#pancali
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Rufina e di Pontassieve (Firenze): denunce i responsabili della combustione illecita di rifiuti e di abbandono di rifiuti speciali.
Rufina e di Pontassieve (Firenze): denunce i responsabili della combustione illecita di rifiuti e di abbandono di rifiuti speciali. I militari del Nucleo Carabinieri Forestale di Rufina (FI), durante un servizio di controllo volto alla prevenzione e repressione dei reati contro l'ambiente, hanno notato nel Comune di Rufina (FI), Frazione Scopeti, nei pressi di un terreno recintato, alzarsi una colonna di fumo. Sul posto la pattuglia accertava la presenza di un fuoco che stava ardendo sul suolo nudo e in cui era in corso di smaltimento un metro cubo circa di rifiuti costituiti da travi e tavole di legno e residui di ferro e carta. Presso il luogo dove era in corso la combustione illecita si trovava un soggetto, dipendente di una ditta edile incaricato di svolgere tale lavoro. I rifiuti di cui era in corso lo smaltimento sono classificati come rifiuti speciali non pericolosi, derivanti dalle attività di costruzione e demolizione e rifiuti urbani. Una volta fatto spengere il fuoco il controllo dei Carabinieri Forestali proseguiva per la presenza, nell���area in oggetto, di altri rifiuti speciali non pericolosi derivanti dalle operazioni di costruzione e demolizione costituiti da un cumulo di circa otto metri cubi di legno composto da pancali, travi, tavole e infissi di finestre ed alcuni rifiuti in ferro costituiti da infissi di porte finestre, radiatori ed una vasca da bagno. L’esecutore dello smaltimento illecito mediante combustione a terra dei rifiuti ed il titolare della ditta edile sono stati segnalati all’Autorità Giudiziaria in applicazione del Testo Unico Ambientale. Al titolare della ditta è stata contestata anche la gestione illecita di rifiuti speciali non pericolosi. Altro episodio è successo nel Comune di Pontassieve (FI) dove i Carabinieri Forestali hanno contestato ad un soggetto, già noto per accertamenti sempre sui rifiuti, il reato di cui all’art. 192 comma 3, sanzionato dall’art. 255 comma 3 del D. L.vo 152/06 (Testo Unico Ambientale) per non aver ottemperato ad un’Ordinanza del Comune di Pontassieve, a seguito di un abbandono di rifiuti costituiti da pneumatici, ferro e materiali affini, imballaggi in plastica, RAEE, mobilio ed un vecchio forno a gas, su un terreno agricolo di libero accesso sito in Località Molino del Piano nel Comune di Pontassieve (FI).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Ruba pancali da un supermercato, denunciato autotrasportatore
Cecina (Livorno) 17 maggio 2023 – Ruba pancali da un supermercato, denunciato autotrasportatore I Carabinieri della Stazione di Cecina hanno denunciato un 31enne straniero residente in provincia di Perugia poiché accusato di essersi impossessato di 9 pancali in legno (pallet) di proprietà di un noto supermercato della zona. Il 31enne, un autotrasportatore, dopo aver effettuato la consegna presso…
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Photo credit: Berthold Werner
Temple of Apollo in Ortigia, Syracuse (Sicily)
If you ever happen to be in the center of Ancient Ortigia, which lays in the oldest part of the city of Syracuse in modern Sicily, don’t miss out on visiting the ruins of the temple to Apollo, built there in the beginning of the 6th century BC.
At the time, Sicily was under Greek rule, having been colonized for about two centuries. Thus, the temple has a significant influence brought in by Greek sculptors - in fact, it is the oldest Doric temple in Sicily. This type of temples, called peripteral temple where the columns surround the entire structure, has quickly become common across Eastern parts of Greece, too. It’s possible that the inspiration roots in the temple of Apollo in Corinth.
