#persone hanno pianto per molto meno
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#persone hanno pianto per molto meno#mancheranno un bel po' 💔#mattia perin#wojciech szczesny#juventus
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Oggi a Berlino è festa nazionale, sono tutti partiti per un weekend lungo. Io vedo questo giorno libero, grigio ma non troppo, come una piccola cattiveria del tempo, del mio tempo qui che non so benissimo come sfruttare, anche se ci provo. Ho comprato questa busta di tabacco il 19 Settembre e durerà ancora qualche giorno, il che significa che sto andando egregiamente bene sul versante nicotina, fumo di meno. Devo consegnare la tesi di dottorato il 15 Ottobre, il che significa che non sto messa proprio bene, dovrei usare questo giorno libero e non troppo luminoso per starmene a casa col nasino nel pc, non dico manco di voler fare un buon lavoro - che senso ha, adesso? - ma un lavoro qualunque, perché questa sigla di tre lettere vicino al mio nome io me la merito, anche se non so fare proprio proprio un cazzo, o così mi pare stando qui insieme a tutte queste fantastiche persone che evidentemente sanno quello che fanno, e mi sa pure che molti di loro siano sulla carta meno skillate di me. Che ipocrisia l’istituzione, ma stando qui ho ancora l’impressione che ci sia speranza - io, speranza. In questo momento.
Ho scritto a Linda un messaggio incoerente - io, comunicazione incoerente. Ma è pur sempre la fotografia di questo momento. Le ho comunicato che Valerio è morto e che io sono qui. Le ho detto “Ehi, non so se voglio parlarne, forse devo parlarne, ma forse parlarne mi farà crollare ed io mica adesso me lo posso permettere…”. Le ho detto che l’abbraccio perché so bene che dopo aver saputo di questa notizia avrà pianto per me. Il mio rapporto con la mia psicologa è piuttosto atipico, per quello che da psicologa so, ma il punto è anche che siamo colleghe. Questo mi fa venire in mente il fatto che ci sono nella mia vita tutte queste situazioni in cui le persone inquadrano la nostra relazione attribuendomi un ruolo di competenza, ma secondo me io questa roba qua non la so raccogliere molto bene. Tipo come qui a Berlino, dove parlo con tutti i gradini di questa gerarchia che mi è comunque oscura partendo dal presupposto che siano tutti intrinsecamente migliori di me, e si vede che lo faccio. Mi viene in mente che forse loro si aspettavano che questa esteemed foreign researcher sarebbe venuta a portare competenze, a mettere qualcosina sul piatto. Ed io che ho messo? Sorrisi gentili, mille “don’t worry about me”, il mio racconto da pazza detached di un lutto così recente ed enorme da essere francamente inappropriato. Qualcuno penserà che sono pazza. Io lo penso, forse mi ossessiona un po’. Sub-clinicamente, per ora. Una psicologa ha le competenze per dirle, certe cose.
Martedì ho presentato una vaga idea di quale sarà il mio lavoro di questo mese alla consueta riunione del team. Due slide mediamente colorate, un sacco di punti interrogativi. Sono una persona onesta, questo è innegabile. Mi hanno chiesto di fare cose che non so fare, ma se fossi in grado di impararle al volo sarebbe tutto ok. Nella mia esperienza è così che si fa questo lavoro. A breve però questo mese qui sarà finito, e che ne sarà di me? Dovrò dare un significato alla frase “Valerio è morto” che dico tanto spesso, dovrò tornare nell’unico posto dove so per certo di non voler essere, con una persona che esercita del potere su di me, e che io semplicemente odio. Da quando Valerio è morto ho scoperto una spinta a vivere che non credo mi appartenesse, deve essere stato una specie di contagio tipo quell’episodio di Buffy (o era Streghe? O forse tutt’e due?) in cui quando la persona impossessata moriva l’entità invisibile si rintanava nel corpo vivo più vicino. Quando Valerio è morto ero di sicuro il corpo più vicino. Mentre gli tenevo la mano deve avermi passato quel qualcosa che tanto non gli sarebbe servito più, quella testardaggine che lo ha tenuto aggrappato a questo mondo fin quando noi non abbiamo deciso che per lui era finita. Sarebbe così sensato. È così romantico. Valerio è morto. Io ancora no. Devo imparare delle nuove competenze per essere all’altezza dell’ossigeno che consumo.
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Sono abbattuta, triste, piena di solitudine, frustrata. È un periodo strano, ma strano da essere brutto. L'ansia è tornata ed io cerco di nasconderlo a tutti, fallendo miseramente quando dal nulla scoppio in delle crisi di pianto incontrollabili. Non so più cosa voglia dire pensare a me, mi preoccupo e occupo solamente degli altri, nonostante tutto questo non venga mai apprezzato o, anzi, porta gli altri ad approfittarsi di me. Giusto oggi mi è stato detto che sono troppo gentile e buona, quindi sono arrivata alla conclusione che sono solo fessa e inguenua. Mi sento un essere miserabile, le persone vicine a me si stanno realizzando nella vita, hanno degli obiettivi con un'altra persona o comunque organizzano un futuro mentre io mi trovo ad avere solo esperienze da dimenticare, con persone le quali arrivano a mettermi paura con il loro comportamento, ma la cosa peggiore è che in fin dei conti il problema è mio se attiro nella mia vita solo persone del genere. Mi rende ancora più miserabile il provare sentimenti per una persona che ha già una sua famiglia e per la quale io sono solo una mera distrazione per farsi due risate in ambito lavorativo, perché poi alla fine sempre questo sono: una distrazione. Sono temporanea, di poco conto, una nullità da dimenticare in un angolo finche non ne hai bisogno la volta successiva. Mi aggrappo alle attenzioni prive di genuinità, sperando in cuor mio che possano essere veritiere ma sono solo un'illusione. A lavoro ormai vengo trattata come una scema praticamente da tutti ma devo mandare giù e va bene così, perché Jessica sopporta sempre tutto. Mi guardo allo specchio e vedo solo un ammasso di difetti, un fallimento, brutta e non meritevole di qualsiasi tipo di amore. Vado avanti per inerzia, e se penso al fatto che la psicologa vuole vedermi molto meno perché pensa io stia bene, mi fa sorridere, ma va bene così, deve andare bene così. Ma io vorrei solo sparire.
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So che è stata dura. La mia mancanza di positività, la mia mentalità negativa, le lamentele, il pianto, il silenzio, lo stress… la lista potrebbe continuare. Inutile dire che non ho avuto l’anno migliore della mia vita. Un milione di piccole cose sono andate male e mi hanno trasformato in una persona che non mi piace. Ma, nonostante tutto, sei ancora qui . Quando le cose si fanno difficili, molte persone tendono a correre il più velocemente possibile, ma non tu. Tu resti, tu fai la differenza e queste righe sono solo per dirti: che sei la mia spalla su cui piangere e il mio pezzo mancante del puzzle sono arrivati in questo mondo. Anche se non ho bisogno di un’occasione speciale come questa per rendermi conto che non potrei immaginare la mia vita senza di te, in questo giorno voglio dirti che non voglio fare a meno di te. grazie perché hai sempre creduto in me, anche quando io non credevo più in me stessa.Vai in guerra per le persone e lo fai senza nemmeno pensarci . Sei molto più forte di quanto pensi. Sei divertente, intelligente, compassionevole . Cambi le persone in meglio, ma non permetti alle persone di cambiarti. Non lasciare mai che una singola persona entri nella tua vita e ti faccia dubitare delle tue capacità.6 anni di noi che che ti sopporto e che mi supporti ❤️
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Ho deciso che la depressione me la diagnostico e me la curo da sola.
Sono ben 10 anni che sono depressa. Lo dico perché tutto questo tempo l’ho passato a piangere, a tagliarmi, ad abusare di relazioni e sostanze, a dare la colpa agli altri e a gettarmi via, come un rifiuto non compostabile. È logico che non posso più continuare così, o mi curo, o finirò per avvelenare chi mi sta attorno, e questo non posso farlo ora che sono circondata da brava gente che mi vuole bene.
In ospedale una notte ci sono arrivata ubriaca fradicia, con un tasso alcolemico nel sangue che si aggirava attorno ai 2.5, una volta appurato che fossi ancora in grado di esprimermi, mi hanno portato da uno psichiatra con il quale ho intavolato un discorso che non ricordo assolutamente, ma nel verbale di pronto soccorso egli mi ha definito “a tratti borderline”. Ho poi parlato con diversi psicologi i quali mi indirizzavano sempre da altri psichiatri, che proponendomi cure farmacologiche mi vedevano scappare a gambe levate.
Tutto questo tempo l’ho vissuto con diverse dipendenze, quella da nicotina, thc, alcol, cocaina, smartphone, sesso, affetto, autolesionismo. Mi sono liberata della maggior parte di esse da sola. Rendendomi conto che per me le più pericolose sono quelle che tutt’ora mi posseggono: quella affettiva e quella dal telefono. La parentesi sul mio bisogno di affetto non sento il bisogno di aprirla per ora, ma quella da smartphone è una cosa tutta nuova e spesso sottovalutata, perché è legale, così diffusa tra i giovani che passa completamente inosservata, tanto da far sembrare normale il fatto che un adolescente passi la maggior parte del tempo sui social, ma non lo è affatto. escludendo tutte le altre cose delle quali ero dipendente, mi sono rifugiata nella realtà dei social a tal punto da preferirla al mondo reale. Non volevo più fare nulla, se non stare attaccata allo schermo, scorrendo i per te su tik tok. Le persone che vedevo qui avevano rimpiazzato i miei rapporti umani quotidiani. Non mi importava avere interazioni reali, tanto un algoritmo poteva mostrarmi persone e storie molto più interessanti praticamente sempre ed ovunque. Stavo mandando a puttane tutto quanto.
