modo in cui sembri, solo perché agli altri non interessa come sei.
cioè se io ho no sguardo da fessa sarà il mio sguardo no? saranno i miei occhi, grandi o piccoli o a mandorla o all'ingiù sono belli tutti e particolari e unici. nessuno dovrebbe incanalare un solo modo di essere. perché non tutto il mondo è in quel modo, la parte che non lo è infatti finirà per volerlo sembrare. e si perdono molte cose importantissime come l'unicità. l'autostima. il valore che ci si da.
essere come ad altri piacerebbe non ci rende insostituibili. anzi, au contrarie ci rende sostituibilissimi. indifferenti. non interessanti. pure dimenticabili.
è veramente questo quindi il bene che ce vogliamo?
mo sto discorso lo devo indirizzare a me stessa, CAZZO SO BELLA A MODO MIO CHE ME FREGA SE NON HO GLI OCCHI DA DIVAAA. CHE ME FREGA SE NON PIACCIO A TUTTI, IO NUN JE VOGLIO PIACÈ. che me frega.. de tutto. a me piace leggere, me piace scrivere, pensare.
è raro pensare oggigiorno oh. so na rarità. e me critico pure, ma io non lo so veramente. de tutto il resto me ne scordo, che sono interessante, simpatica, particolare.. me ne scordo e penso solo ar fatto che nun so come sono quelle 4 tipe X su tik tok, instagram, tumblr, e compagnia bella
io sfonderò i teatri. vivrò al massimo tutti i momenti belli e tutte le cose che amo di sto cazzo de mondo. ne vale la pena di odiarmi?
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L'Appenino Emiliano-Romagnolo in festa con "Montagna Mia"
L'Appenino Emiliano-Romagnolo in festa con "Montagna Mia" Una cordata di trentatré festival, centinaia di appuntamenti tra concerti, spettacoli, camminate, letture e proiezioni che da maggio ad agosto punteggeranno valli e dorsali dell'Appennino emiliano-romagnolo, lungo otto province. È Montagna Mia, iniziativa dell'assessorato alla Cultura e Paesaggio della Regione Emilia-Romagna, realizzata da Ater Fondazione e agenzia Bunker (società responsabilità limitata) srl di Modena. Il dettaglio degli eventi è stato presentato oggi in conferenza stampa dall'assessore regionale alla Cultura, insieme al presidente e al direttore di Ater Fondazione, Natalino Mingrone e Roberto De Lellis. Montagna Mia si racconta attraverso una mappa, che ricorda quella degli escursionisti e degli amanti delle camminate sui monti, nella quale ogni festival è segnato come una tappa. Il pieghevole è stato messo in distribuzione nella rete dell'accoglienza turistica regionale. Produrrà anche uno spot che a giugno sarà proiettato sugli schermi delle stazioni di Bologna e degli altri sette capoluoghi di provincia con territorio montano. Tutti i supporti contengono un QR code che rimanda al portale ERCultura, media partner dell'iniziativa, che raccoglie tutti gli appuntamenti dei festival. Il logo e il design di Montagna Mia sono stati creati da Bunker in collaborazione con Ater Fondazione che ha coordinato il progetto. L'illustrazione è di Guido Scarabottolo, celebre illustratore e designer milanese, che ha disegnato numerose copertine per Einaudi, Guanda e Topipittori, e collaborato a riviste come L'Europeo, Internazionale, The New Yorker e The New York Times. La Montagna come patrimonio di Cultura Secondo il report Una Montagna da Vivere pubblicato dalla Regione a giugno 2022, in tutto il territorio montano regionale è diffuso un patrimonio molto rilevante di alto valore storico e culturale, fatto di città d'arte, testimonianze legate a epoche distanti, dall'età del bronzo alla battaglia partigiane; poi rocche, castelli, luoghi religiosi, piccoli borghi, edifici in sasso, antichi centri medievali, termali e archeologici. Nei 121 comuni montani dell'Emilia-Romagna sono censiti 270 luoghi di cultura, tra musei, biblioteche, teatri e cinema. In questo ecosistema sono nati e sono cresciuti, alcuni per decenni, progetti culturali importanti, rassegne internazionali che attirano spettatori anche da lontano, e che fanno parte delle eccellenze di questa terra ma anche festival di prossimità che si prendono cura delle comunità residenti e dei