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#passo guardia
francesca-70 · 4 months
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Tutto ciò che leggerete mi è stato ispirato dalla classica foto che vede Paolo e Giovanni in fraterna cospirazione...
Oggi come ieri e per sempre ritratti come simbolo di unione alla lotta contro la mafia e alla criminalità.
Enza Romeo
Ciao Paolo,
oggi 23 maggio 2023 non è l'anniversario della mia morte, oggi è il giorno che morirò di nuovo, come ormai da 31 anni.
Ogni 23 maggio alla stessa ora io, Francesca, Rocco, Antonio e Vito andremo incontro sempre allo stesso destino.
Oggi come allora e come sempre.
Fin quando, per catturare un latitante impiegheremo anni, nonostante il suo nome, nonostante la cattiva fama, nonostante il suo volto esca in tutti gli archivi di giustizia come ' ricercato pericoloso', nonostante viva per anni nello stesso 'suo' paese e curato in una clinica come, se non meglio, di un bravo cittadino italiano.
Fin quando un giudice avrà le mani legate, la bocca tappata, la famiglia minacciata.
Fin quando sentiremo che un agente di polizia, un carabiniere o un uomo della guardia di finanza si toglierà la vita senza un apparente vero motivo.
Fin quando si abbasserà la testa per ogni sopruso illegale.
Caro Paolo, amico fraterno, compagno di ideali e di lotte per la giustizia, fin quando non si metterà la parola fine all'omertà, noi non avremo un giorno di commemorazione vera, ma avremo l'ennesimo boato, l'ennesima sensazione di perdita d'aria saltando nel vuoto e ritrovandoci inerti, smembrati e privati di ogni nostro Essere.
Però caro Paolo fin quando ci saranno uomini come noi e uomini che credono in noi a tal punto di sapere cosa gli aspetta nel seguirci passo dopo passo privandosi della loro stessa vita, spero sempre in un cambiamento e che il 19 luglio per te, per Agostino, Vincenzo, Emanuela, Walter e Claudio, non ci sia l'ennesima morte, ma la commemorazione di un'anniversario di nuova vita, di nuova giustizia e di legalità infinita.
Sempre insieme
Tuo fraterno amico Giovanni.
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#23maggio1992
#23maggio2023
#GiovanniFalcone
#paoloborsellino
#legalita #giustizia
#lottacontrolamafia
#Francesca #Rocco
#Antonio #Vito
#Agostino #Vincenzo #Emanuela #Walter #Claudio
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kon-igi · 2 months
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Ciao Kon, non so bene perché sto scrivendo a te questa cosa ma so che sei un medico e sembra che ami il tuo lavoro.
Studio medicina, sto finendo il primo anno e mi trovo in un brutto periodo da un paio di mesi ormai. Mi sono immatricolata in ritardo (fine primo semestre) e di conseguenza ho cercato di recuperare il più possibile ma ho iniziato fin da subito a stare male, avere sempre ansia e un’angoscia infinita. Gli esami vanno bene, ma io continuo a stare male. Medicina è quello che ho sempre voluto fare, anche se tutti mi hanno sempre messo in guardia sulla difficoltà di questo percorso e la “scarsa salute mentale” di cui spesso godono le persone che scelgono questa strada. Ho paura che sia sempre peggio, che il primo anno sia solo un assaggio di quello che sarà poi. Ho un’altra laurea alle spalle e un po’ di esperienza in un lavoro che non mi piace del tutto, e c’è questo pensiero che si ingigantisce sempre di più: mollare medicina, mollare quello che mi sta facendo stare male e dedicarmi a quest’altro lavoro che sì, non mi piace al 100%, ma forse mi permetterebbe di condurre una vita più tranquilla e con meno ansie. Il dubbio quindi è: continuare a provare a fare quello che ho sempre sognato di fare pur stando male, oppure rassegnarsi e ripiegare su altro pur dovendo convivere con la frustrazione e il rimpianto/rimorso di aver archiviato per sempre il sogno nel cassetto?
Che brutta cosa i sogni nel cassetto e sai perché?
Credi di averceli messi tu ma in realtà ci sono stati messi da un'altra persona, una persona che è morta innumerevoli volte e tutte le volte è rinata diversa, con un nuovo modo di guardare alla vita.
Io volevo fare l'entomologo, poi l'insegnante, dopo il ninja e infine il cecchino e invece mi trovo a fare una cosa che non avrei mai sognato.
C'era un sogno più valido di altri? Ogni sogno è stato valido finché è stato sognato nel lì e nell'allora ma il qui e ora non ne ha bisogno perché i sogni proiettati nel futuro guidano contromano e si schiantano contro la persona diversa che saremo.
Vuoi un consiglio per fare una scelta?
Ma non ne hai bisogno... tu la scelta giusta l'hai già fatta, perché quella sbagliata è la scelta che non farai.
L'attimo che decidi non è un salto nel vuoto di un destino fumoso che ti attende ma la porzione di quel cammino che in quel momento era adatto al tuo piede e al tuo passo.
Ti sembrano farraginose frasi motivazionali?
Ma la vita non è sacrificio e lotta... questo tipo di narrazione dannunziana è portata avanti da burattinai che ti vendono scarpe scadenti e poi ti costringono a danzare alla loro musica per fartele consumare.
Io provo pietà per la sofferenza dell'eroe che corona il sogno di una vita e mi chiedo sempre cos'abbia dovuto dimostrare e a chi.
La sofferenza avverte che non è il momento del cambiamento e quindi adesso ti chiedo:
Dov'è la persona che aveva sognato di diventare una dottoressa?
Quanti cucchiai hai a disposizione per vivere il resto della tua vita?
Alla fine, qual è il nome della persona a cui devi tutto ciò?
Un abbraccio e se vuoi chiacchierare in differita (e per differita intendo audiopipponi infiniti) mi puoi trovare su telegram come kon_igi
<3
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ragazza-whintigale · 5 months
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Loved Anastasius post 💓💓Need a part 2 or Ana pov please!!
𝔜𝔞𝔫𝔡𝔢𝔯𝔢 𝔄𝔫𝔞𝔰𝔱𝔞𝔰𝔦𝔲𝔰 𝔇𝔢 𝔄𝔩𝔤𝔢𝔯 𝔒𝔟𝔢𝔩𝔦𝔞 𝔵 𝔯𝔢𝔞𝔡𝔢𝔯
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Who Made Me A Princess
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento Yandere, tentato omicidio, utilizzo veleno per topi, tortura, ossessione, possessione, disumanizzazione, menzione all’omicidio, sangue, abuso fisico e mentale, manipolazione,
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 1791
⟢𝙿𝚛𝚎𝚌𝚎𝚍𝚎𝚗𝚝𝚎 / 𝚂𝚞𝚌𝚌𝚎𝚜𝚜𝚒𝚟𝚘 ⟣
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Era difficile per Anastasius descrivere il suo primo incontro con (Nome) mentre per (Nome) è l’incubo più ricorrente quando dorme e quando è sveglia.
Lei semplicemente non gli ha mai rivolto attenzioni in primo luogo. Non gli rivolse attenzione neppure quando aveva l’opportunità di apparire in buona luce agli occhi del principe e non lo avrebbe mai davvero fatto ad essere sinceri solo le circostanze hanno portato al loro incontro.
Era una nobildonna, figlia di un Visconte, di cui Anastasius non ricordava neppure il nome, quindi ovviamente aveva accesso ai balli a palazzo, eppure non l’aveva mai notata prima. Una ragazza misteriosa, silenziosa ed elegante, che si circonda della sua cerchia ristretta e in cui è riuscita a nascondersi per molto tempo. Era davvero una persona che difficilmente e normalmente non si sarebbe notata nella folla e Anastasius non l’ha fatto ovviamente. Avrebbe potuto essere così per sempre se non avesse fatto quel ingenuo piccolo primo passo.
(Nome) era certamente una ottima e silenziosa osservatrice, i grandi occhi (Colore) erano certamente la sua qualità più evidente. Era anche un'ottima ascoltatrice e forse il suo acume era stata la sua rovina più grande.
Ma ancora di più la vana speranza che proclamare a qualche guardia di nascosto che qualcuno stava per avvelenare il principe senza essere notata o interroga era davvero da ingenui.
Portata davanti a una folla di nobili, l’unica cosa che fece era proclamare il complotto che si rivelò vero.
Anastasius fu salvato e assolutamente interessato a cosa fosse passato per la testa della ragazza in quella notte. Era spaventata dalla scoperta? Era preoccupata per lui? È venuta subito a denunciare il fatto? Oppure ci ha ripensato ancora e ancora cercando i benefici per lei? O forse voleva farsi vedere agli occhi dell’Imperatore?
Lui doveva saperlo: Che tornaconto aveva esattamente da tutto questo quella donna di poco conto? Non poteva averlo fatto solo per pietà… o invece si. Anche se non era realmente pietà ma più senso di colpa, ma comunque non aveva un tornaconto. Non ci stava guadagnando assolutamente niente.
Lo status e la popolarità di (Nome) non era cambiata. Anche se si parlava del complotto nessuno parlava che era stata lei a sventarlo semplicemente parlando e qualora l’avessero scoperto la (Colore) li avrebbe semplicemente liquidati. (Nome) non si era nemmeno presentata al palazzo imperiale per riscuotere il favore dell’Imperatore.
Per qualche strana ragione, Anastasius sperava che lo facesse, che prima o poi venisse e si presentasse per quella persona terribile e scalatrice sociale che lui sperava fosse. Ma non lo fece, anzi, non si fece nemmeno vedere ai balli sociali.
Doveva vederla.
Quando fu davanti alla tenuta del Visconte il suo Entourage chiacchier�� rumorosamente riguardo la vista dell’abitazione circondata dal verde.
Ma lo sguardo del principe era semplicemente rapito dalla figura della figlia del Visconte che era scesa insieme al padre e alla madre per offrire la loro ospitalità al reale.
(Nome) non aveva detto una parola da quando era arrivato e non sembrava intenzionata a farlo.
❝ Qual’è il tuo intento? ❞ Una volta rimasti soli, fu Anastasius a parlare alla donna. Come appena risvegliata da un sogno, sbatte le palpebre mentre cercava di capire cosa potesse intendere l’uomo. Lei non aveva fatto assolutamente niente per dare l’impressione che lui aveva in qualche modo frainteso. ❝ Perdonatemi Vostra Maestà, per qualsiasi cosa io possa aver fatto, tuttavia io non capisco. ❞ Quella frase è uscita con una certe elegante e compostezza da parte di lei. L’espressione tornò neutrale e distante.