Quindi, il primo passo per uscire dalla depressione è stato CANCELLARE I SOCIAL (Tumblr è un discorso a parte, lo uso come se fosse un diario). Pochi istanti successivi all’eliminazione di ogni account, il mio interesse verso il mondo esterno si è riacceso come una piccola scintilla.
Ma volete sapere quale altra cosa improbabile crea dipendenza in una situazione simile alla mia? Piangere.
Da bambina non ho mai pianto, me lo ricordano sempre i miei genitori, ma non hanno mai saputo il perché: in pratica all’asilo venni esclusa dagli altri bambini fin da subito, un giorno, dopo l’ennesima presa in giro, la rabbia che provavo mi fece tirare un morso fortissimo sulla guancia di una mia coetanea, dunque le educatrici mi misero in castigo ed io iniziai a piangere a dirotto, ma non per la punizione, bensì perché vedevo gli altri giocare insieme da lontano, ed io, ancora una volta, rimanevo fuori dalla loro collettività. La maestra mi guardò e disse schifata : “è inutile piangere”. Così la presi alla lettera. Nessuno ha più visto lacrime sul mio volto, fino ai 13 anni circa, quando in una notte di giugno iniziai a piangere per la rottura col mio primo ragazzo, ma finii col versare lacrime per ogni cosa che non andava nella mia vita.
Piangere dà l’illusione di essersi sfogati, una volta finito tutto ci sentiamo meglio, ed è proprio questa la sensazione che crea dipendenza, il dopo pianto diventa quel momento celestiale (l’unico) in cui ci sentiamo bene, ed è così che giustifichiamo il pianto, “perché ci fa stare meglio” ma in realtà ci indebolisce tantissimo.
Avete mai notato che se iniziate a piangere per un motivo, finite col farlo per ogni cosa negativa che vi passa per la testa? La tristezza attira altra tristezza.
Una lacrima tira l’altra e poi non riesci più a farne a meno.
Dunque, la seconda cosa da fare per uscire dalla depressione è SMETTERE DI PIANGERE.
La depressione è iniziata quando ho scoperto l’affettività al di fuori della mia famiglia. La mia prima relazione fu davvero tossica per me, riaccese inoltre quei bisogni che i miei genitori avevano spento crescendomi nel modo più freddo e scostante possibile, dunque potete immaginare cosa è successo dopo la fine, o forse no… ve lo spiego brevemente
Ho aperto questo blog, ho iniziato a fumare le sigarette, le canne, a bere, a tagliarmi e la mia depressione si è fatta strada fra tutto questo, portandomi a sapere cose sempre più orrende sulla mia infanzia e dirigendomi in strade ancora più buie dalle quali sono quasi fuori. Voglio trarre conclusioni che possano essere d’aiuto per altri. Voglio essere un buon esempio.
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Grazie @mafaldinablabla per il tag! Era tipo dal 2016 che non scrivevo così tanto in italiano su tumblr, è stata una piacevole novità :P
1. Are you named after anyone?
Come mai solo questa domanda è in inglese? Comunque "Greta" è solo Greta, mentre "Stella" era anche il nome della mia bisnonnna materna.
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto?
A mia discolpa- sono pesci. Quindi probabilmente 24 ore fa ma me lo sono già dimenticato. I veri piantoni catartici sono molto più rari però.
3. Hai figli?
No, non sono interessata.
4. Fai largo uso del sarcasmo?
Dipende dal contesto - se è appropriato anche sì, ma se una persona sta confidando qualcosa di personale non mi pare il caso ecco lol.
5. Quali sport pratichi o hai praticato?
7 anni di danza jazz-contemporanea in maniera discontinua. Un paio di anni di tennis a scrocco perchè mio papà era socio grazie al lavoro in cantiere. Qualche workshop di tiro con l'arco + atletica leggera con la scuola, nonchè l'unica ragazza nella squadra di calcio delle medie. Dovevo capirlo prima che sono lesbica, tsk.
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona?
Viso, mani, occhi, capelli e "vibe" in generale.
7. Qual è il colore dei tuoi occhi?
Grigio-verde? Alas, il piercing non c'è più. E non ho più 16/17 anni, ma quello non è sicuramente un 'alas'.
8. Scary movies o happy endings?
Una cosa non esclude l'altra, ma in genere happy endings, grazie!
(uno dei miei film preferiti ha un finale bittersweet ma ehyyy, dettagli)
9. Qualche talento particolare?
Sono discretamente flessibile, galleggio sempre, le persone in genere si sentono a proprio agio con me (riporto il feedback), sono brava a trovare i collegamenti (più o meno astrusi) tra le cose, ho un'ottima memoria ed adoro fare regali.
10. Dove sei nat*?
11. Quali sono i tuoi hobby?
In ordine sparso: nuotare o comunque stare in prossimità dell'acqua, camminate/passeggiate tranquille, leggere, disegnare/dipingere, musei e gallerie d'arte varie, yoga e danza. Special mention al prendere cibo da asporto + guardare film con gli amici e commentare. Direi anche scrivere, ma implica troppa vulnerabilità quindi NOPE malgrado mi piaccia.
12. Hai animali domestici?
Nope! Un mix di "sono in affitto e non credo che la padrona di casa apprezzerebbe se arrivassi con un gatto" e "non escludo di spostarmi per lavoro e/o motivi sentimentali e mi dispiacerebbe sballottare il gatto da una parte all'altra".
13. Quanto sei alta?
1.68cm - 1.70cm; le impiegate del comune che mi hanno fatto la carta di identità hanno opinioni discordanti in merito.
14. Materia preferita a scuola?
Storia, storia dell'arte, filosofia (che in realtà era storia della filosofia ma ok facciamo finta), biologia, disegno dal vero. Non mi dispiaceva ginnastica quando si faceva atletica, calcio o sport sperimentali (flag football), ma odiavo con tutto il cuore giocare a pallavolo.
15. Dream job(s)?
Operatrice museale e/o bibliotecaria, occuparmi di didattica e divulgazione oppure di digitalizzazione di materali storici ed artistici (che btw serve alla divulgazione ed anche ai musei, quindi è tutto un fil rouge collegato), insegnare, qualcosa di artistico/creativo che però non mi succhi l'anima. Things like that. In generale sono una persona che tiene molto alla propria realizzazione attraverso il lavoro, il che in Italia è un affarone con l'ambito umanistico - infatti attualmente mi occupo di controllo progetti in contabilità analitica, btw.
Non taggo nessuno perchè 1. stanchezza 2. taggo sempre le solite persone ed in italiano è più difficile e sono abbastanza sicura che romperei le balle. MA se il lettore/la lettrice random vuole fare il test (?) lo rubi pure :*
#comunque tutte le risposte suonano fredde/sarcastiche ed un po' scazzate ma NOOO#semplicemente dal portatile non ho le 238472 emoticon carine che aiutano ad esprimere le emozioni#resting bitch face emotiva?#:((#things i've been tagged on
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Giorni fa è stato il mio compleanno, ho compiuto 20 anni. Da piccola mi sembrava un’età così lontana, che forse l’ho idealizzata troppo. L’ho sempre vista come l’età del divertimento e della spensieratezza, mi immaginavo bellissima e con tanti amici e le idee chiare sul mio futuro. Ovviamente non è così. Il giorno del mio compleanno è stato uno come tanti, la mattina sono andata all’università a seguire i corsi, poi sono tornata a casa per aiutare mia sorella con i compiti e mi sono riposata, in serata sono andata il palestra, e poi ho tagliato la torta con i miei. Niente di che. Ci sono rimasta male che diverse persone, pur sapendo fosse il mio compleanno, non mi hanno fatto gli auguri, ma pazienza, ho deciso di smettere di colpevolizzarmi per la leggerezza altrui. Sono stata molto triste quel giorno, ho avuto tre attacchi di pianto che non avevo da molto, ultimamente non piango come una volta. Ma giorni fa è ricapitato. Ciò che mi faceva male era la solitudine, il dovermi scontrare ancora una volta con il fatto di non contare per nessuno all’infuori della mia famiglia. Un’altra cosa che mi è passata è stata il dover palesare questa mia solitudine. Mi sono sentita molto a disagio quando alcune persone mi hanno chiesto come avessi passato il mio compleanno, se avessi fatto qualcosa di speciale, se fossi uscita con le mie amiche. Forse alla gente non è chiaro che non ho amiche, che il sabato sera non esco, che non ho qualcuno con cui confidarmi. È una situazione che pian piano sto accettando. Mi sono sempre massacrata per la mia poca socievolezza, per il non avere amici con cui uscire e postare foto su Instagram. Da un po’ di tempo lo sto facendo sempre meno, e questo perché mi rendo conto che non è giusto cercare di riempirsi di persone solo per mostrarsi socievoli agli occhi degli altri, non è giusto forzarmi a cercare delle amicizie che infondo non voglio se devo essere costretta ad indossare una maschera e a far finta che nella mia vita vada tutto bene. Ogni tanto pongo una sfida a me stessa, mi dico, una di queste volte dillo apertamente che non hai amici, che non si deve necessariamente essere pieni di amici se non mi ritrovo nei discorsi e negli interessi delle persone che mi circondano. Vorrei dirlo che sono sola, che il sabato spesso lo passo a casa perché non ho voglia di truccarmi e fare serata parlando delle solite stronzate con persone che non entrano in sintonia con me. Semplicemente non mi va, voglio essere in contatto con me stessa e ricercare la mia tranquillità, che non è fatta di continue foto da postare sui social e di chiacchiere da bar. Ora sto bene così, voglio stare bene così senza pensare di star buttando i miei vent’anni. Chi dice che sia io a buttarli e non chi già a quest’età è intrappolato in una relazione da anni con un partner con cui discute sempre e con cui progetta già un futuro? Chi dice che a buttarli non sia chi esce sempre pur di non guardarsi un attimo dentro e capire chi è. Chi dice c’ha a buttarli non sia chi segue passivamente una strada senza domandarsi effettivamente se quella è la direzione giusta, se dare esami ed essere contenti del 30 è necessario per definirsi soddisfatti. A me una relazione monotona non mi renderebbe felice, uscire tutti i giorni mi stonerebbe, dare gli esami senza capire quale sia il vero fine mi butterebbe molto giù. Al di là dei numeri e delle chiacchiere, della leggerezza senza profondità, questi miei 20 anni vorrei che fossero all’insegna della mia crescita interiore, dell’accettazione di chi sono e della scoperta di ciò che mi fa stare bene. Niente di più.
