#oggi ecologia
Explore tagged Tumblr posts
Photo
PRIMA PAGINA Il Piccolo di Oggi domenica, 01 dicembre 2024
#PrimaPagina#ilpiccolo quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi ecologia#piccolo#nuovo#sito#aleppo#ruga#vecchio#sanita#corsia
0 notes
Text
Il fondatore di Greenpeace
«Vi svelo la truffa ambientalista»
Uno dei padri dell’organizzazione: «La sinistra, capito che attorno all’ambientalismo girano soldi e potere, ne ha traviato la missione L’obiettivo è stato fare da megafono all’apocalisse climatica, con l’uomo unico responsabile da punire.
25 Apr 2024 FRANCO BATTAGLIA
Studioso, ecologista e leader di lungo corso nel campo ambientale internazionale, Patrick Moore, con un dottorato di ricerca in Ecologia dall’Università della British Columbia e un dottorato di ricerca onorario dalla North Carolina State University, è considerato uno dei più qualificati esperti di ambiente al mondo. Nel 1971 fondava Greenpeace, la più grande organizzazione di attivisti ambientali del mondo, ma l’ha lasciata nel 1986.
Come mai l’ha lasciata, dottor Moore?
«Greenpeace è stata “dirottata” dalla sinistra politica quando ha capito che c’erano soldi e potere nel movimento ambientalista. Gli attivisti politici di sinistra in Nord America e in Europa l’hanno trasformata da organizzazione scientifica a un’organizzazione politica di raccolta fondi. Oggi gli ambientalisti si concentrano principalmente sulla creazione di narrazioni progettate per infondere paura e sensi di colpa nel pubblico in modo che il pubblico invii loro denaro».
Cosa pensa dell’Ipcc, il Comitato dell’Onu sul clima? Fa scienza?
«L’Ipcc assume scienziati per fornire loro “informazioni” che supportino la narrazione dell’emergenza climatica. Le loro campagne contro i combustibili fossili, l’energia nucleare, la CO2, la plastica, etc., sono fuorvianti e mirano a far credere alla gente che il mondo finirà, a meno che non paralizziamo la nostra civiltà e distruggiamo la nostra economia. Sono ormai un’influenza negativa sul futuro dell’ambiente e della civiltà umana. Oggi la sinistra ha adottato molte politiche che sarebbero molto distruttive per la civiltà perché non sono tecnicamente realizzabili. Basti pensare all’incombente crisi energetica, una crisi che hanno creato loro stessi, rifiutandosi, opponendosi all’energia nucleare e adottando una posizione impossibile sui combustibili fossili in generale».
L’uomo è il nemico del pianeta…
«Già. Secondo i leader ambientalisti gli esseri umani sono i nemici del pianeta e della Natura. Secondo la nuova filosofia dominante, il mondo sarebbe migliore se esistesse meno gente. Ma le persone che dicono questo non si sono offerte volontarie a essere le prime ad andarsene».
Come accadde che lasciò Greenpeace?
«Ero uno dei 6 direttori di Greenpeace International, e l’unico ad avere una formazione scientifica formale, laurea con lode in scienze e foreste e dottorato in ecologia. I miei colleghi direttori decisero che Greenpeace avrebbe dovuto iniziare una campagna per “bandire il cloro in tutto il mondo”. Ma l’aggiunta di cloro all’acqua potabile, alle piscine e alle terme è stato uno dei progressi più significativi nella storia della sanità pubblica nel prevenire la diffusione del colera. Inoltre, circa l’85% dei prodotti farmaceutici è prodotto con chimica legata al cloro e circa il 25% di tutti i nostri farmaci contiene cloro.
Tutti gli alogeni, compresi cloro, bromo e iodio, sono potenti antibiotici, e senza di essi la medicina non sarebbe la stessa. Invece i miei colleghi pretendevano che il cloro passasse come l’elemento del diavolo” e che il Pvc, cloruro di polivinile, fosse etichettato come “la plastica velenosa”. L’obiettivo era di spaventare il pubblico. Inoltre, questa politica sbagliata rafforza l’atteggiamento secondo cui gli esseri umani non sono una specie degna e che il mondo starebbe meglio senza di loro. Non sono riuscito a convincere i miei colleghi di Greenpeace ad abbandonare questa politica sbagliata. Questo è stato il punto di svolta per me».
Una delle narrazioni di Greenpeace riguarda la scomparsa degli orsi polari
«Il Trattato internazionale sugli orsi polari, firmato da tutti i Paesi polari nel 1973 per vietare la caccia illimitata all’orso bianco, non viene mai citato dai media, da Greenpeace o dai politici che affermano che l’orso polare si sta estinguendo a causa dello scioglimento dei ghiacci nell’Artico. In realtà, la popolazione di orsi polari è aumentata da 6.000-8.000 esemplari nel 1973 a 30.000-50.000 oggi. L’obiettivo della narrazione è sostenere la teoria dell’apocalisse ambientale. Gli Aztechi gettavano le vergini nei vulcani, e gli europei e gli americani hanno bruciato le donne come streghe per 200 anni, sostenendo che così si sarebbe salvato il mondo. Gli esseri umani sono animali sociali con una gerarchia, ed è più facile ottenere una posizione elevata usando la paura e il controllo. La teoria dell’apocalisse ambientale riguarda soprattutto il potere e il controllo politico. Oggi, nei Paesi più ricchi, si stanno prendendo decisioni che i nostri nipoti dovranno pagare. È normale che le persone abbiano paura del futuro perché è sconosciuto e pieno di rischi e difficili decisioni. Alle giovani generazioni di oggi viene insegnato che gli esseri umani non sono degni e stanno distruggendo la Terra. Questo indottrinamento li ha fatti sentire colpevoli spingendoli a vergognarsi di sé stessi».
Perché è stata presa di mira la CO2?
«Il mondo si sta riscaldando dal 1700 circa, e l’ha fatto per due secoli prima dell’utilizzo dei combustibili fossili. Il 1700 è stato l’apice della Piccola era glaciale, un paio di secoli molto freddi che hanno patito scarsi raccolti e fame. Prima di allora, intorno al 1000 d.C., c’è stato il Periodo caldo medievale, quando i vichinghi coltivavano la Groenlandia. Alcuni credono che la CO2 sia la causa principale del riscaldamento degli ultimi decenni. Ma sono principalmente scienziati pagati da politici e burocrati, da media che fanno notizia o da attivisti che fanno soldi. Se l’anidride carbonica fosse la causa principale del riscaldamento, allora dovrebbe esserci un aumento della temperatura in corrispondenza dell’aumento della CO2, ma non è stato così. Inoltre, la CO2 è alla base di tutta la vita sulla Terra e la sua concentrazione nell’atmosfera oggi è più bassa di quanto sia stata per la maggior parte dell’esistenza della vita. L’aumento della CO2 è correlato all’aumento della vegetazione: quasi tutti i coltivatori di serre commerciali in tutto il mondo acquistano CO2 da iniettare nelle loro serre per ottenere raccolti con rese superiori fino al 60%. Gli allarmisti climatici preferiscono discutere delle conoscenze climatiche solo a partire dal 1850. Il periodo precedente viene definito “età preindustriale”. Questa “età preindustriale” è durata più di 3 miliardi di anni, quando la vita era presente sulla Terra. In quel periodo si sono verificati molti cambiamenti climatici, tra cui ere glaciali, ere temperate, grandi estinzioni. Oggi la Terra si trova nell’era glaciale del Pleistocene, iniziata 2.6 milioni di anni fa. Siamo ancora nel Pleistocene, per quanto gli allarmisti climatici vogliano negarlo.