turisti slow che attraversano i nostri borghi. I 33 festival Sono in tutto trentatré i festival e le rassegne che hanno risposto alla chiamata di Montagna Mia e che si svolgono nei comuni montani della nostra regione da maggio a settembre. Scorrendo la mappa troviamo, tra i tanti, l'Appennino festival, che valorizza la musica popolare delle cosiddette Quattro Province, tra Parma e Piacenza, il Bobbio Film Festival che coniuga la direzione di Marco Bellocchio con lo scenario di uno dei borghi più belli d'Italia, e il Festival di Teatro Antico di Veleia, che anima l'omonima area archeologica, sulle colline piacentine. Ci sono festival itineranti come il Fol in Fest, il Val Tidone festival, a occidente, o l'Escursione teatrale di teatro Zigoia sull'Appennino romagnolo. Rassegne che battono i sentieri, come per i concerti di Crinali nel bolognese, o i Notturni nel bosco sulle alture di Sogliano, in Romagna, o gli appuntamenti del Trasparenze Festival, nei dintorni del borgo di Gombola, nel modenese. Ci sono rassegne che valorizzano i tesori paesaggistici, come le oasi naturali tra Piacenza e Parma del festival Parchi in Musica, o i concerti del festival Spaesaggi, che chiude il suo cartellone nella Rocchetta Mattei. Nella cordata di Montagna Mia ci sono anche Macinare cultura, il festival che associa un programma di spettacoli alla riscoperta dei mulini storici delle sette province montane, il Summer Opera Valley che porta la lirica nell'Appennino emiliano, e il festival Entroterre, con un programma ricchissimo di eccellenze concertistiche che attraversa tutte le province. Naturalmente, ci sono anche i festival celeberrimi, quelli che attirano pubblico da tutto il mondo, come il Porretta Soul, che trasforma l'Appennino bolognese nella capitale della musica dell'anima, o gli Artisti in Piazza del Pennabilli festival, che in quattro giorni anima un teatro internazionale a cielo aperto nel cuore dell'Appennino riminese. Fuoripista Tra i 33 festival di Montagna Mia, uno è alla sua prima edizione e nasce proprio dall'incontro tra questa iniziativa di valorizzazione dell'Appennino e il lavoro quotidiano di Ater Fondazione, che gestisce teatri pubblici nei centri medi e piccoli della regione. Il festival si chiama Fuoripista, è realizzato da Ater Fondazione e da Teatro Necessario, centro nazionale di produzione di circo contemporaneo di Parma, e da fine maggio a metà agosto compie un viaggio in sette luoghi dell'Appennino emiliano-romagnolo, attraverso sette province, insediando in ciascuna un piccolo villaggio temporaneo a tema circense che accoglie persone di ogni età e a loro rivolge una tre giorni di spettacoli di circo contemporaneo tra clown e acrobatica, animazioni, concerti, attrazioni speciali tutte da scoprire. Tutte le informazioni saranno via via pubblicate a questa pagina. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Intervista alla Compañia Poyo Rojo
Domenica pomeriggio, prima della seconda replica di Un Poyo Rojo a Scenario Pubblico, abbiamo incontrato Luciano Rosso, Alfonso Barón, interpreti dello spettacolo, e il regista Hermes Gaido. La Compañia Poyo Rojo fondata nel 2008 è composta da artisti coesi come una piccola famiglia, benché eterogenei nella formazione artistica basata tra danza, teatro, musica e sport. Il loro spettacolo è stato portato in scena, con più di 1400 repliche, in teatri di tutto il mondo. Dialogando con loro abbiamo scoperto qualcosa di più sulla storia della loro iconica creazione. Prima di lasciare loro la parola, una piccola premessa:
- Luciano Rosso ha interpretato inizialmente lo spettacolo insieme a Nicholas Poggi, suo partner anche fuori dalla scena. - Da loro deriva il titolo dello spettacolo – nonché il nome della compagnia: Nicholas Poggi - Luciano Rosso - Un Poyo Rojo... è un gioco di parole. - Insieme a Hermes hanno creato lo spettacolo in poco più di un anno a Buenos Aires. - Oggi in scena insieme a Luciano c’è Alfonso Barón, entrato all’interno della performance dopo aver visto la prima versione della stessa.
