#pensieri sconnessi
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noi cassiere abbiamo il compito di portare i cestelli all'ingresso quando si accumulano davanti alle casse, e da parte alla loro postazione c'è un tavolo con su tutte le piante e i fiori in vendita; la mia collega quando porta i cestelli strappa di nascosto il fiorellino più bello e me lo porta. io ogni volta ho i lacrimoni perché è un gesto così bello e puro che non penso di meritarlo.
ieri in cambio le ho fatto trovare nell'armadietto un pupazzino che le è piaciuto tantissimo.. e pensare che all'inizio non la potevo nemmeno vedere per quanto mi stava sulle scatole.
prima mi ha scritto mezza brilla, così l'ho chiamata ed era in pieno attacco d'ansia perché era a cena con il suo ragazzo, ha avuto il coraggio di dirmi che vorrebbe lasciarlo ma ha paura di farlo stare male, sentendola singhiozzare così il mio cuore ha fatto crack :( è un esserino così minuto e innocente, vorrei proteggerla da tutto
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Mi sono illusa che potesse esserci qualcosa, chiamatelo come volete, interesse forse, perché i gesti e le azioni parlano ed urlavano qualcosa. Ma sottovoce c'era una vocina, un ronzio fastidioso, che mi diceva di stare attenta. Errore mio nel non aver ascoltato quei sussurri.
#sono una stupida illusa? sì esatto#un clown ha più dignità di me#pensieri a caso totalmente sconnessi#sfogo#illusa
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Veneziani: In treno verso il nulla, stranieri a casa propria.
di Marcello Veneziani – 13 Agosto 2023
L’altra sera ho preso un treno locale tra Foggia e Bari. Ero nella mia terra, dovevo raggiungere il mio paese natale, ho preso l’ultimo regionale della sera. Non ero in prima classe, non leggevo Proust, non ero tra lanzichenecchi, come era capitato ad Alain Elkann ed ero curioso di chi mi stava intorno. Ero l’unico anziano in un treno zeppo di ragazzi, pendolari della movida, che si spostavano per andare a fare nottata in paesi vicini. Ero su una tratta che un tempo mi era famigliare, ma mi sono sentito straniero a casa mia. No, non c’erano stranieri sul treno, come spesso capita nei locali. Ricordo una volta su un locale, ero l’unico italiano tra extracomunitari, in prevalenza neri, con forte disagio perché ero pure l’unico ad avere il biglietto. Stavolta invece ero tra ragazzi dei paesi della mia infanzia e prima giovinezza, eppure mi sentivo più straniero che in altre occasioni.
Li osservavo quei ragazzi e soprattutto quelle ragazze, erano sciami urlanti che agitavano il loro oggetto sacro, la loro lampada d’Aladino e il loro totem, lo smartphone. Si chiamavano in continuazione, la parola chiave per comunicare era “Amò”, ed era un continuo chiedersi dove siete, dove ci vediamo. Era come parlare tra navigatori che si dicevano la posizione.
Le ragazze erano vestite, anzi svestite, scosciatissime, come se fossero cubiste o giù di lì, con corpi inadeguati. Era il loro dì di festa, il loro sabato del villaggio, ma in epoca assai diversa da quella in cui Leopardi raccontava l’animazione paesana che precede la domenica. Dei loro antenati forse avevano solo la stessa pacchianeria prefestiva, ma nel tempo in cui ciascuno si sente un po’ ferragnez e un po’ rockstar. Parlavano tra loro un linguaggio basic, frasi fatte e modi di dire sincopati. Mai una frase compiuta, solo un petulante chiamarsi, interrotto da qualche selfie, si mandavano la posizione e si apprestavano a incontrarsi e poi a stordirsi di musica, frastuono, qualche beverone, fumo, e non so che altro. Li ho visti in faccia quei ragazzi, erano seriali, intercambiabili, dicevano tutti le stesse cose, ciascuno in contatto col branco di riferimento. Cercavo di trovare in ciascuno di loro una differenza, un’origine, un qualcosa di diverso dal branco; ma forse erano i miei occhi estranei, la mia età ormai remota dalla loro, però non ravvisavo nulla che li distinguesse, che li rendesse veri, non dico genuini. Eppure parlavano solo di sé, si specchiavano nei loro video, si selfavano, un continuo viversi addosso senza minimamente preoccuparsi di chi era a fianco, insieme o di fronte. Sconnessi.