La grande ironia dell’attuale panico climatico è che la Terra è più fredda oggi di quanto lo sia stata per 250 milioni di anni prima dell’inizio del Pleistocene. E la CO2 è più bassa oggi che nel 95% della storia della Terra. Ma non lo saprete mai se ascoltate solo tutte le persone che traggono vantaggio dalla menzogna del cambiamento climatico antropico».
Vogliono azzerare l’uso dei combustibili fossili…
«Non possiamo fermare l’aumento dell’uso dei combustibili fossili o ridurre le emissioni di CO2. Nel 2015, mentre partecipavo alla Cop (Conferenza delle parti) di Parigi, ho offerto una scommessa pubblica di 100.000 dollari in un comunicato stampa diffuso da oltre 200 media, secondo cui entro il 2025 le emissioni globali di CO2 sarebbero state superiori a quelle del 2015. Nessuno ha voluto scommettere con me. Russia, Cina e India rappresentano il 40% della popolazione mondiale e non sono d’accordo con l’agenda anticarbonio. Se aggiungiamo Brasile, Indonesia e la maggior parte dei Paesi africani, la maggioranza della popolazione mondiale non è preoccupata dal clima. Un’altra grande ironia è che molti Paesi con i climi più freddi, come Canada, Svezia, Germania e Regno Unito, sono i più preoccupati per il riscaldamento».
Vogliono produrre energia solo con fotovoltaico ed eolico…
«Le tecnologie fotovoltaica ed eolica sono entrambe molto costose e molto inaffidabili. È incredibile che a così tante persone sia stato fatto il lavaggio del cervello per pensare che interi Paesi possano essere sostenuti con queste tecnologie. Esse sono i parassiti di un’economia più ampia. In altre parole, rendono il Paese più povero rispetto al l’utilizzo di altre tecnologie più affidabili e meno costose. I fornitori di energia eolica e solare godono di sussidi governativi, sgravi fiscali e normative che obbligano i cittadini ad acquistare energia eolica e solare anche se più costosa, con il pretesto che è “rispettosa dell’ambiente”. Milioni di persone pagano di più per l’energia eolica e solare mentre poche persone si stanno arricchendo a spese dei primi. È una colossale frode. Senza contare che parchi eolici e solari utilizzano grandi quantità di combustibili fossili per l’estrazione, il trasporto e la costruzione. E in molti luoghi non producono, nel corso della loro vita, l’energia necessaria per costruirli e mantenerli».
Gli ambientalisti ce l’hanno anche con la plastica...
«La plastica non è un materiale tossico. Ed è per questo che se ne fa così largo uso!».
9 notes
·
View notes
Text
Il documentario di Giulia Innocenzi "Food for profit" può essere visto come una serie di giusti motivi per diventare vegani, ma anche come una serie di consigli su come non fare comunicazione politica nel 2024.
(E') anche la spia di questa infantilizzazione della complessità che sta soffocando le ragioni dell’ecologia, facendoci sembrare tutti degli imbecilli a cui non affideresti nemmeno un agriturismo, figurarsi la nuova rivoluzione industriale.
Food for Profit è un lungo servizio delle Iene spacciato per documentario (...). Per questo metodo di giornalismo, tutto il mondo è Gotham City. Buoni contro cattivi. Non esiste contesto, esistono solo giustizieri. (...).
(L)a complessità, un pensiero su come si fa questa transizione proteica su scala europea, una cosa così complessa da far sembrare la decarbonizzazione dell’energia davvero un’assemblea di condominio. (L)a continua soggettiva alla Michael Moore di Innocenzi, come se Moore non avesse fatto già abbastanza danni e fosse ancora il 2009. Guarda me, guarda la mia sete di giustizia, guarda come li metto tutti a nudo.
via https://www.rivistastudio.com/food-for-profit-giulia-innocenzi/
Ecologia modello influencer: guardatemi dove vi porto oggi. Detto da ambientalisti è parzialmente confortante: non ci sono solo quelli 1.0 alla Innocenzi, si sono finalmente unmuted anche quelli evoluti, 1,5.0 diciamo.
OT, quel "tutto il mondo (Occidentale) é Gotham City", in che altri contesti l'abbiamo sentita usare? E' il metodo ciò che unifica i cialtroni sociali di ogni origine e censo: non c'è più dex e sin, è oramai tutto un humus per m5s 2.0 come se nulla fosse successo. Del resto la memoria sta nei giga degli smartphone e l'intelligenza è artificiale.
2 notes
·
View notes
Text
Cecilia Vicuña
La donna di oggi è Cecilia Vicuña, artista visiva, poeta e attivista cilena, nota per le sue performance poetiche che rivendicano la sua identità femminile provando a riscrivere la storia della cultura indigena.
È creatrice di una poetica speciale che interseca arte e coscienza ecologica.
Il suo lavoro porta avanti conoscenze millenarie attualizzate con performance, film, installazioni, sculture, libri e gesti della vita quotidiana.
Ha scritto 25 libri di arte e di poesia, tradotti in sette lingue e anticipato i più recenti dibattiti su ecologia e femminismo decoloniale, immaginando nuove mitologie personali e collettive. Molte delle sue installazioni sono realizzate con materiali trovati e detriti abbandonati che intesse in delicate composizioni, nelle quali il microscopico e il monumentale trovano un fragile equilibrio, la sua arte è precaria, intima e, insieme, potente.
I suoi dipinti si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna indigena.
Oggi le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei tra cui il Guggheneim, il MoMa, la Tate, il Museo d’Arte Latinoamericana di Buenos Aires e il Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago del Cile.
È nata a Santiago del Cile il 27 luglio 1948 in una famiglia di artisti e intellettuali. Dal 1966, dopo aver iniziato con tele astratte, ha iniziato a lavorare a un progetto che ancora oggi porta avanti, le precarios, sculture assemblate con materiali da recupero, esposte agli agenti atmosferici e alle maree.
Nel 1967 ha fondato il suo primo gruppo, Tribu No, che realizzava azioni artistiche collettive nella città di Santiago.
Nel 1968 ha pubblicato il suo primo poema sul periodico messicano El Corno Emplumado.
Dagli anni ’70, il suo lavoro si è confrontato visivamente e poeticamente con i rituali dell’America latina, delle popolazioni aborigene australiane, del Sudafrica e dell’Europa paleolitica. Le sue esibizioni, installazioni site-specific, quipu, sculture, dipinti, disegni e testi legano il filo rosso al sangue mestruale e alla continuità della vita.
Dopo aver esposto per la prima volta al Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago ed essersi laureata in Belle Arti, nel 1972 è partita per Londra per specializzarsi alla Slade School of Fine Art.
Si trovava in Gran Bretagna quando, l’11 settembre 1973, c’è stato il violento colpo di stato militare contro Salvador Allende guidato da Pinochet e ha chiesto asilo politico.
L’anno seguente ha fondato il gruppo Artists for Democracy per raccogliere fondi per la Resistenza cilena e organizzato il Festival of Arts for Democracy in Chile che ha visto partecipare 320 artisti e artiste internazionali tra cui Julio Cortázar, Christo e Sol LeWitt. Durante il Festival erano stati denunciati i soprusi commessi dalla dittatura militare di Pinochet e dalle altre dittature dell’America Latina e la violazione dei diritti umani.
Nel 1975 si è trasferita a insegnare storia dell’arte e poesia latinoamericana all’università di Bogotà, ha lavorato in ambito teatrale e condotto laboratori artistici con la comunità guambiana della Valle del Cauca, esperienza che l’ha portata ad approfondire il suo legame con la cultura indigena.