Come avete sviluppato il processo creativo? Luciano Rosso: all'inizio volevamo fare uno spettacolo di danza contemporanea, con un linguaggio astratto ma poi abbiamo virato verso qualcosa di più teatrale perché eravamo interessati a raccontare una storia più narrativa o, meglio, una relazione. All'inizio del lavoro, infatti, c’eravamo io e il mio partner e Hermes era il regista.
Hermes Gaido: Nicholas non si sentiva a suo agio con l'umorismo. È stato un problema perché voleva lavorare su qualcosa di più astratto. Così Alfonso ha imparato la parte di Nicholas.
Alfonso Barón: Nel pezzo originale ho visto una relazione reale sul palco. Ma io e Luciano non siamo una coppia. Con la regia di Hermes, abbiamo iniziato a cambiare il rapporto tra i due personaggi. C'era più resistenza, più conflitto, quindi più teatro. Abbiamo mantenuto la struttura originale, ma io ho un background diverso, un corpo diverso. Io e Luciano abbiamo trovato il nostro modo di raccontare quella storia. All'inizio ho impiegato molto tempo per capire lo spettacolo e poi per lavorarci, è stato davvero difficile. È stato semplice invece imparare le parti tecniche, ma non è questo il punto di Un Poyo Rojo. L'aspetto principale è il lavoro sull'interpretazione e la relazione tra i personaggi.
Riguardo la ricezione del pubblico, avete notato differenze nel corso degli anni e nei diversi luoghi? Luciano Rosso: direi che dipende più dai luoghi in cui ci esibiamo che dalla cultura del posto. In America Latina il pubblico è solitamente molto espressivo e partecipe, mentre in alcune zone d'Europa, come la Germania o il Belgio, le persone sono più tranquille, ma alla fine ti rendi conto che gli spettatori hanno apprezzato molto lo spettacolo e che lo hanno espresso in un altro modo, quindi sì, è sempre diverso.
Alfonso Barón: in generale c'è molta accettazione ed è molto bello anche perché è uno spettacolo che può essere recepito in tanti termini. Per esempio i bambini piccoli ci vedono come un cartone animato...Gli altri spettatori colgono vari aspetti: la parte tecnica, quella “poetica”, quella erotica… si passa attraverso un sacco di colori e texture per raccontare una storia semplice.
E in merito alla critica? Alfonso Barón: Abbiamo iniziato molti anni fa quando in Argentina non si accettava ancora il matrimonio tra uomini per esempio. Alcune critiche dicevano che questo spettacolo è omofobo o è contro la comunità LGBTQ+, perché ritenevano che avessimo un'immagine di retroguardia o che ci prendevamo gioco di loro. Comunque abbiamo avuto pochi commenti di questo tipo, ma non ne capisco ancora il motivo. Non attacchiamo nessuno e non veicoliamo un'informazione specifica per dire ai gay che abbiamo il diritto di baciarci o di non farlo affatto. E anche per i bambini, cosa c'è di nuovo? Siamo come cartoni animati…potremmo somigliare a Tom e Jerry, Bugs Bunny e Topolino! È una storia d'amore, la storia del primo bacio tra due uomini.
C'è stata qualche reazione particolare che ricordi di uno degli spettacoli che avete fatto negli anni? Alfonso Barón: Ho l’immagine in testa di una madre o un padre, non ricordo, che cercava di mettere le mani sugli occhi del figlio per non far vedere…e il bambino si dimenava come a dire: fammi vedere!