Magari è una fase della loro vita, poi cambieranno; magari in mucchio danno il peggio di sé, da soli sono migliori. Però non c’era nulla che facesse vagamente pensare al loro futuro e al loro piccolo passato, alle loro famiglie, ai loro paesi, al mondo circostante; tantomeno alla storia, figuriamoci ai pensieri, alla vita interiore, alle convinzioni. Traspariva la loro ignoranza abissale, cosmica; di tutto, salvo che dell’uso dello smartphone. Anche i loro antenati, mi sono detto, erano ignoranti; ma quella era ignoranza contadina, arcaica e proletaria, carica di umiltà e di fatica, di miseria e di stupore; la loro no, è un’ignoranza supponente e accessoriata, non dovuta a necessità, con una smodata voglia di piacere e vivere al massimo il piacere, totalmente immersi nel momento. Salvo poi cadere negli abissi della depressione, perché sono fragilissimi.
Mi sono detto che i vecchi si lamentano sempre e da sempre dei più giovani, li vedono sempre peggiori di loro e dei loro nonni. Però, credetemi, la sensazione più forte rispetto a loro, era un’estraneità assoluta, marziana: nulla in comune se non il generico essere mortali, bipedi, parlanti. In comune non avevamo più nulla, eccetto i telefonini. Per confortarmi mi sono ricordato di quei rari ragazzi che mi è capitato di conoscere e che smentiscono il cliché: sono riflessivi, pensanti, leggono, studiano con serietà, sanno distinguere il tempo del divertimento dal tempo della conoscenza, hanno curiosità di vita, capiscono l’esistenza di altri mondi e altre generazioni, capaci di intavolare perfino una discussione con chi non appartiene alla loro anagrafe. Però ho il forte timore che siano davvero eccezioni. E mille prove personali e altrui confermano questa impressione. Raccontava un amico che fa incontri nelle scuole che davanti a una platea di trecento ragazzi, chiese loro se leggessero giornali, o addirittura libri, se vedessero qualche telegiornale, se sapessero di alcuni personaggi, non dico storici o i grandi del passato, ma almeno importanti nella nostra epoca. Uno su cento, e poi il silenzio. Hanno perso la loro ultima piazza, il video, ognuno si vede il suo film e la sua serie su netflix o piattaforme equivalenti, segue il suo idolo, ha vita solo social.
Qualunque cosa in chiave politica e sociale, storica o culturale, non li sfiora, non li tocca, non desta il loro minimo interesse. Certo, sono sempre le minoranze a seguire attivamente la realtà o a coltivare una visione del mondo e condividerla con un popolo, un movimento, una comunità. In ogni caso non è “colpa loro”, se sono così. E’ anche colpa nostra; anzi non è questione di colpe. E l’impossibilità di comunicare con loro dipende pure da noi. Però, mi chiedo: cosa sarà tra pochi decenni di tutto il mondo che si è pazientemente e faticosamente costruito lungo i secoli, attraverso scontri, guerre, sacrifici, fede, conoscenza, lavoro, lavoro, lavoro? Nulla, il Nulla. Sono questi i cittadini, gli italiani, di domani? Sono forse diversi, e più nostrani, rispetto agli stranieri extracomunitari che sbarcano da noi a fiumi?
Tabula rasa, zero assoluto, il postumano si realizza anche senza manipolazioni genetiche, robot sostitutivi, intelligenze artificiali e mostri prodotti in laboratorio. Quel treno della notte non portava da un paese a un altro, portava solo nella notte.