Quando al Concorso nazionale di poesia Eduardo Coté Lamus le è stato negato il premio a causa del tono erotico e irriverente della sua opera, è partita una serie di azioni artistiche di protesta che le hanno dato grande fama.
A questo periodo risalgono le Palabrarmas, neologismo che unisce le parole (palabra) con le armi (armas), concretizzate attraverso varie tecniche artistiche che spaziano dal disegno alla performance, dalla scrittura ai film, come risposta poetica alla distorsione del linguaggio e alla violenza delle menzogne.
Nel 1980 ha realizzato il suo primo documentario, ¿Qué es para usted la poesía? (Cos’è per voi la poesia?), oggi nella collezione del MoMA.
A New York ha collaborato con il periodico Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics, leggendario gruppo di artiste e intellettuali femministe.
Nel 1981 ha esposto per la prima volta al MoMA, nella collettiva Latin American Video.
Tra i viaggi in giro per l’America Latina e gli Stati Uniti, producendo reading, performance poetiche e esposizioni, non ha mai smesso di scrivere libri.
Nel 1995 ha tenuto il primo seminario con la comunità rurale di Caleu, in Cile, per promuovere la riscoperta delle conoscenze ancestrali dando origine a un metodo di educazione decolonizzatrice che ha chiamato Oysi, titolo che ha dato alla sua organizzazione senza scopo di lucro.
Nel 1997 è stata pubblicata la biografia The Precarious. The Art and Poetry of Cecilia Vicuña. L’anno successivo ha realizzato la prima mostra multimediale Cloud-net, dedicata al riscaldamento globale e all’estinzione delle specie e delle civiltà, temi che denuncia e porta avanti, instancabile, in ogni suo lavoro.
Numerose sono state le esposizioni e retrospettive tenute in giro per il mondo e le conseguenti acquisizioni da parte dei più importanti enti museali internazionali.
Nel 2015 è stata nominata Messenger Lecturer per il Dipartimento di Antropologia della Cornell University per contribuire all’«evoluzione della civiltà con lo scopo specifico di elevare lo standard morale della nostra vita politica, commerciale e sociale».
Nel 2017 ha partecipato a documenta 14, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea nel mondo.
Nel 2018 ha ricevuto il premio Achievement Award assegnato da Cisneros Fontanals Art Foundation ed è stata nominata Sherry Memorial Poet in Residence 2018 per il Programma di poesia e poetica dell’Università di Chicago.
Nel 2019 ha ricevuto il Premio Velázquez di arti plastiche assegnato dal Ministero della cultura e dello sport della Spagna.
Al Centro Cultural España di Santiago del Cile, ha presentato Minga del Cielo Oscuro, convocando personalità del mondo dell’arte, astronomia, archeologia, musica ed etnomusicologia per riflettere sull’oscurità del cielo notturno e sulle molteplici conseguenze ecologiche, neurologiche e sociali della sua scomparsa.
Il 23 aprile 2022 è stata la prima artista cilena a ricevere il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Per l’occasione ha realizzato l’installazione site specific NAUfraga, dedicata alla fragilità (fraga) della laguna.
Il 3 maggio 2023 ha ricevuto la Laurea honoris causa dall’Università del Cile.
Per i suoi meriti, la poetica, l’instancabile ricerca e il fervente attivismo, si può considerare tra le più interessanti protagoniste dell’arte contemporanea.
3 notes
·
View notes
Text
Novità.
Ieri quasi alla fine del turno il proprietario mi chiede se so fare le pizze, non essendo il tipo che si vanta gli dico solo si certo, poi precisa ma con la pressa, gli dico che non sembra difficile, quindi mi invita a parlare un attimo in sala. Mi dice :"Il tuo contratto finisce a metà Settembre, ma se impari a fare le pizze puoi intanto dare il cambio alle ragazze, si fa per dire, e restare fino alla fine di ottobre, ma c'è anche il fatto che Roza (una delle ucraine) dopo un anno che lavora qua non sa ancora le ricette delle pizze, fa le pizze a fantasia e non so se la tengo, magari puoi sostituirla?", dico che posso provarci senza esagerare, penso che sia na cazzata in realtà e che la parte difficile è imparare gli ingredienti che sono tanti da mettere sopra le pizze, chiude dicendomi che la prossima settimana magari con l'aiuto di Valve, che sarebbe il nome della head chef e non la casa di software, che sa fare tutto, ok, ok. Sinceramente avrei preferito chiudere a Settembre e dedicarmi alla musica anche perché l'orario delle pizzaiole è più lungo e con più giorni, si ok sono soldi, ma il tempo per me è musica e non denaro, potrei anche dire di no e dirgli che preferisco terminare il contratto, ma diciamo che non navigo nell'oro e che la musica è sempre presente come lo è sempre stata, quindi penso che accetto e magari mi faccio sto mese e mezzo in più e poi si vede.
Cambiando discorso, oggi leggo che i giornalisti/e di Repubblica prendono le distanze dall'articolo di Elkann sui lanzichenecchi, vorrei vedere, a mio modesto parere sembra la lamentela di un vecchio che però è il padre dell'editore quindi dice al figlio (da leggere con la R moscia stile Agnelli) "Pubblicami questo articolo su questi ragazzacci irriverenti che c'erano sul treno", "Ma papi, sei sicuro cioè so ragazzi dai", "Tu fallo, son pur sempre tuo padre", secondo me è andata così. Mentre un certo Molinari, forse quello della Sanbuca, al Giffoni dice, copio e incollo "La scuola anglosassone insegna che più i contenuti intellettuali sono controversi e più fanno discutere, più sono positivi. Credo che la discussione che ha innescato sia stata profondamente positiva. La controversia c’è stata, dirompente, e in qualche maniera ha testimoniato la validità della pubblicazione", si ok ma non penso sia questo il caso, sembra più uno di quei commenti sui social dei classici ignoranti che si lamentano di qualcosa che a loro da fastidio senza pensare che il mondo cambia.
Altro articolo su Ansa, quello di prima era sul Tempo, è sull'ecoansia, parola composta da eco, penso da ecologia, e ansia che è la combinazione di varie emozioni forti come paura, apprensione e preoccupazione. L'articolo dice che è un nuovo mal essere che sta iniziando a colpire gli Italiani e soprattutto i giovani, ah. Quindi il fatto che ci siano svariati articoli di "allarmi meteo", a sto punto penso che i tg siano inondati (mi sembra il termine adatto) di servizi ad hoc sulle catastrofi naturali degli ultimi tempi, giusto? Quindi è l'ennesima proiezione a esagerare un evento come per esempio il caldo, d'estate fa caldo, o i cambiamenti climatici che portano a bombe d'acqua improvvise, che poi se uno guarda il cielo lo vede che c'è un nuvolone nero e minaccioso che si avvicina, ah dimenticavo che oramai gli occhi sono solo puntati agli schermi dei telefoni. L'umanità ha perso tutto anche il coraggio di affrontare la natura, non ho mai visto un animale avere paura della pioggia, anche se tanta, loro fa un baffo se piove, se è tanta si infilano da qualche parte tanto sanno che passerà. No il mio non è cinismo, ma puro sprezzo del pericolo, come un pompiere non ho paura e mi sono trovato in situazioni in Marina militare dove il mare poteva diventare una tomba, ci vuole sangue freddo, eliminare la paura ti aiuta a sopravvivere, come dici? Non è facile? Beh se sei abituato/a a pisciarti sotto ogni cazzata ovvio che non è facile. L'uomo è un animale ma da quando è uscito dalla catena alimentare e crede di essere più forte della natura, quando in realtà non lo è, è iniziata questa sorta di paura verso quello che non si conosce, la natura appunto. Cosa succedesse se arrivasse il diluvio universale? Pioggia a dirotto per mesi, oppure un bel cataclisma tipo un fortissimo terremoto con tutti i vulcani che eruttano contemporaneamente e rendono l'aria pregna di gas e nubi che oscurano il sole? Lo so cosa fareste, anche quelli che si professano atei, iniziereste a pregare invece di risolvere il problema, avete perso la bussola.