Come vi posizionate rispetto ai messaggi che arrivano al pubblico? Alfonso Barón: noi trattiamo la storia in modo fresco, cosicché sia naturale e facile da vedere. Tecnicamente ci sono molte cose che possono essere interessanti, ma noi raccontiamo la storia senza pretenziosità rispetto a temi dell'umanità, è come un gioco ma allo stesso tempo è politico e diciamo cose, diciamo un sacco di cose ma in una specie di modo cool, ecco perché è come se fosse facile da vedere.
A proposito di questo secondo voi che ruolo dovrebbe avere la danza nella società di oggi? Luciano Rosso: Personalmente penso che la danza faccia parte del teatro, si può usare o non usare… come la musica o come tutte le espressioni. Personalmente sono un po' confuso sul ruolo della danza…
Hermes Gaido: Stiamo vivendo in un momento in cui tutte le accademie di musica, teatro, danza stanno andando in frantumi, perché a volte c'è gente che balla con la street dance o che fa musica con il cellulare. Tutto sta cambiando. Ricordo che mia nonna mi ha raccontato quando ero in Argentina che era molto comune che la gente finisse di mangiare e portasse via il tavolo per ballare. Abbiamo perso questa dimensione...nessuno lo fa più, o cerca di riportare questa sensazione.
E dato che il vostro lavoro mostra la danza e il teatro insieme mentre forse la nostra cultura li considera come generi indipendenti, pensate che la danza e il teatro possano vivere l'uno senza l'altro o hanno bisogno di coesistere? Alfonso Barón: dipende dalla tua decisione personale. Puoi decidere di usare un modo strettamente teatrale, togliere il movimento, sentirti bene in un testo o qualcosa di super classico senza espressione fisica. Noi tre veniamo dal mondo del teatro e non dalla danza. All'inizio con il teatro stavamo imparando a rompere le regole.
Perché in teatro la regola è che non ci sono regole.
Penso che nella danza si viene educati in un modo più rigido, ecco perché i ballerini hanno paura di allontanarsi da quelle regole. Noi rompiamo le regole e usiamo la danza per andare in un "modo nuovo". Credo che noi siamo coraggiosi nel senso che ci permettiamo di rompere le regole e di non pensare a noi stessi come danzatori, clown, acrobati, quindi ci piace dire che ci chiamiamo "interprete fisico". Il corpo è il nostro strumento e possiamo fare quello che vogliamo.
Avete dei modelli di riferimento nel vostro lavoro? Qualcuno che vi ispira? Hermes Gaido: per me sicuramente i film di Chaplin e tutto il genere di cinema classico muto, come il vecchio teatro basato sulla pantomima.
Luciano Rosso: tutti i cartoni animati che guardavo da bambino, tutti i film di Buster Keaton o della Pantera Rosa, ma anche i miei amici, la mia famiglia. Posso ispirarmi a tutto ciò che mi circonda. Non credo di avere un modello di riferimento...Beyoncé, lei potrebbe essere.
Alfonso Barón: per me i supereroi sono super potenti, pensavo sempre a cosa avrei fatto se avessi avuto un superpotere. Mi sarebbe piaciuto avere un superpotere come quello di volare o di arrampicarmi.
