#ombre roventi
Explore tagged Tumblr posts
Photo
Shadow of Illusion (Mario Caiano, 1970)
263 notes
·
View notes
Text
which of these movies have you seen?
quali di questi film hai visto ?
Ombre roventi
Il Tuo dolce corpo da Uccidere
Uccidete il vitello grasso e arrostitelo
Quella chiara notte d'ottobre
Mania
#ombre roventi#renato polselli#enzo doria#uccidete il vitello grasso e arrostitelo#uccidete il vitello grasso#salvatore samperi#marilu tolo#marilù tolo#jean sorel#giorgio ardisson#francoise prevost#orchidea de santis#eduardo fajardo#mania#ralph brown#daniela giordano#william berger#krista nell#antonio cantafora#quella chiara notte d’ottobre#pier paolo capponi#ennio morricone#giallo fever#giallofever#italian cult#italian giallo#cinema cult#gialli#mario caiano#alfonso brescia
0 notes
Text
Danza una fiamma di crepitante fuoco.. Dorata luce illumina corpi, che distesi sono dinnanzi a camino. Occhi negli occhi con scintille negli occhi.
Fuoco che passione alimenta.
Ombre d'intorno ballano meste, cullando
carezze languide e roventi baci,
Calore che cresce mentre cuori veloci battono.
Un filo d'emozioni che tutto aggroviglia.
Anime calde che riparo cercan tra le braccia l'uno dell'altra.
4 notes
·
View notes
Text
Ferro in Agosto
Sai come ho fatto?
Infilando le unghie nella carne non appena cominciavo a desiderare di chiamarti e raccontare. Il bruciore mi induceva a lasciarti immerso nel tuo limbo stagionale al riparo dal mio ego(t)ismo (riesco anche a vederti, gli occhi rilassati dall'assenza di ogni scadenza che si arrotondano quando incrociano la palla rossa che cala tra il fogliame).
Solo che mi annoia soffrire di un dolore così effimero, così ho guardato i piccoli fili di sangue ricamarmi la pelle del polpaccio, o dell'avambraccio, o del lembo estratto a sorte con interesse appena tiepido, anzi, addirittura scarso. Però le vedi le piccole cicatrici che movimentano l'ammirevole monotonia della pelle abbronzata? Le vedi?
Sono i piccoli post-it in cheratina che mi hanno ricordato di starti lontana. E' a loro che devi le tue vacanze meritate e serene.
E' a loro che devi questa lettera.
Ma ora andiamo, per favore?
Ti ho aspettato, per entrare.
Il luogo è fresco di umidità, al riparo dalla calura di questo torrido mattino (certo che è notte, e certo che lo so! Ma "lì" è mattino, capisci?)
Va bene, ne abbiamo già parlato, allora mi correggo: il luogo non è fresco ma freddo. F R E D D O.
La pelle raggrinzisce come se una secchiata di acqua gelata l'avesse appena trafitta, e il sollievo dall'arsura lasciata alle spalle muta in dolore leggero non appena le ossa roventi si temprano alla temperatura inattesa. Va meglio adesso?
Come promesso. Ometto le omissioni stilistiche e recido i vaporosi merletti con cui amo rivestire le cose camuffandole.
Come hai preteso, come ho promesso, tu (#tu#) non avrai sconti.
Il portoncino bianco cigola insieme alle cicale, e il piccolo atrio buio odoroso di muffa ci inghiottisce lasciandoci spauriti e titubanti come quando - ricordi?- bimbi affondati nelle coperte temevamo l'istante in cui il sonno ci avrebbe sopraffatti e dolcemente assassinati col suo nulla (non è un merletto questo, NON LO E'! - non osare dirmelo).
E' solo un attimo, poi gli occhi si allineano agli spettri della non luce e dalle ombre affiorano forme distinte e note, a me naturalmente, e a te per mia mano, tra pochissimo.