1 note
·
View note
Text
Riavviare il sistema, di Valerio Bassan
La rete è diventata una «infrastruttura tecnologica multistrato che mira a succhiare quante più informazioni sensibili possibili, con l’obiettivo di renderci sempre più “utenti” e sempre meno “persone”», così scrive Valerio Bassan in Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla(parola quest'ultima volutamente al femminile perché, secondo lo stesso autore Internet andrebbe reso in italiano al femminile in quanto traduzione di “rete”, net), questo è il titolo del suo primo libro uscito quest’anno per Chiarelettere Editore. Il libro di Valerio Bassan può a tutti gli effetti essere considerato un manifesto per scrivere insieme il prossimo capitolo del mondo digitale. Nel video, disponibibile su vorticitv.it, la presentazione completa in live streaming del libro di Valerio Bassan (l'intervista inizia dal minuto 07.16...): La promessa originaria di Internet è stata tradita. Nata come uno spazio infinito di libertà creativa e partecipazione democratica, questa tecnologia rivoluzionaria si è trasformata in una grande arena in cui vince chi applica le logiche commerciali più spietate. Ogni azione che oggi compiamo online – come informarci, comunicare, fare amicizia o acquistare qualcosa – rende sempre più ricchi gli oligarchi della rete e finisce per impoverire noi, i suoi abitanti. In questo libro, Valerio Bassan ricostruisce i processi capitalistici che hanno reso Internet un «luogo inabitabile», accompagnandoci in un viaggio ricco di disillusioni e colpi di scena. Nel mettere a nudo le dinamiche e le insidie che si celano dietro i nostri schermi, Valerio Bassan indica una possibile via per scardinare questo meccanismo e ricostruire un Internet più sostenibile e giusta, aiutandoci a capire come mettere in discussione – e ripensare – gli iniqui modelli di business che governano il web. Per farlo sarà necessario ripartire dalle basi, cambiando il modo in cui investiamo collettivamente tempo e attenzione, ma soprattutto maturando la consapevolezza che solo reclamando a gran voce i nostri diritti digitali saremo in grado di riscrivere il futuro della rete. Che Internet vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi? Noi di Vortici.it riteniamo sia una domanda non da poco... Un estratto del libro di Valerio Bassan tratto da Il Libraio.it Da “giardini” a “foreste”. Aprire le recinzioni del Web Suzanne Simard, oggi professoressa di Ecologia forestale all’Università della British Columbia, ha trascorso gran parte della sua carriera cercando di svelare il «segreto delle foreste». E ha scoperto che, nel sottosuolo di ogni bosco, esiste una complessa rete di interscambio che unisce gli alberi, mettendoli in comunicazione tra loro. Questo network simbiotico, denominato micorriza, è di tipo mutualistico: gli organismi coinvolti – alberi e funghi – portano avanti il loro ciclo vitale vivendo a stretto contatto e traendo benefici reciproci. Attraverso il network della micorriza le piante condividono alcune sostanze nutritive e riescono ad avvisarsi dell’arrivo di un pericolo incombente, inviando impulsi e segnali. In breve, comunicano. Grazie ai suoi studi, Simard è riuscita a dimostrare che le foreste funzionano come delle piccole società di interscambio, i cui rappresentanti portano avanti un percorso non esclusivamente finalizzato alla sopravvivenza, ma anche alla «negoziazione, alla reciprocità e persino all’altruismo». Internet oggi somiglia ben poco al network della micorriza. Ogni piattaforma tende infatti a comunicare solo con sé stessa, e cerca in tutti i modi di impedire che i suoi dati finiscano nelle mani di una concorrente. Le principali aziende tecnologiche si sono trasformate in super-app con steccati digitali sempre più alti, e un numero sempre maggiore di servizi al loro interno. E se in origine la rete permetteva a ogni nodo di scambiare informazioni con qualsiasi altro, oggi l’unico tratto comune delle piattaforme è la reciproca incompatibilità dei loro protocolli di comunicazione. Utilizzare linguaggi diversi da quello dei competitor permette a queste aziende di “murare” i nostri dati al loro interno, e quindi di trarne il maggior profitto possibile. Questo frammenta le nostre esperienze digitali. In un articolo David Pierce, editor-at-large di «The Verge», spiegava questo meccanismo per sottrazione: «Vi immaginate se aveste bisogno di un indirizzo Outlook per i vostri colleghi che usano Outlook e di un indirizzo Gmail per i vostri amici che usano Gmail, e poi di un account Hotmail solo per parlare con vostra zia Gertrude? Be’, attualmente i social funzionano così». Ma cosa succederebbe se, d’un tratto, tutte le app social e di messaggistica potessero parlarsi e scambiarsi informazioni in modo paritario, trasparente e gratuito? È questo il concetto su cui si fonda l’interoperabilità, che molti osservatori oggi ritengono possa essere la tecnologia alla base di un ripensamento degli attuali modelli centralizzati e monopolistici. Rendendo le piattaforme interoperabili, Internet potrebbe “micorrizarsi”: diventare una rete di interscambio continua tra i suoi attori, in cui i messaggi viaggiano tra “specie e specie” – o meglio, tra piattaforma e piattaforma e tra app e app – senza interruzioni di sorta, in base a uno spirito comune di condivisione e di mutualità. In questo nuovo Web, la nostra user experience sarebbe radicalmente diversa: potremmo per esempio utilizzare un’unica app per inviare e ricevere messaggi da chiunque sul Web, pubblicare contenuti su tutte le piattaforme in un solo click, trasportare i nostri follower da un social all’altro e seguire i creator cross-piattaforma, gestendo le nostre impostazioni di privacy attraverso una singola interfaccia. Ma soprattutto, potremmo impedire alle piattaforme di lucrare eccessivamente sui nostri dati, che diventerebbero condivisi tra più attori, e non più (o non solo) “proprietà privata” di qualcuno. Per spiegare cos’è l’interoperabilità, non c’è modo migliore che osservare il funzionamento di Mastodon. La piattaforma fondata nel 2016 dallo sviluppatore tedesco Eugen Rochko potrebbe, a prima vista, sembrare poco più di un clone di Twitter. In realtà Mastodon differisce dalla piattaforma di proprietà di Elon Musk in tre aspetti principali: è no-profit, è open source, e si regge su una struttura decentralizzata e interoperabile. Le sue community – chiamate “istanze” – sono ospitate su server indipendenti che possono essere gestiti da singoli individui, gruppi o organizzazioni. Chiunque può aprirne una e stabilire le proprie regole e i propri termini di servizio: ma soprattutto, ogni istanza può interagire con quella di qualsiasi altro server, e i loro iscritti possono scambiarsi messaggi e seguirsi a vicenda. Lo stesso approccio inter pares è applicato verso l’esterno del network di Mastodon. La piattaforma fa infatti parte del “fediverso”, una costellazione di social media e piattaforme noprofit che possono “parlarsi” e scambiarsi informazioni. Con il proprio account Mastodon un utente