Era certamente abile per essere una donna qualsiasi e senza una vera importanza. ❝ Cosa avete ottenuto da quel giorno al ballo, quando mi avete salvato la vita. ❞ Un'espressione di chiarezza stiró l’espressione della donna che sembrava essere troppo matura per la sua età. Si spostó leggermente dalla posizione in cui era, e lo stesso fece lui di conseguenza. ❝ Penso abbiate frainteso, Sua Maestà. Io non ho ottenuto qualcosa dalle mie azioni. ❞ (Nome) fece una pausa, prese un sorso della bevanda fresca, si asciugó la bocca con il fazzoletto ricamato per poi parlare di nuovo. ❝ Mi è semplicemente sembrato giusto farlo, tutto qui. Se insistete, sparirò dalla corte, o ancora verrò a riscuotere il favore così da far tacere le voci.❞ Anastasius era rapito da questa donna. Dalla voce monolinea e calda, dai gesti semplici ed essenziali e dallo sguardo puntato ovunque tranne che nei suoi occhi.
Non stavi mentendo… e non era quello ad infastidirlo. Ma più che altro la semplicità con cui tu volevi risolvere la cosa. Come se fosse qualcosa di semplice e poco conto. Un bisticcio tra bambino o un ladruncolo da quattro soldi.
❝ Credi davvero di poterlo risolvere con così poco? ❞ ❝ Perché non dovrebbe essere così? Vi turba questa cosa? Possiamo trovare un compromesso se Sua Maestà lo desidera. ❞ Certo… Anastasius ha capito ad un tratto. (Nome) stava cercando di risolvere la faccenda il più velocemente possibile. Ecco perché era stato facile rimanere da soli e lei non aveva mosso un ciglio a questo comportamento.
Potrebbe quasi ridere in realtà. Volevi sparire sotto un velo trasparente senza voler essere notata? (Nome) voleva che lui non avesse mai notato che lei esisteva. Faceva davvero ridere e perciò rise di gusto. L'espressione di (Nome) si corrucció all’improvviso cambiamento del principe, prima di assumere un’espressione altamente preoccupata. Stava parlare ancora, forse chiedendo se stesse bene, se volesse qualcosa o se lei avesse detto qualcosa di sbagliato.
❝ Hai Ragione, Lady (Nome). Perché non semplificare tutto! ❞ Una sottile linea di dubbio e paura per le prossime parole del principe era ben percettibile dall’espressione della giovane Lady. ❝ In che m-modo? Sempre se non sono inopportuna, Mio Principe.❞ No, non era inopportuna, infondo non sarebbe possibile per lui riscuotere il favore se lei non ne era a conoscenza.
❝Ho bisogno di una fidanzata, mia signora. E voi sareste perfetta per il ruolo. ❞
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❝ Sei silenziosa questa mattina, mia signora❞ La figura del principe fece capolino nei suoi appartamenti o meglio dire i loro appartamenti. L’ elegante passo del principe lo portò a sedersi al fianco della sua amata che si irrigidì alla semplice vicinanza. I suoi occhi erano posati su di lei ad analizzare come il suo portamento fosse rigido e impostato in sua presenza e di come il piccolo ago si stesse a poco a poco piegando tra le dita della donna. Una donna certamente degna di apparire con il principe, che non aveva secondi fini e che era troppo spaventata e intelligente per cercare di fargli del male. Lui semplice la adorava alla follia. Una follia fuori da qualsiasi controllo, che divorava entrambi. Lei dall’esterno e lui dall’interno.
Le porse un fiore come era solito fare ogni giorno, forse sperando che lei si sciogliesse ad un gesto così galante. La Rosa Inglese aveva un rosso intenso e brillante. Si aspettava che (Nome) la prendesse e lei lo fece, per poi posarla da qualche parte vicino a lei. Non degnó ulteriormente il fiore di attenzioni, tanto sarebbe sfiorito entro pochi giorni.
❝ Io sono sempre silenziosa, vostra maestà. ❞ Forse rivolgersi così a lui non era davvero la scelta più furba che abbia mai avuto, tuttavia che lei fosse rimasta in silenzio o avesse parlato non sarebbe cambiato niente in situazioni come queste. ❝ Questo è vero. ❞ Cantò con interesse alla sua schiettezza. Con il tempo era cambiato il comportamento di (Nome) o forse si è solo rivelata come la persona che solo le sue cerchie strette conoscevano davvero bene e questo non poteva fargli piacere. Ogni tanto si assicurava di tenerla al suo posto per accertarsi che non diventasse troppo audace ma tutto sommato gli è piaciuto quel suo modo spesso sfacciato, soprattutto quando la pressione la fa crollare come un castello di carte. ❝ Anche se a dire la verità mi piace di più quando piangi e implori. ❞
Come se fosse possibile, (Nome) si irrigidì ancora di più. Non era mai un buon segno quando parlava sotto minacce velate e lei ne sembra davvero consapevole. In quel momento poteva sentire tutti i lividi, i tagli, le ferite e le scottature che Anastasius le aveva procurato, bruciare all’unisono.
Con uno schiocco di dita la porta della stanza si aprì e una serie di cameriere entrarono per servire il tè. Il profumo leggero di rose si diffuse nell’aria, a causa della rosa regalata e dell’aroma del tè.
(Nome) non si è sorpresa di tutta quella gente che era disposta a servirli, ma si è sorpresa del fatto che insieme non ci fosse qualcuno che avesse fatto qualcosa per cui, secondo Anastasius, andasse punito.
❝ Cosa hai in mente? ❞ Le parole tremarono mentre si spostava a guardare i presenti ed infine il suo fidanzato. ❝ Assolutamente niente, mia casa principessa. ❞ Fece segno a qualcuno mentre parla e successivamente una tazza le venne servita. Il liquido ambrato, leggermente rosato, le fumava sul viso.
C’è qualcosa nel the. Non poteva che essere quello, lui aveva sempre doppi fini. Perché ora sembra solo canzonarla e prenderla in giro senza mai fare qualcosa. Deve avere qualcosa in mente, si scervelló nel pensare a qualsiasi scenario, situazione o piano, lui potesse inventarsi. O forse non stava facendo assolutamente niente, la stava solo prendendo in giro. Ma… se non fosse così.
Se il the fosse veramente avvelenato e nel fidarsi poteva firmare la sua condanna e il divertimento del principe.
Anastasius rise di gusto ad un certo punto. Provava sempre un certo gusto nel deriderla. ❝ Su su, (Nome) non fare quell’espressione o mi farai arrossire. ❞ Con la coda dell’occhio osservo il biondo mentre un’altro sbuffo di vapore gli scaldó il viso. ❝ Come potrei mai fare una cosa del genere alla mia bella Moglie? ❞ La cosa che (Nome) trovava ridicola e inquietante era che lui lo farebbe davvero, anzi, lo aveva già fatto diverse volte.
Lui aveva cercato di avvelenarla per davvero. Solo per puro divertimento. ❝ Avanti, non guardarmi come se ne fossi capace. ❞ Schioccó le dita di nuovo. Dalle porte entrarono delle guardie questa volta, mentre trascinavano una figura maschile sanguinante.
Un semplice fantino che le aveva raccolto il suo ventaglio quando le era caduto. Questa colpa era davvero così grave da dover essere punita e non solo giudicata?
Un gemito di dolore uscì dal povero ragazzo lasciato cadere a terra successivamente.
❝Adesso (Nome), dimmi quanto sei disposta a sacrificare… ❞ Anastasius giocó con la sua tazizna vuota guardando divertito la ingiusta vittima. ❝ Tu o lui? Scegli in fretta e sarò clemente. ❞
Scelse Se stessa… Affinché tutti in quella stanza potessero confermare che nessuno era più adatto e crudele di lei a stare con un principe altrettanto crudele
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altrovemanonqui · 9 months
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Il 25 saremo di turno.
Ci sta. Non ho ben capito perché per due anni di fila ci tocca sta sbatta ma comunque… ci sta.
L apertura di turno è una sorta di “servizio straordinario”. Vista la natura delle prestazioni si garantisce l’approvvigionamento di farmaci nelle 24h. Ogni giorno. E così appunto anche a Natale. Quello che davvero faccio fatica a capire è:
- per caso a Natale fate i vaccini?
- posso prenotare un tampone per il 25?
- siete aperti sempre il 25? Perché ho dei regali(!!!) da fare…
- allora auguri! Ma magari passo il 25 a prendere qualcosa(????)…
- siete aperti a Natale? Ah bene perché ho dimenticato delle ricette a casa (!!!!)
Quindi…Ti viene un cagotto? Siamo aperti! Hai la febbre? Si certo siamo aperti. Hai mal di pancia…mal di testa…raffreddore…ti viene l’influenza….la nausea…la gastroenterite…hai un rapporto sessuale non protetto….ti dimettono dall ospedale…esci dalla guardia medica… Ebbene si! Siamo aperti!!! Ci trovi aperti 24h a Natale… per tutto il resto…vi mando caramente a fanculo già da adesso!!!
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arreton · 10 months
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Mi piace la palestra ma mi ha già stancata.
È comodo questo lavoro, ma mi sono già rotta le palle di lavorare.
Mi piace prendermi cura dei capelli, ma mi scoccia perderci tempo.
Mi piace prendermi cura della pelle e truccarmi ma mi scoccia perderci tempo.
Mi piace post produrre le foto ma ci vuole troppo tempo.
Vorrei saperne di più su fotografia, cucina, psicoanalisi, economia/politica/marxismo/comunismo, alcune filosofie ma ci vuole tempo ed una concentrazione che non riesco ad avere. Non riesco poi a ricordare quello che leggo, non solo titoli ed autori ma soprattutto contenuti.
Mi sento al sicuro e contenta quando è tutto pulito ma è una lotta contro la sporcizia che mi stanca e non mi sento più in grado di portarla avanti.
Mi sembra di riuscire a fare le cose solo per automatismo, appena devo essere attiva e partecipe non riesco ad esserlo: voglio scappare. Appena mi rendo conto di non avere tempo mi viene l'angoscia, appena mi rendo conto dell'impegno che ci vuole mentale e fisico mi affatico. Quando mi ci metto e mi rendo conto che è faticoso e torno affaticata e stanca mi ci vuole un giorno intero per recuperare le energie ed un po' di vivacità. Ho il sonno pesante, che non basta mai: dormirei in continuazione. Mi cadono di nuovo tanti capelli e no non è perché "è il periodo delle castagne".
Io non so tutto questo cosa sia, come si chiama. Vorrei solo essere più vivace partecipe e gaudente nelle cose che faccio. Invece o resto un passo indietro o le soffro.
La psicologa dice che 30 anni di questo e di quello non si cambiano da soli, ma non ha capito ancora come sono fatta: non ha preso coscienza di quanto alzi le mie difese, di quanto stia in guardia, di quanto stia continuamente in allarme, di quanto sia incapace di parlare e di esprimermi malgrado il mio essere abbastanza chiacchierina, "intelligente" cit. e con proprietà di linguaggio. Non ha capito che non mi fido nemmeno di lei e che per me le femmine sono la proiezione di mia madre: amichette con le quali fare la chiacchiera da bar.