No, aspetta un secondo. Ho bisogno di allestirmi un caffé. 'Spetta, taci, non frignare.
Eccomi eccomi (…COSA?! …Ti avrei lasciato solo troppo a lungo? …Paura, tu?! …B U G I A R D O).
Ti ha incuriosito il piccolo attaccapanni sulla destra (lo sapevo, devi avere visto col tuo terzo occhio, o sentito col tuo quinto orecchio). Tre ganci tondi in ferro battuto e cupo. Non li vedi bene perché in questo momento sono nascosti da felpe e giacche di varie dimensioni estranee alla routine della casa. Prova a spostarle, e guarda meglio se vuoi. Un uomo ci ha lasciato appesa la vita, anni fa, dopo aver gridato un nome. Tutto qua, non c'è altro. Bàstatelo.
Di fronte una scala in pietra grigia, nove alti scalini, a fianco dei quali una minuscola porta di un minuscola sottoscala ospita un minuscolo bagno dove mai entrerei mezza vestita figuriamoci mezza nuda.
Attento! Ora viene il bello!
Proprio tra l'attaccapanni ed il muro che conduce all'angusto pisciatoio. C'è una porta proprio lì, dove nessuno la crederebbe possibile. Il bianco ormai giallo dell'intelaiatura ospita in un certo punto, a sinistra, più in alto della sua metà, una cartolina vista mare. Non particolarmente bella, ma particolarmente adatta a nascondere il foro che una mano inquieta ha osato aprire ancora anni fa con un brusco movimento dettato da piccola circostanza sfavorevole (o pugno, se preferisci).
Su, entriamo.
La stanza è invasa dai mobili, farcita in modo imbarazzante, non si riesce quasi ad attraversarla senza urtare lo spigolo del lungo tavolo o il piede di una delle otto sedie abitanti quei modesti metri quadrati, o la rotella della stufa a gas, o il divanetto duecentomila lire tutto compreso, vuoi che non lo sappia?
E ora non stare a immaginare chissà quali intense riunioni umane, porcellane, pietanze e gomiti tiepidi che si sfiorano in amichevole convivialità, non è il caso di sprecare tanta bella fantasia.
Quella che stai osservando è pura rappresentazione, metodica scenografia piuttosto gotica.
Questa stanza è magistrale rappresentazione di un soggiorno vissuto e usurato dal calore umano che di calore umano non ha mai sentito l'afrore, ed ogni oggetto che la occupa recita con maestria il suo ruolo immoto e privo di vita.
Non mi credi (me lo dice il modo in cui ti mordicchi il labbro inferiore), cioè sai che devi credermi (perché non mentirei) ma ti riesce difficile (vedendo ciò che vedi), e questo mi/ti/ci dimostra quanto il regista del trailer domestico sia stato efficiente: chapeau!
Guarda per esempio quel vaso in cristallo lucido, esattamente al centro del manufatto ad uncinetto - esattamente al centro ho detto, si, controlla pure, la sua base rotonda ha un diametro di dieci centimetri che equidista dai bordi del lato più lungo del centrino di altri dieci.
Credi che abbia mai accolto fiori veri? Che qualche insetto sfuggito ad una corolla qualsiasi lo abbia mai percorso in viaggio tra una zigrinatura e l'altra delle splendide incisioni a forma di stella che lo solcano per tutto il diametro? Esatto. Mai.
Sorridi adesso, eh? Però hai controllato (bastardo). Ma si, sorridi. Sorridiamo.
Del quadro che spezza la parete di fronte alla porta, appeso sotto un arco scalcinato che nessuno ha più pitturato, non ho altro da aggiungere. L'ho già fatto a suo tempo, forse ricordi e forse no - ho spesso il sospetto che tu faccia defluire le mie parole attraverso il tuo corpo senza trattenerne una ( o era tuo, il sospetto?), dicendo tutto quello che mi potevo (e dovevo) permettere.