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“Close your eyes. Now forget what do you see. What do you feel?”
01.04.2023
Cos’è che senti?
Appena mi faccio questa domanda per buttare giù qualcosa, la mia mente manda una linea piatta, una stanza vuota, deserto senza dune. Sto realizzando di avere una mente che tende a scappare dal confronto, sia con sé stessa e soprattutto con gli altri. Ecco forse, cosa sento.
Frustrazione, perché ho parlato con altre persone esprimendo quello che provavo, nel modo più sincero che sentivo in quel momento. Sono una persona emotiva, fin troppo, e non riesco a esprimere quello che voglio dire perché ho paura; questo provoca due cose, ovvero balbettii e pianto interiore che - sia mai - esprimere apertamente.
Perché è da deboli piangere, e non avendo io fisicamente due palle *il francese, l’eleganza, la finezza*, in qualche modo devo dimostrare - a chi poi - di averle. Cosa che, tra l’altro e per inciso, non si dimostra in questo modo.
Mi da fastidio parlare con le persone, devo pensare alla risposta che voglio dare, devo capire cosa costruire. Non c’è posto in cui mi sento a casa, nessun luogo dove io mi senta parte di qualcosa per davvero, né con i miei amici, né in nessun ambito in cui pratico. Arriva sempre quel momento del “io non appartengo a tutto questo”; la consapevolezza che non posso dare nulla a chi mi sta intorno, che vorrei dare qualcosa anch’io a chi mi sta accanto, ma la convinzione di non riuscirci.
Continuo a rimuginare sulle due uniche parole che ho spiaccicato oggi, continuo a pensare di aver sbagliato tutto, che tutto - quasi, tutto - quello che volevo dire non era quello che intendevo.
Forse il succo di tutto è che sì, voglio allenarmi con qualcuno, perché mi piace, mi fa star bene, ed egoisticamente ne ho bisogno. Ma che non merito nulla se non il marcire per conto mio in un angolino, che non devo disturbare gli altri, che sono un peso per tutti; e che quindi, sarebbe meglio per tutti se mi allenassi da solo.
Perché sono solo una persona ignorante e stupida che può solo imparare - o meglio, cercare di capire -, ma che non ha nulla da dare. E quindi, ascolto.
E mi chiedo, se tutto questo riuscirà mai a far parte del mio mondo.
Ma storia vittimistica a parte, vorrei spendere due parole sull’ultimo breaking jump fatto, da muretto a spiaggettina; non era la prima volta che lo guardavo, e oggi più che mai era un salto che riuscivo a vedere, che era lì e mi chiamava.
Durante il giorno nulla, il mood non lo avevo trovato e la voglia neanche, quindi l’ho lasciato lì. Fatte qualche altre prove nel pomeriggio ho potuto constatare che non volevo farlo perché era nella mia testa e non perché non lo avessi, così verso la fine siamo andati a riguardarlo - e dico siamo perché avevo la fortuna di allenarmi con persone mozzafiato, che hanno avuto la pazienza di stare lì con me durante il processo.
Data questa mia nuova ricerca del “non (solo) ascoltarmi, ma soprattutto parlarmi”, poco prima ci siamo fermati a sentire le onde del lago; era tutto il giorno che pensavo a quel salto, e che avrei voluto farlo. E ascoltando le sensazioni che avevo, ho avuto modo di parlarci per un po’.
Perché mi sento così?
Ho subito bullismo. Non pesante, non estremo, nulla di che. Che però, in qualche modo, la sento ancora come una ferita aperta, perché a conti fatti influisce ancora su molte cose, forse troppe. Semplicemente, senza neanche che questa persona mi conoscesse, sin dal primo giorno mi ha preso di mira indicandomi come “lo sgorbio”; che non sapeva fare nulla, brutta, e con cui “non dovete giocare”. Non ricordo molto di quei camp estivi, non so dire se effettivamente passavo o meno le giornate in isolamento, però essere la persona appestata con cui gli altri non dovevano avere a che fare me lo ricordo bene. Quando capitava stavo giusto con un’altra ragazza, anche lei catalogata come “sgorbio”, che mi ricordo avesse una qualche disabilità, l’unica che era gentile con me.
Forse se fosse stato solo fisico, il bullismo, non avrebbe fatto così male; o meglio, sì, ma oggi spingerei come un animale. Invece, forse, mentale è infimo perché non ti permette di valutare in maniera oggettiva tutte le tue possibilità.
Comunque, una volta detto tutto a chi di dovere - perché da picci ero un peperino e sia mai che non dicevo le cose - non hanno mai fatto nulla. Non mi hanno spostato di gruppo, non hanno detto niente alla persona interessata.
Perché “non è vero, non abbiamo mai visto nulla, ce ne saremmo accorti se fosse davvero così”, e anche fosse “son ragazzi, è normale, lascia che si capiscano tra loro”.
Torno a casa, e devo sempre fare tutto subito alla perfezione. “Non far casino, guarda quello che fai, stai facendo solo danni”.
Ti è davvero concesso sbagliare? Ti è davvero concesso essere te? Ti è davvero concesso farti fare i tuoi errori? Ascoltarti? Sperimentare? Stare con gli altri?
Quel salto oggettivamente sai di averlo. Ed è un salto non mortale, che puoi sbagliare, che puoi concederti. Al massimo ti bagni un po’ - così come uno di noi poco prima l’aveva fatto senza pensarci (non il salto in questione, il bagnarsi entrando accidentalmente in acqua dopo un altro salto trovato). Mi ha aiutato vederlo. Qui, come su pochi altri salti, come poche altre volte, mi è concesso sbagliare.
Non è un non vuoi saltare perché sai di non averlo, è un non vuoi saltare perché se sbagli fai la fine del fallito che si è bagnato le scarpe, che non l’ha fatto o l’ha fatto male. Perché vuoi avere il controllo e sapere che lo farai perfetto al primo colpo.
Ma da quando l’importante è diventato il farlo perfetto il primo colpo? L’importante ora, è se lo vedi, se sai di averlo, e se sai che non ti farai male facendolo.
Senza riscaldamento ho un piede in meno, l’allenamento degli scorsi giorni mi ha fatto capire questo. Ora non ho fatto riscaldamento, palesemente ho un piede in meno e al buio mi sembra più lungo. Ma è lì, l’ho visualizzato oggi. So atterrare, e se sbaglio l’unico rischio che corro è il bagnarmi le scarpe.
Non ho mai avuto e mai avrò perfezione o bellezza, ma non sono uno sgorbio. Non mi merito di essere l’unica persona che non si merita nessuno con cui giocare. Non sono solo il risultato delle persone che ho avuto intorno, sono anche la persona che oggi vuole mettersi in gioco, e il risultato delle persone che ho intorno oggi - di cui mi sto circondando oggi, con la consapevolezza di oggi.
E ho saltato.
L’ho sentito, e mi ha chiamato. Non l’ho fatto per rabbia, esasperazione o altro. Sentivo di averlo, che era lì. Sentivo pace. Sentivo di aver abbracciato le mie paure e le mie insicurezze. Dopo averci parlato.
Ho saltato usandole come ali di lancio, non come calcio di scappatoia.
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Copro ogni punto tranne uno, importantissimo, quindi niente da fare, i nostri destini si incrociano e si separano qui. Ma andiamo nel dettaglio:
Oggetti inanimati - Una volta i coinquilini hanno rapito Sotti, l'orsetto peluche che ho da quando avevo un anno, e mi mandavano foto random di lui in giro per la città; io ho pianto tantissimo finché non me lo hanno ridato.
Se si dimentica di dirmi che sta con un altro – Sono distratta ma uso molti post-it.
Posto agli anziani sul bus o sul treno - Lo lascio anche a chi dall'espressione sembra più stanco di me.