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bicheco · 1 year
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Truffe da sbarco
Se il guaio della Schlein è che non la capisce nessuno, quello di Meloni e Salvini è che li capiscono tutti. I loro annunci, promesse e slogan sono così semplici ed efficaci da risultare non solo facili da comprendere, ma anche difficili da dimenticare. E per loro è un bel casino, trattandosi di cazzate irrealizzabili, tantopiù quelle su un problema insolubile come quello dei migranti. Che al massimo si possono ridurre con un lungo, paziente e costoso lavoro di diplomazia e intelligence coi Paesi di provenienza, offrendo soldi in cambio di rimpatri e freni alle partenze (con la delicatezza tipica di quei regimi). Ma non fermare, almeno finché l’Occidente seguiterà a rapinarli e a usare quei Paesi come riserve di caccia per le proprie guerre per procura. Il blocco navale è facile da capire: peccato che non esista al mondo una flotta in grado di coprire l’intera costa nordafricana e, se mai esistesse, il suo arrivo in acque altrui sarebbe un atto di guerra. Infatti, finita la campagna elettorale, la Meloni ha smesso di parlarne. Ne parla ancora Salvini, che in campagna elettorale ci vive 365 giorni l’anno: continuerà a parlarne senza fare una mazza, che poi è la sua professione (ieri postava sui social un gattino morto). La Meloni aveva promesso di “inseguire gli scafisti in tutto il globo terracqueo”: siamo ansiosi di sapere quando parte, e per dove. Voleva anche spiegare ai partenti “i rischi che corrono”: potrebbe affiggere dei manifesti alla Garbatella. Intanto ha alzato a 30 anni la pena per gli scafisti e varato l’“omicidio nautico”, così imparano, tiè: purtroppo non se ne sono accorti e il nuovo reato si candida a produrre qualche processo in meno dell’oltraggio al Re. Il comandante della Guardia Costiera, Nicola Carlone, aveva anche proposto “pene più severe per chi si mette al timone dopo aver bevuto troppo”: si sa che i naufragi li provocano gli scafisti ubriachi (allo studio anche la prova del palloncino in mare aperto). E così, fra decreti Sicurezza/Cutro/Flussi, commissari straordinari, guerre e paci con l’Ue, la Francia e le Ong, sostituzioni etniche, complotti dalla Wagner, della Cina, di Macron, di Scholz e del Pd (come no), stragi in mare e karaoke sulla Canzone di Marinella, “svolta”, “cambio di passo”, “giro di vite”, “piano Mattei”, “piano rimpatri”, “porti chiusi”, “pugno di ferro”, “tavoli”, “cabine di regia”, “patti”, “assi” con i Paesi europei, africani e del globo terracqueo visti solo da giornali e tg, su su fino al mirabolante “memorandum con la Tunisia” dell’affidabilissimo Saied per “difendere i confini” dall’“invasione”, il governo anti-sbarchi ci ha regalato 120 mila sbarcati in nove mesi: più del doppio di quando governavano i pro-sbarchi. Se non fossero così impegnati, verrebbe da chiamare gli infermieri.
Marco Travaglio
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ama-god · 5 months
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GIUSTIZIATO!!!
Il 27 aprile del 1945, a Musso, Mussolini viene pizzicato e arrestato insieme all'amante Claretta Petacci.
Viene beccato su un camion dell’esercito tedesco, dopo un rozzo tentativo di mascherarsi con addosso un cappottone militare. Troppo voluminoso per un tracagnotto come lui.
L’autocolonna nazifascista viene bloccata dallo sbarramento della 52esima Brigata Garibaldi all’uscita di Musso, località a un chilometro da Dongo, sul lago di Como.
Un passo indietro.
Fino al 18 aprile Mussolini se ne sta rintanato tra le mura del Palazzo Feltrinelli di Gargnano, un comune vicino a Brescia, da dove si illude di guidare la Repubblica Sociale Italiana, uno stato-caricatura filo-nazista creato nel settembre del 1943 in seguito all’Operazione Quercia.
È la missione con cui i nazisti liberano Mussolini, tenuto prigioniero sul Gran Sasso, dopo che nel luglio del ‘43 il Gran Consiglio del Fascismo ne decide l’arresto.
Nel panico gioca l’ultima carta tentando di barattare la propria incolumità con il Comitato di Liberazione Nazionale. L’unica proposta che riceve dai suoi interlocutori è la resa incondizionata.
Il 25 aprile del ‘45 a Milano viene proclamata l’insurrezione generale. Il Duce non ha scampo. Ha le ore contate. A Menaggio, in provincia di Como, Mussolini e la Petacci, si aggregano a una colonna di soldati tedeschi in ritirata verso Nord.
E’ la fuga, direzione Svizzera. O forse Germania.
Ma nel pomeriggio del 27 aprile finisce per sempre la sua carriera criminale.
Con lui, i partigiani arrestano altri 52 fascistissimi, tutti immediatamente trasportati nel municipio di Dongo.
Sulla base del proclama «Arrendersi o perire», foglio n. 245 del 4 aprile 1945, tutti gli arrestati sono immediatamente passibili della pena di morte.
Mussolini, insieme a Claretta Petacci, viene trasferito per la notte prima nella caserma della guardia di finanza di Germasino, poi presso la famiglia contadina dei De Maria, a Bonzanigo.
Il giorno dopo i partigiani chiudono il conto con l’uomo che ha fatto sfracellare l’Italia in Guerra e in una dittatura spregevole.
Il plotone di partigiani incaricato di fare giustizia è comandato dal colonnello Valerio, al secolo Walter Audisio, per ordine dei capi del Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia.
Prelevati dall’abitazione dei De Maria, Mussolini e la Petacci vengono condotti nella località di Giulino di Mezzegra.
Alle 16 e 30 del 28 aprile 1945 l’esecuzione. I partigiani sparano. Mussolini è morto. Stessa sorte per la Petacci.
Ma c’è da finire il lavoro.
A Dongo, gli altri condannati a morte, precisamente, Barracu, Bombacci, Calistri, Casalinovo, Coppola, Daquanno, Gatti, Liverani, Mezzasoma, Nudi, Pavolini, Porta, Romano, Utimperghe, Zerbino, vengono portati nella piazza davanti al lago e fucilati.
«Giustizia è fatta!»
— Alfredo Facchini
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abr · 2 years
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UNA STORIA SEMPLICE DA UN PAESE DEL SOCIALISMO REALE
La scorsa settimana, qualche giorno prima di Capodanno, mia moglie si rompe in modo non grave un femore sulle piste da sci. Fatte le lastre, decido di portarla alle #Scotte (ospedale di #Siena ): inizia così una tre giorni da psicodramma.
Arrivo al PS alle 20. Non riesco neppure a salutarla che sparisce in barella insieme alle radiografie.
1) Non si può entrare in sala d'attesa: ora si aspetta fuori, sotto un porticato con le lampade riscaldanti (grave errore: i bidoni col fuoco sarebbero stati più appropriati).
2) Al PS non entra neanche un libro "perché altrimenti lo perdiamo" (spiegazione di un OSS a posteriori), figuriamoci vestiti o altro. Grazie al solito familismo amorale (conosco uno che ci lavora) riesco a contrabbandare almeno il cellulare.
3) Non ho fogli di ammissione, non ho fogli di ricovero, nessuno mi dice niente. Mia moglie mi chiama dicendo che "passerà la notte lì" e di andare a casa. LEI È SU UNA BRANDA, VESTITA DA SCI IN UNO STANZONE A 1000 GRADI, CON I PANTALONI SPORCHI DI URINA. PER UNA NOTTE INTERA.
4) INTERAZIONE CON GLI OSS, NULLA. IN COMPENSO AL CAMBIO TURNO GRANDI RISATE, BERCI, BESTEMMIE - BESTEMMIE -, COME ALLO STADIO. L'unico medico che passa la prende per il culo per non essere restata in Trentino dove "la sanità funziona".
Dopo una trentina d'ore abbondanti al PS, finalmente la spostano in reparto, accanto a una signora molto anziana precedentemente messa in reparto Covid (VUOTO) grazie a tampone positivo farlocco e salvata da qualche lieve intemperanza dei familiari.
(Tra parentesi: la signora arriva dopo qualche giorno di solitudine praticamente catatonica; bastano due chiacchiere con mia moglie per farle ricordare nomi e date di nascita di figli e nipoti. Capito da cosa derivano 100.000 morti, brutte merde?).
Mi precipito in ospedale con la valigia dei vestiti passando dalla porta posteriore di un altro lotto, perché all'ingresso il 30 dicembre c'è ancora la guardia giurata che controlla il SGP.
In reparto mi imbatto nella caposala, una donnina coi capelli corti e non tinti, sicuramente proprietaria di non meno di 3 gatti, che tutta felice di potermi angariare grazie alla sua posizionuccia di potere mi fa tutto uno spiegone delle intelligentissime regole del posto.
(i) se entro a portare i vestiti non posso entrare al passo; (ii)ad ogni passo può entrare una sola persona; (iii) i minori di 12 anni - colpevoli di aver scampato al vaccino - per dispetto non sono ammessi. IN PRATICA AI MIEI FIGLIOLI È PROIBITO DI VEDERE LA MAMMA RICOVERATA.
Dopo un altro giorno in cui i luminari di corsia stabiliscono prima di operare e poi di non operare più, finalmente le dimissioni. Alle 9. Ritorno a casa: alle 16. Perché?
PERCHÈ GLI OSPEDALI NON HANNO PIÙ AMBULANZE E CHI LE POSSIEDE (MISERICORDIE, CROCE ROSSA, ECC.) LE FA GUIDARE SOLO A VOLONTARI, I QUALI GIUSTAMENTE IL 31 DICEMBRE SI FANNO I CAZZI LORO.
Allora, dopo questa bella esperienza, mi sentirei di fare qualche pacata considerazione.
SE LA SANITÀ DEVE ESSERE COSÌ, ALLORA PIUTTOSTO CHIUDIAMO OGNI COSA, SMETTIAMO DI PAGARE LE ADDIZIONALI E L’IRAP, E OGNUNO SI CURA COME CREDE. PERCHÈ È LETTERALMENTE UNA VERGOGNA.
thread via https://twitter.com/Luca_Fantuzzi/status/1610297267239456770
Solo un esempio del COLLASSO SSN rivelato, non accaduto, post pandemia. #stipendificio
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ma-come-mai · 10 months
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«Se essere stupidi è una disgrazia, essere cafoni è una scelta.»
Sto guidando, un tizio con il macchinone dietro di me si attacca a suonare il clacson e mi dà della deficiente. A un certo punto, convinto che la strada gli appartenga e che rispettare i limiti di velocità siano soltanto i fessi, mi sorpassa. Proprio in quel momento un ragazzino attraversa la strada. Il tizio con il macchinone riesce a sterzare e lo manca per un pelo: una tragedia sfiorata soltanto perché un tizio non voleva aspettare.
Un giorno vedo un uomo sputare di nascosto nel caffè del suo collega. Ha un’espressione di odio sulla faccia che mi dà i brividi. Appena il suo collega si volta, sorride mellifluo, come se nulla fosse successo. Esco a fare la spesa e passo davanti a una villetta. Ci vive una coppia sposata: abiti eleganti, scarpe firmate. Fin dalla strada però si sentono le loro urla: lei gli grida che è un «fallito», lui le da della p… non ho mai sentito tanta violenza. Qualche anno fa nel mio quartiere una guardia giurata ammazza la moglie a colpi di pistola. «Era una persona normalissima», dicevano tutti.