può esistere anche su altri social network decentralizzati che appartengono alla community, e questo senza perdere i propri contenuti e i propri follower. È come se il nostro account di Instagram ci permettesse di seguire anche il canale di una creator su YouTube, o di scambiare messaggi privati con qualcuno su TikTok, senza uscire dall’app, né dover cambiare piattaforma. Nel fediverso, poi, i nostri dati restano nostri: se decidiamo di chiudere un account e di migrare su un servizio “concorrente”, non perdiamo le persone che ci seguono né quelle che seguiamo. Il linguaggio che permette alla piattaforma di Mastodon di aprirsi al resto di Internet è ActivityPub, un protocollo che per molti osservatori potrebbe essere alla base della nuova “foresta” di Internet. Sebbene le radici di questo sistema di regole siano vecchie quanto il Web, la sua effettiva diffusione è piuttosto recente. ActivityPub è stato infatti introdotto nel 2018, quando il World Wide Web Consortium (W3C), l’organizzazione no-profit fondata da Tim BernersLee che si occupa di stabilire i requisiti tecnici del Web, lo ha suggerito ufficialmente come lo standard internazionale per il social networking. La popolarità di ActivityPub è in crescita: oltre a Mastodon anche PeerTube (un’alternativa a YouTube), Lemmy (un’alternativa a Reddit), Nextcloud (un servizio di hosting in cloud) e Pixelfed (una versione open source di Instagram) hanno adottato il protocollo. Anche Automattic, la società proprietaria di WordPress, il servizio più diffuso al mondo per la gestione di contenuti e la pubblicazione di siti web, ha cominciato a muovere i propri passi nel campo dell’interoperabilità: nella primavera del 2023 ha comprato Activity for WordPress, un plugin che permette ai gestori di blog di unirsi e comunicare con reti web distribuite come Mastodon. Nell’autunno dello stesso anno, poi, Automattic ha investito 50 milioni per assicurarsi Texts.com, un’applicazione universale che permette agli utenti di utilizzare tutte le app di messaggistica in un’unica “casella di posta” – permettendo comunicazioni multidirezionali e crittografate tra servizi concorrenti come iMessage, WhatsApp, Telegram, Signal, Messenger, Twitter, Instagram, Discord e LinkedIn. Persino Threads, un clone di Twitter lanciato da Meta nel luglio 2023, ha promesso di rendersi pienamente interoperabile e di adeguare la propria struttura per integrare il nuovo standard di ActivityPub; Flipboard e Medium, invece, hanno creato una propria istanza di Mastodon, e stanno invitando i propri utenti e curatori a pubblicare anche lì, oltre che sulla piattaforma principale. L’interoperabilità non è un concetto astratto: almeno in parte è già realtà. Le nostre caselle di posta elettronica ne sono un esempio. Sebbene esistano diverse applicazioni che ci permettono di inviare e ricevere le e-mail, ognuna è in grado di comunicare con le altre. Ma sviluppare l’interoperabilità del Web non ha soltanto l’effetto di abbattere le recinzioni tra i vari feed e canali di comunicazione: significa, soprattutto, separare l’interfaccia utente dai dati sottostanti Se applicata nel modo giusto, l’interoperabilità potrebbe garantirci una maggiore portabilità del dato. Ci consentirebbe di diventare proprietari dei nostri contatti e dei nostri interessi, e di sottrarre questo controllo ai server di una singola app. Nell’Internet interoperabile gli utenti mantengono il controllo dei propri dati, poiché non li cedono alle singole aziende tecnologiche – le quali perderebbero così buona parte del proprio potere dominante in favore di migliaia di piattaforme più piccole e interoperabili tra loro. Nessuna in grado di “prevalere” sulle altre, né particolarmente interessata a farlo: il nuovo giacimento sarebbe lo stesso per tutti e nessuno potrebbe reclamarne la proprietà. La piena interoperabilità prevederebbe, poi, una componente antagonistica. È quella che Cory to «adversarial interoperability»: la possibilità che ogni piattaforma, una volta “aperta”, permetta ad attori esterni non solo di comunicare con essa, ma anche di sviluppare applicazioni, plugin, e strumenti senza il consenso esplicito dei suoi gestori. Una libera infiltrazione da cui i giardini recintati si sono tenuti alla larga e che, secondo Doctorow, potrebbe fornire nuova spinta a un’innovazione tecnologica più equa e distribuita. Naturalmente, affinché tutto questo raggiunga una massa critica sufficiente, potrebbe volerci molto tempo. Le piattaforme monopolistiche non hanno alcun interesse a rendere completamente interoperabili i propri sistemi, mettendo in crisi il loro business. Mastodon, che pure ha beneficiato dell’esodo da X scatenato dalle nuove policy di Elon Musk, ha appena 10 milioni di utenti registrati e circa 2 milioni di utenti attivi. Per rendere il fediverso “universale” ci vorranno anni, investimenti, e regole nuove. Come quella che l’Europa ha approvato nel novembre 2023, l’Interoperable Europe Act, con cui si punta a rendere disponibili i principali servizi pubblici a tutte le persone nell’UE senza discriminazioni. L’atto garantirà la possibilità di sviluppare servizi digitali interoperabili e riutilizzabili, come software open source, linee guida comuni, framework e strumenti informatici condivisi a livello statale, ma potrebbe diventare una sorta di mappa estendibile anche al settore privato. Nel documento, una frase riassume come poche altre i vantaggi del nuovo modello: «L’obiettivo dell’interoperabilità è raggiungere insieme obiettivi comuni».9 Trasformare gli attuali “giardini” delle piattaforme in “foreste” aperte e comunicanti tra loro, come quelle scoperte da Suzanne Simard, sarebbe un approccio radicalmente diverso rispetto a quello cui siamo stati abituati negli ultimi due decenni. Significherebbe la fine dei walled garden in favore di un ecosistema più libero, e probabilmente più giusto. Ulteriore approfondimento su siamomine.com Immagine di copertina: https://www.chiarelettere.it/news/la-promessa-originaria-di-internet-e-stata-tradita-ecco-da-dove-ripartire-il-libro-di-valerio-bassan.html Read the full article
0 notes
Text
Cosenza: i Carabinieri restituiscono 83 beni culturali sequestrati