Condividere la cioccolata - Beh sì, sono una personcina educata.
Discorsi ascetici dell'amarsi senza dimostrare amore - No no sono siciliana, io trabocco dimostrazioni.
Drogarsi - Ogni tanto prendo l'Imodium.
Il sesso per controllare - Non saprei nemmeno recitare la parte.
L'assenza di sesso per controllare - Vedi sopra.
Se fuma - No.
Se non ha almeno perso una cosa importante nella vita - Ho perso cose e persone.
Se sorride troppo in foto - No, faccio la bocca a piccola mezzaluna tipo fototessera.
Se è troppo fotogenica - Vai sereno.
Se non ha almeno una dozzina di segreti – Mah, ne avrò... tre, quattro? Spero bastino.
Se ha un sacco di soldi – Vai serenissimo.
Se non è in grado di stare per i fatti propri – Non sono in grado di stare meno per i fatti miei.
Se tratta male i piccioni per strada – Nutro ogni mattina due tortorelle di nome Franz e Sissi più la loro corte di otto piccioni grassi.
Se sogna di andare a Eurodisney o Disneyland – Ti prego sì.
Ah se le piacciono i Minions – Banana!
Se tifa Juve o segue il calcio in generale – Ma figurarsi.
Se non ha senso dell'umorismo – Ho senso del tragicomico, va bene uguale?
Se ha difficoltà a esprimere quello che prova con parole semplici – Ho difficoltà ad esprimere quello che provo soltanto con parole semplici, ne uso fin troppe.
Se non ha mai avuto a che fare con la malattia – Avuto, avuto.
Se lascia cibo nel piatto quando cucino io – Io non lascio cibo nei piatti, mai.
Se non mangia dolci – Dovrai strappare l'ultima fetta di torta dal mio freddo cadavere.
Se non beve caffè – Due tazze massimo però.
Se non ha nemmeno un vizio – Così al momento me ne vengono in mente quarantasei.
Se cerca una figura paterna – Mio padre è un tipo a posto, non ho issues.
Se parla durante i film e guarda solo film doppiati in italiano – No e no.
Se fa il quadro astrale – No, ma a volte leggo l'oroscopo di nascosto vergognandomi molto, e non lo dico a nessuno.
Se non le piacciono le liste – E altrimenti che ci faccio qui.
Se manda messaggi audio più lunghi di 40 secondi – L'audio è la mia ultima risorsa, mi piace scrivere.
Se limona mio fratello per farmi ingelosire – No, la mia tecnica è auto inviarmi commenti flirt sui social con account falsi.
Se non si commuove quando le mando una foto di Ernesto – Awwwwwwww.
Se desidera essere intrattenuta e basta – No, facciamo a turno col costume da saltimbanco, ho un sacco di esperienza.
Se manda le emoji. Troppe emoji - ^_^
Se guarda Sanremo o altre cose trash – Ne ho visto mezz'ora quest'anno perché ero con i miei in soggiorno ed era la stanza più calda della casa. Mio padre ha indicato lo schermo e detto “ora è il turno di ROSA VIOLET”.
Se non le piace la pizza napoletana e dice che le altre varianti sono migliori – Questo è l'unico punto dolente della lista, a cui non posso mettere il check completo. La pizza napoletana mi piace, ma la romana mi piace di più. Rispetto la gerarchia dell'autenticità, ma la classifica del mio cuore è diversa.
Se rompe il cazzo con De André – De Andrè bravissimo, ma ne parlo poco e lo suono soltanto quando sono da sola.
Se si annoia a leggere tutti sti punti – Vedi voce: se non le piacciono le liste.
Se non è stata almeno 6 mesi da sola – AHAHAHAHAHAH tu non hai idea.
Se non è stata almeno 6 mesi in terapia – AHAHAHAHAHAH tu non hai idea.
Quali sono le tue Red flag?
Ci ho pensato un po' perché non capisco se ti riferisci alle mie inteso come quelle che ho imparato essere parte di me e che compromettono i miei rapporti, o quelle degli altri e che dovrei riconoscere onde evitare di ricadere in errori passati. Facciamo che è la seconda e allora parto con la lista, perché a me piace sempre dilungarmi.
Se non prova sentimenti verso oggetti inanimati ecco quello è da evitare, tipo non cerca di salvare delle banane abbandonate nel reparto sbagliato del supermercato da qualcuno che se ne è sbarazzato perché ci ha ripensato ecco questo no, ma anche se non saluta per l'ultima volta dei pantaloni usati prima di buttarli via.
Se tipo si dimentica di dirmi che sta con un altro, quello è un segnale che non gradisco. Mi piace che mi vengano raccontate palle costruite bene non errori di distrazione.
Se non lascia il posto agli anziani sul bus o sul treno.
Se non condivide la cioccolata, ricordo questa ragazza a cui portai una barretta in regalo e lei ne mangiò un bel pezzo e poi la mise via in borsetta e io ero lì che la guardavo grondando saliva e questa niente, "beh me l'hai regalata perché devo offrirtela?".
Se se ne viene fuori con discorsi ascetici dell'amarsi senza dover dimostrare amore ecco, quella è una cosa enorme e scintillante.
Se nella lista delle priorità al primo posto c'è drogarsi anche non va bene, soprattutto se non offre, come la tizia della cioccolata, ma in generale è un bel "no grazie".
Se con troppa facilità utilizza il sesso per controllarmi ecco non ci siamo, ma perché io per tutte queste cose reagisco come con la cioccolata di prima, sono davvero un banale esempio di maschio etero bianco che ti serve davvero un niente per fargli fare ciò che vuoi, allora ho imparato che è meglio restare casti.
Stessa cosa ma al contrario, se controlla l'assenza del sesso proprio per farmi sentire in colpa per la facilità con cui mi lascio andare alle passioni carnali, uguale: meglio da solo.
Se fuma (cosa che non sopporto) e non si prende cura di dove riporre i mozziconi e li lancia in giro, che odio.
Uh se non ha almeno perso una cosa importante nella vita.
Se sorride troppo in foto, perché è chiaro che io non riuscirò mai a tenere alto l'umore a questi livelli e allora entrerei in un loop di ansia totale.
Se è troppo fotogenica, perché io vengo sempre di merda e mica mi sta bene che poi magari ci si fa una foto insieme e io sembro Shrek e lei un umano normale.
Se non ha almeno una dozzina di segreti che custodisce con cura senza rompere per i miei trecentomila.
Se ha un sacco di soldi, ecco quello proprio non va, cioè io ho bisogno di sofferenza e dolore e rivalsa e combattere il capitalismo insieme.
Se non è in grado di stare per i fatti propri, in solitudine, come protezione e cura verso se stessa.
Se tratta male i piccioni per strada.
Se sogna di andare a Eurodisney o Disneyland.
Ah se le piacciono i Minions.
Se tifa Juve o segue il calcio in generale perché a me il calcio fa cagare e non ne voglio sentire parlare mai e comunque Forza Napoli sempre.
Se non ha senso dell'umorismo e una volta sono uscito con una che ha detto "esco con te perché mi fai ridere dato che io non so cosa siano l'ironia e il sarcasmo" e io ho pensato vabbè chissenefrega con quelle tette mica è necessario e invece alla fine vai a scoprire che non serve a molto uscire con qualcuno con cui non puoi ridere ma ha una quarta abbondante.
Se ha difficoltà a esprimere quello che prova con parole semplici, non me la prendo se i discorsi non sono il tuo forte eh, ma ad esempio una volta mi sono frequentato con una viennese per alcuni mesi e io insomma ci stavo per cascare ma lei diceva sempre "non dire romanticherie che non le voglio sentire" e dovevo trattenermi finché un giorno disse "oggi abbiamo passato un bel pomeriggio" e quello fu la sua massima capacità di comunicare quello che provava, io speravo in un "ti trovo molto bello e mi piace stare con te" e invece no, quindi magari una via di mezzo non sarebbe male, o almeno dirmi prima che non si va da nessuna parte così io mica faccio quella cazzata dell'innamorarmi.
Se non ha mai avuto a che fare con la malattia, non voglio rovinare la sua vita fantastica arrivando io con il mio carico di visite in ospedale. Ma questa non è una red flag è solo forse, credo, invidia e amore verso il prossimo.
Se lascia cibo nel piatto quando cucino io.
Se non mangia dolci.
Se non beve caffè.
Se non ha nemmeno un vizio.
Se mi sostituisce con il padre perché cerca una figura paterna.
Se parla durante i film e guarda solo film doppiati in italiano (ok su questa posso trovare un compromesso).
Se viene a chiedermi data e ora e luogo di nascita e poi fa il quadro astrale, questa è da correre via a gambe levate.
Se non le piacciono le liste.
Se manda messaggi audio più lunghi di 40 secondi.
Se limona mio fratello per farmi ingelosire.
Se non si commuove quando le mando una foto di Ernesto (il mio gatto) in una posizione carina.
Se desidera essere intrattenuta e basta, perché io ho questo problema di voler sempre far ridere e intrattenere e alla fine vengo largamente sfruttato ma so che è colpa mia ahimé.
Se manda le emoji. Troppe emoji.
Se guarda Sanremo o altre cose trash.
Se non le piace la pizza napoletana e dice che le altre varianti (che non sono pizze bensì banali focacce) sono migliori.
Se rompe il cazzo con De André.