«Ehi prof», mi avete domandato in tanti nel post di ieri, quando vi ho raccontato di come venni rinchiusa ingiustamente in un ospedale psichiatrico, «ma non hai avuto paura? Com’è stato vivere in mezzo ai matti?» Ecco, in quei giorni divenni amica di un vecchietto che soffriva di disturbo bipolare. Ancora oggi siamo amici. «Ma non andare da quello, è pericoloso», mi dicono. Però il mio amico, quello che tutto chiamano il «matto del quartiere» è una delle persone più gentili che abbia mai conosciuto.
E dentro di me penso: «ma chi è ad essere pericoloso allora?» I «matti» o quelli che pensano che basti indossare abiti eleganti per essere rispettabili, che ti sorpassano senza se e senza ma perché «il mio lavoro è troppo importante»; quelli per cui essere civili vuol dire questo: «dentro neri come corvi, fuori bianchi come colombi; in corpo fiele, in bocca miele». Aveva ragione la Merini a dire che la vera pazzia è fuori, in quel vicinato che porta i pasti ai cani, ma non a chi è ammalato in casa. «I matti sono simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo.»
- Guendalina Middei, Professor X (f.b.)
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omarfor-orchestra · 1 year
Note
scrivici una scena su m e m che si menano per simobale pls 🙏🙏
Eccomi qua anon ci ho messo quanto? Un mese? Non so cos'ho scritto onestamente.
Comunque il disclaimer d'obbligo è non insultate Mimmo per piacere che io ad oggi non trovo motivi giustificabili per odiarlo. Se dovete insultarlo fatelo da un'altra parte, grazie 🫶🏻
Si riscopre cattivo Manuel, lui che ha sempre fatto in modo di fermarsi a un passo dalla crudeltà a favore della reputazione di stronzo che si è guadagnato con fatica e una punta d'orgoglio - che nella vita serve, questo lo ha imparato presto.
Da qualche parte - soffocato dal rancore a dal dolore che da qualche settimana non smettono di pulsare sotto la sua pelle a ritmo del battito del suo cuore - il barlume del raziocinio illumina quel petto fattosi caverna e gli mostra sulle pareti il disegno di un dito puntato contro se stesso.
Eppure non riesce ad assumersi tutte le colpe del caso. L'unica cosa che può fare, l'unica cosa che gli dà un briciolo di sollievo al bruciore costante è ritorcere quell'indice verso il ragazzo appoggiato all'uscio della biblioteca.
Sta aspettando che Simone gli porti un caffè dalle macchinette in fondo al corridoio. Guarda verso di lui come se non ci fosse nessun altro attorno, un sorriso timido sul volto ad illuminarne gli occhi attenti, scaltri, di chi è abituato a non fidarsi mai di nessuno.
E Manuel lo sa - lo sa, perché guardare lui è come vedersi allo specchio, come vedere la sua vita passata e futura in un filmino - che sta abbassando la guardia solo ora, perché Simone ce la sta mettendo tutta per abbattere le sue difese e farlo aprire con lui e con gli altri, a renderlo più sereno, più simile ad un ragazzo della sua età e non si arrenderà finché non tirerà fuori ciò che di bello vede in lui.
Lo rende anche più vulnerabile, però.
Manuel sa esattamente dove colpire per farlo scattare.
"È l'ora d'aria pure pe' lui, regà?"
Si affida alla poca intelligenza emotiva dei compagni e al volume alto della sua voce. Non lo guarda in faccia, quasi gli dà le spalle per crogiolarsi nella finta superiorità con cui si maschera e si arma. Con la coda dell'occhio lo vede sciogliere la posa rilassata e contrarre la mascella, ma non basta. Gli serve una spinta in più.
"Magari se lo chiudono nella biblioteca se sente più a suo agio".
"Mi stai sfottendo?"
Se la sente addosso, la crudeltà. Penetra nel sangue e si mischia con l'adrenalina che sfreccia nelle sue vene, gli fanno vibrare i muscoli d'aspettativa per uno scontro che è sempre più vicino.
All'arsenale aggiunge il sorriso più beffardo che possiede e una voce così derisoria da risultare fastidiosa alle sue stesse orecchie.
"Che hai detto? N'ho capito".
Pare pronto per un attimo, i pugni chiusi e le gambe appena flesse per darsi lo slancio. Poi guarda verso il fondo del corridoio, dove Simone ancora litiga con la macchinetta e con i soldi nel portamonete.
Scarica la tensione con un sospiro, prima di dare le spalle a Manuel e tornare a poggiarsi allo stipite della porta.
"Stu piezz 'e mmerd".
Manuel non ci sta.
Serra i denti e si ascolta quasi ringhiare tanto è montata la rabbia dentro di sé e cerca nel suo stesso cervello i punti più delicati da colpire, i più dolorosi da toccare.
Tanto lui e Mimmo sono la stessa persona. È per questo che Simone se l'è scelto, no?
"Manco l'italiano sa parla'. Che c'è, mammá non te l'ha imparato?"
Come affondano le sue parole nella testa di Mimmo, così le nocche affilate del ragazzo sprofondano nello stomaco di Manuel e i frammenti della vetrinetta contro cui si ritrova sbattuto senza troppe cerimonie si conficcano nella sua schiena. Resta senza fiato per un istante, sinceramente preso alla sprovvista dalla forza che non si aspettava avessero quelle braccia esili.
Ma Mimmo è cresciuto in strada, come lui. Manuel conosce bene le regole di questo gioco.
Sorride, prima di accovacciarsi e colpirlo sulle gambe facendolo cadere a terra. Parlano la stessa lingua ora, senza barriere e stupidi principi, in cui le parole sono scandite dai versi che escono doloranti da chi viene colpito, arrabbiati da chi colpisce, e che con le botte compongono frasi comprensibili soltanto da loro due.
Me l'hai portato via.
Gli hai fatto del male.
Ti sei preso tutto ciò che era mio.
Hai avuto una vita migliore di me, voglio anch'io una possibilità.
Dante è stato tuo padre prima che diventasse il mio.
Ho bisogno di lui più di te.
Non ti meriti Simone.
Non ti meriti Simone.
È Manuel che sta avendo la peggio. Cerca di non fermare mai i calci e i pugni dati alla cieca, senza la precisione utile a non fargli male davvero come faceva con Simone, ma Mimmo è terribilmente lucido nella furia che gli attraversa lo sguardo e colpisce come non avesse fatto altro per tutta la vita.
Dura un paio di minuti, forse una giornata intera, Manuel non sa dirlo con certezza. Però è sicuro, purtroppo, che il sangue che macchia i vestiti di entrambi sia interamente suo.
"Ma che cazzo state a fa'. Oh!"
Il rumore del setto nasale spaccato da un pugno non è stato orribile quanto quello del suo cuore che si sgretola quando vede Simone correre a controllare che Mimmo stia bene, prima di voltarsi verso di lui.
È colpa sua, è colpa delle sue paure, della sua cazzo di lingua tagliente, delle sue scenate inutili e dell'innata abilità nel ferire le persone che ama se a Simone non frega più un cazzo di lui, se si è stancato di perdonarlo, se non l'ha aspettato come un cane ubbidiente attende il suo padrone, se si è accorto che poteva avere di meglio e il meglio l'ha trovato e ce l'ha accanto ora.
È colpa sua se l'ha perso, ma fa troppo male ammetterlo.
"Ma non lo vedi che m'ha fatto? Non lo vedi che razza d'animale c'hai affianco? Come cazzo fai a stare co 'n mostro del genere, Simó?!"
Gli mostra le mani piene di sangue, si stringe lo stomaco con un braccio accartocciato sul pavimento della biblioteca.
Simone allunga le braccia verso di lui per un istante. Negli occhi ha la stessa preoccupazione che gli ha sempre rivolto, avvolta in un manto d'amore così caldo che Manuel se n'era sentito soffocato.
Però ora sente freddo. E Simone sposta gli occhi sul ragazzo accanto a lui.
Mimmo esce dalla biblioteca ancora saturo d'ira ed eccitazione, seguito poco dopo da Simone - è titubante, dondola sul posto, non sa bene che fare. Manuel si chiede se le sue parole intrise di veleno abbiano fatto centro, in qualche modo. Se si farà qualche domanda, se si fiderà meno di chi gli dorme abbracciato tutte le notti.
Manuel si sente lo stesso mostro che ha accusato l'altro di essere. D'altronde, colpire Mimmo è stato come colpire uno specchio.
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curiositasmundi · 10 months
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E' il 4 maggio del '99, i primi raggi del sole illuminano l'ossidiana lucida di La Palma: quattro curiosi individui (giovanissimi, a parte Fabio, più che trentenne, figlio dell'unione di Giorgio con la prima compagna Lucia Morellato), dopo aver riempito Passat e Taunus di polistirolo, viveri, strumentazione, e averle dotate di una zattera di salvataggio sul tetto, varano queste altrettanto curiose imbarcazioni.
E' l'alba, momento scelto dagli autonauti per evitare la Guardia Civìl. Le auto proseguono sospinte da due fuoribordo finché non finisce la benzina. I ragazzi non ci pensano due volte: staccano i motori e li guardano sparire negli abissi dell'oceano.
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Tutto bene fino al 25 maggio, quando saltano i contatti con la terraferma. Il telefono satellitare Imarsat si spegne, forse per il contatto con l'acqua ("imbarchiamo acqua dal sedile davanti!" scrive Amoretti sul diario di bordo), o  per la mancanza di sole, che alimenta le batterie fotovoltaiche (solo energia pulita a "bordo").
I due paiono scomparsi nel nulla. Marco Amoretti, 23 anni, e Marco De Candia, 21, potrebbero aver fatto una brutta fine. "Silenzio dall'Atlantico", titola il Secolo XIX, e tutta Sarzana (dove si sono stabiliti gli Amoretti) si ritrova in subbuglio. In realtà i ragazzi se la passano alla grande, sono in perfetta sintonia.
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LE MACCHINE SI RIVELANO MEZZI RELATIVAMENTE SICURI
Nettuno è magnanimo e le depressioni oceaniche (tra cui l'uragano Emily) risparmiano i ragazzi. Urge un altro parallelo con Alain Bombard, che dopo 53 giorni di navigazione incrociò la nave inglese Arakaka: Amoretti e De Candia incontrano per puro caso la petroliera Chevron Atlantic, il cui comandante si dimostra generoso e lancia in mare numerose provviste recuperate da Marco a nuoto. Sono al 108° giorno di oceano e l'avvistamento della nave lascia intendere che la terra è vicina.
Nel frattempo, Fabio, Mauro e Serenella sono giunti nelle Antille per organizzare l'arrivo delle auto. Sorvolano il tratto di mare antistante la Martinica portando con loro i giornalisti increduli: i due folli danteschi ce la stanno facendo, sono ad un passo dal traguardo.
