#peter tagtgren
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kleshnja · 5 months ago
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P-P-P-PRAISE ABORT
It was hard but it was worth it
Below there will be a couple more versions of this art that are not available on other social networks <3
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astralbondpro · 7 months ago
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Hypocrisy // Eraser
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dongwoter · 2 years ago
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I’m convinced they make growling vocalists in a factory somewhere they all look like they’re variations of a template, that template being some librarian from San Fransisco
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nightrishenka · 2 months ago
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I just decided to replace the black pencil with the purple one and then...
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trueblackmetallegion · 2 years ago
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metalmaria · 1 year ago
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Peter Tagtgren, PAIN - Wacken Open Air 2000
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gypsy-rose-88 · 1 year ago
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barburossa · 2 years ago
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October 25, 2022 - Bucharest, Romania
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singfurmich · 2 years ago
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Posted by Stéphanie Bach on Instagram, make up artist. Photo by Heile / Stefan Heilemann.
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rammingthestein · 11 months ago
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© Jens Koch
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endlich-allein · 2 months ago
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Happy birthday Steh Auf single and video !
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Steh Auf official video - Lindemann with Peter Stormare - by Zoran Bohac
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danzameccanica · 6 years ago
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Sicuramente At the Heart of Winter è il disco più complesso degli Immortal. E considerando la dimensione boombastic nella quale sono sbarcati dopo Sons of Northern Darkness, col senno di poi, nel 1999, sembra avessero composto un trattato filosofico. “Un maestoso affresco in onore del lontano nord”; questo recitava il poster promozionale dell’epoca e, in effetti, considerando che Abbath e Demonaz hanno sempre cantato le lodi e gli inni delle terre dei ghiacci, questo album è la loro rappresentazione più completa. C’è anche quell’immancabile grotta che porta fin dentro le viscere laviche della terra. Ghiaccio e fuoco che si fondono in un ambiente invivibile ma sublime. Nel 1999 c’era già forte aria di cambiamento nel mondo del black metal, basti pensare le moderne invenzioni degli Emperor, il lato più sozzo e urbano dei Satyricon con Rebel Extravaganza, le piroette effettuate dagli Arcturus. C’era questa sensazione che molte band fossero arrivate ad un punto di non-ritorno (Cradle of Filth, Dimmu Borgir) mentre contemporaneamente altri gruppi come Marduk o Gorgoroth continuavano nella loro direzione più violenta. Gli Immortal (un paio di anni dopo i Dimmu Borgir) rinunciano al loro logo criptico e illeggibile in favore di qualcosa più accessibile visivamente, ma non necessariamente anche a livello di ascolto. Dopo Blizzard Beast, un album che rasentava la mezz’ora di durata, con brani brutali, quasi death metal corti anche due minuti e mezzo, “Withstand the Fall of Time” si muove in una direzione e approccio diverso, quasi opposto. Otto minuti e mezzo di violenza e melodia, scorci a voli d’uccello sui panorami innevati, il tutto accompagnato dalla classiche chitarre di Abbath e i suoi tipici e indescrivibili riff che toccano punti di epicità che saranno irripetuti. Abbath per la prima volta utilizzerà pure il collante armonico dei synth, che quasi non si sentono ma saranno fondamentali per aumentare il senso del vento e del blizzard. Questa volta Horg entra in pianta stabile e attiva nella composizione (mentre in Blizzard Beast aveva raggiunto gli Immortal solo per le foto di copertina e per il tour), spaziando fra violenza e cadenza. C’è spazio per cambi di tempo, atmosfere thrasheggianti – ma non troppo – ma soprattutto fuoriesce una componente heavy (”Solarfall”) che si ricollega direttamente coi Bathory di mezza era.
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Horgh e Abbath camminano insieme e si scambiano il songwriting; a volte le chitarre trascinano il carro; a volte il carro è spinto dalle potentissime pelli e “When Dark and Light don’t differ” è l’esempio più clamoroso di questa potentissima composizione a quattro mani.
“Tragedies Blow at Horizon” è il brano che mi ricordo con più passione, quello che imparai a risuonare prima; un brano dove la batteria emette delle mitragliate, con una composizione che gioca fra il ghiaccio e il calore delle chitarre acustiche. Un calore che più che altro è un calmarsi del vento e saziarsi delle nevi. “Years of Silent Sorrow” conclude l’album con dei vortici sonori che ti trascinano giù nel buco, nelle interiora vulcaniche. Quarantasei minuti di estrema varietà e freschezza di composizione; c’è da dire che questa volta la mano di Peter Tägtgren agli Abyss Studios ha davvero dato un surplus che spesso invece non emergeva. E pensare che questo è lo stesso studio nello stesso anno di Panzer Division Marduk. Una cotanta dose di epica e tragedia non si è mai sentita né si sentirà più negli Immortal, soprattutto negli ultimi minuti. Farewell…
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astralbondpro · 1 year ago
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Pain // Shut Your Mouth
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nightrishenka · 2 months ago
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I just love him. Maestro Tägtgren ♥
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vanderdaddy · 2 years ago
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He’s so close to be patting Peter’s head
I can’t- he’s adorable
Till pushing food onto others: A comparison
Peter:
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Zaz:
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(thank you @endlich-allein for the adorable gifs with Zaz)
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metalmaria · 2 years ago
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