This monumental stone structure has gained quite the history over the time of its existence: it was used as a Hellenistic church, a Byzantine church, an Islamic mosque (there are Arabic inscriptions on the walls), Norman, and even Spanish church. It happened over the very long period of the Sicilian land being conquered and colonized by various powers. The consistent changes as to how the building was built caused noticeable damage to the structure. It’s only in the beginning of the 20th century that the temple was finally cleared and opened to view.
Plan of the temple.
The temple itself measures 55.36 x 21.47 meters at the stylobate, with an arrangement of 6 x 17 columns of rather squat proportions. The front is hexastyle, meaning that the portico has six columns, and there’s a continuous collonade surrounding the pronaos and the cell, which was divided into three naves with three slimmer collonades inside. There is some evidence that the roof of the temple was wooden, though it’s hard to reconstruct. The architrave, part of the roof resting immediately atop the columns, was also wooden, which was a common part of Sicilian architecture of the time. It is possible that inner columns of the temple were meant to hold up the roof. This, as some researchers admit, would be quite a difficult structural feat to complete.
The back of the cell of the temple had a closed compartment called adyton or adytum, which was used to hold the cultic image of the Deity and wasn’t supposed to be entered outside of religious services. This is a very typical Siceliot detail that temples across Eastern Greece have quickly acquired.
There were in total 46 columns made out of stone and it is highly likely they were transported to Sicily by sea. The enterprise must have been exceptional to the builders themselves as there is an inscription on the back of the temple celebrating the event. On the East side of the temple, near the steps, one can read a 8 m long inscription in Attic Greek that reads, transcribed with difficulty: Kleomenes son of Knidieidas made the temple to Apollo, and Epicles made the colonnades, beautifully done.
It is possible that the temple was also dedicated to Diana, as Cicero notes. This wasn’t an uncommon happening: the Twins were often venerated together, and it was a done thing that the temple of Apollo belonged to Diana, and vice versa.
Right now, not much of the temple is preserved. A section of epistyle on the Southern side alongside two columns is preserved, and so is a part of the wall of the cell. The Western side is still in restoration. The building was primarily made out of blocks of sandstone, which might explain why it hasn’t lasted for as long as some other structures. We can also still see some of the inner decor preserved in the regional museum Paolo Orsi:
The temple of Apollo of Syracuse was likely built in close vicinity to the temple dedicated to His son Asclepius. This is hinted at by the findings near Piazza Pancali, where two statues were excavated - one for Igea, Divinity of hygiene and medicine, and one invoking a doctor, possibly attributed to Asclepius.
🏺 🏺 🏺
#HISTORIA 📔#apollo#ancient sicily#ancient greece#ancient architecture#sicilian history#temple of apollo
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Il mio garden cresce. #Iorestoancheinlaboratorio #iorestoacasa #difattoamano #artigianato #costruire #trasfornare #pancali #riuso #riciclopallets #legno #woods #garden #home #homegardening #piantinegrasse🌵 (presso Riotorto, Toscana, Italy) https://www.instagram.com/p/B-HkfgbDGp0/?igshid=u8grwrkgedid
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Seorang istri bukan hanya keluarga belaka, istri seharusnya mendapatkan lebih dari itu. Dalam kematian seseorang, keluarganya pasti merasa sedih. Tapi istrinya sajalah yang akan menjadi seorang janda.
-Drupadi (Pancali)
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A thick book photoshoot. Don't forget to read it.
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Io li amavo quelli dello Stato Sociale. Li amavo ai tempi di “Turisti della democrazia” quando suonavano alle feste universitarie su dei palchi demmerda fatti coi pancali che non si sa come si reggevano in piedi. Li amavo perchè le loro canzoni erano autentiche e sconosciute. Ora cantano una canzone che fa “il mondo è un portachiavi che si compra dai cinesi” con Arisa e Miss Keta, Che vita di delusioni (la mia eh, loro si so fatti i soldi).
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SIRACUSA-Ortigia-The remains of the Temple of Athens, from the 5th century B.C., sits in front of Piazza Pancali.