Cosenza: i Carabinieri restituiscono 83 beni culturali sequestrati Nella mattinata del 18 aprile, presso il Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna, il Comandante del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza ha consegnato al Soprintendente A.B.A.P. per le province di Catanzaro e Crotone 83 beni culturali, recuperati nell’ambito di attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica di Crotone. L’evento si è svolto alla presenza del Prefetto Vicario di Crotone, del Procuratore Capo della Repubblica di Crotone, del Comandante della Legione Carabinieri Calabria, del Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna e delle Autorità civili, militari e religiose cittadine. I beni culturali, consistenti in preziosi reperti archeologici, paleontologici e un antico cannone navale del XVII sec. d.C., sono stati recuperati nel corso di due distinte indagini, condotte dal Nucleo Carabinieri T.P.C. di Cosenza tra maggio 2017 e luglio 2018 e da dicembre 2021 ad agosto 2023. La prima attività d’indagine ha permesso di disarticolare un sodalizio criminale, operante su scala nazionale ed internazionale (con ramificazioni in Gran Bretagna, Francia, Germania e Serbia), dedito alla commissione dei reati di danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, ricettazione ed esportazione illecita e nella fase conclusiva sono stati eseguiti un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 23 persone e 80 decreti di perquisizione a carico di altrettanti soggetti indagati in stato di libertà. La seconda, invece, originata da un controllo nelle aree immediatamente adiacenti al Parco archeologico di Capo Colonna, nel corso del quale è stata casualmente notata la presenza del cannone riutilizzato come ornamento all’interno della corte di un’abitazione privata, ha consentito il deferimento all’A.G. di una persona per il reato di ricettazione e il recupero di numerosi reperti archeologici e paleontologici, nonché dello stesso cannone, beni illecitamente sottratti nel corso degli anni al patrimonio nazionale. Entrambe le suddette attività investigative sono state svolte in stretta collaborazione con i funzionari archeologi della Soprintendenza A.B.A.P. per le province di Catanzaro e Crotone e i docenti del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria di Arcavacata di Rende (CS), grazie ai quali è stato possibile stabilire la natura e la provenienza di tutti i beni culturali recuperati. I materiali sequestrati sono complessivamente databili tra l’età del ferro e l’età romana e trovano stretti confronti con quelli rinvenuti a Torre del Mordillo (Spezzano Albanese, CS), oggi conservati al Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza, o presenti nell’area archeologica di Capo Colonna e nei fondali marini antistanti. Sono presenti oggetti metallici, strumenti per la tessitura (fuseruole e pesi da telaio), reperti vascolari (anfore, contenitori d’uso comune per cibi e bevande) ed elementi architettonici. Tra questi ultimi si segnalano per importanza alcuni frammenti di tegole in marmo greco paragonabili a quelle conservate nel Museo di Capo Colonna che dal V secolo a.C. coprivano il santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna, oggetto di spoliazione in età romana. Databile al V secolo a.C. è anche un frammento di lastra di rivestimento in terracotta con decorazione a palmetta che trova un confronto diretto con quella superstite dell’Edificio B di Capo Colonna. Ancora all’area di Capo Colonna, e in particolare alla domus romana di I secolo a.C. è da attribuire una base in pietra. Anche i beni fossili provengono da successioni sedimentarie mio-plioceniche della medesima area geografica di Capo Colonna, mentre il cannone era stato asportato proprio dai fondali marini antistanti detta località. La restituzione al patrimonio dello Stato dei beni culturali recuperati è frutto di azioni complesse, compiute in stretta sinergia con gli organi centrali e periferici del MiC, nonché dell’impegno e la professionalità di donne e uomini, militari e civili, altamente specializzati nello specifico settore, che hanno consentito di salvare importanti testimonianze dell’identità collettività che ci raccontano la loro storia e, di riflesso, la nostra.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Riapre 'Don Alfonso 1890' e sposa ecologia e lusso
Ai nastri di ripartenza il Don Alfonso 1890 che riapre oggi, 28 marzo, dopo un restyling del ristorante, nei suoi 50 anni di attività a Sant’Agata dei Due Golfi (Napoli). Tempio consacrato alla Dieta mediterranea e simbolo del patrimonio gastronomico italiano l’insegna guidata dalla famiglia Iaccarino è uno storico punto di riferimento nell’ambito della ristorazione e dell’accoglienza. “Oggi si…
View On WordPress
0 notes
Text
LO SPECIALISTA DEL RIPOSO DI NATURA
Pepino Materassi di Chivasso con il suo nuovo DEP sono il punto vendita Dorsal del mese
Questo mese andiamo a scoprire il nuovo allestimento Dorsal Experience Point di Pepino Materassi di Chivasso, in provincia di Torino. Il negozio di Stefano Pepino è un'attività storica (siamo alla terza generazione), dove dal 1911 la passione per il riposo ed il benessere delle persone è rimasta inalterata. Una collaborazione, quella con Dorsal, che dura da oltre 20 anni.
“Lo scorso anno - fa sapere il titolare - abbiamo ristrutturato il negozio realizzando il nuovo DEP, uno spazio espositivo tutto dedicato a Dorsal: una ventata di freschezza che è piaciuta a tutti”.
L’area Dorsal è molto ampia, con i suoi oltre 140 mq in cui vengono esaltati tutti i suoi prodotti: dai guanciali ai sistemi letto, dalle reti ai letti contenitore.
“Il risultato - ha commentato Pepino - è stato un ringiovanimento del punto vendita e uno spazio in cui l’impronta Dorsal legata ad ecologia e sostenibilità è molto chiara”.
Tra i best seller nelle vendite, Pepino elenca la linea Elisir, con in testa, Elisir 5000.
“È il nostro materasso più venduto in assoluto - ha dichiarato - quello che consigliamo a chi ama il comfort e l’accoglienza con un buon grado di sostegno: un prodotto eccezionale”.
Il negozio ha un'esperienza ultra decennale nel bedding D’altra parte il motto di Stefano Pepino è chiaro: "quando il riposo è sempre di qualità".
Oggi il negozio è diventato un vero punto di riferimento in Piemonte e non solo, grazie ai valori riconosciuti come la competenza, la professionalità e la grande qualità dei prodotti venduti.
Nel Dorsal Experience Point sono esposti e si possono provare materassi, guanciali, reti e letti tessili.
Un’ampia scelta per chi vuole trovare il proprio sistema letto “ideale”, in grado di garantire un ottimo livello di comfort.
“I riscontri sui prodotti Dorsal - ha dichiarato - sono sempre positivi. Recentemente abbiamo venduto un materasso Elisir 5000 ad un professore di latino che abita in zona e dopo tre settimane è ripassato a trovarci per ringraziarmi, e ci ha detto che secondo lui dormire sul materasso Dorsal è come dormire su una nuvola. Ci è piaciuta talmente tanto questa espressione, che l’abbiamo scelta come slogan per una pubblicità andata in onda sulle tv e radio locali”.
Il negozio collabora anche con i fisioterapisti AIFI (Associazione Italiana Fisioterapia) e organizza delle giornate a tema con questi specialisti del riposo.
“Rileviamo poi - ha concluso - come da parte della nostra clientela, ci sia un interesse sempre maggiore nei confronti delle reti motorizzate, anche da parte di un pubblico giovane, questo anche grazie a Dorsal che rende possibile utilizzare le reti motorizzate anche nei suoi letti contenitore. Sicuramente svilupperemo questo interesse, proponendo e consigliando sempre di più le reti motorizzate Dorsal”.
Il negozio Pepino Materassi è aperto dal Lunedì al Sabato dalle ore 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:30 Giorno di chiusura la Domenica. Si trova in Stradale Torino 135 a Chivasso (Torino).
