#per far vergognare la squadra
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buscandoelparaiso · 8 months ago
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"guardate jannik come vince sempre mica come voi disgraziati"
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francescosatanassi · 3 years ago
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VOGLIAMO IL PANE E VOGLIAMO LE ROSE
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Secondo la tradizione cristiana, le colpe della donna sono antecedenti alla nascita del mondo stesso. È stata Eva, la prima donna, a credere alle menzogne del serpente mangiando il frutto proibito per poi convincere il primo uomo, Adamo, a disobbedire a Dio. È perciò a causa della donna che esistono la morte e il peccato. Da quel momento la donna è stata dipinta in molte culture come l'elemento che incarna le forze diaboliche opposte alla divinità, una tentatrice da lapidare e bruciare viva. Uno dei 10 comandamenti dice “Non desiderare la donna d’altri”, ma non si riferisce alla lussuria, ma al fatto che la donna fosse relegata a mansioni di servitù e l’uomo non doveva desiderare la serva di un altro. Paolo Ercolani, nel libro “Contro le donne”, racconta che nell’antica Roma era impedito alle donne di consumare vino perché questo le avrebbe spinte alla libidine incontrollata e far perdere su di esse il controllo esercitato dall’uomo. La convinzione che la sfera sessuale di una donna fosse qualcosa di selvaggio e ingestibile portò a pensare che essa provasse piacere nell’essere stuprata. Ovidio diceva “La donna pur combattendo vuole essere vinta e quando potresti credere che lei non voglia, poi cede." Ancora oggi le donne subiscono una doppia violenza, quella fisica e quella psicologica fatta di: “Perché eri vestita così? Perché eri da sola? Perché non l’hai raccontato a nessuno?” Platone sosteneva che la donna fosse la reincarnazione degli uomini che avevano commesso ingiustizie nella vita precedente, era cioè la reincarnazione di uomini inferiori. Nell’Odissea, Agamennone consiglia a Ulisse di non essere dolce con una donna e non confidarle tutto ciò che sa, perché la donna “è un essere infido." Gli esempi, letterari e non, di uomini che hanno mortificato la donna nei secoli sono infiniti, tanto che l’operazione di distruzione fisica e psicologica della donna ha portato anche alcune donne a pensare di essere in qualche modo inferiori all’uomo. “Fallo tu che sei un uomo” è una frase che noi uomini abbiamo sentito tante volte. La scarsa autostima è il frutto del successo ottenuto dalla cultura maschilista nei secoli. E se la donna riesce in un lavoro “da uomo” il suo successo viene eccessivamente evidenziato come una sorpresa. Al contrario, se un uomo svolge una mansione che la società attribuisce alle donne, non è un vero uomo, e se non ci riesce diventa una femminuccia. La parola “femmina” viene distorta e utilizzata come insulto. Perciò, per conservare il proprio ruolo di potere, l’uomo vuole mantenere la donna perennemente nell’imperfezione: deve assomigliare a un uomo, cioè “avere le palle”, ma non troppo, perché deve “stare al suo posto.” Deve essere meno intelligente dell’uomo per non farlo sfigurare, ma non troppo stupida da farlo vergognare. Deve essere alla mano ma moderna, indipendente ma servizievole, suora ma puttana. La verità è che gli uomini non capiranno mai completamente cosa significa essere una donna, in passato come oggi. Vivere con il peso di dover giustificare ogni cosa e combattere per ogni scelta. Liberarsi dal mantello di colpe appoggiato dagli uomini e distruggere un pensiero millenario. Lo dico da uomo consapevole e femminista, non lo capiremo mai realmente. Ma possiamo combattere assieme. E quando qualcuno di noi vi chiederà, di nuovo, per l’ennesima volta, “Ma insomma, che cosa volete?” potete rispondere “Diritti, non auguri”, pretendere il pane e anche le rose, o mandarci a ‘fanculo, che va sempre bene.
[nell’immagine sono elencate alcune delle sintomatologie riconosciute alle donne durante il regime fascista per rinchiuderle nei manicomi. Uno dei principali teorici del fascismo, Giovanni Gentile, nel 1934 disse: “Nella famiglia la donna è del marito, ed è quel che è in quanto è di lui.” Gentile verrà ucciso da una squadra di gappisti. Nell’organizzazione c’era anche la partigiana Teresa Mattei, nome di battaglia Chicchi, che fu Comandante di Compagnia del Fronte della Gioventù, partecipò alla resistenza fiorentina, fu la più giovane eletta nell’Assemblea Costituente e dirigente dell’Unione Donne Italiane. Fu lei a proporre la mimosa come fiore per l’8 marzo. Dopo la guerra, in un’intervista, disse “L’unica volta che misi il rossetto fu per mettere una bomba.”]