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Pikkolo momento cringe di pensieri sconnessi, a volte le uscite di gruppo mi risultano mentalmente un po' stancanti perché la mia tendenza naturale sarebbe quella di nascondermici dentro senza avere un ruolo molto attivo ed averlo mi costringe ad uno sforzo, seppur minimo. Alla fine è ok ed è giusto adattarsi, ma in ogni caso penso che la mia zona di comfort rimanga lo stare seduti fianco a fianco su uno scoglio a guardare il mare senza dirsi una parola.
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Studio qualcosa che mi serve per un concorso e nel frattempo la mente esplora mondi, cavalca su quelle lunghe praterie rigogliose di pensieri sconnessi e progetti mai partiti, tipo quello sempreverde di disegnarmi un mazzo di tarocchi per poterlo utilizzare in una pagina Instagram a tema. Mi chiedo come ho fatto per tutti questi anni, come ho trovato la quadra della convivenza, se è un disturbo dell'attenzione o solo una semplice scusa per non studiare. Me lo sono chiesto per una settimana mentre ero ginocchia a terra a montare le piastrelle su una scala. Tutta una vita a studiare, a prendere titoli su titoli, e poi mi ritrovo a essere portato per i lavori manuali perché digerisco male il mondo accademico che si tinge di questo colore "devi proporre nuove idee" mentre in realtà vuole qualcuno che sia diligente, ubbidiente e anche un poco schiavo, ché le 1500 ore sono obbligatorie ma devi essere disponibile sabato, domenica e ogni giorno fino alle 20. Se non fosse un lavoro che mi distrugge fisicamente e se non fosse con mio padre, lo farei pure, però, cristo, il dottorato vale veramente così poco anche in termini di colloqui lavorativi? Probabile o probabile sono io che mi faccio valere poco, che vorrei in realtà stare lì da qualche parte a creare, a socializzare, a ideare, a fare cose senza una vera e propria utilità.
È un periodo buio, come ogni anno. Febbraio ha la luna in Acquario e la debolezza dietro l'angolo. Colpisce forte e mi lascia con poco fiato. Supererò anche questo è si vedrà.
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Pensieri sconnessi.
Non so come e perché o forse si, ma il mio lavoro mi sta salvando. Parlare tutto il giorno con persone, il contatto con la gente mi fa stare bene. Vedere le persone che nel piccolo di quel che faccio mi ringraziano, sono gentili con me. Le persone ridono e scherzano. Oggi ho lavorato come spesso accade fino alle 21 e si è faticoso, tanto, però vedere e toccare a volte le storie delle persone è meraviglioso. Oggi ho aiutato una ragazza incinta che mi ha ringraziata non so quante volte e mi ha detto che sono di una dolcezza estrema anche con i bambini.
I miei colleghi sono quelli che rendono il tutto magnifico. Mi hanno raccolta con un cucchiaino perché dopo una sola settimana di lavoro mia madre è stata ricoverata. Mi sono stati vicini da subito, perché si siamo una squadra, a volte un po' poco organizzati ma una squadra.
Giro lì dentro come se ci lavorassi da una vita. Sento come di essere fatta per stare in mezzo alle persone. A volte è uno sclero, come ieri, però è appagante quando finisci la giornata.
A volte torno a casa e penso però a tutto ciò che mi sta succedendo e mi guardo allo specchio e mi chiedo come sto riuscendo ad avere così tanta forza, da dove l'ho tirata fuori la grinta per andare avanti in tutto. Ho una situazione famigliare davvero tremenda e, se posso dire, non vedo l'ora di trovare una casettina e andare via. Però dai, il resto va bene, domani riposo dopo 6 giorni di fila di lavoro, questo weekend è stato devastante.