a cura di Luca Occhipinti e Sofia Bordieri
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Spirali, 5 teatri in rete per la cultura della condivisione
Torna Spirali, la stagione teatrale che nasce dalla sinergia artistica di cinque piccoli teatri liguri, giunta alla terza edizione. Il programma, presentato oggi in una conferenza stampa nella sede della Regione, nasce dall’iniziativa del teatro Il Sipario Strappato di Arenzano (Genova), dei genovesi Teatro Garage e Teatro dell’Ortica, del Teatro dei Cattivi Maestri di Savona e del Teatro delle…
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9 ott 2023 16:00
AL MAGO SILVAN PIACE TOCCARE...IL MAZZO - L’ILLUSIONISTA 86ENNE, AL SECOLO ALDO SAVOLDELLO, RACCONTA DI QUANDO LA MAESTRA LO BECCÒ “TRAFFICARE” CON LE MANI SOTTO AL BANCO: "MI DISSE: ‘SI VERGOGNI, QUESTE COSE NON SI FANNO!’. PENSAVA CHE MI STESSI MASTURBANDO, INVECE MI ALLENAVO CON UN MAZZO DI CARTE'" - "L’INTERPOL MI HA VIETATO DI METTERE PIEDE NEI CASINÒ, SE LO FACCIO MI ARRESTANO. LA MIA ARTE È LA MANIPOLAZIONE, LO SANNO IN TUTTO IL MONDO E IO LI CAPISCO, MA..." -
Estratto dell’articolo di Maurizio Crosetti per “La Repubblica”
Signor Silvan, come sta? Va bene se la chiamiamo mago?
"Sono in gran forma, faccio un sacco di cose, spettacoli nei teatri, viaggi, incontri, penso sempre a nuovi effetti magici da portare in scena, qualcosa di inedito e magari di molto antico, però mai visto”.
Che energia, alla sua età!
"Il mago non ha età, è senza tempo. È un classico. Come Proust. Come Hemingway”.
Mago va bene, allora?
“Direi che è perfetto. Ma anche illusionista, anzi illuso: perché ancora credo di creare la vera magia, e che la mia voce fluisca per incantare. Mi illudo, o per meglio dire so, di essere davvero un mago e non di recitare la parte. Ho cominciato a sette anni e non smetterò mai”.
Una vocazione precocissima. Ce la racconta?
“In quinta elementare, a Venezia, il maestro Salvagno mi vide trafficare con le mani nelle tasche, mi chiamò alla cattedra, mi fece andare dietro la lavagna e mi disse: “Savoldello, (perché il mio vero nome è Aldo Savoldello), venga qui, si vergogni, queste cose non si fanno!”. Pensava che mi stessi masturbando, invece mi allenavo con un mazzo di carte”.
Si allena ancora?
“Certo! Almeno due ore ogni sera. Metto un film, prendo il mazzo da 140 carte e comincio a farle girare a ventaglio con una mano sola. A volte appendo piccoli pesi alle dita, quelli delle bilance di una volta. Ho le mani di un ventenne. Mai usato creme, solo i guanti, mai afferrato un coltello, devo stare attento. Una volta, queste mani le assicurai per mezzo miliardo, c’era ancora la lira”.
Silvan, ma cos’è la magia?
“Una cosa tutta mentale. È fascino, irrazionalità. La magia è destrezza, è psicologia, è arte, gesto, è molto più di ciò che sembra. Allude, parla d’altro. La magia esiste solo nella mente di chi guarda, e ti accredita poteri che naturalmente non possiedi.
Però tu hai il talento delle mani, degli occhi e della voce. Se io le dico “stia attento, a questo punto si compie la vera magia” (il mago lo dice proprio con la sua inconfondibile, ammaliante e vellutata voce, n.d.r), la vera magia è già cominciata. Ma è dentro di lei, non tra le mie dita”. […]
La magia è fantasia?
“Crea mondi paralleli, come la lettura. Ma sono proiezioni di quello che già siamo. Il libro è già dentro di noi mentre lo leggiamo, un bravo scrittore aiuta soltanto a tirarlo fuori, a vederlo bene”.
Perché, invece, noi non la vediamo quasi più in televisione?
Me lo domando anch’io. Non c’è spazio, ma non ho mai bussato a nessuna porta in vita mia. Eppure la mia ospitata in Rai a Capodanno ha fatto 5 milioni di ascolti, e lo stesso a Pasqua, quando sono stato il picco di spettatori a Domenica In. Il mio numero di telefono ce l’hanno, sanno che esisto e che vado ancora in scena. Se mi chiamano e mi dicono ‘Silvan, facciamo Sim Sala Bim numero ventiquattro?’, io rispondo presente. E sono sicuro che avrei successo, perché ce l’ho da quasi settant’anni”.