Voglio solo precisare che quel volto inquieto di ragazza non viveva sotto quell'arco, non so chi abbia deciso di mettercelo, e ho fatto apposta a non dargli troppa importanza chiedendo chi sia stato.
Forse c'è andato da solo, non mi sarebbe difficile crederlo.
Sostava in un altro ambiente, una volta. Per guardarlo bisognava varcare nove gradini più altri cinque, e tenere la faccia fissa al muro, e le pupille rovesciate all'indietro, ed una mano sulla bocca. E lasciare che accadesse quel che accadeva.
Ma quanto tempo impieghi ad osservare tutte quelle chincaglierie, ti sembra il caso? Anche le foto ti interessano! Quelle le ho tirate fuori io, ci crederesti? A casa non ne ho in giro nessuna, e qui invece ne ho disseminate ovunque, scegliendole con cura maniacale affinché ognuna sostituisse un ricordo dimenticato. Freud direbbe che sono una criminale intenzionale. Che ho frantumato lo specchio della memoria nascosta lasciandone in giro i frammenti come mine inesplose affinché chiunque passando ne rimanga ferito. Lasciamoglielo dire. Nessuno è riuscito ad azzittirlo ed io non voglio essere la prima.
Forse la tenda rossa merita un po' di attenzione, anche perché con gli occhietti acuti è già un pezzo che mi stai silenziosamente (…SILENZIOSAMENTE?! Sono ormai praticamente sorda!) chiedendo a cosa serva quello scampolo di stoffa pesante che interrompe la stanza in un modo decisamente teatrale (e in effetti sembra proprio il sipario di un piccolo palcoscenico), e so come sei martellante quando ti ci metti (cioè sempre) e come non mi darai tregua fin quando non apriremo quella tenda imprevista, quindi apriamola - guarda però come lo faccio lentamente, come mi diverto a prolungare l'attesa con allegria un po' balorda, forte del fatto che IO so cosa ci aspetta.
E ora dimmi: TU te l'aspettavi?
Quel brusco cambio di scenografia, quel fascio di piastrelle scheggiate ed il vecchio lavello a fianco della cucina poco usata, e l'armadio tarlato privo di ante e il frigorifero nano che ronza come uno sciame di api? Tutti insieme segretamente avvinghiati ad un solo metro di distanza dall'ordine perfetto e desolante della metà, anzi no, dei tre quarti del resto del soggiorno buono?
No, ne sei sorpreso. E anch'io.
Varcare una facciata qualunque, anche nota, mi devasta sempre con la stessa dolorosa modalità. Non userò altre parole per questo quartino di camera, quindi adopera pure il tuo talento se hai voglia di disegnare le storie che si sono avvicendate dietro questo drappo vermiglio, o le cose che vi sono state celate (alcune anche da me).
Sai che non siamo qui per questo.
Che non è un giro turistico di quattro o di otto mura quello in cui ti ho chiesto di accompagnarmi.
Cioè no, in realtà non lo sai, perché non te l'ho detto -e non farmi lo sguardo dell'
"… ETTIPAREVAEQUANDOMAI !"
per favore.
Più che saperlo, lo senti. Come?
Col corpo.
Nelle viscere più aggrovigliate, nella vena più profonda della tua gamba sinistra, lì dove io risiedo.
Aspetta adesso, ci vuole un attimo di pausa. Facciamoci una sigaretta (che vuol dire che "non fumiamo"? E che importa? E a chi?). Lascia che io riprenda fiato.
Di nuovo. Eccomi. Ci sei ancora?
Riprendere a dipanare è decisamente difficile.
Ora, UDITE UDITE, dichiaro che non muoverò più un muscolo da questa sedia fin quando non avremo (avremo, hai letto bene) finito. Se ci volessi provare (a fuggire) immobilizzami, o legami, o non so. Trova tu un modo qualsiasi, ti sto autorizzando. C'è il caso (ci sarà sicuramente) che io ti preghi di desistere, che io ti neghi ogni autorizzazione concessa mentendo come una tossica in astinenza. Fai tu come meglio ti riesce (purché effettivamente ti riesca).