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corallorosso · 4 years ago
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Allenatrice di calcio licenziata per foto Instagram: «Stando zitta ammetterei una colpa che non ho» di Giusy Dente Alice Broccoli vive a Roma, ha 33 anni, è riuscita a fare della sua passione per il calcio un lavoro ed è una fan sfegatata dell'Atalanta. Come qualunque ragazza della sua età usa i social e condivide i momenti della sua vita privata: foto al mare in costume, foto con la maglietta della squadra del cuore, selfie. Tutto bene, tutto normale insomma se non fosse per un piccolo particolare: Alice fa l'allenatrice di una squadra di calcio composta da bambini. La sua società ha deciso che quegli scatti non sono adeguati a una donna che svolge il lavoro di educatrice e l'ha licenziata. Ma come ha spiegato a Fanpage.it lei non ha alcuna intenzione di arrendersi né di accettare in silenzio questa decisione. ... «Lunedì un mio collega è stato chiamato dal Presidente con una scusa e gli è stato detto: "Non posso più far allenare Alice per le foto che pubblica su Instagram. Si vedono i tatuaggi, è una cosa oscena". Addirittura è stato detto che sono indifendibile, per quelle foto». Detta così sembrerebbe che si tratti di foto compromettenti, foto con un contenuto discutibile. Ma non è esattamente così: «Non è stata citata una foto precisa, ma tutte quelle che pubblico. Sono foto al mare in costume, in altre ho la maglietta dell'Atalanta con gli slip, ma si vedono solo le gambe: sono magliette non scollate, non attillate, larghe, lunghe. Non si vede niente».  Essere una donna in un mondo a prevalenza maschile è ancora una situazione in cui bisogna continuamente dimostrare di essere all'altezza, di essere lì per un motivo, di avere capacità e competenze non a prescindere inferiori a quelle di un collega uomo. La stessa Alice (prima e unica allenatrice della società) lo ha potuto sperimentare, notando comportamenti non proprio paritari: «All'inizio mi veniva detto: "Non ti diamo la divisa sociale, vieni con i tuoi vestiti". Non volevano far sapere che una donna faceva parte dello staff. Io sbagliando ho accettato la cosa, ma avevo la passione del calcio e avevo la possibilità di entrare in una società piccola. Non è chissà cosa, però potevo esercitare la mia passione, crescere, imparare. Mi sentivo una ladra: dopo un paio di allenamenti ho detto che se devo fare il mio lavoro lo devo fare alla luce del sole. Non sto rubando». Adesso quel lavoro le è stato tolto: «Hanno detto che un'allenatrice ed educatrice non può pubblicare certe foto su Instagram. Ma non sono foto volgari, non sono porno: nulla di tutto questo». Alice sta procedendo per le vie legali e non ha intenzione di accettare questo sopruso, né come professionista né come donna: «Sono stata sempre disponibile, mi è stato bene prendere meno degli altri, perché quello che faccio non è per soldi ma per passione. Ho dovuto sgomitare il doppio come donna, essere riconosciuta la metà e poi vengo pure licenziata per delle foto!». Quello che le piacerebbe ottenere, sono innanzitutto delle scuse pubbliche: «La società non mi ha mai contattato, nessuno si è degnato di alzare il telefono e dirmi qualcosa. Sono stata buttata fuori nel peggiore modo. Solo il presidente mi ha telefonato il martedì mattina, per dirmi se potevo cancellare le foto del mio account. Non ho intenzione di farlo: non mi devo vergognare di niente. Non posso accettare questa cosa, non posso far finta di niente e stare zitta. Ammetterei una colpa che non sento di avere». Con grande gioia si è resa conto di avere il supporto dei suoi allievi, che si stanno rifiutando di tornare in campo, e dei loro genitori. Solidarietà è arrivata anche dai colleghi, che non hanno appoggiato la decisione della dirigenza. ...: «Sono allenatrice, ma anche educatrice: come posso insegnare in una società che porta avanti questo modo di pensare? Dovrebbe cambiare tutto. Non posso educare in un ambiente del genere. Hanno fatto pubblicità per una squadra di calcio femminile e mi avevano chiesto di allenarla: cosa dovrei insegnare? Che ci fanno giocare a pallone, ma dobbiamo stare attente a tutto».
