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scienza-magia · 2 years ago
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Recessione e rischio di aumento del debito mondiale
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Debito globale (quasi) record. Paesi Emergenti e imprese Usa i più a rischio. Il Global Debt Monitor di Iif segnala 8.300 miliardi di dollari in più nei primi tre mesi del 2023. Tendenza ribaltata e tetto dei 300mila miliardi di nuovo superato per sfiorare il primato di 12 mesi fa. Ma l’Italia si muove controcorrente Tornano a puntare minacciosamente verso l’alto le lancette del debito globale, proprio quando sul cruscotto si accendono preoccupanti spie di attenzione. Le politiche monetarie restrittive delle Banche centrali hanno spinto in alto i tassi di interesse, rendendo più complesso l’accesso ai finanziamenti, facendo lievitare i costi a servizio del debito e suscitando quindi timori per l’eccessiva leva presente nel sistema finanziario. Se si aggiunge l’animato dibattito di questi giorni sul tetto del debito negli Stati Uniti viene a completarsi un quadro che vede i maggiori rischi concentrati da una parte sui Paesi emergenti e dall’altra sul settore delle imprese. E che lascia per il momento fuori dalla mischia l’Italia, capace di proseguire il cammino virtuoso di riduzione avviato post-Covid. A un passo dal record A scattare la fotografia è l’Institute of International of Finance (Iif), che nel consueto Global Debt Monitor rileva come l’ammontare complessivo del debito contratto nel mondo da Stati, imprese, banche e famiglie sia nel primo trimestre 2023 aumentato di 8.300 miliardi di dollari. Si torna quindi di nuovo oltre la soglia dei 300mila miliardi per sfiorare a 304.900 miliardi il record raggiunto esattamente 12 mesi prima. E si inverte la tendenza favorevole del 2022 (anche se lo stock era per la verità tornato a crescere già nell’ultimo trimestre dello scorso anno) con i Paesi emergenti a dare la spinta principale forti di un livello che sfonda per la prima volta nella storia i 100mila miliardi. L’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei costi sanitari e le notevoli lacune nei finanziamenti per il clima continuano a mettere sotto pressione i bilanci pubblici. Il fatto che in raffronto al Pil mondiale vi sia in realtà una stabilizzazione attorno al 335% non pare tranquillizzare gli esperti dell’Iif, pronti anzi a pronosticare un’ulteriore rapida crescita dei livelli di indebitamento. «L’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei costi sanitari e le notevoli lacune nei finanziamenti per il clima continuano a mettere sotto pressione i bilanci pubblici», spiegano nel Global Debt Monitor, aggiungendo anche che «le accresciute tensioni geopolitiche determineranno un nuovo aumento della spesa per la difesa nazionale nel medio termine, con un potenziale impatto sul profilo creditizio dei mutuatari sia sovrani che aziendali». Emergenti e settore imprese nel mirino Le preoccupazioni maggiori puntano come accennato verso i mercati emergenti, dove gli aumenti più consistenti sono stati registrati in Cina, Messico, Brasile, India e Turchia e dove, soprattutto, il debito in valuta locale è divenuto meno interessante per gli investitori stranieri e «potrebbe ostacolare la capacità e l’abilità di alcuni Paesi di rispondere efficacemente agli shock esogeni, comprese le sfide legate al cambiamento climatico». Sotto l’aspetto della tipologia del debitore l’area più a rischio sembra invece quella delle imprese non finanziarie, soprattutto in quegli Stati Uniti il cui sistema del credito è stato investito di recente dalla bufera che ha colpito alcuni istituti regionali. «Sebbene i recenti fallimenti bancari appaiano più idiosincratici che sistemici e le istituzioni finanziarie statunitensi abbiano un debito pari al 78% del Pil molto inferiore al livello del 110% che ha preceduto la crisi del 2007-2008, il timore di un contagio ha spinto a ritirare in misura significativa i depositi dalle banche regionali», osserva Iif, che teme come conseguenza «una forte contrazione dei prestiti ad alcuni segmenti, tra cui le famiglie e le imprese sottobancarizzate». Nel mirino potrebbero finire soprattutto le aziende di piccola taglia, con conseguente aumento dei tassi di insolvenza e del numero di quelle che Iif definisce imprese «zombie», la cui quota negli Stati Uniti è stimabile attorno al 14% con presenze concentrate soprattutto nei settori della sanità e dell’informatica. Avanza la finanza «ombra» La crisi innescata da Svb, First Republic e le altre ha anche il risvolto della medaglia di favorire l’avanzata del capitale alternativo offerto dalle istituzioni finanziarie non bancarie. «Le cosiddette “banche ombra” rappresentano ora oltre il 14% dei mercati finanziari, con la maggior parte della crescita derivante dalla rapida espansione dei fondi di investimento Usa e dei mercati del debito privato», sottolinea Iif pronosticando proprio per effetto delle pressioni sulle banche regionali «un’ulteriore espansione dei mercati del debito privato, dove i rischi di riscatto degli investitori appaiono bassi rispetto a certi fondi d’investimento aperti». Il cammino (controcorrente) dell’Italia In un contesto simile l’Italia pare tenersi per il momento ai margini della mischia. Quando viene raffrontato al Pil, il debito complessivo maturato da Stato, imprese, banche e famiglie è ulteriormente retrocesso al 283,9% nei primi tre mesi dell’anno: un valore inferiore di ben 75 punti ai picchi post-pandemia e che si compara addirittura con i livelli precedenti la grande crisi finanziaria. I progressi si sono visti in tutti i settori, compreso quello del debito pubblico che resta la zavorra più pesante e difficile da abbattere con il suo 134,8 per cento. Buon segno. Biden: "Default Usa sarebbe catastrofico per mondo intero". E cancella vertice Quad Australia Read the full article
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