Se si annoia a leggere tutti sti punti.
Se non è stata almeno 6 mesi da sola.
Se non è stata almeno 6 mesi in terapia.
Boh penso di aver perso di vista la domanda iniziale arrivato a questo punto però credo sia chiaro che sono un grande rompicoglioni. È che invecchiando (unica cosa in cui sono davvero bravo) e accumulando un sacco di esperienze (altra cosa in cui eccello mio malgrado) ho creato dei segnali di pericolo che, seppur minimi, mi aiutano ad evitare di sprecare il poco tempo a disposizione. Non perché io stia morendo eh, non più del normale, tutti ogni secondo che passa ci avviciniamo al momento della nostra dipartita, ma perché il mio tempo a me piace passarlo largamente facendomi gli affari miei. Quindi per rispondere alla domanda inversa, quali sono le mie red flag inteso come mie proprie di me stesso, mi piace fin troppo farmi gli affari miei, il che è davvero brutto quando altri umani vogliono interagire.
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IL BLOCCO DELLO SCRITTORE
Non è una novita e quindi dovrei smettere di stupirmene ogni qual volta succede e invece tutte le volte il ben rodato meccanismo umano che sta dietro a una discussione accesa mi coglie puntualmente impreparato e io mi procuro sempre qualche livido cadendo dal pero.
Non che poi io debba diventare il nuovo Noam Chomsky o essere considerato tale da alcunchì ma è evidente il divario di interazione in entrata tra quelli che sono i miei post con pensieri intimi di approfondimento 'umanistico’ e post in cui sembra che io indichi qualcuno da deridere o verso il quale provare risentimento.
Tira più un pelo di figa no vax che un carro di buoi esistenzialisti, insomma.
Magari non è che siano più interessanti gli argomenti piliferi di cui sopra... forse sono solamente pallosi i miei ragionamenti a spirale centrifuga infarciti di etimi e di link da non aprire come la porta dell’omonimo film horror ma è indubbio che i primi comunque ricevano più assenso, condivisione e rabbia, non importa quanto io abbia tenuto un tono pacato e ipogiudicante.
Si vede proprio che taluni hanno bisogno di qualcuno con cui avercela.
Nell’ultimo post sui vaccini ho fatto la seguente affermazione:
[...] a livello molto basilare di convivenza sociale non ho mai interagito con un non vaccinato senza che questo non mi avesse stupefatto con la sua assoluta mancata comprensione della realtà circostante e con la mancanza delle più basilari regole di rispetto per l'altro... per non parlare del suo analfabetismo funzionale sull'argomento vaccini.
E qua sono successe quelle due cose che avvengono sempre quando le persone guardano le figure senza leggere:
Ho perso una decina di follower
Hanno cominciato a seguirmi una decina di follower
Intendiamoci, non siamo più nei primi anni 2000 dove il contatore degli iscritti al tuo spazio digitale fungeva da ego-strengthening (a quello ora ci pensano i porn-bot con url nomedonna+sexy/hot/wantssex+stringa di numeri che ti mettono il like a post che nemmeno ricordavi di aver scritto) ma quello che mi colpisce è che dopo la fuga indignata di chi non si sa come aveva eluso il mio pensiero, arrivano sempre nuovi lettori, un numero consistente dei quali deve amare moltissimo l’uso casuale del dizionario dei sinonimi e dei contrari perché sembrano esprimere un coacervo di convinzioni esattamente antitetiche al mio modo di trattare certi argomenti e, in genere, di vedere la realtà.
Il paragrafo che ho citato dal mio post precedente per me non è fraintendibile: ho semplicemente affermato che di tutti i no vax che ho conosciuto, nessuno mi ha portato argomentazioni che presupponessero il minimo dubbio sul loro pensiero o la voglia di ascoltare le altrui motivazioni. Magari ne trovassi qualcuno con cui parlare in modo... normale?
E i post che ho letto in alcuni dei tumblr che hanno cominciato a seguirmi ne sono la drammaturgica e iperbolica manifestazione.
Quindi li ho bloccati, consapevole che se arrivi a certi livelli di pensiero io non posseggo sufficiente forza e pazienza per aiutarti a mettere in dubbio le tue convinzioni.
E non solo... ho preso il peggiore e il meno equivocabile post della loro collezione e ho bloccato tutte le persone che avevano rebloggato, messo un cuore o commentato in modo gonadoischemico.
Perché ok la disponibilità all’ascolto e all’aiuto ma questa presuppone un minimo di reciprocità da parte del tuo interlocutore e purtroppo in questo momento il mio cassetto dei cucchiai è meno pieno di un tempo...
Non ho la forza emotiva di interagire con persone che non abbiano il mio stesso modo pacato e dubbioso di codificare la realtà e siccome la tanto citata ‘lotta per la democrazia negata’ non prevede il mio ascolto forzato delle lamentele di chi non trova la mia porta di casa aperta, dovrete farlo altrove, mi spiace... magari facendovi ricoverare al Pianto Soccorso dell’Ospedale delle Lagne a voi più vicino.
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Sai è una serata molto difficile. Sto prendendo la decisione di dire addio alla persona che Amo. Lei ha un cancro e non rimarrà ancora qui per molto. Io l'amo ma lei è tossica per me. Lei è una narcisista patologica ed io provo per lei una dipendenza affettiva. Le devo dire addio per salvarmi ma è difficile perché dopo tanti anni ho paura di non sopravvivere senza questa "non relazione" tossica. Ne sto uscendo emotivamente schiacciato, senza amor proprio e con tanti chili un più. Però come tutte le dipendenze ho paura di non sopravvivere e ho paura di ricaderci. Ti chiederai perché ti scrivo queste cose, lo faccio perché ho paura, ho paura di non poterle dire addio quando sarà, ho paura di vivere senza di lei anche se sono anni che mi usa. Seguendoti penso tu sia una persona che vorrei vicino quando il distacco mi farà pensare a cose autodistruttive. Sei la persona che mi ispira. Cazzo cosa non darei stare male ma avere una Amica come te che mi prende a randellate per farmi amare me stesso. Che mi suona qualcosa per non farmi pensare. Che mi racconta che il dolore che proverò non è nulla confronto a quello che provi tu ogni singolo giorno e che di questo male si sopravvive. Ecco quando penso a te penso ad una persona buona e meravigliosa a cui potrei affidare in amicizia il mio bambino interiore a pezzi. Ciao e scusa
Ciao anon,
Io sono in macchina nel cortile di casa e leggo adesso le tue parole. Parole forti, forse anche liberatorie in un certo senso. Parole di una persona che sta cercando aiuto e sta tentando di rimanere a galla, di respirare, di andare avanti. Sai, oggi è una giornata pesante per entrambi e non sarei capace di trovare gli accordi giusti così come non sono in grado di trovare le parole. Sei molto gentile e carino a dipingermi in questo modo. A vedere in me queste cose positive ma la verità è che io sono la prima ad essere tossica per me in primis e per le persone che mi stanno intorno. Ho fatto del male alla persona a cui più tengo nell'esatto momento in cui avevo promesso che non gliene avrei fatto e sai cos'è la cosa che mi massacra psicologicamente ogni giorno? Il fatto che quando tutto è successo io non ero in me per motivi x,y,z e che non sto spiegare qui. Ovviamente è venuto fuori tutto dopo quando qualcuno di competente è stato in grado di diagnosticarmi la problematica. Oggi al gruppo di ascolto hanno detto "quanta vita abbiamo perso per colpa di tutto questo". Ho pianto alla mia maniera: restando in silenzio e annegando dentro lacrime invisibili. Quella ragazza aveva ragione. Poi è stato aggiunto "ti senti un peso per la tua famiglia, per i tuoi amici, per te stesso. Un attimo prima ci sei con la testa, un attimo dopo non sei più tu". È difficile amico mio, però un passo alla volta continuiamo a mantenere il nostro equilibrio. Io non posso darti la soluzione al tuo problema ma posso abbracciarti da lontano e farti una carezza sulla testina come facevano le nostre mamme quando eravamo piccolini. Non sono la persona piu indicata a parlare di dipendenze perché sarebbe fare una morale parlando da peccatrice. Dobbiamo provare a cercare la nostra dimensione, il nostro modo per dare amore, il nostro modo per lasciarci amare. Io faccio un po' fatica però ci provo. Dico sempre che nelle cose che faccio, anche se magari banali o stupide, c'è sempre dentro tanto sentimento. In una canzone che mi piace tanto si dice "ma poi la promessa dell'alba si fa più vicina e il buio si scambia con la luce della mattina. L'ansia che diventa adrenalina, la nebbia che si dirada e si intravede la riva".
E sono, piccolo Anon, sicura che questo mare fatto di lacrime in cui ci troviamo, ci farà sempre meno paura.
Dobbiamo solo trovare il nostro faro per tornare a casa.
Ti abbraccio fortissimo e mi raccomando scrivi sempre, parla di ciò che ti fa stare male. Butta fuori tutto, spacca un muro se necessario. Affronta SEMPRE le cose anche e soprattutto quando ti fanno paura.
Ti do un bacino sulla fronte.
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"Mentre le ragazze della mia età facevano coi maschi prove di volo, io facevo prove di abbandono.
Dopo venti giorni di cinema, pizza, normalità, avvertivo l’urgenza di non vederli più.