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goodbearblind · 6 years ago
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C’È BOLSONARO. E ORA, BRASILE? Il racconto. La prima, difficile settimana della nuova era è un ritorno al passato. Per gay, villaggi indios e quilombola. Oltre che per gli insegnanti, da oggi a rischio schedatura per le loro idee di Solange Cavalcante, il Manifesto 04.10.18
(…) E ora José? La festa è finita, la luce si è spenta, la gente è partita, la notte è ghiacciata, e ora José? e ora, che è di te? di te che non hai nome, che prendi in giro gli altri, di te che fai versi, che ami, protesti? e ora José? *
Due ore dopo la chiusura dei seggi esce il risultato, con Bolsonaro presidente. È da non crederci: al 21% di astensioni, al 2,15% di schede bianche e all’8% di schede nulle. Numeri che sarebbero bastati per una svolta. Dappertutto scoppiano i fuochi d’artificio.
Quindi non è contato niente che grosse aziende avessero spinto Bolsonaro pagando profumatamente per orchestrare una marea di fake news sui social contro il Pt, con uno schema di donazioni non contabilizzate e vietate per legge, nonostante ormai non ci fosse alcun giudice disposto a impedirlo.
Tra le notizie false sui social c’era quella che il candidato Fernando Haddad aveva creato un «kit gay», cioè un programma “omosessualizzante” destinato a essere implementato nelle scuole pubbliche. Ci ha creduto l’80% degli elettori di Jair Bolsonaro.
Tra l’altro, la gang del Psl aveva già scatenato una vera caccia alla giornalista che aveva pubblicato le prove del piano sulla Folha de São Paulo . Anche qui restando impunito.
E ora, José? Sei senza una donna, sei senza discorso, senza tenerezza, ora non puoi più bere, non puoi più fumare, non puoi neppure sputare, la notte è ghiacciata non è arrivato il giorno, non è arrivato il tram, non è arrivato il riso, nemmeno l’utopia e tutto e finito e tutto è sfuggito e tutto si è ammuffito, e ora, José?
Tornando a casa, attraverso il centro di San Paolo sotto una pioggia di grida volgari contro il Pt. Alla tv rivedo lo stesso ghiaccio dei tempi grigi della dittatura, con tanto di preghiere e sfilate di soldati e carri armati nelle capitali. Piango. «Stammi bene, non preoccuparti», mi telefona un amico. È una parola. Dai social arrivano messaggi disperati da tutte le parti. Mi dicono di una deputata bolsonarista del Sud, «antifemminista e cristiana», che ha creato una specie di numero verde, incitando gli studenti a registrare i loro prof nel caso in cui loro parlassero di genere o di politica, per poi farli denunciare e processare.
Scatta un flusso di messaggi allo scopo di salvaguardare la libertà di insegnamento – da pezzi della Costituizione a numeri di avvocati, sindacati e quasi un manuale di come comportarsi in classe dinanzi a minacce simili.
A vittoria consumata, il presidente neo eletto chiede al suo braccio destro, un senatore della bancada della Bibbia, di recitare una preghiera prima del suo primo pronunciamento. Appunto, il predicatore Magno Malta (impegnato in una crociata disastrosa contro la pedofilia, poiché piena di fede ma priva di prove) occuperà l’appena creato «Ministero della Famiglia» – della famiglia tradizionale, ovviamente.
La notte tra domenica e lunedì, scatta l’allame dagli attivisti: comunità quilombola (di afrodiscendenti ex schiavi, ndr) e villaggi indigeni subiscono attacchi e sono incendiati in diverse parti del paese. Al riguardo, il lunedì mattina Bolsonaro fa già sapere che il Ministero dell’Ambiente e quello dell’Agricoltura diventano uno solo. Contenta la tribuna ruralista, contenti i proprietari terrieri e contenta la Rete Globo, che dall’uscita della presidente Dilma Rousseff, nel 2016, ha abbracciato la “causa” dell’agrobusiness con tanto di spot pubblicitari sotto lo slogan: «L’agro è pop».
E ora, José? La tua dolce parola, la gola, la dieta, il tuo istante di febbre, la tua biblioteca, il tuo giacimento d’oro, il tuo vestito di vetro, la tua incoerenza, il tuo odio: e ora?
Il lunedí 29 ottobre sarà una giornata fredda e lunga. Passo alla scuola dove insegno italiano la mattina presto. Nessuno sorride. Gli amici si scambiano lunghi abbracci, singhiozzi e lacrime sentite. «Parlano addirittura del ritorno al creazionismo nei libri scolastici», dice un collega, da quello che si apprende dalle agenzie. Anni fa hanno tolto sia la Filosofia che la Psicologia dal curriculum scolastico. Mai avremo pensato di cadere così in basso. Fino alla fine della giornata, annuncieranno l’abolizione del Ministero dello Sport e possibilmente di quello dei Diritti Umani.