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E anche il negozio di Poggio a Caiano ha la vetrina nuova 😃 @liujoglobal @marchoneyewear @rayban @luxottica @opposite #vetrina #windowshop #autumn #pallet #womenstyleguide #occhiali #occhialinuovi #occhialidasole #occhialidavista #eyewearfashion #eyewear #glasses #sunglasses #pancali #ottica #newsunglasses #style #moda #lenti #newcollection #optical #fashionable #mushrooms #green #autunno2017 #autunno #palletwood #palletlove (presso Ottica Magic 32)
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di Tobia Iacconi
Ricordo che pensai: ora, fascista dimmerda, ora ti stroncolo. Ricordo che pensai: ora, sai che c’è, ora ti disintegro. Ti prendo per le orbite e ti lancio fuori dal treno in corsa. Questo pensai, dopo aver letto la scritta sulla tua maglietta nera dimmerda. Ma i treni regionali vanno troppo piano, pensai ancora, te la caveresti con due mesi di gesso e qualche cicatrice che esibiresti con onore – fasci dimmerda, voi e il vostro onore da tronfioni impettiti. Per quanto mi riguarda l’onore l’ho perso da piccolo e non ci tengo a riaverlo, nossignore, voglio piangere e avere paura e abbracciare i cuscini tutte le volte che mi va – ma il tuo onore, quell’onore tutto maschio che ti sta tanto a cuore, te lo levo a suon di schiaffi, parola mia – ora è il momento di far piangere te, fringuello nazista – ti faccio male, ti faccio tanto, tanto male. E poi, pensai mentre sbirciavo tra le tue spille dimmerda, che cazzo ci fai su un regionale, guardati attorno, qua dentro io e te siamo gli unici bianchi razza di coglione, come ti è saltato in mente di venirti a mischiare con noi disgraziati, tutti diversi e stanchi e arrabattati alla bell’e meglio, tutti assonnati per i nostri lavori dimmerda, tutti in ritardo perché alle coincidenze facciamo passare avanti i treni dei ricchi. Te lo dico io cosa ci fai, ti trovi anche tu su questo treno scannato perché non hai un soldo come tutti noi, imbecille, proprio tu, rigurgito del capitale, proprio tu – in mezzo a noi, internazionale di morti di fame – questo pensai osservando le tue spille dimmerda. E, indovina un po’, brutta testa di stronzo, ora mi metto a spiegare a tutti gli altri passeggeri che belle cose significano quei simboli da pezzo dimmerda che indossi con orgoglio, e allora sì, ah bene, allora sì che vedrai, capirai quanto sei solo e stronzo. Sissignore, chiuderemo il vagone, parola mia, tireremo il freno d’emergenza, sigilleremo porte e finestre per poterti picchiare indisturbati, per poterti randellare meglio e più a lungo e con ancora più gioia. Faremo dei turni, dei turni santo cielo, per non smettere mai di picchiarti e di farti sputare sangue e saliva e denti e pezzi di lingua. Ricordo che pensai: ci inventeremo delle nuove vite qua dentro, in questo vagone antidiluviano dimmerda, su questo binario infestato dai rovi che taglia come un rigagnolo di piscio questa periferia grigia e consumata – aggiungeremo tubi innocenti e pancali di truciolato – piegheremo lamiere di vecchie carcasse d’auto attorno ai frigoriferi abbandonati – costruiremo una nuova e meravigliosa città attorno, e sopra, e sotto a questo sconcertante treno regionale occupato – e questo tenace e combattivo spazio sarà fondato sull’antifascismo, sull’antirazzismo, sull’antisessismo, sulla condivisione e sulla cooperazione, sull’esaltazione viscerale di qualsiasi diversità – e sul riempirti di legnate – sì, hai capito bene: riempire di legnate proprio te, fascistello dimmerda. Prenderti a sberle sarà il rito fondativo al quale nessuno vorrà mancare. Mai. Nemmeno durante le ferie, nei giorni di pioggia.