Da quella sera in tivù con Enzo Tortora…
“Esatto! Era il 1956, il programma si chiamava “Primo applauso”, lo presentavano Tortora e Silvana Pampanini. A quell’epoca mi chiamavo “Mago Saghibù”. La signora Pampanini mi disse ‘ragazzo, ti serve un altro nome d’arte, usa il mio, togli solo la a’. E così Silvana diventò Silvan. Funzionò, non crede?”
Eccome. E il magico “Sim Sala Bim” come nacque?
“Veramente, all’inizio la mia formula era “tactàc-serumba-yamaclèr”. La cambiai prendendo spunto dal ritornello di una canzoncina danese degli anni Quaranta, anche questa è andata bene”.
Lei saprà di essere un simbolo, una specie di creatura mitica, e non solo magica, per milioni di persone.
“Lo so, non sono un bugiardo. Me lo dimostrano in tanti, continuamente. Perché la magia è una cosa seria, mica un giochetto. Ho anche la fortuna di non essere troppo cambiato, viso e capelli sono rimasti più o meno gli stessi, scuri al naturale come quelli della mia bisnonna Luigia, che morì felice a 108 anni, mentre mio padre superò i novanta: confido nella genetica. Mai fatto diete in vita mia, sempre e solo lavorato.
Ho avuto due figli splendidi, nipoti magnifici e una moglie meravigliosa, Irene, che purtroppo non c’è più: era inglese. Suo padre, ingegnere, costruì il passaggio segreto di Buckingham Palace”.
Lei gioca a carte?
“Mai. Tra l’altro, l’Interpol mi ha vietato di mettere piede nei casinò, se lo faccio mi arrestano. La mia arte è la manipolazione, lo sanno in tutto il mondo e io li capisco, ma ovviamente non l’ho mai usata per cose men che lecite, ci mancherebbe. Poi, non posso farci nulla se le mani si muovono quasi da sole”. […]
Silvan, forse lei è destinato all’immortalità.
“Per intanto mi godo il grande affetto del pubblico. A volte, quando porto i miei nipoti al cinema oppure al circo, per potermi dedicare per bene a loro sono costretto a travestirmi. Mi metto un cappello, oppure i baffi finti, così nessuno mi riconosce”.
L’ultimo trucco del mago?
“Non ci sarà mai un ultimo trucco. Le auguro una giornata magica”.
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Domenica 2 aprile ore 11, Mostra d’Oltremare Napoli.
Comunicato Stampa Attori, pupazzi e oggetti sonori al Teatro dei Piccoli: in scena per bambini e famiglie LA GALLINELLA ROSSA di Accademia Perduta Romagna Teatri e Tanti Cosi Progetti. Un racconto della tradizione e l’esperienza di un interprete come Danilo Conti, che sa mixare recitazione e maestria nell’animazione di improbabili oggetti sonori, fanno dello spettacolo LA GALLINELLA ROSSA…
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Guardo Tommy con gli occhi tristi e stanchi , e non riesco a realizzare che questi saranno i nostri ultimi giorni insieme.
Ci è arrivato a casa 16 anni fa nella scatola di un cellulare, quelli di una volta, piccoli piccoli, che non avevano nemmeno lo sportellino.
E’ stato il mio unico compagno di giochi per tanto tempo, e mi ha tenuto compagnia ogni giorno mentre studiavo pianoforte puntando ai teatri migliori al mondo.
Poi un bel giorno me ne sono andata, e lui giustamente non ci ha capito molto. Mamma e papà continuavano a raccontarmi di come andasse a cercarmi nella mia cameretta.
Ora sta qui, fra le mie braccia , pelle e ossa, con una patina biancastra sugli occhi. Fa un sacco di rumore mentre respira, e gli manca un sacco di pelo.