Mercoledì scorso il Senato ha cercato di votare un progetto di legge che classifica come atti di terrorismo le proteste, le manifestazioni e «il fare o non fare qualcosa per motivazioni politiche, ideologiche o sociali» – udienza posticipata. Lo stesso giorno il Movimento Brasile Libero (un branco “apolitico” al quale piace tanto la rete, tale e quale al M5S italiano) cercava di far votare il progetto Scuola Senza Partito, con leggi per imbavagliare gli insegnanti pubblici. Uguale, udienza posticipata. Sembra che non sarà così facile realizzare tutto ciò che vorrebbe il nuovo governo.
I disagi, invece, sono stati all’ordine del giorno durante tutta la settimana. Per esempio, i sostenitori di Bolsonaro hanno rilasciato una lista da 700 nomi di artisti da boicottare – tra questi, i soliti Chico Buarque, Caetano Veloso e Gilberto Gil, insieme all’ex asso del calcio Walter Casagrande e al giornalista Juca Kfouri, della Democrazia Corinthiana, e tanti altri personaggi importanti da far vergognare di non esserci dentro.
Nei giorni scorsi è venuto a trovarmi un mio ex allievo. Aveva le mani fredde, ed era agitato: «Lo sai quando ti ho detto di essere gay?». Sì, che me lo ricordo. Appariva in aula col rossetto, lo smalto, degli orecchini enormi, e indossava spesso una maglietta del Corinthians, col suo nome scritto dietro. «Non scherzare con queste cose», gli dicevo, allora. «Se poi becchi un omofobico che ti ammazza?». Mi aveva risposto: «È la vita, prof». Ora invece non ride più. «Ho molta paura. Cioè, non so da dove veniva il mio coraggio di prima. Non sapevo cosa fosse dovermi preoccupare di cosa mettermi addosso o di quello che sono, ho l’impressione di essere odiato da tutti». Ci salutiamo, e lui se ne va dandomi della compagna.
Piango per lui, perché si sa già che, a Brasília, Bolsonaro ha già firmato il compromesso per annullare tutti i matrimoni gay. Uno a uno i colleghi vengono ad abbracciarmi. Un’amica ha anche lei gli occhi lucidi. «Uno del terzo anno mi ha detto che la Costituzione è inefficace contro le pallottole, che bisogna andare armati».
Sarà come ha scritto Hannah Arendt, che la massificazione della società fa emergere una folla pronta a obbedire, mai a obiettare, incapace di esprimere giudizi morali. Una folla contenta, ad esempio, del governatore di Rio Wilson Witzel, che intende combattere la violenza posizionando cecchini pronti a sparare sui tetti di tutte le zone violente dello Stato. La maggior parte dei brasiliani è d’accordo con la nuova first lady, seconda la quale «il popolo ha bisogno di aver paura pur di rispettare le leggi».
La chiave nella mano Tenti di aprire la porta, non esiste porta; vuoi morire nel mare, ma il mare è seccato: vuoi ritornare a Minas, Minas non c’è più. José, e ora?
In tanti sono d’accordo che il Pt doveva fare marcia indietro prima di lanciare un suo candidato alle presidenziali, che doveva prendersi del tempo per ricostruirsi, e che essere al potere non poteva contare più di tutto ciò che il paese stava per perdere.
Alla fine della settimana il giudice Sérgio Moro, lo stesso che ha messo Lula in galera, accetterà da Jair Bolsonaro l’incarico per il ministero della Giustizia. Non sarà un ministro, ma un superministro – la prova che mancava che da giudice lui ha sempre fatto il politico.
Magari tu gridassi, magari tu piangessi, magari tu suonassi il valzer viennese, magari tu dormissi, magari ti stancassi, magari tu morissi… ma tu non muori, tu sei duro, José
Non fa ridere perché non è nemmeno una battuta la storia che si sta raccontando in Brasile, di una finale di calcio giocata tra le squadre «A» e «B». All’inizio del campionato, il capocannoniere della squadra «A» viene espulso dall’arbitro in maniera controversa, e non può più giocare fino alla fine della stagione. Fuori dai campi, lo stesso arbitro si fa vedere in giro con i dirigenti e i calciatori della squadra «B». La squadra «B» vincerà il derby contro la squadra «A». La squadra «B» invita l’arbitro perché diventi un suo dirigente. L’arbitro accetta l’incarico, senza alcuna opposizione da parte della Federcalcio.
Sono nell’oscurità, come un animale selvatico, senza teogonia, senza parete nuda alla quale appoggiarti, senza cavallo nero, la gola e la dieta, tu avanzi, José! Verso dove, José?