Era il momento peggiore. La Lega e il Movimento Cinque Stelle erano al governo e Minniti era il peggior Ministro dell’Interno che avessimo mai avuto. No. Faccio confusione. Era il momento peggiore: il PD era al governo, sì, era così, e Salvini era il peggior Ministro dell’Interno che avessimo mai avuto, sì, dev’essere stato così. No. Faccio confusione. E poi non riesco proprio a ricordare dove fosse Berlusconi. C’era ancora Berlusconi? Non ricordo. Ricordo il postcolonialismo. Quello lo ricordo, ma vagamente. Ricordo che popoli interi si mettevano in moto, i loro saperi, i loro corpi, le loro poche cose. Sì. E noi non li volevamo. No. Gli altri, erano gli altri a non volerli. Noi li volevamo eccome, li avremmo voluti, li avremmo aiutati, se solo. Se solo. Ma era il momento peggiore. Non avevamo forze, eravamo stanchi, eravamo distratti. O, semplicemente, eravamo sazi. In pochi anni eravamo passati dalla lotta di piazza ai bistrot con cucina a vista, dai free party al clubbing, dalla contestazione alla sussunzione mercificata. Costringevamo ostriche e tartare di wagyu in soluzioni simmetricamente soddisfacenti, per poi fotografarle con inquadrature assiali citando Wes Anderson. Disquisivamo di Cărtărescu mentre degustavamo sontuosi pinot neri dell’Oregon e, dopo gli eventi vaporwave, ci affollavamo ad assaggiare gli esclusivi cocktail signature nei nostalgici speakeasy. Per consumare ed essere consumati dagli happening globali e trilingue di una nuova ed elettrizzante Belle Èpoque, avevamo lentamente abbandonato le periferie, i quartieri, le province profonde: i centri
storici, si sa, sono più fotogenici. Dalle retrovie della Storia, eccoli. Come se non fosse bastato il neoliberismo a scartavetrarci i coglioni. Anche i fascisti, erano tornati. No. Faccio confusione. Non se ne erano mai andati. Mondo Nuovo, Vecchie Merde.
Ricordo che pensai: ora ti faccio finire sul giornale, giuro, ti faccio diventare famoso dalle botte che ti rifilo. Ricordo che pensai: ora ti martirizzo, fascista dimmerda. Faranno delle magliette col tuo nome, camerata stocazzo, martire di stafica. Quanti anni avrai: venti, ventidue? Col cazzo che ti faccio arrivare a ventitré, bastardo. Ti stai accorgendo, voglio sperare, che non ti tolgo gli occhi di dosso? Bravo, inizia ad avere paura. Tanto questa è l’unica lingua che sapete parlare. La paura. Ma ora sei solo. Adesso tocca a te, tremare. Ricordo che pensai: la tua folgore dimmerda la spengo a sputi, stronzo, questo pensai, mentre decifravo di soppiatto gli obbrobri celtici tatuati sulle tue giovani braccia dimmerda. Tu, brutta merda. Merda infima e abietta. Mi fai schifo. [‘ʃkifo].
Era il momento peggiore. La finanza, astratta e intoccabile, governava il mondo degli uomini. La sua spietatezza algoritmica aveva affamato le masse, che adesso gridavano alla vendetta, all’abbattimento dello status quo, al rovesciamento di ogni potere. E il potere, per contro, aveva consegnato i governi all’unica forza apparentemente rivoluzionaria che avrebbe salvaguardato gli interessi del capitalismo: i fascisti. Ed eccone uno, di quegli infami bastardi. Proprio lì, a due sedili di distanza da me, su quel regionale dimmerda. Solo, senza branco. Più basso di me di almeno dieci centimetri. Più magro, meno corpulento. In forma, il nanerottolo, ma pur sempre venti chili meno di me. Quello stronzetto rappresentava tutto ciò che odiavo dell’umanità. Una forza ignorante e sovranista, una narrazione tetra e bigotta lo aveva plasmato affinché in lui affiorassero i lati peggiori – quelli meschini, vigliacchi e crudeli – dell’essere bianco, di sesso maschile, eterosessuale, occidentale, giovane, magro, pulito, in salute, di bell’aspetto – vale a dire gli elementi dominanti delle più comuni dicotomie sociali. Una narrazione sostanzialmente vittimista, capace di occultare sotto un astuto amalgama di eroismo, coraggio e onore la sua reale e trasversale peculiarità: l’essere sempre e comunque dalla parte del più forte.