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Esiste un mondo tutto particolare. Quello della solitudine. È un mondo senza confini, dove pure però non riesci a trovare nulla. Le tue cose, i tuoi pensieri sono dello stesso colore delle pareti intorno. Procedi cercando un’uscita inesistente andando a tentoni, le mani paurose rigide in avanti. Ma non tocchi mai nulla. Perché quel nero continuo e ossessivo che ti avvolge è il nero delle pareti della tua mente. Foderata come una scatola di cioccolatini. Mente impagliata. In quel mondo, gli altri non esistono. Non puoi vederli. Non puoi sentirli. Ma puoi pensarli. E il pensiero di Lele mi fa diventare pazzo. Una leggera impalpabile ossessione. Che diventa sempre più totalizzante, sempre più invadente. Fino a occupare tutta la capacità immaginativa del mio essere. Comincio a scendere degli scalini ripidi. Sono scalini infiniti, sanno di terra e muschio. Scalini neri, scivolosi, sconnessi, logorati. Portano all’inferno. L’ultimo scalino è il primo. All’inferno ci sono già. Raggiungimi nelle tenebre, angelo perverso. Sei condannato a restare qui per sempre anche tu, e io sarò allora il tuo torturatore, il tuo seviziatore personale dell’anima. Ho sete della tua anima, voglio masticarla pezzo a pezzo, lacerarla via come tu hai fatto della mia. Io ti odio, Emanuele. Di un odio secco, affilato, calmo, eterno. Ti entrerò nel cervello soffiandoti nell’orecchio. Quel topo che tanto temevi, sarò io. Roderò lento e inesorabile ogni parte della tua mente. Pasteggerò fino a esplodere, assaporando porzioni di ogni sezione, così che tu possa sempre renderti conto di quanto ti sta accadendo. Voglio far l’amore un’ultima volta con te. Voglio penetrarti mentre ti stringo le mani attorno alla gola. Una grande determinazione. Io ti eliminerò. Morirai. In te stesso.
#rancore ne abbiamo?#abbiamo capito che angeli malvagi ha avuto la sua influenza sull'autore#citazioni#citazione#citazioni libri#citazione libro#angeli da un'ala soltanto#Sciltian Gastaldi#narrativa#lgbt#libri lgbt#letture lgbtq#angeli da un ala soltanto#scilitian gastaldi#Angeli da un'ala soltanto#romanzo di formazione#libri letti#sciltian gastaldi#sciltian gastaldi libri#sciltian gastaldi libro#sciltian gastaldi citazione
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Da un po’ di tempo a questa parte, o forse da sempre, cerco di connettere alcuni pensieri e ragionamenti apparentemente sconnessi tra di loro – dopotutto il cervello umano é predisposto a identificare pattern, trovare correlazioni e proporre possibili connessioni; tuttavia non riesco mai ad afferrare del tutto queste sensazioni sfuggenti che sanno di certezza ma che mancano di una struttura logica che gli dia una forma concreta. Questo capita ogni volta che qualcosa di particolare, sia esso un dettaglio o un mood specifico, crei in me la necessità di distaccarmi dalla realtà per cercare di dare un senso, nel flusso variabile della mia memoria, a tutto ciò che mi passa per la testa: la mia biografia, i miei interessi, i miei difetti, i movimenti socio-culturali, la storia, il futuro.
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Dissociazione o stanchezza? Il tempo non esiste, e neanche la realtà. Sta accadendo tutto in questo momento e non sta accadendo davvero per qualcun altro. Interpretiamo. Viviamo di interpretazioni.
Sento un rumore di fondo come un ronzio, mi sono persa nei miei pensieri, ora non li ricordo.
Notte insonne, non sento niente, sono distante dal mio corpo, la mia voce non è più mia e neanche i miei pensieri.
Tutto scorre in modo caotico, l altro lato della medaglia dell' ordine di Eleonora.
Pensieri sconnessi, quasi mi viene da ridere.
Vedo le ombre. Le sento come graffi. Mi lascio cadere nell'abisso profondo.