Non ho sorvolato su quei nove gradini, naturalmente.
Anzi si, naturalmente.
Ma tanto tu vieni sempre a scovarmi ovunque io mi nasconda. Anch'io lo faccio io con te, e non è meno difficile, solo che adesso è il mio turno di preda stanabile, e quindi cerco di prendere tempo e mi dibatto come un uccello impazzito in una grotta priva di uscite comode (ahi le ali, AHI LE ALIII!).
Tento di non dirti cose che non vorrei dirti ma che dovrei dirti.
Inizio della storia.
Prima di tutto una volta su quella scala ci sono scivolata, pesantemente, di schiena, e alla fine della corsa ho battuto la testa perdendo i sensi per qualche minuto, cosa che ha fatto temere per la mia vita con gran clamore dei pubblici astanti, e forse non avrebbe dovuto.
Un'altra volta lì trascorrevo la notte, tra il quinto ed il sesto gradino, in punizione. Il freddo di quel marmo mi è stillato come veleno nell'animo per sette anche otto ore di fila, e l'ha pietrificato. Lì, al buio, nel silenzio assenso dei sonni altrui mi sono fatta una promessa, cosa che non ha fatto temere nessuno per la mia vita, ma che forse avrebbe dovuto.
Fine della storia.
E perché ti incazzi adesso, scusa? Che ho detto?
Ah. Quello che NON ho detto. Capisco. Ancora un attimo di pazienza.
Guarda di nuovo nella solita stanza. La donna anziana siede su di una sedia, pingue eppure composta nella sua scatola di carne greve. Il piccolo televisore rimanda immagini stanche di notizie che nessuno segue, fanno da scenografia alla scenografia. Il caffè sbuffa nella macchinetta al di là della tenda, una manciata di medicinali attende sul tavolo pronta a svanire dalla scena dopo l'uso affinché l'ordine rimanga imperturbato. Alle sue spalle, curve, una donna di molto più giovane le pettina i lunghi capelli con delicata fermezza. Sono entrambe silenziose, lignei noccioli racchiusi in frutti acerbi incapaci di evolvere in generosa incoscienza.
Non si odiano, nemmeno si amano abbastanza da perdonarsi le insormontabili diversità, né esiste la necessità che questo accada.
Affettuosamente reciprocamente stanno.
Lei continua a pettinarle i capelli sapendo quanto questa coccola le piaccia e quanto non la meriti. Eppure continua a farle questo dono, sa che sarà ancora per poco.
Cinque. Cinque sono i segreti importanti che solo loro due condividono in questo istante. Il meno impegnativo riguarda la foto che la donna anziana e vanitosa ha indicato all'altra per la sua tomba, e che le figlie non vorranno mai (ma lo vorranno a forza). Insieme al vestito, alla sciarpetta di seta sul collo tozzo ed esangue, ed alle scarpe blu lucide tacco medio, ancora nuove, che aspettano nella scatola sul pianerottolo prima dell'ultima scala, quella nera.
"Ti truccherò il volto così non sembrerai pallida e deforme" è la promessa che strappa alla vecchia un sorriso compiaciuto e felice.
E quella terza donna? Che circola attorno alle altre due con scatti nervosi e repentini, senza riuscire mai ad avvicinarle, anzi respinta con forza molle come si respingono i poli uguali di una calamita?
Di lei non c'è niente da dire, anche se è per lei che siamo qui (recidere, lenire, dimenticare, tentare di giustificare senza riuscire a perdonare, perennemente disprezzare).
…E questo sapore di ferro arrugginito che all'improvviso mi inonda la bocca?
Coi denti ho appena squarciato la guancia senza rendermene conto, morirò dissanguata, proprio adesso: OH NO!