Ricorrevo all’addio tramite sms: “Non funziona”, come si trattasse di un elettrodomestico.
Un introverso mi rispose con uno squillo e sparì nel nulla.
Un logorroico mi scrisse una lettera di cinque pagine in cui mi avvertiva che un dipendente era stato risarcito dall’azienda perché licenziato tramite sms, concludeva con: “Quanti danni morali dovrei chiedere io a te?”. Ora fa l’ avvocato.
Un ricco mi comprò un cellulare molto costoso per convincermi a richiamarlo. Non accettai: mi piacciono i regali, non gli investimenti. Ora lavora in Borsa.
Un mammone, che mi aveva invitato a casa sua per presentarmi, mi rispose “Mia madre ha preparato il pranzo, che le dico?”, gli consigliai di dirle che non avevo appetito. Ora le presentazioni le fa al ristorante.
Con loro ero stata prevedibile, inaffidabile, seriale: mai una foto insieme, una promessa, un ripensamento. Eppure, se li incontravo per caso, ci tenevano a fermarmi, volevano a tutti i costi offrirmi un caffè, azzardavano un contatto, mi chiedevano perché fosse finita, io mi chiedevo perché fosse iniziata, perché non m’insultassero, perché non sentissero l’oltraggio, l’orgoglio, l’abbaglio.
Avevo detto addio prima della fine: io per loro non avevo fatto in tempo a diventare stanchezza, ero rimpianto, voglia intatta, e loro per me non avevano fatto in tempo a diventare mancanza.
Ti ho conosciuto in pizzeria, a un cena universitaria. Stavi seduto accanto a una ragazza, lei era di Latina, ma sosteneva che sua nonna era regina d’Etiopia, tu la guardavi perplesso. Ho preso posto accanto a te, ho pensato: sei tu.
Un giorno quando racconterai ad altri il nostro inizio dirai che stavi parlando con una principessa ed è venuta a infastidirti una “zanzarina”, io ti dirò zanzarina a chi?, ma nei tuoi diminutivi sentirò il sollievo di non dover essere grande. Ci siamo rivisti un diciotto maggio alle diciotto, alla fine delle lezioni mi aspettavi. Hai chiesto il mio numero di telefono a un’amica comune e io l’ho rimproverata per avertelo dato.
Paura di te, delle nostre notti passate a passeggiare a vanvera per Roma, sai?, mi sembra che certe piazze e certe strade le abbiamo viste solo noi, non le ho più trovate. Mi hai portato in ristoranti sofisticati, ma dal Cinese ti sei fatto coraggio e m’hai baciato. Due giorno dopo ho provato a lasciarti: “Non funziona”, ti sei piantato sotto casa mia, hai pianto, hai detto “Aggiustiamola” e ci abbiamo provato.
A insegnarmi come si tiene e si lascia tenere una mano ce n’è voluto, io bravissima a scansare, mi prendevi la mano, indicavi un’insegna e dicevi “tienimela fino a lì, manca poco”. Ho cominciato a cercare la tua mano prima che tu prendessi la mia. Abbiamo noleggiato cento film, non ne abbiamo seguito uno, abbiamo smesso di camuffare i nostri difetti, la discesa del mio naso, la tua altezza, i tuoi capelli arrabbiati, i miei più arrabbiati dei tuoi, il tuo ginocchio, la cicatrice che ho vicino all’orecchio, “bella questa malformazione” hai detto passandoci il dito sopra ed era come se la disegnassi tu in quel momento, ti ho detto “allora è una benformazione”. Abbiamo costruito un vocabolario nostro, di parole minuscole ed esagerate, di progetti fatti, un figlio coi capelli inevitabilmente arrabbiati e i denti a perle, tu gli insegni a guidare la macchina ma io gli dico di andare piano, io gli scrivo le favole ma tu gli spieghi come si sogna.
I venti giorni erano scaduti da mesi, anni, non tenevo più una contabilità precisa. La voglia restava intatta e cresceva invece di diminuire. E mi mancavi anche quando c’eri.
M’hai dato un anello, ti ho detto “è largo” senza nemmeno provarlo.
In chiesa ci tenevi ad andare insieme, io non ero praticante, non lo sono, però una volta ti ho accontentato. Il prete recitava il primo comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano.”
Il nome di Dio invano non l’avevo mai fatto, ma di addio invano ne avevo detti tanti e dentro di me ho giurato di non aggiungerne un altro.
La nostra prima foto ce l’ha scattata un marocchino. Io ho provato a dire no, niente foto, ma tu ci tenevi, hai fatto quella faccia, quando facevi quella faccia io pensavo sempre “perché no?”. È il mio compleanno, mi hai regalato il bracciale col cuore, quello che guardando una vetrina ti ho detto che mi piaceva e tu sei stato attento. Siamo nella stessa immagine: io pallida, quasi trasparente, tu scuro; io col broncio costante, tu che sorridi e non serve chiedertelo. A guardare bene, ci separa un’interruzione, un precipizio, uno strappo netto: l’ho fatto io una sera in cui volevo cancellare le nostre prove e un attimo dopo già l’aggiustavo con lo scotch. La foto l’ho messa in una scatola insieme al bracciale col cuore, all’anello, a tutte le lettere e le parole che non c’assomigliano più.
Ma forse un gesto è solo un gesto e una frase è come tante, è chi la sente a caricarla di significato, cerco di convincermi ogni volta che un ragazzo mi fa una carezza, le mani sono mani, le tue, le sue, quelle di un altro, che differenza fa?, lui segue i miei lineamenti, scende sul collo, poi risale, si sofferma sulla cicatrice che ho vicino all’orecchio, penso: la benformazione, e scanso la sua mano infastidita. Vorrei che le parole per me non avessero tutta questa importanza, vorrei che non m’incatenassero a chi le dice, a chi le ho dette.
E maledico i ricordi felici perché fanno più male di quelli feriti.
Mi tornano in mente le vacanze estive, l’immagine di me bambina, il bagno al largo. Gli altri nuotavano dandosi slancio in lunghezza, con movimenti fluidi si mischiavano alle onde, seguivano la corrente, io m’immergevo quasi perpendicolare all’acqua, spingevo coi piedi, tenevo il respiro, volevo misurare il fondo, toccarlo, prendere una manciata di sabbia e portarla in superficie. Risalivo in modo scomposto, gli occhi rossi, il fiato grosso, stringevo la sabbia bagnata in pugno e mi sentivo più forte, sapevo cos’era il fondo, ero capace di toccarlo e risalire, la corrente fino a quel punto era un pericolo che sapevo gestire.
Ho la gastrite, ma la Coca non rinuncio a berla: me la facevi trovare già sgasata, prendevi un cucchiaino e le davi una girata. Ti ho amato per queste accortezze, per le sciocchezze che mi venivano concesse, perché non volevo essere saggia, volevo essere stronza e ragazzina. Ti ho amato perché certe volte non riuscivo a essere forte, volevo solo scivolarti tra le braccia e sentirti dire tutto passa, tutto passa, pure se non era vero, tutto passa, tranne noi, certo, tranne noi. Ti ho amato perché se non mangiavo avevo qualcuno che mi sgridava, perché mi mettevi a tradimento lo zucchero nel tè, perché se mi estraevano i denti del giudizio e avevo la faccia gonfia, mi volevi baciare uguale, perché insistevi per vedere i film horror e poi eri il primo a spaventarti, perché dopo un anno ancora ti spiegavo come arrivare a casa mia e tu alzavi gli occhi e ripetevi “la strada la so”, perché se camminavamo per strada curvavi le spalle per sembrare più basso e io salivo su ogni gradino possibile, perché se mi abbracci scompaio, perché una volta in macchina mentre ci stringevamo ti sei scordato d’inserire il freno a mano e abbiamo tamponato, perché quello che era normale diventava speciale, perché eravamo uno pure se eravamo due, ma soprattutto ti ho amato perché tu mi hai amata.
Paura di te, della corrente. Eravamo al largo, così al largo, dov’era il fondo?, dove la fine?
Sempre meno mia e sempre più tua. Dov’era il controllo? Dove l’autonomia?
Da quando ti ho lasciato, con un sms, mi comporto come se potessi incontrarti ovunque: a una mostra, una presentazione, in qualunque luogo pubblico mi trovi, tengo fisso lo sguardo sulla porta, aspettando di vederti entrare, cerco di farmi trovare sorridente, in buona compagnia, tra persone di successo e se qualcuno mi parla sottovoce e si fa audace, penso: se solo entrassi adesso, adesso, in questo momento, sarebbe un quadro perfetto.
Da quando ti ho lasciato, ogni mio momento è recitato come se tu dovessi assistere.
Lavoro vicino casa tua, ma allungo la strada per non passare lì sotto, ho il terrore d’incontrarti insieme a qualcuna, le tue mani sui suoi fianchi, vedervi attraversare la strada in fretta, con la certezza di finire sul letto e addormentarvi stanchi.
Ma ci s’incontra anche in una città enorme e senza farlo apposta: ci vediamo all’ospedale, io sono radioattiva, ho appena fatto una lastra, tu esci da un esame. Non ci tieni a fermarmi, non mi offri il caffè, a stento un cenno, mi dici parole indegne di te e di me, di noi, vorrei spiegarti, ma spiegarti cosa?, che la paura dell’abbandono fa fare cose assurde, che per paura di sentirsi dire addio un giorno, si pronuncia per primi e subito, mi chiedi “come stai?” e finalmente lo ammetto “male”, mi guardi tutta e dici “non sembra”, “tanto tu sei forte, sei saggia”, sì, io sono forte, sono saggia, “tu non ce l’hai il cuore come tutti gli altri”, già, io non ce l’ho il cuore come tutti gli altri, perché io ne ho uno solo di cuore, gli altri ne hanno almeno uno per ogni occasione.