Ricordo che pensai: ma non ora, fascista dimmerda, non qui. Ora i più forti siamo noi. È il momento di conoscere la pelle dei giusti, di sentire il rumore dell’osso sull’osso. O forse no. Ricordo che pensai: forse c’è qualcosa di ben peggiore, per uno come te. C’è qualcosa di ben peggiore dell’essere menato, qualcosa che risulterebbe insopportabile a tutta la maschiosfera, a tutto quel vostro mondo patriarcale, virile e cisgenere di cui andate tanto fieri: è in quel momento che pensai, lo ricordo bene, pensai che lo sai cosa ti dico, nazistello omofobo dimmerda? Che adesso t’inculo. T’inculo, sissignore, con tutto il cazzo, vaffanculo, fino a farti cacare sangue. E poi chiamo tutti gli altri e cascasse la volta a capriata del cielo merdoso se non li convinco a incularti uno per uno. Metterò un erogatore di biglietti con il numerino, come alle poste, come dal macellaio, così le persone non litigheranno per incularti per primi. E mica solo gli uomini, cosa credi? No caro, ti piacerebbe. Anche le donne, usando un po’ tutto quello che trovano: pugni, bastoni, vibratori, strap-on. E se credi che su un treno regionale faremo fatica a trovare qualche compagna transessuale, be’, ti sbagli di grosso. Sai che storie su Instagram? Bellezza, diventerai virale in men che non si dica. Salivando dalla rabbia, gli occhi arrabuzzati e cattivi, pensai: imparerai. Ti pentirai di ogni volta che hai detto frocio dimmerda, finocchio di qua, lesbicaccia di là. Ti pentirai di aver deriso ogni adolescente effemminato che hai avuto in classe, di aver chiamato troia ogni ragazza scosciata, di aver chiamato zecca ogni nostra compagna con la maglietta dei Crass. Ti pentirai della vostra necropolitica schifosa, grottesca e negazionista. Ti pentirai dei vostri incubi privati, grigi e omofobi, ti pentirai del mondo arido e depotenziato nel quale vorreste costringerci a vivere. O forse no. Forse non ti pentirai di niente. Ma sant’iddio, di cazzi ne avrai presi a secchiate. Chiudi gli occhi e prefigurati le nostre cappelle baby, lo splendore, il fulgido splendore. Ma poi pensai. Pensai a una frase apparsa sui muri di Parigi in quegli stessi giorni, quando il movimento dei gilet gialli bloccava la città e la Francia intera: Macron on t’encule pas, la sodomie c’est entre ami-e-s. In fondo ero, e sono, e sarò sempre, un idiota.
Solamente noi eterosessuali sappiamo essere così miopi. Ricordo che mi vergognai di me stesso, ricordo che serrai forte i denti, ricordo che pensai: hai capito, stronzo? Tra amici. Non te la meriti la nostra sodomia, stronzo. Voi siete gli stupratori, stronzo. Siete voi a fare schifo – noi siamo bellissime, stronzo. Noi siamo il clamore e l’audacia e la discordia vestita di luce. Siamo il liquore e il balsamo, siamo l’estasi e il furore. Siamo il tuono e siamo il miele, stronzo. Siamo il virus, l’azzardo, il fulcro e la visione. Noi siamo Arthur Rimbaud e siamo Sarah Kane, noi siamo il colore che abbaglia e noi siamo la pece che inonda. Siamo la brina e il tepore, siamo i cieli inclinati e siamo le birre calde nei centri sociali. Siamo precari, oppressi, disoccupati, sfruttati, e siamo così pieni di dolore da dimenticarci di mangiare. Ma siamo rabbia feconda che si tramanda, che incendia, che straripa. Noi siamo le barricate e i sanpietrini divelti, noi siamo le case occupate e le scarpe slacciate. Noi siamo il tuono che cresce dal basso, che ringhia, che lacera, che libera. Non lo capisci? Noi siamo l’impulso vitale, la scintilla orgiastica, il sole che sorge sul vostro avvenire dimmerda. Noi dormiamo nudi, avvinghiati, intrecciati, brutto stronzo, noi scopiamo in quattro per aspettare l’alba, e appena arriva scopiamo anche lei. Il disequilibrio dolce, i nostri corpi ibridi, noi. Non puoi non arrivarci, è evidente: noi siamo, razza di stronzo, tutta la gioia che voi non proverete mai.