Mi giro: ci sei tu, a leccarmi le ferite (ci sei ancora?).
Stringimi forte la mano.
Ora, qui, mentre inscatolo i sospiri sepolti e sigillo il grazioso portoncino alle mie spalle senza nemmeno voltarmi indietro, STRINGILA!
Non lasciare che si accorgano di quanto stia tremando.
4 notes
·
View notes
Note
dove è ora la donna che ami
ovunque...io la vedo ovunque, in un coffè-bar, la vedo seduta ai tavolini di piazza duomo, o in una ragazza che legge un libro, o in quella che suona il piano, ma se mi avvicino, non è lei. la vedo nei sogni, e mi sfugge sempre, la perdo sempre; la vedo nelle acque calde del mare roccioso; alle ombre dei pini, in montagna tra gil aghi e i muschi: la vedo vicino ai gatti; negli occhi languidi dei cani che mi salutano; la vedo nei gelati di santa margherita; la vedo sul naviglio, dove in agosto toccavamo l’acqua che correva veloce coi piedi roventi; sulla ripa che cammina; nelle lucciole e nel silenzio del parco del fiume; la vedo sulle navi che vanno a portofino. la vedo sui ciotoli di camogli; e non è mai lei. la vedo sui ponti del meckar, e sul ponte di Galata in turchia, che guarda il sole, e dietro di lei si staglaino le moschee antiche la vedo sul mio letto; tra le mie braccia: la vedo distintamente;
la vedo ovunque, e non c’è. non c’è mai.
2 notes
·
View notes
Video
youtube
(via https://www.youtube.com/watch?v=yy0PYoJ1LZ4)
1 note
·
View note
Text
E’ stato incontrarsi
per caso o chissà, è stato aprire un varco in un groviglio di spine e braci ancora roventi, rifarsi, rischiare, lasciare le calli da fare ogni giorno guardando le pietre il vuoto delle sere senza mani e parole,la tristezza avvinghiata all’anima come una sorte un destino inchiodato in gola.
E raccontarsi a pezzi, a brandelli, cinquant’anni passati nell’ora che i bar sono spenti, le ombre si allungano e coprono gli occhi, le mani si cercano a dire qualcosa che la voce non dice.
E poi mettere piano un mattone sull’altro e cemento e vedere che tiene, che sale e andare insieme per i campi deserti di un gennaio di gelo, tra baci e litigi, e andare avanti, scappare indietro e poi ancora avanti e una tua maglietta nel comò a casa mia era già il sogno dolce di una vita nuova che prendeva forza, una promessa per tutto il tempo a venire tutto il tempo che resta.
E ridevi allora e ridevo anch’io come ridono i bambini a una festa.
E adesso io e te a camminare lungo la Riva, a guardare le Grandi Navi che passano e i turisti che ridono e fanno le foto, le bancarelle colme di paccottiglia, e i gondolieri adesso padroni che gridano e governano, questa nostra città disfatta dalla violenza del denaro e tornare a casa per le calli nascoste, le mani strette nelle mani per non perdere i passi nel buio, tenerci saldi qui dove tutto ondeggia ubriaco ma a volte s’aprono spazi impensati che schiarano gli occhi di luce improvvisa a mostrare la strada come solo la vita sa fare.