Mi accompagni alla macchina, salgo, provo a mettere in moto. Niente. Provo di nuovo, provi anche tu ma il risultato è lo stesso. Non ho vinto io, non hai vinto tu. Spingiamo la stessa macchina che non è partita, non ha funzionato e non si sa perché, dev’essere la batteria, la benzina c’è, i presupposti per andare lontano c’erano.
Spingiamo e parliamo, le tue parole affilate, le mie così vaghe.
Penso: ti sto dicendo mille frasi adesso, ma vorrei dirtene solo una e non riesco.
Giulia carcasi - Perchè si dice addio.
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Ciao, intanto ti faccio i complimenti perchè sei bravissima, adoro il tuo stile. Ho trovato un tuo post in cui menzionavi il fatto di aver perso degli amici nell'ultimo periodo, e la cosa è successa più o meno anche a me. Tu come hai affrontato la cosa? Sei riuscita ad "uscirne" (passami il termine)? Mi scuso per il modo totalmente random e awkward con cui ti ho posto questa domanda, se è troppo personale capisco se non vorrai rispondere.
Grazie dei complimeti <3 Nessun problema per le domande personali, se non avessi low key voluto sfogarmi non ne avrei fatto proprio cenno :'D Allacciati le cinture perché ~it's story timeeee~
Allora, la cosa degli amici l'ho vissuta malissimo, ma male male, perché io mi affeziono moltissimo e tendo a considerare tutti i miei amici, dopo un paio d'anni di frequentazione, come dei fratelli... e questi li vedevo tutte settimane, anche a casa mia, e per le feste più importanti da più di cinque anni. Alcuni, da 13 anni. Non mi ero accorta, purtroppo, che si stavano creando delle fazioni in cui io e il mio ragazzo eravamo particolarmente malvisti, e che hanno preso il sopravvento quando è entrato nella compagnia un tizio che ci trovava antipatici e ha spostato l'ago della bilancia a nostro sfavore, e quindi chi non ci sopportava ha iniziato a essere apertamente ostile nei nostri confronti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il meltdown psicologico di un ormai ex carissimo amico, che ha iniziato a dire falsità su di me e sul mio ragazzo, peggiorando ulteriormente la situazione al di là di ogni salvezza. Anche quelli che dicevano di essere dalla nostra parte, e che non credevano alle voci messe in giro dagli altri, a conti fatti non hanno fatto niente per impedirlo, anche quando noi invece li difendevamo quando sempre le stesse persone parlavano male di loro in loro assenza. In soldoni, visto che l'ambiente era diventato super tossico, e la gente ok se n'era ormai andata tutta, il gruppo si è sciolto. Uhm, stando così nel vago non so se si capisce molto ahaha
Quindi, ci siamo ritrovati con metà degli amici che si è rivelata un branco di serpi, e l'altra metà troppo pavidi per dire qualsiasi cosa o difenderci. Io e il mio ragazzo ci siamo messi a valutare se ricominciare da zero, altra gente e altre compagnie, o cercare di salvare il salvabile. Abbiamo fatto un mix: abbiamo ricominciato ad uscire con gli amici "pavidi", cercando di capire se ci fosse solo codardia o malizia dietro le loro azioni passate. Passando tempo insieme, parlando, e stavolta stando super vigili, abbiamo quindi capito che di alcuni ci si poteva fidare, mentre altri si riempivano la bocca di parole belle e perfettamente vuote.
Siamo rimasti quindi con quelle 4-5 persone con cui usciamo regolarmente. O meglio, il mio ragazzo ne ha ben di più, perché è più estroverso di me xD ma io mi accontento. Arrivare fin qui è stato però super doloroso, perché è successo quasi tutto durante il lockdown, nel 2020, e io per settimane non ricevevo messaggi da nessuno dei miei "amici" perché questo ex amico era riuscito ad isolarmi da tutti gli altri. In quei momenti di solitudine sia fisica che di comunicazione, in cui mi ero anche appena trasferita lontana dalla mia famiglia, stavo super male e spesso avevo lunghi attacchi di panico, con crisi di pianto (ancora adesso non è facile pensarci). Mi consolavo nell'unico modo che conosco: la preghiera. Liturgia delle ore e via che si va. (E i videogiochi, ma quelli funzionano fino a un certo punto LOL) Ah, quasi dimenticavo: è stato super duro anche perché regolarmente ricevevo messaggi di hate da parte di alcuni di quegli ex-amici che, sentendo che erano state aperte le dighe dell'odio contro di me, hanno pensato bene di mostrare la loro vera natura calcando la mano e scrivendomi messaggi che riassumerei come "ucciditi feccia umana buhahaha". Il motivo di questo odio è riassumibile in: 1) non gli piaceva che fossi una persona religiosa (not even joking), e 2) gli dava fastidio che gli dicessi dietro quando sparlavano dietro agli altri, o quando prendevano in giro i disabili :/ Ok col senno di poi meglio perderli che trovarli, ma again, erano persone orribili in modo molto subtle -e in qualche caso addirittura patologico: il mio "ex-amico" numero 1 mi ha confidato solo dopo che ha praticamente incolpato me del suo breakdown psicologico (a caso, manco ci parlavamo in quel periodo), e che è un narcisista covert (quel tipo di patologia che NON puoi far finta di non avere).
Insomma. Ho anche carezzato l'idea di denunciare qualcuno di loro per calunnie e molestie. Ma poi ho pensato che devo semplicemente lasciare correre. La giustizia non è di questo mondo. Io me ne devo fare una ragione, bloccare la gente sui social, e andare avanti. La gente tossica è una zavorra, niente di più, noi non li possiamo fare diventare persone migliori se loro non sono i primi a volerlo.
Eeee non ne sono uscita, in realtà. Spesso sto ancora male. Gli amici rimasti sono care persone, ma dentro di me ho una ferita ancora sanguinante. Ci penso ancora quasi tutti i giorni. Sono diventata estremamente diffidente nei confronti delle persone, e mi aspetto in ogni momento che i due amici nuovi che mi sono fatta mi pugnalino alle spalle. Yep, sono diventata paranoica :'D So che là fuori ci sono degli amici sinceri, ma io non sono ancora pronta ad incontrarli lol
Unica cosa positiva è che io e il mio ragazzo ne siamo usciti super uniti. Poco prima avevamo avuto un momento di crisi, ma questa storia ha fatto sembrare tutti i nostri problemi delle briciole a confronto.
Last but not least, i veri amici si riconoscono in 2 modi: quelli che ti aiutano nel bisogno e che ti ascoltano quando stai male. Se mancano questi due requisiti, non c'è simpatia che tenga.
Anon, se sei arrivata/o in fondo a questo sfogo delirante, ti faccio tanto di cappello, e ti offro pure uno sketch ;D Ho voglia di disegnare cose random, dimmi pure
#asku#ita#personal stuff#it's about me losing almost all of my friends in the last two years#but it's rambly and it doesn't really make sense#maybe one day I'll tell the story to my tumblr friends#(you)#but I need to make order in my head about it#and it's still too soon
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LETTER FROM EDDIE !
Hello everyone, it ‘s been a while since I have not published my posts for various reasons and I should have written this a month ago when I came to home from work and found this beautiful letter.
As some of you know I work in the hospital and as you know we were among the first European countries involved and overwhelmed by the Covid -19 pandemic. I usually work in the surgery room, but in Covid period I worked for a month and a half in intensive care. Eddie learned about my job and sent me a ‘beautiful’ handwritten letter !!
I cried, I cried a lot for what he wrote to me …Words like Gratitude, Respect and Admiration for our work written by him are priceless …… when colleagues knew and saw the letter rejoiced! “Eddie, Eddie Redmayne? Do not joke! Really, what did he write, let me see .. I can’t believe it … An Oscar winner like him sent us a letter? “ Amazement and joy invaded our hearts and made those sad moments a little less ‘unhappy’, which at the moment are memories for us. And then we took photos .. …..
Dear Eddie you are SPECIAL! In our meetings you spoke to me in ITALIAN, sang the Christmas carols at Eton College, picked up the phone to take beautiful pictures together, and joined fans from any country in the world !!
You are not only a talented actor, but you also have the power to reach people in the heart and stay there forever!
Me, Patty, Christian, Rosy and Tiziana (we are just some of the many colleagues) we thank you infinitely and we hope that sooner or later the whole world will free from Covid.
Hope to meet you soon, Chris.
Ciao a tutti, e’ da un po’ di tempo che per diversi motivi non pubblico dei miei post ed avrei dovuto scrivere questo gia’ un mese fa quando arrivando da lavoro trovai questa bellissima lettera.
Come alcuni di voi sanno lavoro in Ospedale e come sapete siamo stati tra i primi paesi europei coinvolti e travolti dalla pandemia Covid 19.