*Carlos Drummond De Andrade, José (1942). Traduzione di Antonio Tabucchi
https://ilmanifesto.it/ce-bolsonaro-e-ora-brasile/
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novalistream · 5 years ago
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Non si smentiscono mai. Stamani la Meloni riceve una notizia: la nascita di una task force anti-fake news istituita presso la Presidenza del Consiglio. Istituita con un obiettivo: contenere l’enorme mole di bufale che girano in queste settimane sul coronavirus. E indovinate un po’ come l’ha presa lei? Malissimo. Ma proprio male. Acidissima: “Si limitano le libertà fondamentali e costituzionali così….mi manderanno in un campo di rieducazione ora che l’ho detto?”, commenta maliziosamente. Capito? Un team che cerca di smontare le bufale sul coronavirus è una limitazione delle libertà fondamentali per lei. Questo è il messaggio che vuole far passare. E, attenzione, è un messaggio che contiene un tentativo così meschino e “piccolo” da far vergognare: farsi scudo della Costituzione per tutelare quello che lei e la sua coalizione stanno facendo da settimane, ossia alimentare bufale. Come ha fatto lei quando ha rilanciato il video del Tg Leonardo. Come fa il suo alleato da settimane mitragliando fake news come un forsennato. È allora in questi momenti che, al di là di destra-sinistra, si vede la responsabilità delle persone. Davvero. Il senso di Stato, il senso di comunità. Il senso del bene comune per fronteggiare l’emergenza. E oggi quel senso la Meloni ce lo ha nuovamente dato. E l'ha fatto salutando con acidità e maligni commenti la nascita di una squadra che aiuterà a contenere le fake news. (Leonardo Cecchi
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sportpeople · 8 years ago
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Partiamo da un presupposto: quella tra il Vicenza e la Spal era per me una gara speciale. Qualcuno mi ha chiesto: “Ma quest’anno ti sei fissato col Nord Est?”. La realtà è che trattandosi di una zona che non ho mai battuto con frequenza, mi sono sentito in dovere di conoscerla per poterne parlare. Così come conoscere le sue squadre, la loro storia spesso centenaria e lo spirito dei loro tifosi è un qualcosa di imprescindibile se si vuol avere una visione a 360 gradi degli argomenti che si affrontano quotidianamente. Di città, tifoserie e storie da conoscere me ne mancano così tante che spesso mi chiedo se mai ci riuscirò in tutta la vita. Il mio obiettivo è questo: morire sapendo di aver potuto parlare almeno una volta di tutto con senso compiuto e cosciente. Un’impresa non da poco. Ma neanche impossibile.
Fatta questa dovuta premessa sono chiamato a tornare bruscamente alla realtà. La nostra realtà. Quella fatta di provocazioni, divieti, tessere, Daspo, scelte cervellotiche e prevaricazioni che rendono spesso impossibile la vita dei tifosi italiani. Partiamo dall’inizio: dalle scaramucce registrate nella partita di andata giocata al “Mazza”. Tensioni a cui hanno fatto seguito diffide e denunce nei confronti dei responsabili. Atti pertanto puniti e non ascrivibili, teoricamente, a terze persone non coinvolte o a situazioni e/o partite successive alla stessa. A prescindere da qualsiasi settore occupato nello stadio.
Ma siamo nel Paese dove teoria e pratica si distanziano quasi sempre in maniera abissale. Dove qualsiasi inezia per mettere i bastoni tra le ruote a chi vuol seguire una partita, viene colta al balzo e senza esitazioni. Come sempre, nella settimana che precede la sfida, quel sommo organo che risponde al nome di Osservatorio, partorito dalle menti eccelse del Viminale, stila la sua lista delle partite a rischio. Tale organo, che avrebbe solo e soltanto potere consultivo, è ormai da qualche anno il vero e proprio giudice sportivo delle tifoserie: uno spallino tira una pietra? Tutti gli spallini non vanno in trasferta. Un vicentino si comporta in maniera troppo esuberante? Ai vicentini in toto chiudiamo la curva di casa. Questo, più o meno, è il filo logico che muove tali signori. In pieno concerto con quel regresso socio culturale che, ormai da anni, non scandalizza più nessuno per il calpestamento delle più basilari libertà di movimento sancite dalla Costituzione. Così come a nessuno (tra i colletti bianchi e i loro vassalli nelle redazioni) verrebbe in mente di chiedere come mai, se la responsabilità è un qualcosa di individuale, quando un atto avviene all’interno o a margine di un evento sportivo a pagarne è sempre la massa. Spesso e volentieri anche se quell’atto si dimostra del tutto infondato o quanto meno riportato in una versione non veritiera.