Francesco Sassetto
3 notes
·
View notes
Text
"Di notte arrivano i lupi" di Nanni Cristino, Nero Press. A cura di Alessandra Micheli
“Di notte arrivano i lupi” di Nanni Cristino, Nero Press. A cura di Alessandra Micheli
Una nota di jazz,si scioglie come inchiostronella coltre di nebbiaelastica,fredda,che maltratta l’aria,inghiottendo le ombre che si agitano inquiete.Un cupo lamento,un ululato,un ringhio,solleva il fumo della scorieche esalacome fiato represso,di anime dannatedai tombini.Arrivano in branco.Gli occhi roventi,passi che trafiggano la schiena,come unghie,che scorticano la pelle,fino alla carne…
View On WordPress
0 notes
Text
Caldi ricordi
Dietro alle ombre di questo tramonto fatto di stelle e di luna pigra, di nuvole basse e di mare quieto, pulsa il mio sangue dai ricordi sedotto. Ricordi roventi di mani curiose, di labbra sfrontate, di sguardi sfacciati. E poi di parole: ardite, infuocate, di certo più calde del sole calante che saggio e solenne di auro si veste e mi esorta alla requie. Loredana Conti Read the full article
0 notes
Text
“Io credo negli sguardi nascosti, nei sorrisi timidi, negli occhi incantati, negli abbracci forti; quelli che ti lasciano il segno e che gli senti fin sotto la pelle. Credo nei baci salati, roventi. Credo nelle lacrime di chi ha perso troppo e avuto troppo poco. Credo nei silenzi di mille parole, negli amori nell'ombra, nelle carezze delicate, nei sfioramenti di tocchi leggeri, negli occhi rossi che bruciano per il troppo schifo che hanno visto. Credo nelle urla di notte, nelle grida di liberazione. Credo nei sogni nascosti, quelli che non racconti a nessuno. Credo nelle mani unite, piene di segni, lividi ma ancora unite, per ricordare ciò che si è e ciò che si è vissuto insieme. Credo nei singhiozzi che ti bloccano il respiro, forti e devastanti che ti scuotono dentro. Credo alle parole sussurrate, un segreto tra voi, solo vostro. Credo nelle labbra rosse e gonfie per i troppi baci, per quei sorrisi che arrivano agli occhi e che portano il suo nome. Credo nei ti amo gridati da ubriachi, perché la sicerità è per gli alcolizzati. Credo nelle parole dette dall'arte, dalla musica, dai libri. Credo in un amore fatto di tutti i casini nostri messi assieme, così da creare un vortice di devastazione. Credo in noi e nei nostri significati. Credo in me e in te.”
-Ombre di nessuno
3 notes
·
View notes
Photo
Shadow of Illusion (Mario Caiano, 1970)
350 notes
·
View notes
Text
Dentro e fuori
Nebbia e polvere, nebbia e polvere ovunque. Polvere? Perché polvere in una foresta? Nebbia e polvere si facevano largo in quella selva sconfinata. Sotto i suoi piedi scricchiolii di rametti ed il frusciare dell'erba. Era umido, freddo, era bagnato, dalla punta dei capelli fino ai piedi. Se ne stava lì, in quella foresta tutta buia e tutta scura, fatta di ombre e rumori, fatta di arbusti e fantasmi. Fatta di ricordi e fiori. Doveva trovare un riparo, ma non riusciva a vedere a tre metri di distanza. L'unica cosa che vedeva era grigio scuro che lo circondava da tutti i lati. Gli arbusti lo colpivano con frustate secche e dolorose, come se ridessero di lui: sentiva silenzio, una frustata e poi il fruscio delle foglie. Si godevano il divertimento, lo schernire quel povero uomo era per loro l'unica fonte di svago e non smettevano di giocare per niente al mondo. Camminava a tentoni, con le mani in avanti, come se sapesse che prima o poi sarebbe andato a sbattere contro qualcosa. Toccava l'aria, fatta di nebbia e polvere. La palpava, la tastava, la sentiva, sulla sua pelle, sui suoi peli. Le labbra l'assaggiavano, gli occhi se ne gustavano il terrore, si terrore, di