Solitamente lavoro nel blocco operatorio, ma a causa del Covid ho lavorato per un mese e mezzo in terapia intensiva, Eddie e’ venuto a conoscenza del mio lavoro e mi ha spedito una lettera a dir poco “bellissima” scritta a mano da lui !! Ho pianto, ho pianto molto per cio’ che mi ha scritto…
Parole come Gratitudine, RIspetto e Ammirazione per il ns lavoro scritte da lui non hanno prezzo …… quando i colleghi hanno saputo e visto la lettera hanno gioito! “Eddie, Eddie Redmayne? Non scherzare! Davvero, cosa ha scritto, fammi vedere.. non ci posso credere…Un premio Oscar come lui ci ha inviato una lettera? ” Stupore e gioia hanno invaso i nostri cuori e reso un po’ meno “infelici” quei tristi momenti, che al momento per noi sono ricordi.
Caro Eddie tu sei SPECIALE! Nei nostri incontri mi hai parlato in ITALIANO, cantato i canti natalizi al Eton College, preso il telefono per scattare foto bellissime insieme, e hai unito tutte noi fans di qualsiasi paese al mondo !!
Non sei solo un attore di talento, ma hai anche il potere di colpire le persone al cuore e rimanerci per sempre!
IO, Patty Christian, Rosy e Tiziana ( siamo solo alcuni dei tanti colleghi) ti ringraziamo infinitamente e ci auguriamo che prima o poi tutto il mondo si liberi dal Covid
Spero di incontrarti presto, Chris.
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8 marzo, ecco otto frasi maschiliste che non sopporto più (...) Per questo 8 marzo, ecco otto frasi maschiliste che non sopporto più. 1) “Un po’ se l’è cercata”. Aggiungono un po’ all’inizio così sembrano meno stronzi. È l’abbreviazione di “non sono maschilista ma”. Vogliono dire che è ovvio che chi ha diffuso foto o video della ex su una chat del calcetto ha sbagliato, però lei ha sbagliato per prima. Siete proprio sicuri? Perché da quello che mi risulta inviare scatti al proprio partner non è un reato, diffonderli senza il suo consenso invece sì. Dopo l’approvazione della legge Codice Rosso, i casi di revenge porn sono almeno due al giorno. L’81% delle vittime è una donna, anche minorenni. 2) “Ma è solo un complimento”. Quando tra donne ci raccontiamo che l’ennesimo cretino ci ha clacsonato, la risposta classica (oltre a qualche parolaccia) è “sai che novità!”. E non è una frase fatta: più dell’80% delle donne ha subito catcalling. Se ti va bene – si fa per dire – ti becchi un “ciao bella”, se ti va male sei subito una troia. E no, non sono complimenti. Un complimento è se stiamo avendo una conversazione, se c’è feeling, non se io sono l’oggetto random del tuo desiderio per strada. Quella è molestia, perché infastidisce e spesso provoca paura. 3) “Le quote rosa sono imbarazzanti pure per voi!” Già. Anche a noi piacerebbe vivere in un mondo in cui le discriminazioni non esistono e quindi chiunque viene scelto solo in base alle competenze richieste, ma non è così. Perciò serve una legge che vada a normalizzare la presenza delle donne in ogni campo, uno strumento utile di cui a un certo punto potremo fare a meno, si spera. Quando c’è un’offerta imperdibile al supermercato, scrivono “massimo tre pezzi a cliente”. Perché? Perché se un affare è ottimo e ti pone in una condizione di vantaggio, tendi ad approfittarne. Ecco, le quote rosa sono quel cartello che dice: uomini, se prendete tutto voi perché la Storia vi ha abituati così, non resterà niente per altre persone meritevoli, quindi vi impongo di far spazio anche alle donne. Quando sarà chiaro che metà dello spazio ci spetta di diritto, forse la legge non servirà più. 4) “Non tutti gli uomini sono così”. Lo sappiamo, altrimenti odieremmo ogni uomo sulla faccia della Terra, compresi fidanzati, padri e altre potenziali brave persone. Ma non è questo il punto. Se un uomo venisse da me e mi dicesse “oggi mi hanno riempito di botte in Piazza Pallino” e io rispondessi “strano, Piazza Pallino è un posto così tranquillo”, questo dimostrerebbe una cosa molto semplice: non mi interessa ciò che hai vissuto, mi preme solo aggiungere il mio punto di vista su un elemento secondario. Se una donna dice “oggi uno mi ha palpeggiata” e tu rispondi “io non l’avrei mai fatto, non siamo tutti così”, stai sorvolando sul problema principale: fa male e siamo incazzate. 5) “Non fare la femminuccia”. Una frase che ha cresciuto intere generazioni di campioni mondiali di seppellimento di emozioni e sentimenti. Così tanti problemi in quattro parole: una visione del femminile come debole, la convinzione che il pianto e le lamentele siano un atteggiamento da donne, per non parlare dell’idea stessa che siano reazioni sempre negative e da evitare. Mi fa esplodere il cervello, quando la sento. 6) “Sei una donna con le palle”. Risata amara: spesso è un complimento, chi la usa in buona fede vuole dire che hai coraggio e determinazione. Come per la gemella delle righe precedenti, nasconde la convinzione che questi due attributi siano tipicamente del sesso maschile, quindi se li hai è giusto omaggiarti di un paio di palle ad honorem. Anche no, dai. 7) “Calciatrice, Avvocata, Ingegnera… ci sono cose più importanti a cui pensare”. Sicuramente. Considerando che al mondo c’è gente che muore di fame direi che ci sarebbe sempre qualcosa di più importante a cui pensare. Sorvoliamo su questa argomentazione. Io lo chiamo “femminismo gratuito”, quello del linguaggio. Mi piace perché usandolo immediatamente dimostri da che parte stai, e non devi fare nient’altro se non abituarti a quei termini. Uno, alcune professioni esistevano al femminile e poi sono scomparse, quindi possiamo recuperare termini datati ma già usati; due, le donne oggi fanno lavori che prima ci erano preclusi, quindi ci servono le parole per chiamarci. La nostra lingua è malleabile e ci torna comoda, per fortuna. Sono cacofoniche, mi dite? Poche storie, se si può dire “dirimpettaio” o “obbrobrio”, si può dire pure “sindaca”. 8) “Eh ma non si può più dire niente per colpa del politicamente corretto”. No, tu puoi dire esattamente le stesse cose di prima (nei limiti della legge), la differenza è che qualcuno potrà chiedertene conto. E quel qualcuno siamo noi. Eliana Cocca
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Condanne
Poco tempo prima che mio padre s’ammazzasse un giorno ci ha detto questa frase: certe cose te le porti addosso come una condanna.
Era durante una di quelle noiose e assurde riunioni familiari, dove viene deciso chi vuol stare con mamma o con papà, dove i genitori son chiamati a fare i genitori. Ma io non pensavo a quello mentre mio padre parlava, pensavo alla tristezza e all’umiltà d’un uomo che ha finalmente avuto il coraggio di dire la sua verità, portandone il peso. Lui aveva capito la sua condanna.
C’ho ripensato molto a quella frase, cercando di capirne il significato, ho pensato a quale fosse la mia, di condanna, ché forse son cose che ti scorrono nel sangue, nei geni, come il colore degli occhi o dei capelli.
Mi son sentita per lungo tempo un po’ condannata anche io, senza sapere per che cosa, ma con la certezza che non sarebbe finita bene, ché Dostoevskij aveva fatto finir male tutti i fratelli Karamazov meno uno, ed io non sarei rientrata in quell’uno lì, perché la fede m’è sempre mancata e mi mancherà sempre. Mi son adattata a questo ruolo ed in questo ruolo mi son trovata bene, abituandomi a scontare un dolore che forse non era nemmeno più il mio ma quello della mia famiglia e delle generazioni precedenti. I geni rivestono una certa importanza nell’ordine del mondo, le sfighe si tramandano di generazione in generazione e ci sono geni forti e geni fragili.
Non son cresciuta dunque con un patrimonio genetico che mi inducesse a pensare di superare i trent’anni di vita con una relativa facilità e sanità mentale, fino a quando ho ripensato alle parole di quel pomeriggio e mi son resa conto che il problema fossero la sfiga, e non i geni, e nemmeno mio padre.
Ho avuto al mio fianco persone che m’avrebbero fatto uscire da quella spirale di autocondanna e distruzione mettendocisi dentro, a cui ho distrutto l’anima a forza di farmi odiare per potermi dire: avevo ragione, nessuno s’avvicina a chi c’ha i geni sbagliati. Ho creato ventuno muri ed ho trovato persone che li hanno distrutti uno per uno, senza pretese, mentre piangevo dietro a uno che di pretese ne aveva, ma solo quelle. Ho fatto piangere tanto quanto ho pianto io, solo per poter ritornare e ammirare la distruzione che avevo lasciato alle mie spalle. Mi piaceva vivere sulle macerie degli altri. L’amore altrui mi è sempre sembrato una forma di compiacimento, una condanna che ti porti dietro per poter essere all’altezza nel momento in cui lui ti dice: ti amo così come sei. In quel come sei c’è tutto, i geni sbagliati, mio padre, il sangue, i pianti, l’odio. Così come sei, ed io penso che son solo questo, geni marci e distruzione, amore che mi imprigiona, infastidisce, amore da calpestare, amore da vedere morto, dimenticato, distrutto -, quando ritornerò dopo essermene andata, per vederlo ridotto in macerie, come in un incendio.
Qual è la mia condanna?
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