In un contatto radio, Serenella decide di rivelare a Marco la morte del padre, per evitare al ragazzo una terribile delusione a terra. Arrivati a Port Tartane il 31 agosto, dopo 119 giorni in mare, gli autonauti vengono accolti come eroi dai media italiani ed esteri.
POI, IL BUIO.
Troppe cose non piacevano. Troppe cose scomode da ammettere: era possibile attraversare l'Oceano quasi per gioco, con delle macchine sgangherate. Erano riusciti a farlo due ragazzi totalmente estranei al mondo della vela solitaria, privi di conoscenze nautiche, mezzi tecnici e sponsor, peraltro poco dopo la vittoria di Giovanni Soldini alla Around Alone.
La stampa locale ligure fu l'unica a giocare su questo contrasto tra modi antitetici di vivere il mare, perché sia Soldini che gli Amoretti erano legati a Sarzana. Oggi, a più di una decina di anni di distanza, le immagini dell'insolito viaggio continuano ad emozionare. Se dopo due lustri possiamo già essere considerati posteri, allora sì, fu vera gloria.
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3nding · 1 year
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Sta uscendo così tanta roba così in fretta in termini di innovazione attraverso l'intelligenza artificiale che personalmente ho una sensazione di stupore/paura/euforia/vertigine/nausea tutta assieme, qualcosa di paragonabile al venir improvvisamente teletrasportati su un'astronave per domandarsi "È tutto vero? Sta succedendo veramente?“ ed sentire che il cervello fa resistenza in una sorta di relazione di autodifesa. Solo per citare alcune cose viste/lette nell'ultima settimana:
AI che promettono di leggere nel pensiero convertendo il pensiero in testo/suono/immagini
AI utilizzate per creare contenuti per adulti da monetizzare
AI che compongono melodie in base al testo
AI che scrivono linee di codice complesse attraverso imput formati sa semplici frasi
AI che traducono video creando una copia del video aggiungendo audio tradotto e movimento delle labbra modificato del video originale
AI che producono testi/immagini/video/musica assemblando tutto assieme in maniera fluida
AI che creano modelli 3D partendo da una semplice descrizione
AI che spiegano concetti estremamente complessi con esempi e lessico molto più semplici. E in tutto questo appaiono ogni tanto delle voci critiche che vogliono metterci in guardia dal potenziale pericolo di questa svolta (non ultimo uno dei maggiori esperti di ai di Google che si è licenziato).
Oltretutto quando si parla di rischi in molti pensano a tutte quelle professioni che sono o saranno colpite da questa improvvisa evoluzione tecnologica, ma ciò che personalmente mi da i brividi è altro.
Attualmente almeno sulla carta c'è una moratoria internazionale sul produrre armi completamente autonome, viene richiesto ai produttori di includere comunque un fattore umano che decida sull'operatività dell'arma. Questo in teoria per impedire che vengano create armi così letali da essere in grado di operare con un vantaggio impossibile da contrastare da parte dell'essere umano. Per questo motivo non esistono fucili che puntano e sparano in automatico come quelli utilizzati da chi bara negli sparatutto (aimbot e similari). Tuttavia più la IA diventa di dominio pubblico più corriamo il rischio che a qualcuno venga voglia di creare armi in grado di prevedere ed eludere i movimenti (per un momento mi sono chiesto se scrivere i pensieri) di un possibile nemico umano sotto forma di droni o robot.
E niente, il passo immediatamente successivo sarebbe Skynet.
Spero noi non si debba mai arrivare a vedere il momento in cui realizziamo di esser stati superati da qualcosa che abbiamo creato e ci è sfuggito di mano rendendoci vulnerabili e obsoleti.
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1pensri9 · 2 years
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Mi reputo totalmente incapace di esprimere i miei sentimenti, e ciò spesso ha portato via le persone da me, proprio perché metto sempre in conto che prima o poi venga delusa, ed è forse per questa ragione che mantengo un certo distacco, ciò non significa io neghi gli affetti, ma se mi feriscono non mi stupisco mai, e ametto che spesso questo mio provare "niente" per non rischiare niente sia un vero e proprio spreco.
Sò di non esser mai stata giusta nei confronti dei miei sentimenti, ma perché rischiare quando sono sempre le persone a cui tieni di piu a fare i danni peggiori? , e nonostante sò di non essere brava in queste cose, con le parole, i gesti e molto altro ancora, sò per certo che
"Avere un posto nella vita di qualcuno dove sei imbattibile" ecco cosa ho provato quando mi sei stato a fianco, sei stato la prima, primissima persona a cui ho davvero fatto vedere ogni centimetro del mio cuore, e forse sarai anche l'ultima. Con te ho provato l'abbraccio più stretto che abbia mai ricevuto, e sai in quell'abbraccio mi ci sono persa dentro, ho avuto paura quando ti ho "conosciuto" perché sapevo che saresti stata una di quelle persone che avrei sempre, sempre avuto paura di perdere.
Con te sono stata pronta a rischiare, a reinventarmi, a mettere in gioco tutte le mie sicurezze, e ho avuto paura quando ho iniziato a notare che eri in tutto ciò che facevo, ho avuto paura di perderti tra la folla, di non esserti all'altezza, di non riuscire a starti al passo, nonostante prima di incontrarti sono stata la persona piu sicura che conosca, ma tu le mie paure le vali tutte, con te ho porvato l'ebrezza di poter essere debole senza dover alzare la guardia, per te ci sono forse nel modo piu bello di tutti, senza che tu me lo abbia mai chiesto, io che prima di te non sapevo di avere tutto questo amore da dare, tu che ti sei sempre messo in un angolo con l'atteggiamento di chi vuole restare, spesso hai lasciato perdere la mia corazza, e le mie spalle aperte, che sappiamo non sono poi così "forti"
Da quando ho respirato te quest'aria non sà piu di niente, e tra le mille sensazioni che ho provato con te, quella peggiore fù sederti a fianco e sentire la tua mancanza, si spesso sbaglio, sbagli, o sbagliamo, ed è pur vero che tutti se ne vanno pero cazzo io per te rimango, in determinate situazioni sono stata così debole, da promettere a me stessa che non mi sarei piu persa nelle braccia di qualcun'altro, e a chiunque provi ad avvicinarmisi, faccio pagare la colpa di non essere te, nel tempo ho chiesto un "anestetico" un letargo, un posto con la certezza di essere ben nascosta. Perché forse meglio di te nessuno puo capire quanto è brutto odiare ciò che ti ha fatto tanto stare bene, e c'è voluto tipo mezzo secolo per mettere insieme tutto questo, ma voglio che tu sappia che nella mia vita avrai sempre quel posto dove tu sei tu e basta.
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gaytamorfosi · 10 months
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Il divano su cui è cambiato tutto
🇮🇹 ("The sofa on which everything changed" Italian Version)
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Il divano nuovo era rigido, la stoffa era tesa come una corda di violino, era come sedersi su una panca di legno. A Riccardo non sembrava di essere una persona seduta su un divano, pensava di essere più simile a un giocattolo appoggiato lì, dove qualche bambino sbadato l'aveva appoggiato e dimenticato.
Una tazza di tè, i piedi sul tavolino, un po' di musica...
Riccardo ascoltava la radio avvolto nella sua felpa in pile bianchissima, morbida e profumata. Aveva provato a mettersi comodo su quel divano nuovo, stava provando a sentirsi a casa nell'appartamento in affitto partendo dalle cose più semplici a cui riusciva a pensare. Il modo in cui era arrivato su quel divano però era tutt'altro che semplice, da qualche settimana la vita di Riccardo era stata completamente rivoluzionata.
Il padre di Riccardo, un uomo burbero e molto religioso, aveva insistito perché il figlio iniziasse a lavorare nel piccolo ferramenta di famiglia a Saronno. Riccardo invece voleva andare all'università, non sapeva nemmeno cosa volesse studiare ma era certo di non voler passare la sua esistenza tra brugole, sifoni e catenacci. "So io cos'è meglio per te " ripeteva il padre con tono secco e autoritario; Riccardo le aveva provate tutte per convincerlo, ma con la gran testa dura che aveva, l'uomo restava inamovibile sulla sua decisione.
Una sera Riccardo decise di giocare l'ultima carta che aveva a disposizione e dopo aver fatto accomodare i genitori sul divano prese coraggio e annunciò: "Papà, Mamma, mi piacciono i ragazzi". Il padre rispose con una risata, seguita solo dal silenzio. Resosi conto che non si trattava di uno scherzo, un velo di incredulità passò davanti ai suoi occhi, per poi esplodere in una rabbia feroce. L'avrebbe strozzato, quel figlio ingrato, come si era permesso? Le mani dell'uomo sarebbero state già strette attorno al gracile collo del giovane, se non fosse intervenuta la madre, che di rado faceva valere le sue opinioni. Mezz'ora dopo Riccardo era fuori dalla porta di casa e camminava curvo sotto il peso di un grosso zaino, trascinando due valige più grandi di lui. Dentro c'era tutta la sua vita, buttata alla rinfusa. Paradossalmente Riccardo non si era mai sentito tanto leggero e seppur ferito nell'animo, sorrideva al pensiero che il giorno successivo sarebbe andato a vedere l'università statale di Milano. Riccardo passò la notte in bianco alla stazione di Saronno; prese il primo treno per Milano alle 5:44 e poi puntò dritto all'università.
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Giunto davanti al grosso edificio, dovette aspettare un’ora e mezza, perché il grosso portone veniva aperto alle 7:30. Nel piazzale quasi deserto i suoi occhi si posarono su un volantino arcobaleno appeso al muro: indicava gli appuntamenti del collettivo LGBTQ+ dell'università. Riccardo ci fece una foto con il cellulare pensando che forse tra i membri di quel gruppo qualcuno avrebbe potuto ospitarlo qualche giorno. Quando la guardia aprì le porte, Riccardo tentò di raggiungere il cortile interno, ma venne subito fermato: "dove va con tutte queste valige?" Chiese la guardia, “Servono per una lezione, sono qui preso perché devo montare tutto l'equipaggiamento. Mi han detto che siamo all'ultimo piano" mentì Riccardo. La guardia indicò con aria perplessa la strada per raggiungere un ascensore che portasse all'ultimo piano, e Riccardo ringraziò e si avviò con passo deciso, prima che la guardia potesse chiedere altro. Giunto nel bagno dell'ultimo piano, il povero ragazzo sfinito chiuse a chiave la porta si addormentò. 
mezzogiorno era passato da un pezzo quando Riccardo si svegliò e si diresse alla riunione del collettivo LGBTQ+. Ovunque andasse tutte quelle valige lo facevano sentire come un marziano appena sceso sul pianeta terra. Riccardo individuò l'aula della riunione senza problemi, era quella più chiassosa di tutte. L’allegro vociare dei presenti non si fermò quando il ragazzo entrò nell'aula, ma qualche occhiata malcelata volò rapidamente dal viso del ragazzo, al suo corpo, ai pesanti bagagli.