Sono i nostri ultimi giorni insieme, e io non so davvero cosa dire, che cosa fare
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San Gregorio Armeno: tradizione presepiale napoletana
Nel cuore del centro storico di Napoli, a pochi passi dal decumano maggiore, si snoda un vicolo che racchiude un'anima artistica senza eguali: Via San Gregorio Armeno, conosciuta in tutto il mondo come la "Via dei Presepi". Varcare la soglia di questa strada significa immergersi in un tripudio di colori, forme e suggestioni, dove la maestria artigianale si intreccia con la devozione popolare e la fantasia napoletana. Botteghe storiche si susseguono lungo il vicolo, esponendo una miriade di statuine in terracotta, accuratamente modellate e dipinte a mano. San Gregorio Armeno: patrimonio storico di Napoli Dalla Sacra Famiglia ai pastori, dai Magi ai mestieri tradizionali, ogni personaggio del presepe prende vita sotto le sapienti mani degli artigiani, custodi di un'arte tramandata di generazione in generazione. Ma non solo: tra le creazioni più originali, trovano spazio anche figure di personaggi contemporanei, locali e internazionali, che con un pizzico di satira e ironia arricchiscono la rappresentazione della Natività. Non è solo un luogo di produzione e vendita, ma un vero e proprio museo a cielo aperto, dove la tradizione si rinnova anno dopo anno. Durante il periodo natalizio, il presepe assume un ruolo ancora più centrale, con le botteghe che si trasformano in piccoli teatri dove si mettono in scena vere e proprie rappresentazioni della vita quotidiana, animate dalle statuine e accompagnate da musiche e canti tipici. La visita è un'esperienza sensoriale unica, che permette di cogliere l'essenza più autentica dell'anima napoletana. Tra sacro e profano, tradizione e innovazione, questa via rappresenta un patrimonio culturale inestimabile che affascina e conquista visitatori provenienti da ogni angolo del mondo. Non solo presepi Oltre alle botteghe dei presepi, San Gregorio Armeno offre anche altri spunti di interesse. La Chiesa di San Gregorio Armeno, da cui prende il nome la via, custodisce al suo interno pregevoli opere d'arte, tra cui una statua di San Gregorio Armeno in legno policromo del XVI secolo. Poco distante, si trova il Complesso di San Lorenzo Maggiore, un antico monastero benedettino che conserva resti archeologici di epoca romana e greca. San Gregorio Armeno è un luogo da vivere con lentezza, lasciandosi inebriare dai profumi, dai colori e dalle voci che popolano questo vicolo magico. Un luogo che racconta la storia di Napoli, la sua devozione e la sua inesauribile creatività, attraverso un'arte che continua ad emozionare e sorprendere. Immagine di copertina: DepositPhotos Read the full article
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Milano. Torna dal 21 Giugno "Estate al Castello": sul palco concerti e spettacoli fino all'8 Settembre
Milano. Torna dal 21 Giugno "Estate al Castello": sul palco concerti e spettacoli fino all'8 Settembre. Milano, 15 aprile 2024 – Partirà il 21 giugno la nuova stagione di "Estate al Castello", la rassegna di spettacoli live promossa e coordinata dal Comune di Milano nell'ambito del palinsesto "Milano è Viva", anche quest'anno sul palco del Cortile delle Armi del Castello Sforzesco con 71 spettacoli live, dal 21 giugno all'8 settembre. Con diversi appuntamenti gratuiti e molti a prezzo calmierato (con ingresso inferiore o uguale a 15 euro), la rassegna anche quest'anno può contare su una platea di 2300 posti, che ha permesso di inserire in programma nomi di grande prestigio e richiamo dal mondo musicale italiano e internazionale come Ariete, Venerus, Margherita Vicario, Calexico, The Cinematic Orchestra, Tullio De Piscopo, Yves Tumor, Marlene Kuntz, Dente, Daniele Silvestri e Cristina Donà ma anche dal mondo della divulgazione scientifica, narrativa