Era il momento peggiore. Il capitalismo ci spingeva a sognare oggetti, abitudini e stili di vita che il capitale stesso non ci avrebbe mai permesso di raggiungere. Nella lotta per le briciole, i triti succedanei di felicità e di tranquillità economica che la Nazione aveva da offrire, gli italiani avevano iniziato a ringhiare verso gli unici che avevano meno di loro. Con i denti e con i pugni. Nelle ferite purulente del capitale, nei luoghi dimenticati dalla politica, nel tempo immobile delle vite senza speranza. Con tutta la loro ferocia. Come nei periodi peggiori della Storia, anche le persone comuni iniziavano a fare paura.
Ricordo che pensai che, in fondo, eri solo un ragazzo. Che alla tua età era sufficiente avere a che fare con un fratello maggiore megalomane, un cugino stronzo e bullo, un compagno di classe prepotente e carismatico o un padre testa di cazzo per fare la tua fine. Che magari eri nato nel quartiere sbagliato, nella casa popolare sbagliata, nella famiglia sbagliata al momento sbagliato. Ricordo che pensai che forse, per te, c’era ancora speranza. Che qualcuno o qualcosa avrebbe potuto salvarti. In quel momento capii che non ti avrei fatto niente. Non ti avrei gridato, non ti avrei nemmeno sfiorato. Mi giustificai pensando che, inoltre, le bastonate sono il vostro mezzo, il vostro ignobile linguaggio, i manganelli, i pestaggi, le lame infami; mentre noi abbiamo le parole, le argomentazioni, le idee, l’amore, e mentre mi dicevo queste stronzate iniziai a pensare al Natale dimmerda e alle vecchie pubblicità della Coca Cola: vorrei cantare insieme a voi, in magica armonia. La verità è che l’odio, a volte, può essere così dolce. Così buono. E la violenza è necessaria. I nostri nonni e le nostre nonne ce l’hanno insegnato, incidendolo col sangue sui libri di storia. D’un tratto un missile argenteo ad alta velocità sfrecciò accanto alla nostra bagnarola, togliendogli la pelle, quasi ribaltandola. Ricordo di aver provato compassione per il nostro vecchio trenino scalcinato, incartapecorito e prossimo alla pensione, mentre si allontanava sferragliando, sconfitto e mortificato dall’incontro col suo asettico e fotonico pronipote. Mentre inseguivo questo pensiero stupido e tenero ho incrociato i tuoi occhi cattivi e spavaldi. Mi stavi fissando con superiorità, con disgusto, senza alcuna traccia di paura. Ho distolto lo sguardo con un pretesto, ho tossicchiato, ho armeggiato col telefono scarico. Ricordo che pensai che non eri così mezza sega come mi eri sembrato all’inizio, pensai che sicuramente passavi il tuo tempo libero nelle palestre di MMA, a imparare come sbriciolare di botte un altro essere umano. Ricordo che pensai che magari non eri nemmeno solo, magari stavi solo aspettando che salisse qualche camerata alle stazioni successive. Ricordo che pensai che non era più l’Italia di un tempo, che su quel treno dimmerda sarebbe sicuramente spuntato qualche leghista pentastellato a darti manforte, e che insieme mi avreste rifilato due sganassoni e mandato a casa con le guance calde. Ma niente di tutto questo accadde. Il treno arrivò alla tua stazione dimmerda. Un paesino dimmerda anche il tuo, come i nostri, un paesino senza sogni, fuori dalla Storia del Mondo. Scendesti dal treno lanciandomi un ultimo sguardo carico di sfida e di odio. Io feci finta di niente, chinai il capo ancora una volta, gli occhi nervosi sul telefono spento. È finita, pensai. Quanto tempo avevamo passato accanto? Un minuto? Un’ora? Difficile dirlo. Mi facevo schifo. [‘ʃkifo].