Questo machiavellico modus operandi questa volta ha dato il meglio di sé nei confronti dei tifosi ferraresi. Nella prima riunione dell’ONMS (18 gennaio) viene constatato che: “Per l’incontro di calcio “Vicenza – Spal”, connotato da profili di rischio anche in ragione del comportamento violento tenuto da una frangia di tifosi spallini, in occasione della gara di andata “Spal – Vicenza” del 4 settembre 2016, l’Osservatorio sospende il giudizio al fine di approfondire l’analisi, attraverso l’acquisizione di ulteriori elementi di valutazione e, nel frattempo, incarica la Lega di serie B di dare comunicazione al Vicenza Calcio di non avviare ovvero sospendere la vendita dei tagliandi ai residenti nella Regione Emilia Romagna, con contestuale, momentanea sospensione del programma di fidelizzazione della S.P.A.L. 2013”. La decisione rimane quindi in sospeso, lasciando i tifosi emiliani in un limbo. In tanti hanno già deciso di prendere parte alla trasferta, al seguito di una squadra lanciatissima in classifica e contro una storica rivale.
Le prime voci mormorano che una decisione verrà presa il lunedì successivo. Cosa ovviamente disattesa. Intanto viene fuori la motivazione che metterebbe in ansia la Questura di Vicenza e il Ministero degli Interni: la volontà della Curva Ovest di raggiungere la città veneta in treno facendo scalo a Padova. Dicono di temere un assalto dei padovani. Poi dicono, sempre lor signori, di non poter garantire l’ordine pubblico a causa di lavori in corso alla stazione berica (peraltro io sono arrivato a Vicenza in treno, non trovando alcun riscontro di questi fantomatici lavori). Il presidente della Spal, con un gesto a dir poco ammirevole, si espone in prima persona dichiarando di farsi garante per il comportamento della tifoseria. Gli ultras estensi non ci stanno e rispondono con un duro comunicato in cui sottolineano che, per quanto sia lodevole, il gesto di Mattioli rischia di essere un’arma a doppio taglio. Come si può garantire il comportamento corretto di 1.400 persone? E soprattutto, perché un presidente di calcio deve assumersene la responsabilità quando organi profumatamente pagati per questo, invece di riempirci di faldoni burocratici, potrebbero tranquillamente farsene carico come avviene in qualsiasi Paese civilizzato?
Qualcuno abbozza l’ipotesi che tutto ciò sia scientificamente pensato per far desistere molti tifosi a raggiungere Vicenza. Provocare fino allo sfinimento una tifoseria evidentemente rea di aver saputo fare un gran lavoro aggregativo negli ultimi anni, sfruttando la scia vincente della squadra. Dà fastidio vedere che anziani, bambini e famiglie saltino e cantino con gli ultras, in tutta probabilità. Nessuna delle motivazioni accampate dall’Osservatorio è realmente credibile. Soltanto la lobotomia o la triste abitudine a cui si adagiano le menti di molti italiani, possono continuare ad accettare divieti e restrizioni su queste basi. Una regressione culturale e gestionale da far paura. Della quale l’Italia si dovrebbe soltanto vergognare anziché farsene vanto. Non sappiamo organizzare Vicenza-Spal? Ma davvero? Non siamo capaci di gestire il transito di qualche centinaia di tifosi per la stazione di Padova? E soprattutto, chi è così ingenuo da credere che i patavini vadano a rischiarsi diffide e denunce per assaltare una stazione blindatissima? Ma a questi organi imbrillantinati e farciti di moralismo piace così tanto prenderci per i fondelli?
Intanto il tempo passa e si arriva a mercoledì che la prevendita per gli ospiti ancora non è stata attivata. Nella stessa giornata qualcosa si muove e in serata arriva l’agognata fumata bianca: la trasferta per i demoniaci tifosi spallini è aperta e i tagliandi saranno in vendita dalla mattina successiva. Incredibile ma vero: la Carboneria marchiata ONMS è riuscita ad esprimere il proprio giudizio “persino” due giorni prima del fischi d’inizio. “Poteva andar peggio, potevano deciderlo sabato alle 14,59” scherza qualcuno su Facebook. Una battuta che non va poi distante dalla realtà.
E il bello è che il calvario non finisce certo qua. Quando la prevendita viene attivata, alle 10 del mattino di giovedì, con una sola ricevitoria attiva a Ferrara e una fila chilometrica, in molti non riescono ad acquistare il tagliando. Perché? La loro tessera del tifoso è troppo vecchia e chi di dovere non ha ancora sbloccato il sistema per accettarla. C’è da aggiungere altro? Ah sì, un vecchio slogan: “Con la tessera del tifoso nessuno sarà soggetto a limitazioni e tutti potranno andare in trasferta”. L’importante è crederci.