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che tipo di relazione voglio ?
dobbiamo vederci sempre ? No però non voglio che non sei presente nella mia vita. Non voglio una relazione dove siamo attaccati, dove tutto mi riconduce a te. Voglio la mia identità e i miei spazi. Voglio essere una persona senza essere necessariamente associata a te. Voglio avere le mie cose. Eppure non riesco a coinciliare questo mi modo di essere con la nostra relazione. Perchè mi sembra sempre che a me importi di più, rispetto a te ? O anche agli altri in generale ?
Cpsa devo fare !
Con te ho capito che non credo nell'amore. Mi hai aperto gli occhi. Che valore hanno le mie parole allora ? E' un ti voglio bene ? M l'amore non è un ti voglio bene ?
Ti voglio bene qui ed ora e questo è quello che mi basta. Ti voglio un pò più di bene, qui ed ora. Ti amo qui ed ora. Come faccio a sapere che vael lo stesso per te ?
Io mi sento amata? Si Ho paura ! Tremendamente. Alla fine sono io in trappola.
Sono cresciuta abbastanza da stare in una relazione? Devo crescere in una relazione per capire come voglio stare in una relazione?
Ero pronta ad essere sicura di me. Questa volta mi sono detta: "niente ansia, la lascio andare". E sono di nuovo qui invece...
Perchè ?
Per me è così difficile legarmi senza farmi mille paranoie. Mi fido. Non mi fido. Scelgo di fidarmi.
Ho l'ansia. Meglio zitella ?
Non voglio restare da sola. Non voglio stare sola. Questo lo so.
I miei pensieri sconnessi.
Voglio essere indipendente, ma voglio affidarmi. Voglio essere sicura di me, ma l'ansia mi divora. Voglio essere me stessa, ma non voglio deluderti. Sono così pesante!
Se solo tu sapessi la metà dei pensieri che mi girano nella testa.
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LA VERITÀ COME ESPERIENZA
LA VERITÀ COME ESPERIENZA
di Alexandra Blanc Lancio qualche riflessione sparsa, scaturita da recenti dialoghi, senza la pretesa di essere nel giusto, e scegliendo volutamente di non dare una struttura argomentativa, bensì di lasciare che questi pensieri appaiano un po’ sconnessi tra loro, e tuttavia possano risultare sensati, sia considerati nell’ insieme che presi singolarmente. A qualcuno sembreranno sciocchi, ad altri…
![Tumblr media](https://64.media.tumblr.com/d440e020af7d2ff61ad7d271cbb07bd2/2b01437682430997-c0/s540x810/20340129f939e2bfbdb75c0117927cd4d0d1db53.jpg)
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Che poi magari si, divento lei,
Bellissima, completamente rifatta
Perfetta da ogni singola angolazione.
Indosso vestiti meravigliosi che lasciano intravedere quanto sia perfettissima
Ho amici in ogni dove
Ho raggiunto tutto ciò che potevo raggiungere
Poi?
Per cosa lo faccio?
L’ho immaginato
Perdo ogni tipo di interesse
Sarà che sono depressa e penso troppo ma
Non voglio avere sogni e aspirazioni
non perché sia alternativa, magari è soltanto la solita pazzia che fa capolino tra una serie di pensieri sconnessi, ma sento già l’abitudine a quel tipo di vita, a quei sogni
Ed è pesante.
Ed è per questo che sono qui, immobile
Non perché sento di non farcela, ma perché se ce la faccio l’ho già immaginato
Mi torna in mente, un ricordo di quando ero piccola, ricalcavo con la matita su un foglio trasparente il disegno di quel cartone sulle principesse
Ero felice, ero riuscita a farlo uguale a come sapevo sarebbe dovuto essere, perché l’originale l’avevo sotto.
Da grande non riesco a trovare la stessa felicità nell’immaginare di avvicinarmi ad un disegno già prestabilito, da me, dagli altri.