La rabbia, a poco a poco, si farà paura. E diremo niente. Faremo niente. Ce ne staremo lì, in mezzo a tutti e soli come tutti, a far picchiare gli altri, a lasciarli rimpatriare o marcire nei lager. A lasciarli annegare. Torturare. Stuprare. Ci ergeremo seduti, indignati e sereni. Troveremo riparo e conforto nel capitale e nelle sue energiche e metodiche consolazioni: maratone di Black Mirror su Netflix, pizze Domino’s ordinate su Just Eat, libri di Frantz Fanon consegnati dai corrieri Amazon, carrellate di culi e sneakers su Instagram, una sana dipendenza da pillole e centomila seghe su Pornhub. Tutto, pur di non aver paura. Pur di non ricordare. Pur di non riconoscere il male, l’abominio, l’orrore. Un altro secolo passerà. Le donne e gli uomini dell’ennesimo Mondo Nuovo si chiederanno come la nostra civiltà abbia potuto lasciare che tutto questo accadesse, così come noi ce lo siamo chiesti dei nostri avi. E, proprio come noi, mentre guarderanno indietro non sapranno riconoscere le nuove atrocità del loro mondo e del loro tempo, poiché allora il male avrà cambiato forma, nome e colore. Ed è raro che il male si vesta di nero due volte di seguito. Ancora una volta gli antichi tumori dell’umanità ci trascineranno giù, nell’abisso orrido, nella tenebra immonda e molliccia. Scenderà la notte. S’infittirà un nero precoce, da Ovest, la memoria si farà ombra e, lentamente, dimenticheremo. E poi scenderà la pioggia, che purificherà ogni anima e laverà ogni peccato, e dimenticheremo. E poi tuonerà la Storia, annichilendo corpi e vite, e ancora una volta dimenticheremo. E poi arriverà qualcos’altro, qualcosa di ancora più narcotico e terribile, che porterà via tutto, che cancellerà ogni male, che ci farà dimenticare persino di aver dimenticato, di aver ricordato, qualcosa che non ricordo.
Non ricordo più.
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Incendio boschivo a Calvenzano, un uomo aveva dato fuoco ad alcuni pancali di legno
Incendio boschivo a Calvenzano (Firenze), un uomo aveva dato fuoco ad alcuni pancali di legno. Ieri, militari del Nucleo dei Carabinieri Forestali di Ceppeto, in provincia di Firenze, si recavano in località Leccio nel Comune di Calenzano, a seguito della ricezione di una segnalazione incendi. Infatti, era in corso un incendio classificato boschivo di tipo radente, a ridosso di un bosco ceduo di specie quercine. Incendio colposo o doloso? I Carabinieri forestali svolgevano dunque una ricognizione dell'area percorsa dalle fiamme, procedendo ad effettuare il rilievo della stessa con strumentazione GPS in dotazione, pari a 1005 metri quadrati. Le indagini avviate, finalizzate alla ricostruzione dell’origine dell’evento, si avvalevano del “metodo delle evidenze fisiche” (MEF), che consente di capire l’evoluzione di un incendio forestale attraverso la “lettura” e lo studio delle tracce o segni che il fuoco nel suo passaggio ha lasciato sulla vegetazione e determinarne il punto d’origine. Tutte queste attività mirano soprattutto a classificare la causa dell’incendio, se colposa o dolosa. Incendio doloso Dall' analisi della forma dell'area, e con la collaborazione del Capo Squadra dei Vigili del Fuoco, tra i primi ad arrivare sul posto, i Carabinieri forestali hanno individuato il punto di insorgenza dell'incendio, ricadente al margine di una civile abitazione, ovvero un cumulo di residui lignei - in particolare, pancali in legno -dato a fuoco. Da quanto accertato è emerso che un soggetto, di origine straniera, aveva acceso un fuoco per smaltire residui lignei, pratica già eseguita nei giorni precedenti, e che a causa del vento dava origine all’incendio di cui trattasi. La sanzione La persona che è stata identificata è stata segnalata all’Autorità Giudiziaria per Incendio Boschivo Colposo; gli è stata contestata anche una sanzione amministrativa, in applicazione della Legge Regionale Toscana, di € 240,00. Read the full article
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Ruba 84 pancali di legno dal Centro Commerciale. Denunciato 50enne di Latina.