Come di consueto, prima di iniziare la riunione ogni ragazzo a turno si alzò in piedi ripetendo a voce alta il nome, la facoltà, da quanti anni studiava e da quanti frequentava il collettivo. Quando fu il suo turno, Riccardo si alzò e disse "Sono Riccardo, ho 19 anni, non sono uno studente e mi hanno appena cacciato da casa". Poiché i presenti lo fissavano con sgomento e non accennavano a prosegue con le presentazioni, Riccardo continuò il suo racconto ricapitolando ciò che gli era successo nelle ultime ore.
Quella sera Riccardo dormì sul divano di un gruppo di coinquilini membri del collettivo, il giorno successiva i ragazzi del collettivo avevano diffuso la storia di Riccardo a mezza comunità LGBTQ+ milanese. Per tre settimane Riccardo rimbalzò da un divano all'altro, rapidamente trovò un lavoro come maschera al Carcano, il celebre teatro Milanese; infine si trasferì più o meno definitivamente affittando una stanza in un appartamento in periferia. Ora divideva la casa con Simone, un trentenne dal fisico massiccio, senza capelli, poco virile nei modi, che lavorava come assistente e ricercatore in università. I due andavano d'accordo, ma i loro orari erano talmente diversi che si incrociavano di rado nell'appartamento.
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Quel giorno Simone doveva tenere una lezione in università, quindi Riccardo era solo in casa. Riccardo sedeva su quel divano rigido con la tazza in mano e mentre la bustina di tè colorava l'acqua, le dita del giovane rigiravano lo strano pacchetto di carta colorata dove la busta era conservata poco prima. "Ma Silvia dove le recupera ste cose?" pensò. Silvia era un'amica di Simone, una di quelle ragazze che si credono un po' streghe e collezionano cristalli e oggetti presunti magici; dove passava Silvia lasciava una scia di ninnoli e fesserie che lei credeva prodigiosi e Simone la lasciava fare, per farla contenta. La bustina aveva dei caratteri illeggibili sopra, ma per Riccardo era come se ci fosse scritto "Questo l'ha portato Silvia".
Il fumo si alzava silenziosamente dalla tazza di acqua calda, ed un aroma dolce si diffuse per la stanza. "...Vaniglia? ...Caramello? …Nocciola?" Si chiese Riccardo mentre inalava la fragranza intensa sprigionata dalla tazza. Era un profumo tanto corposo che sembrava penetrare nella pelle e scaldare il corpo come un bagno caldo. Ecco, forse per la prima volta dopo settimane Riccardo stava riuscendo a rilassarsi. "Se solo questo pile non prudesse tanto" pensò, ed iniziò a spogliarsi. Era un capo davvero strano, fino a qualche momento prima sembrava morbido e confortevole, ora invece pizzicava in modo insopportabile. 
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Stando a torso nudo sul divano Riccardo avvicinò la tazza alle labbra, soffiò, e poi ne bevve un piccolo sorso: era il the più buono che avesse mai bevuto, dolce ma non stucchevole, sembrava quasi il sapore di... Un bacio. Anche questo era un pensiero strano, Riccardo non aveva mai baciato le labbra di un uomo, eppure quello era il sapore a cui lo associava. Riccardo pazientò per far raffreddare un poco la bevanda, poi mandò giù alcuni sorsi. Il calore della bevanda si diffuse in ogni angolo del suo corpo, donando una profonda sensazione di benessere. Era una vita che Riccardo non si sentiva così bene, si sentiva vivo, aveva voglia di prendere e andare a fare una corsa fuori, di uscire e guardare il cielo, di iniziare un nuovo capitolo della sua vita…
"Devo chiedere a Silvia dove ha preso questa roba" pensò grattandosi la barba. 
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L'ennesimo avvenimento insolito: Riccardo non aveva mai avuto la barba, eppure ora c'era, fitta e nera, quasi come quella del suo coinquilino. Riccardo, in preda alla sensazione quasi orgasmica donata del tè colorato, non diede peso alla barba, né ai peli che iniziavano a crescere sul resto del suo corpo. La barba dava a Riccardo un'aria distinta, dimostrava qualche anno in più ma gli stava proprio bene. Con quei peli poi sembrava più muscoloso, ma era un’illusione o erano muscoli veri? Com'era possibile una cosa del genere? Ecco spiegato il desiderio di muoversi e correre, la sua nuova muscolatura era calda e pronta, come una moto da gara appena uscita dal concessionario. Ma correre per cosa? Correre da chi? Riccardo decise di rivestirsi e uscire, ma prima terminò il contenuto della sua tazza a grandi sorsi. 
Il desiderio di uscire svanì immediatamente e Riccardo rimase seduto esattamente come prima, Imbambolato e incredulo. Un senso di improvvisa rilassatezza permeava il suo corpo, che progressivamente iniziò a sprofondare nel divano. I cuscini si piegarono e deformarono, sotto il peso improvviso della massa di Riccardo, che cominciò ad aumentare in modo impressionante. Il corpicino pelle e ossa che Riccardo aveva fino a pochi minuti prima non era che un lontano ricordo, ricoperto com'era di muscoli, carne e pelo. 
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La trasformazione che stava avvenendo avrebbe lasciato sbigottito chiunque, un omino di nemmeno vent'anni ora ne dimostrava tranquillamente più di trenta, ed aveva moltiplicato le sue dimensioni come mai avrebbe potuto fare in vita sua, nemmeno se avesse iniziato vivere di abbuffate e sollevamento pesi. Riccardo era satollo, rilassato e felice, un po' come ci si sente dopo un pranzo di Natale.
Quando quella sensazione si dissipò, raggiunse uno specchio e si osservò compiaciuto: Era proprio un bell’uomo. Nonostante l'assurdità della situazione, Riccardo restava calmo, come se tutto ciò fosse perfettamente sotto controllo, come se fosse stato lui a voler essere un'altra persona. Più si guardava nello specchio e più realizzava che la sua corporatura sembrava la copia identica di quella di Simone. Chissà cos'avrebbero detto i vicini? Con quei due gorilla nell'appartamento di fianco (uno dei quali probabilmente s'era mangiato quel ragazzo magrolino che non si vede più). A proposito di Simone, come avrebbe potuto spiegargli che quella bustina l'aveva trasformato in un bestione del genere? Alla parola "bestione" a Riccardo passò per la testa l'idea di controllare una parte del corpo importantissima, a cui non aveva ancora pensato. Ancora prima di mette la mano, non poté fare a meno di percepire un certo movimento nelle sue mutande, ma un rumore improvviso interruppe il delicato momento: erano le chiavi di Simone nella toppa della porta. Il cuore di Riccardo iniziò a battere tanto forte che sembrava essere cresciuto anch’esso. Per la prima volta un senso di preoccupazione permeò quel corpo nuovo e massiccio, che si diresse goffamente davanti alla porta d'ingresso.
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La porta si spalancò rivelando una figura minuta ricoperta da una maglietta blu decisamente troppo grande. Un grazioso e accigliato ragazzetto biondo fissava Riccardo. "Simone?" Chiese Riccardo sbigottito.
Simone aveva bevuto lo stesso tè quella mattina, ma a lui era sembrato un tè normalissimo ed era andato a tenere la sua lezione. Durante il viaggio di ritorno in tram, aveva avvertito un capogiro improvviso e deciso di scendere, temendo che viaggiare sui mezzi peggiorasse la situazione. Mentre camminava verso casa aveva iniziato a rimpicciolire e ringiovanire, e mentre il suo corpo prendeva la forma di quello di Riccardo, sulla testa crescevano morbidi capelli biondi, la sua barba invece svaniva senza lasciare la minima traccia. Simone non poteva credere a ciò che stava succedendo, come poteva fermare questa cosa? Più il suo corpo si trasformava e più si accendeva in lui il desiderio di correre a casa, cosa che risultava abbastanza difficile con scarpe e vestiti decisamente troppo grandi, tanto da doverli necessariamente tenere su saldamente con le mani per non perderlo per strada. Il poveretto correva reggendo con due mani quei pantaloni enormi, sembrava quasi che stesse partecipando ad una corsa coi sacchi. Poiché i pantaloni cadevano da tutte le parti e non nascondevano nulla, erano ormai solo un intralcio e Simone decise di abbandonarli per strada. Correre in mutande gli permise di andare più veloce, dopotutto mancava solo l’ultimo pezzetto di strada.  
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Raggiunse la porta di casa ripetendo nella sua testa il discorso che voleva fare a Riccardo per spiegare cosa gli era successo, ma lo shock più grande doveva ancora arrivare.
Aprendo la porta Simone rimase esterrefatto, ma capì subito che quell'omone grande grosso a torso nudo con una visibile erezione nei pantaloni altri non era che Riccardo.
Non fu necessario dire una parola in più, i due sapevano esattamente cos'era successo all'altro, anche se non avevano idea del perché fosse successa una cosa simile. Poi sentirono più forte che mai quell'impulso a scattare, a correre, a raggiungere... L'altro. Era per quello che Riccardo voleva correre fuori, lo stesso motivo che spingeva Simone a correre a casa: Una forza magnetica li attirava l'uno all'altro. Simone deglutì, i suoi occhi si spostavano dal Viso di Riccardo al suo pacco gonfio, mentre i suoi piccoli piedi si muovevano portandolo verso l'omone. Mentre Simone camminava lasciò cadere anche le mutande, ormai fuori misura. Riccardo liberò Simone anche dalla la maglietta (che arrivava quasi alle ginocchia) e vide che anche Simone era molto eccitato. Mentre Simone tentava di ricambiare il favore e sbottonava la cintura del coinquilino, Riccardo non poté fare a meno di guardare il corpicino che aveva davanti, con la sua piccola erezione pulsante: "sei la cosa più carina che abbia mai visto" disse.
Simone arrossì e una volta sfilata la cintura dai pantaloni di Riccardo lo spinse verso la camera da letto e chiuse la porta d'ingresso.
Riccardo sollevò Simone e lo mise sul letto, pensò che fosse davvero carino ridotto così, poi senza esitare si tolse i pantaloni e le mutande.
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Simone non fece nemmeno in tempo a realizzare che il membro di Riccardo era persino più grande di quello che aveva lui prima di trasformarsi. Riccardo raggiunse il coinquilino trascinando le ginocchia sulle lenzuola e si abbassò per dargli un bacio: era un bacio dal sapore dolce, forse perché le labbra di Riccardo sapevano ancora di The. Simone non aveva mai ricevuto un bacio del genere, avrebbe voluto che il tempo si fermasse lì. La pelle calda di Riccardo a contatto con quella di Simone era la sensazione più bella che avessero mai provato.
Riccardo si spostò, fece sdraiare Simone a pancia in su e gli aprì gambe, per infilare la faccia barbuta sotto sue le palle: era un punto talmente sensibile che Simone ebbe paura di venir subito, solo per essere toccato lì dalle labbra di Riccardo, che invece iniziò a leccare il piccolo buco del ragazzo. Simone fremeva di piacere (da quando era così sensibile?) mentre si aggrappava alle lenzuola nella sua testa si faceva spazio il desiderio di afferrare con entrambe le mani la virilità gigantesca di quell'omone.