Tel. n. 011/9173362 – 011/9102377, email: [email protected]
Per informazioni: www.pepinomaterassi.it
#dormire#dorsalmaterassi#bed#dorsal#sleeping#materassi#bedding#negozio#fisioterapia#torino#Pepino Materassi#Chivasso#eliris5000
0 notes
Text
Ecologo marino, ricercatore e divulgatore, Andrea Bonifazi è autore di Ventimila specie (o quasi) sotto il mare. Viaggio nella biodiversità del Mediterraneo, tra dune, abissi e alieni, un libro edito da Sperling & Kupfer e che, assieme alle belle illustrazioni di Viola Baroni, conduce il lettore/lettrice alla scoperta di affascinanti ecosistemi, di «specie ancora non descritte, adattamenti inimmaginabili e animali dalle morfologie degne dei più assurdi B-movie di fantascienza». Si tratta di un viaggio sorprendente che prende avvio dal Mar Mediterraneo, partendo dall’ambiente delle dune, attraversa le spiagge emerse, le pozze di scogliera, il litorale, fino ad arrivare sempre più giù, alle profondità abissali dove regna l’oscurità. Andrea, quando nasce la tua passione per il mare? La mia passione è ultratrentennale (sono del 1986) in quanto sin da bambino sono stato profondamente attratto da questi argomenti, complice il fatto che anche i miei genitori hanno sempre avuto il medesimo amore per la Natura. Ogni estate passavo lunghi periodi al mare, dove potevo osservare estasiato il brulicare di piccoli animaletti che, tra uno scoglio e una pozza, popolavano le spiagge in cui andavo. Ma a terra lo stupore non diminuiva, avendo da sempre una grandissima passione anche per gli insetti e tutti gli altri artropodi che convivono con l’essere umano e ai quali spesso non diamo peso. Inoltre, quando avevo sette anni, è uscito al cinema Jurassic Park - ad oggi ancora il mio film preferito - che per me ha rappresentato un importante crocevia, facendomi appassionare non solo ai dinosauri, ma in generale alla paleontologia e alla ricerca. Oggi, avendo conseguito un dottorato in Ecologia Marina, chiaramente osservo il mondo marino con maggiori competenze, mantenendo tuttavia il medesimo stupore di quando ero bambino, aspetto basilare anche per le mie attività di ricerca. Si parla spesso di biodiversità del territorio, pensando a boschi e montagne, dimenticando gli ambienti marini. Quanta vita “sottomarina” non conosciamo? Conosciamo una parte infinitesimale della biodiversità marina e si potrebbe dire che, sotto alcuni punti di vista, abbiamo maggiore conoscenza del suolo lunare che dei fondali oceanici. E non serve andare in luoghi sperduti per imbatterci in una vita sottomarina “sconosciuta”; lo stesso Mar Mediterraneo, troppo spesso sottovalutato, è zeppo di specie ancora da scoprire. Spesso mi capita di segnalare specie precedentemente mai osservate nelle nostre acque, ma non è raro neppure imbattersi in specie totalmente nuove per la scienza: meno di due anni fa, assieme ad alcuni miei amici, nonché riconosciuti professionisti del settore, abbiamo descritto una specie di polichete (un verme marino, per capirci) fino a quel momento totalmente sconosciuta alla scienza, dandole il nome Trophoniella cucullata. Questa enorme biodiversità risiede nelle caratteristiche del Mar Mediterraneo: nonostante abbia dimensioni estremamente ridotte - appena lo 0,82% della superficie di tutti i mari e oceani della Terra e lo 0,32% circa del loro volume totale - ospita il 7,5% della fauna marina mondiale e addirittura il 18% della flora marina mondiale. Peraltro molte di queste specie sono endemiche del Mare Nostrum, il che significa che sono presenti solo ed esclusivamente qui. È evidente che i mari, che costituiscono quasi tre quarti della superficie terrestre, rappresentano un mondo ancora largamente inesplorato e che continuerà a regalarci meravigliose scoperte. Ecco perché dovremmo sempre rispettarli e tutelarli. Nelle pagine del tuo ultimo lavoro descrivi un mondo quasi fantascientifico. Chi sono gli alieni di cui parli? Molto spesso, quando si pensa agli abitanti dei nostri mari, tendiamo involontariamente ad averne una visione “ristretta”, soffermandoci sui pesci più colorati, sui delfini, sugli squali o sulle tartarughe marine, animali meravigliosi, ma forse un po’ “mainstream”. Questi, tuttavia, rappresentano la proverbiale
“goccia nell’oceano”, dato che le specie più incredibili e quasi fantascientifiche sono solitamente poco note: vermi con grossi ciuffi colorati, molluschi variopinti, crostacei dalle forme più bizzarre, parassiti dagli adattamenti assurdi, pesci bioluminescenti, meduse che fungono da “asili nido”, idrozoi galleggianti, microalghe che sembrano uscite dalla penna di un artista. Insomma, il mare è un mondo che ha fornito una miriade di spunti per la fantascienza. Rimanendo in ambito apparentemente fantascientifico, bisogna specificare che il mare pullula anche di alieni… ma la fantascienza in realtà non c’entra nulla: in ecologia per specie aliena (o alloctona o non indigena) si intende una specie, animale o vegetale, introdotta volontariamente o accidentalmente dall'essere umano al di fuori del suo areale naturale di distribuzione e che spesso rappresenta una minaccia per la biodiversità autoctona. Ed è così che nel Mar Mediterraneo possiamo trovare granchi brasiliani, molluschi asiatici, vermi australiani, pesci africani e così via. Tutte specie che non dovrebbero nuotare lungo le nostre coste, ma che sono arrivate perché trasportate dalle navi, sia come “incrostazioni” che nelle acque di zavorra, o perché entrate dal Canale di Suez, un canale artificiale che collega il Mar Rosso al Mar Mediterraneo. Il problema è diventato noto al grande pubblico da pochi anni a causa della straordinaria proliferazione di Callinectes sapidus, l’ormai celebre “granchio blu”, ma la minaccia è molto più estesa, essendo presenti oltre mille specie aliene nel Mare Nostrum. Nel mio libro Ventimila specie (o quasi) sotto il mare pongo l’accento proprio sulla “fantascienza-non-fantascientifica” che possiamo osservare nel Mar Mediterraneo, dando tuttavia risalto anche agli alieni che mettono in pericolo la ricchissima e preziosa biodiversità che caratterizza il Mare Nostrum. Sei creatore della pagina social “Scienze Naturali”, seguitissima da esperti e appassionati. Quali gli errori più comuni e le domande più frequenti? Ormai da quindici anni mi occupo di divulgazione sui social network, avendo fondato la pagina “Scienze Naturali” su Facebook nel 2009, inaugurandola anche su Instagram nel 2018. Ad oggi, sommando entrambi i social, curo una comunità molto eterogenea di circa duecentotrentamila persone, da professionisti esperti del settore a semplici appassionati amanti della Natura. Le domande più frequenti riguardano richieste di identificazione, nella maggior parte dei casi di invertebrati che possono essere rivenuti in casa o durante una passeggiata. Oltre che per semplice curiosità, spesso queste richieste nascono dal bisogno di sapere se la specie in cui ci si è imbattuti sia pericolosa o meno. Specifico che, per fortuna, in Italia sono davvero pochissime le specie oggettivamente pericolose per l’essere umano. Sui social cerco anche di portare avanti una vera e propria missione con lo scopo di smascherare le fake news di ambito naturalistico, nonché di correggere alcuni errori molto comuni: tanto per fare qualche esempio, nel linguaggio comune i ragni, che sono aracnidi, vengono chiamati “insetti”, la pianta Posidonia oceanica viene definita “alga”, polpo e polipo vengono usati in sinonimia nonostante identifichino animali molto differenti, molluschi e crostacei sono spesso considerati pesci. E così si potrebbe andare avanti per ore. Il mio scopo è quello di far capire, sempre con un pizzico di ironia, le differenze sostanziali fra questi organismi, evidenziando per quale motivo si tratti di errori “gravi” da un punto di vista naturalistico. Come poter promuovere la conoscenza e sensibilizzare al rispetto di luoghi, come litorali e coste, preziosi e fragili? Aumentando la consapevolezza di ciò che ci circonda. Per conoscere meglio gli ambienti naturali che sono intorno a noi è necessario essere consapevoli del fatto che siamo parte della Natura e che non la dominiamo, anche perché provarci sarebbe inutile. Lavando via questo spesso
strato di antropocentrismo che sovente pervade l’essere umano, potremo renderci realmente conto delle meraviglie di una Natura che spesso sottovalutiamo. E se aumenta la consapevolezza, cresce anche la conoscenza ed è proprio grazie a questa che l’ambiente può essere rispettato e tutelato. Dovrebbe essere una missione di tutti noi il cercare di aumentare le proprie conoscenze naturalistiche così da poter sensibilizzare riguardo argomenti talvolta ostici o “scomodi”. Un messaggio ai ragazzi che ti leggono Citando il geniale Stewart Brand, Steve Jobs, davanti ad una platea universitaria, disse: «siate affamati, siate folli». Io aggiungerei “siate curiosi», perché è proprio la curiosità il motore di qualsiasi scoperta e, per estensione, la base stessa della conoscenza. Dobbiamo cercare di nutrire costantemente il “fanciullino” (di pascoliana memoria) che vive dentro di noi, potendo così rimanere sempre sbalorditi dalle meraviglie che ci circondano. Sia chiaro che non parlo solo di incredibili pesci abissali o di maestosi squali bianchi; molto spesso la meraviglia è celata da un alone di banalità ed è proprio “sbanalizzando il banale” che potremo accorgerci di come ciò che guardiamo superficialmente, senza osservarlo davvero, in realtà potrebbe svelarci spettacoli inaspettati. Osservate per qualche minuto i piccoli artropodi che popolano i vasi di casa vostra; soffermatevi sulle specie che vivono tra le foglie di un prato urbano; quando andate in spiaggia ammirate le forme e i colori che si nascondono in una manciata di sabbia… vi renderete conto che la Natura di banale non ha proprio nulla!