quell'atmosfera lugubre e desolata. Come ci sono arrivato qui? Continuava a tastare e camminare, faceva tre passi e si fermava, controllava. Un albero sulla sinistra, vado a destra. E continuava con i suoi tre passi. Ed allora lo sentì. Il suo muoversi lentamente lo aveva spazientito, se ne uscì dalla sua grotta, dalla sua caverna, dalla sua casa. Si alzò di malavoglia, e avanzò verso di lui. Lo sentì, lontano ma minaccioso, ad ogni passo perceoiva lo smuoversi del terreno, ad ogni passo sapeva che avrebbe dovuto incominciare a correre, ma il suo corpo non lo voleva ascoltare. Il gelo e l'umido gli erano entrati in circolo e avevano atrofizzato i muscoli, lenti a rispondere agli stimoli della psiche di chi, come lui, si trovava nella merda. Merda! Andiamo, scappa, scappa! Uno di quei pensieri doveva esser stato carico di adrenalina. Le gambe allora, invece di essere immobili, parevano razzi, le mani facevano da bilanciere, un piede a sinistra, tra due radici, un piede a destra tra un sasso ed un fiore così raro da essere scansato sia dal fuggiasco che dall'inseguitore. Prima un braccio all'indietro, poi uno in avanti, ora a destra, poi il peso a sinistra. Muoviti, più veloce, più veloce! Cristo santo! Poteva sentire il vento che lo colpiva da lontano, come quando camminava per le strade, lei aveva i capelli che si muovevano senza un senso logico, ma il sorriso che le si stampava in viso non era uno di quelli che indicava frustrazione, no. Era il sorriso di una donna che avrebbe voluto vivere così per sempre, tra passeggiate e silenzi imbarazzanti. Una bolla. Io sono una bolla. Correva, andava a sbattere contro gli alberi, ed ogni colpo che sentiva, il vento soffiava sempre più forte, prima contro di lui, poi dalla sua sinistra. Veniva spinto a destra, ma ecco che il vento ricominciava a soffiare proveniente da destra. Spinto a sinistra, bam! L'albero gli lacerava la carne sulla spalla. Ma no, non si poteva fermare, correre doveva correre. Ma non ho mai corso in vita mia. Corri, corri, che ti fa bene! le diceva lei quando scappava, proprio dopo avergli morso la guancia o il labbro. Glielo ripeteva sempre, ed allora lui le correva dietro. Acqua, acqua davanti a lui. Sapeva nuotare, quindi si tuffò, Cazzo se era gelida. Toccava il fondo, si fece forza e proseguì, avanti, un passo dopo l'altro, con le braccia in aria, per non rischiare l'ipotermia completa. Ma come ci sono finito qui? Era gelida come i piedi di quella donna, che gli tornava sempre in mente, le lenzuola, il profumo di lavanda, e quello di camomilla, quello della sua pelle e quello di radici e terra bagnata, quell'odore di sale ed acqua stagnante. Aveva smesso di toccare e stava sprofondando, preso alla sprovvista ingurgitò quell'acqua schifosa, faceva proprio schifo. Tossì, si dimenò, non riusciva a stare a galla. Perché? Perché non ci riesco? Si tranquillizzò, riuscì a sopravvivere, nuotaò,ad ogni colpo, i bracci si intorpidivano sempre di più, il gelo oramai era dentro ogni fibra del suo corpo, doveva uscire il più presto ma la visibilità era ancora scarsa. Dove diamine sono? Legno, legno che gli si avvicinava, no, anzi, lui si avvicinava ad una forma fatta di legno, un pontile, un molo, si, salvezza, almeno dal freddo. Un onda, si avvicinava velocemente dietro di lui, si disse di cavalcarla, anche se sapeva del brutto presagio che ella portava. La corrente lo portò ad aggrapparsi, l'acqua tremava, tremava veramente tanto. Io sono una bolla, come quelle che si trovano nelle bottiglie, quelle che stanno in cima al collo delle bottiglie. La terra si faceva asfalto. Asfalto? Gli alberi lasciavano posto ad i