Cecina (Livorno) 7 novembre 2022 – Ruba 84 pancali di legno dal Centro Commerciale. Denunciato 50enne di Latina. Nei giorni scorsi, i Carabinieri della Stazione di Cecina hanno denunciato un 50enne residente in provincia di Latina poiché gravemente indiziato di essersi impossessato di ben 84 pancali (pallet) in legno di proprietà del negozio “Risparmio Casa” ubicato nel centro commerciale…
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Nuovo progettino, reggi libri o pareti o sostegno nei giorni di pioggia o un appoggio che serve sempre...... #difattoamano #artigianato #legno #woods #pallets #sostenibile #pancali #costruire #costruzione #dareforma #idee #nuoveidee #instahome #home #arredare #libri https://www.instagram.com/p/B9G-3WXIHcP/?igshid=163qnjz38nclr
#difattoamano#artigianato#legno#woods#pallets#sostenibile#pancali#costruire#costruzione#dareforma#idee#nuoveidee#instahome#home#arredare#libri
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Tabernacolo "Castellare" punto raccolta rifiuti? no grazie
Tabernacolo del "Castellare"(Vaglia) punto di raccolta rifiuti? no grazie. Il vice coordinatore provinciale di Forza Italia Firenze Giampaolo Giannelli, insieme a Leonardo Resia e Claudia Dominici: "Alia trovi una collocazione più adeguata" Non è accettabile che un tabernacolo diventi punto di raccolta rifiuti per chi abita le case sparse. Quanto accade in località Il Castellare nel comune di Vaglia ed è veramente fuori luogo, perché urta non solo la sensibilità religiosa, ma risulta anche irrispettoso e contro ogni tipo di decoro. Chiediamo quindi con forza che Alia provveda ad indicare un punto di raccolta più adeguato e che l'amministrazione di Vaglia si attivi nel perorare questa richiesta. Queste le parole di Giampaolo Giannelli, Vice Coordinatore Provinciale di Forza Italia Firenze, Leonardo Resia, Coordinatore Forza Italia Vaglia, Claudia Dominici coordinamento Forza Italia Vaglia. Appoggiamo in pieno - chiariscono i 3 esponenti Azzurri - la protesta dei residenti della zona che hanno esposto per protesta il biglietto: "E’ un tabernacolo, non una discarica". La postazione purtroppo è stata individuata dal gestore, così da qualche tempo i bidoni vengono lasciati lì davanti, e la plastica addirittura oltre una sorta di cancelletto che gli stessi abitanti hanno realizzato utilizzando alcuni pancali di legno. "Se non ci fosse quel cancelletto cinghiali e cani si divertirebbero a distruggere ogni notte quello che noi conferiamo la sera", spiegano alcuni residenti. Read the full article
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Doti
Un vero re così come una vera regina sanno dormire indifferentemente sopra soffici piume o su spogli pancali di legno Mai, come consiglio disinteressato, dare alloggio a plebei; in tempi di carestia esigeranno benefici …ancora ed ancora Ai reggenti spesso toccherà cedere perché è sempre meglio qualche notte al ghiaccio che mescolarsi con intrusi di basso rango …
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abbiamo montagne di pancali pronte per essere trasformate in bellissimi alberi! https://ift.tt/2QCDG1h
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