E se mai lo farò, sarà pigramente e questo significa semmai fosse una competizione il modo giusto di prendere la vita, che mentre gli altri staranno correndo io sarò ferma, camminerò quando mi va, mi fermerò di nuovo, perché starò riflettendo su qualcosa di stupido, come questo.
(“Guarda un dinosauro” cit.)
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Puoi dire o fare tutto quello che vuoi, puoi evitarmi, allontanarmi, darmi della menefreghista quando poi quella che fa girare i coglioni con quel visualizzato senza una risposta sei tu mica il contrario, puoi fare finta che non ti importa e poi vedere i miei video tik tok da chissà quale profilo, puoi scappare volgere il tuo sguardo altrove ma lo so che i tuoi pensieri si collegano con i miei, lo percepisco, non importa la distanza noi riusciamo a comunicare senza scriverci...sento di avere dei buoni motivi per tenere in vita queste mie 'ovvie' convinzioni, i tuoi discorsi sconnessi, poco chiari a mezzo volto me ne danno la conferma. Non ci sono altre spiegazioni...
"Devi capire che io non posso darti quello che forse vorresti" 🤔
Intanto...io non voglio nulla. Precisiamo questo. Non ti ho mai fatta sentire come se mi dovessi in cambio qualcosa, ciò che ho sempre fatto deriva da un'amore puro, vero e incondizionato ciò significa che sono io ad aver preso di mia spontanea volontà la decisione di amarti nonostante sapessi che mi avresti fatto del male. Perché sono fatta così. L'unica cosa che voglio fare è amarti, senza obblighi o restrizioni. Non voglio nulla in cambio.
Cosa dovrebbe significare quel 'non posso'?
Ecco...ora la domanda è un'altra, siamo arrivati al punto dove le mie convinzioni ritornano a galla...come se lei volesse a tutti i costi convincere se stessa che "NON PUÒ" provare qualcosa di così forte per una donna, la vede come una cosa impensabile, preferisce accontentarsi di chiunque altro al posto di aprire il suo cuore ad un'amore "puro" non riesce a razionalizzarlo, e fugge, ma una parte di lei lo vorrebbe...perché avrebbe potuto dire "NON VOGLIO DARTI" al posto del "NON POSSO" perciò con questo mi fa capire che una parte di lei vorrebbe...una parte di lei lo percepisce così come lo percepisco anch'io...ma qualcosa la porta a fuggire...o magari qualcuno, magari ha paura di deludere qualcuno a lei caro, qualcosa la spaventa, non so cosa ma questo è un fatto ovvio. Non ci sono altre spiegazioni...e dell'ultimo messaggio ne vogliamo parlare eh? "mando messaggi stupidi senza mai fare nulla di concreto, quindi vai ad accarezzare scricciolo"
Lo vedi quanto sei contorta? MA CHE CAZZO SIGNIFICA? sono proprio questi tuoi atteggiamenti a obbligarmi di tenere in vita queste convinzioni, SEI TU, non io. E non me ne frega niente ci morirò con queste convinzioni.🤬
Riuscirai mai a parlarmi chiaramente di cosa ti spaventa e da cosa stai realmente fuggendo? ne sarai mai capace?
Vuoi continuare a giocare vita mia? e giochiamo...tanto ormai ci sono dentro fino al midollo, ormai tutta questa situazione mi ha fatta entrare in uno di quegli "Escape room" infiniti e irrisolvibili in cui l'uscita la trovi solamente facendoti ammazzare ecco così mi sento, ma ti dico una cosa...solo tu hai la chiave per aprire quella porta, solo tu puoi condurci sul sentiero di casa. E fino a quando non sarai in grado di farlo io sono qui. Io non vado da nessuna parte, rimango bloccata in questo eterno labirinto d'altronde siamo
"Fiamme Gemelle"
lo capirai, ho fiducia in te.