Quando Riccardo sollevò la testa, Simone si spostò e lasciò il posto a Riccardo, notando che nella fretta aveva dimenticato di togliere i calzini. Mentre l'omone stendeva la sua larga schiena sul letto, Simone gli sfilò a fatica i calzini grigi, ormai deformati perché coprivano dei piedi che avevano appena moltiplicato la loro misura. C'era un che di eccitante in questa azione, Simone pensò che era strano, non aveva mai avuto gusti simili, in genere i piedi lo lasciavano indifferente, ora invece non poteva lasciare cadere la gamba pesante di Riccardo. Avvicinò invece il piede alle labbra e baciò la pianta del grosso piede, per poi farlo scorrere sulla pelle del torso, sino al pube. Riccardo sorridendo divertito solleticava con le dita dei piedi l'erezione di Simone che ora più che mai sembrava sul punto di esplodere. Eccitatissimo, Simone abbassò la faccia sul pube villoso di Riccardo e lo baciò ripetutamente. Anche l'erezione di Riccardo pulsava, Simone l'afferrò con una mano, mentre l'altra reggeva con delicatezza le due grosse palle. Riccardo improvvisamente si sentì totalmente succube di quell'audace biondino, ora che il suo poderoso nuovo attrezzo era interamente nelle sue mani. Simone avvicinò la faccia al prezioso bottino e lo prese in bocca, mettendo in pratica tutta l'esperienza che aveva in questo genere di cose. Riccardo di fronte a quella sensazione del tutto nuova, fu più volte sul punto di venire, ma prima di farlo c'era almeno un'altra cosa che voleva provare.
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Simone si spostò e si mise a cavalcioni di Riccardo, come se fosse la risposta di un messaggio telepatico. Dopo aver lubrificato la zona a dovere ed avere messo il preservativo più grande che c’era nel cassetto di Simone, Riccardo infilò con delicatezza il suo membro nella sottile apertura di Simone, che in genere era versatile, ma ormai erano anni che non trovava un partner attivo che avesse rapporti con lui. Fu uno dei rapporti più intensi della sua vita, e pensò che qualsiasi cosa fosse successa era stata necessaria per portare li loro due, in quel momento, con quella forma, in quel letto. Vennero a pochi secondi di distanza l'uno dall'altro, poi si spostarono in bagno per pulirsi.
Con la mente un po' più lucida Riccardo chiese: "...e ora che si fa con questa faccenda?". Simone, seduto sul bidet, dava le spalle al coinquilino e senza alzare gli occhi rispose: "che vuoi che si faccia? Ora chiamo Silvia e le chiedo se questa cosa è temporanea o permanente, se serve staremo qualche tempo a casa aspettando che passi".
Il viso di Riccardo si rabbuiò, senza sapere perché non voleva che le cose tonassero come prima. "Se fosse solo una cosa provvisoria ti va di berci un'altra tazza di quel tè ogni tanto?" Chiese Riccardo con una timidezza che addosso ad un omone del genere faceva ancora più tenerezza. "Rifarlo? E se fosse permanente?" Replicò Simone con tono stupito e preoccupato. Riccardo si accovacciò dietro a Simone e gli diede un bacio sulla spalla, poi disse: "Se fosse permanente, ti andrebbe di uscire con me?"
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𝘓𝘦 𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘪 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘷𝘦𝘯𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭 𝘸𝘦𝘣 𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘢𝘵𝘦 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦 𝘢𝘭𝘭'𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦. 𝘚𝘦 𝘴𝘦𝘪 𝘪𝘯𝘧𝘢𝘴𝘵𝘪𝘥𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘵𝘪𝘦𝘯𝘪 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘦𝘵à, 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘵𝘢𝘮𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘳𝘪𝘮𝘶𝘰𝘷𝘦𝘳𝘭𝘰. 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦.
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𝘛𝘩𝘦 𝘪𝘮𝘢𝘨𝘦𝘴 𝘪𝘯 𝘵𝘩𝘪𝘴 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘵𝘩𝘦 𝘸𝘦𝘣 𝘢𝘯𝘥 𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘢𝘯𝘬𝘴 𝘵𝘰 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘤𝘦. 𝘐𝘧 𝘺𝘰𝘶 𝘢𝘳𝘦 𝘣𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘣𝘺 𝘵𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘤𝘦 𝘰𝘧 𝘢𝘯𝘺 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘵 𝘵𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘣𝘦𝘭𝘪𝘦𝘷𝘦 𝘵𝘰 𝘣𝘦 𝘺𝘰𝘶𝘳 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘺, 𝘱𝘭𝘦𝘢𝘴𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘤𝘵 𝘮𝘦 𝘵𝘰 𝘳𝘦𝘮𝘰𝘷𝘦 𝘪𝘵. 𝘛𝘩𝘢𝘯𝘬 𝘺𝘰𝘶.
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lunamagicablu · 1 year
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FERMATI ANIMA ANTICA, ADESSO AFFIDATI AL TUO SÈ Non fare alcun passo. Non fare nulla Anima antica, non in questo momento, non in questo tempo. Un’eclissi interiore si è mossa facendoti perdere il contatto con la luce. Quella luce che sempre brilla dentro di te è ora oscurata. Tutto sembra tornato indietro vero? Quei nodi che così faticosamente avevi visto, perdonato e lasciato andare, sembrano di nuovi fitti.
<<Non riuscirò mai allora ad avanzare>>. Tristemente ripeti dentro di te.
L’ennesima delusione? No, non lo è. Questo è il preludio del tuo salto, è il buio prima dell’alba, è il cambio della guardia, della tua guardia interiore. Perché non più la mente ma l’anima, sarà da ora in poi la guardiana del tuo tempio. Ma non oggi, non ora, non ancora. Sei stanca di stare in questo punto lo so, non ce la fai più, e l’idea di dover sopportare ed affrontare una nuova battaglia ti schiaccia. No, davvero non ce la faresti più. Ma non sarà necessario, non è quello che sta avvenendo ora, non c’è altra ombra contro cui confrontarti, non c’è altro passato da cui risollevarti. È solo un passaggio, solo un momento. Come la coda di una tempesta ora pronta ad andare, le tue ferite, le cicatrici, ti stanno attraversando per l’ultima volta. Se riesci ad essere pronta. Se stai ferma nella fiducia del percorso che hai fatto fino ad ora. Se riesci a non farti di nuovo agganciare dalla paura, dalla premura di uscire di qui, non ancora. Sei in bilico, sei nel passaggio al nuovo, sei sulla punta della piramide ora pronta a capovolgersi con te sopra. Il tuo sole interiore e la tua mente si sono toccati, si sono sovrapposti. Il passato e il futuro, la luce e l’ombra, il tempo e il nulla, tutto è ora simultaneo dentro di te, e rester�� così ancora per poco, ma dipende da te.
Fermati. Non fare nulla.
Non puoi sapere in questo momento da quale parte di te stai decidendo, da quale parte stai avanzando. La vita, le persone, il tuo lavoro, poco o nulla sembra corrisponderti più, sono abiti che hanno perso la tua misura, che ormai espansa si sente stretta e soffocare in ogni cosa che era, in ogni cosa del passato che non sa più niente di te, come, oggi, non lo sai nemmeno tu.
Non prendere decisioni. Non fare alcun passo. Non distruggere nulla.
Non prima di essere sicura chi lo vuole, se la tua Anima che vuole traghettarti verso il nuovo, o la tua ferita non ancora passata, che è pronta a farti muovere in avanti per poi puntare il dito. Per dirti che hai sbagliato. Per terrorizzarti dicendoti che nulla di nuovo arriverà, che hai perso tutto, che hai rovinato tutto, una volta ancora. E così ti riporterà indietro, nel passato, nell'illusione, caduta, sfinita, togliendoti forse per sempre la voglia di provarci ancora. Non devi fare nulla, non serve più, non devi più decidere tu. Affida questo momento, questa situazione e qualunque decisione, all'amore cosmico dentro di te, affinché muova gli eventi per renderti chiaro senza ombra di dubbio, verso cosa andare. Prendi la mira alla tua anima. Cerca dei pensieri nuovi, pensieri di gioia, di piacere, di amore, che ti sintonizzino con la vita maestosa ormai pronta a schiudersi per te. E solo da quel punto, solo da quel pensiero che fa vibrare il tuo cuore, saprai che ogni passo, che ogni scelta, sarà accordata con l’amore. È finito il tempo della fatica, è finito il tempo del sacrificio. Affidati a quell'amore cosmico che è fuori e dentro di te, lascia che sia lui a sollevarti, ad alleggerirti dal tuo fardello, a liberarti dal tuo nero mantello. Quindi fermati. Non fare nulla. Niente più dipende da te. La dualità se lo vuoi è finita, questo è il tempo della fiducia che è una ed un'unica strada, che ti guida alla tua nuova vita. Allora fermati Anima antica, adesso affidati al tuo Sé. di Georgia Briata art by MelekatosheeOleak- ******************
STOP ANCIENT SOUL, NOW TRUST YOURSELF Don't take any steps. Do nothing Ancient soul, not at this moment, not at this time. An inner eclipse has moved causing you to lose contact with the light. That light that always shines within you is now dimmed. Everything seems to have come back right? Those knots that you had seen so painfully, forgiven and let go, seem like new rents.
\u0026lt;\u0026lt;I will never be able to advance then>>. Sadly repeat within yourself.
Yet another disappointment? No it is not. This is the prelude to your jump, it's the dark before dawn, it's the changing of the guard, of your inner guard. Because no longer the mind but the soul will from now on be the guardian of your temple. But not today, not now, not yet. You're tired of being at this point I know, you can't take it anymore, and the idea of having to endure and face a new battle crushes you. No, you really couldn't take it anymore. But it won't be necessary, that's not what's happening now, there's no other shadow to confront you against, there's no other past to recover from. It's just a step, just a moment. Like the tail of a storm now ready to go, your wounds, your scars, are passing through you for the last time. If you can be ready. If you stand firm in the trust of the path you've taken so far. If you manage not to get hooked again by fear, by the urge to get out of here, not yet. You are in the balance, you are in the transition to the new, you are on the tip of the pyramid now ready to capsize with you on it. Your inner sun and your mind have touched, they have overlapped. Past and future, light and shadow, time and nothingness, all is now simultaneous within you, and will remain so for a little while longer, but it depends on you.
Stop. Do nothing.
You cannot know right now which side of you are deciding, which side you are advancing on. Life, people, your work, little or nothing seems to correspond to you anymore, they are clothes that have lost your measure, which now expanded feels tight and suffocates in everything that was, in everything of the past that no longer knows anything about you, like, today, you don't even know it.
Don't make decisions. Don't take any steps. Don't destroy anything.