Questo teatrino vergognoso, che ancora una volta ha come protagonisti passivi i tifosi, è l’ennesimo esempio di cosa intendano, quando parlano di “famiglie allo stadio”, i vari omuncoli che si avvicendano negli organi istituzionali preposti a dirigere le più ottuse politiche di controllo dell’ordine pubblico. Lo andassero a dire agli anziani, alle mamme e ai bambini in fila per tutta la giornata. O ai tanti tifosi che fino a 48 ore prima del fischio d’inizio non sapevano neanche su quale mezzo viaggiare e se la trasferta sarebbe stata aperta. Non mi piace usare la parola “vergogna” in maniera ripetuta, è roba da “kondividisti”, ma davvero non me ne vengono altre in mente. Un sistema ignobile, infame e architettato con disarmante malafede. Quindi sì: vergogna!
Era giusto dedicare la prima parte del pezzo a ciò, perché altrimenti il resto avrebbe perso di significato. Perché il resto va comunque raccontato e anche con una certa enfasi. Se andassimo a ripercorrere la storia di questi due club potremmo leggere fasti gloriosi, in vere e proprie pagine indimenticabili del calcio italiano. Dai rispettivi stadi, il Mazza e il Menti, intrisi di gloria, ai giocatori che hanno transitato nelle due squadre, per finire con quella che resta una delle rivalità più longeve del Nord Italia.
Come detto la Spal viaggia sulle ali dell’entusiasmo. Neopromossa e seconda in classifica. Nonostante gli innumerevoli sgambetti tesi dagli organi succitati, in poco meno di 48 ore i tifosi biancazzurri hanno polverizzato 1.400 biglietti circa, con la possibilità del tutto “speciale” di acquistare ulteriori tagliandi al botteghino del Menti (perché nella Nazione dell’eterna emergenza, dei decreti d’urgenza e del terrorismo psicologico, persino comprare un biglietto allo stadio il giorno della partita diventa un qualcosa di speciale. Povera Italia!).
L’aria attorno allo stadio devo dire che è alquanto tesa. Sin dalla mattina, in molti girano con la sciarpa al collo, per rimarcare quel senso d’appartenenza che nella città del Palladio non è mai venuto meno e che oggi in tanti vogliono sfoggiare per dimostrare di non aver dimenticato gli estensi. Perché se la Spal vive un momento d’oro, la Vicenza del calcio non ha comunque abbandonato la sua squadra, ormai impantanata da anni nella mediocrità di campionati anonimi e senza mordente. Peraltro i berici hanno legato a Ferrara uno dei ricordi più importanti del “recente” passato: lo spareggio col Prato che permise ai veneti di rimanere in Serie C1 nella stagione 1989/1990.
Gli ingredienti per una bella sfida ci sono tutti e poco dopo le 13 il contingente ferrarese giunto in treno, viene trasportato allo stadio, mentre i restanti supporter ospiti arrivano con pullman e macchine private.
Ritiro il mio accredito e decido di entrare in tribuna venti minuti prima del fischio d’inizio. Il colpo d’occhio non è certo quello registrato nel derby contro il Verona, tuttavia la curva è piena e anche nel settore dei Distinti, il solito gruppetto staziona scambiandosi numerose offese con i vicini avversari. Il Lanerossi è reduce da una buona serie e questo ha ritirato su un ambiente che prima della vittoria sull’Hellas aveva visto aprirsi pericolosamente la voragine dei playout sotto i piedi.
Le squadre fanno il proprio ingresso in campo e a questo punto può iniziare anche la sfida del tifo. Per commentare sinteticamente le performance delle due curve, potrei dire che si aggiudicano un tempo per uno. Tuttavia mi piace contestualizzare. I primi 45′ di tifo spallino sono davvero di ottima fattura. Come detto in precedenza e anche in altri racconti dove ho avuto modo di commentare la Ovest, si vede chiaramente che gli ultras hanno fatto un grande lavoro per portare dalla loro anche il pubblico normale. I cori vengono eseguiti quasi tutti all’unisono, un paio tutti saltellando e dando davvero un bell’impatto visivo. Mentre le due sciarpate, sono la ciliegina sulla torta di una prima frazione che mostra tutto l’entusiasmo di una piazza calcisticamente rinata dopo anni di oblio.