cartelli, case, edifici, città, era in una città. Si ricordava di quel posto, c'era stato un migliaio di volte. La nebbia si era diradata, vedeva una luce in lontananza verso sinistra. Corse, rincominciò a correre anche se le sue gambe non volevano, si fermò, prese a pugni le sue ginocchia e riprese a correre. Devo muovermi! Il calore che sentiva era la cosa più vicina al sentirsi vivo. Un caldo fuoco sprigionava quella che per lui era vita. Si accovacciò lì vicino, in un salotto abbandonato, la casa aveva una parete squarciata, con i resti qualcuno aveva acceso il camino, lasciandolo incustodito. Rubò una coperta da un mobile e si nascose in un angolo, attaccato ai mattoni roventi della struttura. Ronfa, ronfa mio disagio, che i sogni son cari a chi con nessun può destar discorsi sconclusionati. Una bolla, sempre presente, ma mai vera, solo inclinato, solo in una posizione non mia, esisto. Non dormì ma viaggiò, viaggiò con la mente, come fanno i guru dopo anni di meditazione sul senso della vita e di ogni altra stronzata esistenziale che include "perché" e "percome". Fece un viaggio lungo, senza precedenti, almeno per lui. In questo viaggio lui era uno studioso, e cercava una cura a una nuova malattia di cui lui nemmeno sapeva l'innesco. Ogni persona affetta da questa malattia aveva un accelerato battito cardiaco, ed alcuni pensieri interessanti su un determinato individuo. Fece questo lungo viaggio, dove però arrivò alla scoperta che questo tipo di malattia non aveva cura, niente poteva curare le persone affette, niente che li potesse aiutare, se non la forza di volersi bene. Tutto qua. Tornò a casa e si stese sulla poltrona, si era seduto comodo e chiuse gli occhi. Il camino era già stato acceso ed i mattoni ora non erano più roventi. Il sole lo accecava, era la prima volta che vedeva il sole in quella giungla. Da quanto sono qui? Non ci era più abituato. La spalla! Cristo santo, il dolore lo mangiò da dentro, provò a fermare la ferita con la mano ma niente, il dolore non si placava, e nemmeno quel fine rigolo di sangue. Strappò un pezzo di una camicia trovata lì per caso e si fascia la ferita. Il dolore può farsi avanti. Camminava estasiato e sconvolto da quella visione. La sua città devastata, tutto tranne un edificio. Uno lungo almeno venti piani. Sapeva cos'era, sapeva cosa sarebbe successo se avrebbe attraversato la porta. Ma non lo fece, tornò indietro, verso quel suo inseguitore. Scacciò via la paura ed il dolore, lo eliminò dal suo centro nervoso. Ed era lì davanti a lui, il Terrore. Grande e grosso si protrasse davanti alla sua faccia e gli sorride. Io sono una bolla, io sono l'aria all'interno di quella bolla, libero, apri la mia gabbia e sarò libero. Con gli occhi tua, scaglia il lucchetto in fondo agli abissi del Terrore. E si fusero, entrambi si alzano al cielo, fatti delle stesse emozioni, fatti di immagini riflesse, di ricordi, di sensazioni si fusero e riscendettero a terra, e la porta dell'edifico si aprì, pronto per farlo uscire da quel labirinto enorme che è la sua testa. Un viaggio introspettivo, fatto di strano e inusuale. Pieno di male e vita. Pieno di aria, libera più di chiunque altro.
0 notes
Video
youtube
LA BO DU JOUR
Shadow. Musique de Carlo Savina pour Ombre Roventi (1970). Un film de Mario Caiano.
1 note
·
View note
Photo
Krista Nell in Shadow of Illusion (Mario Caiano, 1970)
178 notes
·
View notes
Photo
Shadow of Illusion (Mario Caiano, 1970)
105 notes
·
View notes
Photo
Daniela Giordano in Shadow of Illusion (Mario Caiano, 1970)
#she's so beautiful..#daniela giordano#shadow of illusion#ombre roventi#mario caiano#horrorstills#caps
55 notes
·
View notes