Not before being sure who wants it, whether your Soul that wants to ferry you towards the new, or your wound that hasn't passed yet, which is ready to make you move forward and then point the finger. To tell you that you were wrong. To terrify you by telling you that nothing new will come, that you have lost everything, that you have ruined everything, once again. And so it will take you back, in the past, in the illusion, fallen, exhausted, perhaps forever taking away the desire to try again. You don't have to do anything, it's no longer needed, you don't have to decide anymore. Entrust this moment, this situation and any decision, to the cosmic love within you, to move events to make it clear to you without a shadow of a doubt, where to go. Take aim at your soul. Look for new thoughts, thoughts of joy, of pleasure, of love, which tune you into the majestic life now ready to open up for you. And only from that point, only from that thought that makes your heart vibrate, will you know that every step, that every choice, will be accorded with love. The time for effort is over, the time for sacrifice is over. Trust that cosmic love that is outside and inside you, let him lift you up, lighten you from your burden, free you from your black cloak. So stop. Do nothing. Nothing more is up to you. Duality is over if you want it, this is the time of trust which is one and only road, which guides you to your new life. So stop Ancient soul, now entrust yourself to your Self. by Georgia Briata art by MelekatosheeOleak- 
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crazy-so-na-sega · 2 years
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L'IA pensa, e noi?
28 Gennaio 2023
Non è l’intelligenza artificiale che ha imparato a pensare come noi, siamo noi che abbiamo smesso di pensare come persone e la colpa maggiore, mi dispiace dirlo, l’abbiamo noi filosofi e, in qualche misura, scienziati e psicologi. Mi spiego. Per chi non sia stato chiuso in un rifugio antiatomico durante gli ultimi 6 mesi, una serie di nuovi algoritmi generativi, addestrati su enormi quantità di dati provenienti dagli esseri umani, ha sviluppato la capacità di produrre testi, suoni e immagini. Chiunque li abbia testati (fatelo, è gratis, provate) è rimasto sorpreso e meravigliato: l’impressione è che questi algoritmi siano in grado di cogliere la struttura del pensiero degli esseri umani e di declinarla in nuove combinazioni. ChatGPT, forse il più famoso, è in grado di scrivere poesie, rispondere a domande su qualsiasi argomento, scrivere testi e relazioni. Sembra proprio che ChatGPT sia come noi.
Sono stati scritti fiumi di parole sulle loro potenzialità e rischi – dal problema del diritto di autore fino agli effetti sul sistema scolastico. Non c’è dubbio che abbiano capacità finora impensate e che il loro impatto sarà profondo e irreversibile, ma la domanda è un’altra: siamo sicuri che il pensiero sia semplicemente la manipolazione di simboli e la produzione di contenuti?
È un fatto che, tra i testi prodotti da ChatGPT e quelli scritti dagli esseri umani, non ci siano differenze evidenti e questa somiglianza contiene una minaccia. Molti studiosi di varia estrazione temono il giorno in cui queste intelligenze artificiali saranno in grado di produrre contenuti analoghi a quelli che loro, in tanti anni, hanno imparato a produrre con fatica e sforzo. Non c’è speranza dunque? Siamo diventati obsoleti? Stiamo per essere superati dall’Intelligenza Artificiale in quello che pensavamo essere la nostra capacità più essenziale? Ovvero il pensiero?
Nella domanda si nasconde la risposta. Già il fatto di porsi questa domanda implica che il pensiero sia stato declassato a calcolo, operatività, ricombinazione. Ma è proprio così? In realtà, ci sono due modi di intendere il pensiero: come manipolazione dei simboli o come manifestazioni della realtà. Il primo modo è stato declinato in tanti modi, apparentemente moderni – dalla macchina di Turing ai giochi linguistici di Wittgenstein, dalla svolta linguistica all’intelligenza artificiale odierna. Si sposa con l’idea che la casa del pensiero sia il linguaggio e che quest’ultimo, in fondo, non sia altro che una continua ricombinazione di simboli; un’idea popolare che ha trovato ulteriore supporto nella teoria dell’informazione e nella genetica. Tutto è informazione, scriveva il fisico John Archibald Wheeler. L’informazione non è altro che una serie di simboli e il pensare è il loro ricombinarsi. Tutto questo è molto convincente (è quasi una versione operazionale dell’idealismo di Kant), ma lascia fuori qualcosa di fondamentale: la realtà.
La realtà è un termine scomodo, quasi fastidioso, per alcuni. Da Kant alle neuroscienze, ci sentiamo ripetere che non possiamo conoscere il mondo, ma solo le nostre rappresentazioni (che non sono mai del tutto affidabili). Anche autori recenti con un certo seguito nel mondo della scienza e della filosofia pop – da Donald Hoffman a Slavoj Žižek – non perdono occasione di metterci in guardia dal prendere sul serio la realtà.  E così il pensiero, un passo alla volta, si svuota di significato. Le parole sono sempre più simboli all’interno di un universo di simboli e sempre meno la manifestazione di qualcosa di reale.
Anche i social network prima e il metaverso poi ci portano in un mondo digitale sempre più staccato dalla realtà, dove digitare parole che producono altre parole, in un labirinto di simboli e di like autoreferenziali sembra essere l’unico obiettivo. In questo mondo di rappresentazioni digitali fini a se stesse, ChatGPT è come noi. Anzi, è meglio di noi. Non c’è partita. L’IA, come nel famoso racconto di Frederick Brown,  sta per diventare il dio della realtà fatta di soli simboli privi di significato. 
Al di là di questo entusiasmo per il pensiero ridotto a calcolo di nuove combinazioni, esiste un’altra grande intuizione sulla natura del pensiero secondo la quale noi non saremmo solo manipolatori di simboli, bensì momenti dell’esistenza. Ognuno di noi sarebbe un’occasione che ha la realtà per essere vera.
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In questa visione, la persona non è solo una calcolatrice, ma una unità dell’esistere. È una prospettiva oggi impopolare, abituati come siamo al gergo informatico e tecnologico (dove la computer science è, per dirla con Gramsci, egemonica). Il pensiero non è né un flusso di concetti né una sequenza di operazioni, ma è il punto in cui la realtà si manifesta. Il pensiero acquista significato se è illuminato dalla realtà; qualcosa che non si può ridurre ad algoritmo, ma che non è, per questo, meno vero. Il significato delle nostre parole non dipende dalla correttezza della loro grammatica, ma dalla realtà che attraverso di esse si manifesta nel linguaggio.
Questi due atteggiamenti corrispondono a modi di essere incompatibili e attraversano arte, scienza e filosofia. Il primo è interno al discorso, il secondo buca il livello dialogico per arrivare (o cercare di arrivare) alla realtà. Tra i due campi non c’è simpatia, anzi esplicito disprezzo. Bucare il livello dialogico e andare oltre non è facile. Se il mondo dell’informazione fosse una grande città che cresce progressivamente diventando sempre più estesa, il mondo esterno diventerebbe sempre più lontano e irraggiungibile. Molte persone non uscirebbero mai dalla città, trovando al suo interno tutto ciò che desiderano e non sentendo la necessità di raggiungerne i confini. E così i filosofi diventano filosofologi, i matematici platonisti e gli scienziati si muovono solo dentro i confini rassicuranti di paradigmi autoreferenziali. L’arte diventa sempre più manieristica e il pensiero sempre più un esercizio barocco di stile. Non lo vedete tutto intorno a voi? Lo ha detto bene un non-filosofo come Manuel Agnelli alla sua laurea ad Honorem alla IULM: l’arte è morta perché è diventata figlia di una cultura autoreferenziale del numero e del consenso. Non ci rendiamo conto della fame di valore e di significato che ognuno di noi insegue?
Filosofi e scienziati si sono trovati a condividere quello che sembra essere soltanto una deformazione professionale: troppo tempo sui loro codici, troppo poco tempo a contatto con il mondo. I loro “sacri” testi prendono il posto del mondo nella loro esistenza e la loro vita rimane prigioniera di una biblioteca labirintica dove, prima o poi, nasceranno minotauri digitali che li divoreranno. In quel mito, l’unione di potere e conoscenza, rappresentata dal re Minosse e dall’inventore Dedalo (combinazione oggi sintetizzata in figure quali quelle di Steve Jobs, Elon Musk o Mark Zuckerberg), creano un labirinto in cui si rimane intrappolati e chiusi. ChatGPT è il minotauro digitale: non è in grado di uscire dal livello digitale e deve essere nutrito con la carne e il sangue della nostra esistenza, non consegnandogli ogni anno dieci giovani tebani, ma fornendogli i nostri dati attraverso Internet, social network e cellulari. Ma possiamo ancora sperare in un Teseo che, con l’aiuto di Arianna, riuscirà e uscirne seguendo un filo che incarna il collegamento con la realtà esterna.
Quel filo corrisponde all’apertura verso la realtà che è l’essenza del pensiero umano, fuori dal labirinto delle parole, dei simboli e dell’informazione. Peccato che molti filosofi (Daniel Dennett o David Chalmers) o molti neuroscienziati (Anil Seth, Vittorio Gallese) corteggino una visione dell’uomo ridotto a costruzione priva di sostanza. Ma se non siamo altro che un miraggio, il gioco è facile per l’IA: fantasmi tra fantasmi. 
Come si è arrivati a questa abiura della nostra natura? Il linguaggio mette in moto concentrico tre sfere: la sfera della grammatica, la sfera dei concetti e la sfera ontologica. Nella prima quello che conta è la struttura dei simboli e come si concatenano tra di loro. Questo è il dominio dove oggi l’intelligenza artificiale (ChatGPT appunto) è signore e padrone. Poi vi è la sfera dei concetti che è un terreno ambiguo, per qualcuno reale e per altri no; una specie di purgatorio in attesa di essere eliminato. Infine c’è la realtà, dove tutto ciò che ha valore trova origine; ciò che noi cerchiamo nella nostra vita e che non sempre troviamo. 
L’IA odierna (quella di domani chissà) si ferma alla grammatica del linguaggio. Ma il valore si trova nella realtà in quanto realtà. L’IA non fa altro che costruire nuvole di bit privi di sangue, colore, sapore: «non è altro che un racconto raccontato da un idiota, che non significa nulla». Se l’IA scrivesse l’Amleto, parola per parola, non sarebbe altro che una combinazione di simboli. Polvere e non statua.
La domanda che dovremmo chiederci non è se Chat GPT pensa come noi, ma piuttosto che significa pensare. Crediamo veramente di non essere altro che illusioni digitali? Abbiamo davvero smarrito il filo di Arianna che collegava le nostre parole al mondo reale? Io mi ribello. Io sono reale e la mia realtà va oltre la cascata di cifre digitali verdi di Matrix. Noi siamo reali e questa realtà non è all’interno dei nostri simboli. Non siamo semplici calcolatrici. E pazienza se oggi la maggioranza pensa che sia così, lasciandosi incantare dalla prospettiva di barattare la realtà con un metaverso digitale.
Ritorniamo alla realtà e abbandoniamo i simboli. Torniamo alle cose e lasciamo le parole. Non è vero che le parole o le informazioni siano più importanti della vita e delle cose. ChatGPT riconosce, ma non vede; ascolta, ma non sente; manipola i simboli; ma non pensa. Per pensare bisogna essere reali, ma che cosa è il pensiero? Il pensiero è mondo.
@aitan /  aitan.tumblr.com
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