Tuttavia se nei primi 45′ i ferraresi sono pressoché impeccabili, nella ripresa la prestazione cala nettamente d’intensità, complici alcune scaramucce con l’attiguo settore vicentino e la solita, inevitabile, mano degli ineffabili gestori dell’ordine pubblico. Ai “coristi” viene ordinato di scendere dalle balaustre, complicando e non poco la coordinazione del tifo. Chiaramente, ricordiamo sempre che le geniali menti di cui sopra, negli anni hanno interdetto strumenti fondamentali come tamburi e megafoni (motivando il tutto con la lotta alla violenza negli stadi. Probabilmente usando la stessa logica con cui hanno venduti i biglietti di una partita due giorni prima della stessa, perché non c’era la certezza di saper gestire qualche centinaio di persone. Ragionate sul fatto che molti di questi son gli stessi che dovrebbero opporsi o evitare eventuali attacchi terroristici). Questo pesa e non poco se si deve far cantare una massa di gente tendenzialmente non abituata ad andare in trasferta.
La Sud vicentina inizia con il freno a mano tirato per poi migliorare notevolmente nella ripresa. Il pubblico di Vicenza non si tira indietro e a più riprese accompagna la curva nei cori d’insulto verso i rivali ferraresi, mentre nella ripresa molto bella è l’esultanza al gol di Orlando. Una rete che rompe gli indugi della curva veneta, regalando quella spinta d’entusiasmo necessaria. Tante le torce e i fumogeni accesi, e molto bella la sciarpata eseguita a metà tempo. Ovviamente, a tener banco in questa sfida è anche il gioco delle amicizie. In Sud spiccano su tutte le pezze dei reggiani, un tempo amici degli spallini e ora nemici giurati. Anche questo vuol dire ultras in Italia. Così come l’aumento dei decibel al gol e il seguire in maniera spasmodica l’esito delle gare.
A tal merito è esemplificativo quanto avviene nell’ultimo dei 6′ di recupero concessi. Sugli sviluppi di un corner, l’ex Lazio Sergio Floccari trova il gol del pareggio, mandando letteralmente in visibilio i suoi tifosi. Dopo il pareggio in extremis a Cesena, arriva un altro segnale a conferma di una stagione sinora perfetta per la Spal. Mastica invece amaro il Vicenza che aveva ormai la partita in pugno. Tuttavia la Sud riconosce l’impegno dei suoi ragazzi e li chiama a raccolta per applaudirli, continuando a cantare e saltellare. Di contro è ovviamente festa grande sotto al settore ospiti, con i cori che si protraggono ben oltre il fischio finale.
All’uscita tutto fila liscio. Nessun morto, nessun ferito, nessun incidente e nessuna scaramuccia. Visto? Vicenza-Spal si può giocare. Gli Osservatori di Israele, Palestina, Serbia, Bulgaria, Russia e Polonia prendano esempio. Come dite? Là non esistono? Beh normale, là non si disputa Vicenza-Spal!
Testo di Simone Meloni. Foto di Simone Meloni e Enrico Garutti.
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La prepotenza degli incompetenti: Vicenza-Spal, Serie B Partiamo da un presupposto: quella tra il Vicenza e la Spal era per me una gara speciale.
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corallorosso · 5 years ago
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Non si smentiscono mai. Stamani la Meloni riceve una notizia: la nascita di una task force anti-fake news istituita presso la Presidenza del Consiglio. Istituita con un obiettivo: contenere l’enorme mole di bufale che girano in queste settimane sul coronavirus. E indovinate un po’ come l’ha presa lei? Malissimo. Ma proprio male. Acidissima: “Si limitano le libertà fondamentali e costituzionali così….mi manderanno in un campo di rieducazione ora che l’ho detto?”, commenta maliziosamente. Capito? Un team che cerca di smontare le bufale sul coronavirus è una limitazione delle libertà fondamentali per lei. Questo è il messaggio che vuole far passare. E, attenzione, è un messaggio che contiene un tentativo così meschino e “piccolo” da far vergognare: farsi scudo della Costituzione per tutelare quello che lei e la sua coalizione stanno facendo da settimane, ossia alimentare bufale. Come ha fatto lei quando ha rilanciato il video del Tg Leonardo. Come fa il suo alleato da settimane mitragliando fake news come un forsennato. È allora in questi momenti che, al di là di destra-sinistra, si vede la responsabilità delle persone. Davvero. Il senso di Stato, il senso di comunità. Il senso del bene comune per fronteggiare l’emergenza. E oggi quel senso la Meloni ce lo ha nuovamente dato. E l'ha fatto salutando con acidità e maligni commenti la nascita di una squadra che aiuterà a contenere le fake news. (Leonardo Cecchi
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