e comica come Mario Calabresi, Massimo Recalcati, Alessandro Bergonzoni, Arianna Porcelli Sofanov. Anche in questa edizione, "Estate al Castello" unisce in un unico calendario diverse arti performative: la musica, il teatro, la narrazione, la club culture, la danza. La rassegna, programmata quest'anno sotto la direzione artistica di Giulia Cavaliere, si aprirà il prossimo 21 giugno in occasione della Festa Internazionale della Musica con il concerto di Ariete, classe 2002 e straordinaria rivelazione sanremese del 2023 con un passato nella discografia indipendente, voce innovatrice nel panorama della musica d'autore italiana. A chiudere, in una due giorni firmata ARCI, ci saranno invece Cristina Donà e Margherita Vicario, due cantautrici di alto profilo, la prima con alle spalle una lunga storia artistica e la seconda vera e propria rivelazione degli ultimi anni, proprio in queste settimane nelle sale italiane come regista e autrice del film "Gloria!". Oltre alla musica, che ritrova anche realtà nate in città come il CPM di Franco Mussida, anche il teatro avrà grande spazio in rassegna: dai grandi teatri cittadini - come il Piccolo Teatro d'Europa, il Teatro Franco Parenti e il Teatro Carcano - fino alle tante realtà teatrali più piccole e militanti che rendono vivo quotidianamente il tessuto culturale milanese, tra cui: Manifatture Teatrali Milanesi, Compagnia Corrado D'Elia, PACTA arsenale dei teatri, Spazio Tertulliano e Atir. Accanto a queste, alcune proposte ibride, tra teatro e performance, come DRAMA, il queer cabaret più grande d'Italia, che prenderà vita al Castello Sforzesco nel weekend del Pride, il 30 giugno; oltre a numerosi talk e spazi di divulgazione con protagonisti d'eccellenza, da Mario Calabresi a Massimo Recalcati. Una precisa volontà dell'Amministrazione nella creazione del palinsesto è stata sin dal principio quella di dare spazio a realtà sociali e culturali diverse: sul palco del Castello Sforzesco ci saranno anche due spettacoli organizzati dagli operatori Opera Liquida e Le Crisalidi, che vedranno come protagonisti in scena detenuti ed ex detenuti; e poi spettacoli di danza e quelli pensati per i più piccoli, fino alle serate organizzate da un'importante realtà cittadina come Santeria - che la notte di Ferragosto darà vita al Gran Ballo di Mezza Estate in pieno stile Balera dell'Ortica al centro del Castello. Non mancheranno dj set con protagonisti di rilievo tra cui Mike Joyce degli Smiths, Venerus e Max Cooper. All'interno della rassegna troveranno inoltre spazio due veri e proprio micro-festival: due serate, il 26 e il 27 giugno, organizzate dal Festival della Bellezza e le due serate finali organizzate da ARCI.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Mi hai chiesto una poesia
che parlasse del Natale,
che ti piace così tanto,
ma non l’ho;
la cerco in questa casa senza facce,
fra le rose luminose con la pila,
che ho comprato dai cinesi, già frugate
nei cestoni da altre mani,
ma non c’è.
Io vorrei darti le pigne che ti aspetti,
i teatri in miniatura con la neve.
Non lo sai quanta cannella, quanto muschio,
quanti piccoli pacchetti bianchi e rossi,
ti darei,
ma il Natale non è
qui con me;
l’ho lasciato alla bambina che guardava
il disegno sul servizio
di piatti di Limoges,
svenduto al primo offerente,
l’ho soffiato via col talco nelle calze
di mia nonna,
l’ho perduto nel gonfiore delle dita
che graffiavano nel gelo i parabrezza
di una fuga,
l’ho mangiato,
a piccoli pezzetti, anno
dopo anno,
sulla tavola sfiorita.
L’ho dormito,
pregato via, dissolto
nella scusa fosse un giorno come un altro.
E ora non ho più
Natale
per la semplice poesia che tu mi chiedi, tu
che forse
sei l’unica persona che saprebbe
farmi amare anche il Natale.
Beatrice Zerbini
Dal libro “Mezze stagioni”, edito da AnimaMundi Otranto
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