Nel frattempo non voglio nessun'altra che non sia tu. 🔥
Quindi stai zitta. Smettila di dire stronzate e lasciami accarezzare scricciolo l'unico modo in cui posso sentirti più vicina razza di idiota.😏🥺
@occhicastanitristi-blog @cuoregelidoo-blog @delusa-da-tutti
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È stato come sentire la febbre che sale. Sale all’improvviso. I tremori ed il senso di apnea mi tolgono il fiato, tutte le sere, non appena prima di dormire. Il cuore batte molto più lento. I miei occhi sono spalancati, terrorizzati all’idea che forse, per davvero, non ti rivedrò mai più.
Mi aggiro spesso in questa giungla di pensieri qui occulti, là manifesti. Piove e non ricordo più la strada di ritorno. Vorrei chiamarti per nome, ma temo di sentire soltanto l’eco della mia voce. Dove sei, cosa fai, a che pensi. Il tuo silenzio mi disarma, mi turba, mi aliena.
Mi sono innamorata di te, ma mi costa troppo accettarne il peso, la responsabilità. Mi sono innamorata di te, perché qualcuno a mia insaputa ha piantato un germoglio nel mio petto. Ed ora il seme ha sete, ha bisogno di luce, vuole soltanto crescere. Dove sei, cosa fai, a che pensi. Chi verrà a prendersene cura?
La mia mente è letteralmente ubriaca di te e di ciò che mi hai lasciato. Dipendente come da tempo non le accadeva. Ripropone insistentemente ogni fotogramma che ho di te. Mi sembra ancora di sentirti e di vederti ridere. Mi sembra ancora di essere seduta ad un tavolo a fingere di ascoltarti mentre mi diverto a tuffarmi in quei tuoi occhi blu.
Dove sei, cosa fai, a chi pensi. I giorni non passano più, l’incantesimo s’è spezzato, e non esiste più alcuna carrozza che possa riportarmi da te. Ancora una volta. Solo per un abbraccio ed un caffè, in una sala piena di specchi, così da poterci vedere riflessi ovunque. Perché siamo belli assieme, e lo sai. Rari e genuini. Sinceri e complici.
Dove sei, cosa fai, di cosa hai paura.
Niente dura in questa vita, tutto si trasforma.
Soltanto che, dentro di me, una voce dice che il nostro tempo non era ancora finito, che la tempesta non durerà per sempre, e che questa giungla di pensieri sconnessi ed articolati non è poi così claustrofobica.
Voglio ritrovarti, solo per prenderti la mano ed appoggiarmela sul petto. Sentirai come è diventato lento il mio cuore. C’è un germoglio che hai lasciato incustodito dentro di me, e che dovrò sradicare completamente se non voglio che questa terra secca mi inaridisca il petto, il collo, le labbra.
Mi sono innamorata di te e sento il bisogno di vomitarlo da qualche parte. Ti avverto, potrebbe nascerne un mazzo di fiori stupendi.
Dove sei, cosa fai, sono per te. Per te soltanto.
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odio dover scrivere cose fattuali e oggettive in modo serio il mio cervello è fatto per le diarree cerebrali e i pensieri sconnessi e altamente mistici
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Cioè come se qualcuno fosse entrato nella mia testa e fosse riuscito a mettere in ordine i trecento pensieri sconnessi e disordinati nella mia mente
L'idea di realizzarsi nel lavoro è fondamentalmente, radicalmente sbagliata - un frutto velenoso del capitalismo contemporaneo.
Il lavoro serve per ottenere le risorse e le opportunità necessarie - per la vita, che è altrove.
Il lavoro è una merda. E' per questo che bisogna farsi pagare per lavorare. E che bisogna farsi pagare adeguatamente, per compensare il tempo sottratto alla vita vera, che è un'altra cosa.
Il lavoro non deve gratificarti, il lavoro deve toglierti il meno possibile. E quello che ti toglie, te lo deve restituire con gli interessi, economici e non solo - altrimenti non è lavoro, ma violenza.
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