0 notes
Text
Il villaggio di Natale 2023 a Viridea
Ideato nel 1997, il gruppo floricolistico di Viridea nasce da una semplicissima intuizione, quella di un grande desiderio di natura nei giardini europei e italiani, con nessun modello da copiare ma tanta determinazione, e il pensiero che lascia rapidamente il posto all’azione ed alla realizzazione del progetto. Il primo Viridea Garden Center fu subito un successo, dando vita a un mix di piante, fiori, animali, benessere, ecologia, casa, oltre a tanta natura alla portata di tutti, oggi come ieri, in ogni stagione dell’anno. E qui torna anche per quest’anno il consueto appuntamento con la Magia del Natale e dal 15 ottobre fino al 7 gennaio in tutti i Garden è stata allestita la grande area dedicata alle feste. La classica ambientazione si presenta per il 2023 rinnovata, con alcuni elementi distintivi che rendono differenti e sempre più caratteristici gli allestimenti dei diversi punti vendita, tra addobbi, complementi d’arredo, candele, nastri e decorazioni per ogni stile e poi gli abeti, luci di ogni tipo e presepi, da quelli etnici a quelli lavorati a mano, senza dimenticare i prodotti dedicati ai collezionisti e agli appassionati del fai da te. Con un assortimento di oltre 12.000 articoli, ci saranno spunti e ispirazioni per interpretare il tema del Natale secondo il vostro stile personale, per un risultato assolutamente unico e originale. Ma i Cristalli di Neve di Babbo Natale dicono che la Magia del Natale sta arrivando e con sé non porta solo regali e addobbi natalizi, ma anche tante attività ludiche e creative per bambini dal 4 novembre fino al 7 gennaio. Con i laboratori gratuiti dedicati alla Natura, i bambini scopriranno alcuni affascinanti segreti legati alla stagione dell’Inverno, in un percorso che prende spunto dall’incantevole atmosfera della Magia del Natale, dove tutto è avvolto da un fantastico manto bianco e scintillante come quello della neve, con i suoi cristalli dalle molteplici forme e sfaccettature. Dopo avere scoperto tante curiosità sui cristalli della neve e del ghiaccio, i bambini potranno portare a casa con sé un piccolo cristallo, per osservarlo crescere giorno dopo giorno. Read the full article
0 notes
Text
ECOLOGIA E SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE
Ho fatto un questionario per comprendere quale è lo sfruttamento delle risorse del pianeta da parte mia. Lo condivido qui se avete curiosità di farlo anche voi
Link
RISULTATI
RIFLESSIONI
Tutti quelli che stanno facendo il questionario consumano tre pianeti all'anno. Il problema non è che non si rendano conto delle stronzate che fanno, ma che abbiano i soldi per comprare tutte le risorse che consumano. Questo dovrebbe far capire che tra economia e risorse non c'è un rapporto reale.
Il costo del cibo, ad esempio, non è giusto.
Nel sistema agricolo, specialmente i contadini, sono sottopagati e questo permette un abbassamento dei prezzi che favorisce una iper produzione per i paesi ricchi, che non consumano tutto ciò che è disponibile.
Ovviamente il cibo in esubero non va ai paesi poveri, né gli resta quello che loro stessi producono, ma viene buttato.
Ciò vuol dire che non essendo ben distribuite le risorse per tutti, i tre pianeti rappresentano quello che si sottrae ad altri, che non mangiano. Con il passaggio del cibo nel supermercato si perde la concezione di questa brutalità, perché il cibo sembra si crei dal nulla, ma non è proprio cosi, come nelle pubblicità.
Diversi mi hanno scritto perché non hanno compreso alcuni criteri di valutazione del questionario, dicendo che non è preciso, ma si tratta di un modello indicativo sulla media dei consumi e la rinnovabilità delle risorse per tutta la popolazione mondiale. Probabilmente a qualcuno i risultati sono un po' di più di quelli effettivi, ma la proporzione sarà giusta. Alcuni possono dire che usano la stufa a legna per riscaldarsi, che è diversa da altre fonti, però qui parliamo del volume delle emissioni complessive, come le fai fai, quello che si ottiene è diviso tutti.
Provo a spiegare la differenza tra risorse rinnovabili e non.
Il grano è una risorsa rinnovabile, non ovunque grazie al cambiamento climatico. Ciò vuol dire che dove si produce oggi potrebbe non prodursi domani, che equivale ad un consumo di suolo e deforestazione per nuove aree di coltivazione. In questo diminuisce quella cosa bellissima che fanno gli alberi di trasformare la CO² in boschi e ce la teniamo a riscaldare.
I combustibili da fonti fossili anche, ma siccome per formarsi ci mettono un tempo spropositato, il consumo che ne si fa non è in relazione e quindi si considerano non rinnovabili
Per coltivare, allevare, costruire edifici, oggetti, spostarsi, occorre energia, per produrla vengono emessi dei clima alteranti, inoltre ci sono delle risorse che vengono usate. Se per fare le case in legno tagliamo tutti gli alberi non ci saranno più boschi, e tecnicamente non c'è più nulla perché dall'humus si sviluppa tutto. Se per assurdo le facessimo tutte di plastica finirebbe prima la benzina. In mattoni è più complesso che finisca la risorsa principale, perché siamo su un pianeta roccioso, ma comunque per cuocerli potremmo finire legno, carbone e carburanti.
Questo serve a capire che le cose vanno proporzionate.
Le stime condotte sul periodo 1992-2014 indicano che le riserve di capitale naturale pro capite sono diminuite di quasi il 40%. La frammentazione degli habitat riduce la biodiversità fino al 75%. In Europa, dagli anni Settanta ad oggi l’uomo ha eliminato il 60% delle popolazione di animali selvatici. Dal 1980 l'agricoltura intensiva ed altre attività umane hanno fatto scomparire tra 600 e 900 milioni di esemplari di specie più comuni di uccelli. Quando ero piccolo era pieno di rane, adesso incontrarne una è quasi impossibile.
I dati dicono questo, ci sono studi su studi se si vuole approfondire.
Qui non sono gradite ideologie e giustificazioni, sono scelte che riguardano tutti. Quando ci si rende conto che si consumano tre pianeti è forte da accettare, ma questa è la media legata alle abitudini comuni della nostra società, c'è anche chi ne consuma di più.
Se ci sono paesi in aree fertili che si spopolano per politiche e ideologie varie, dove ci sono case efficienti, non serve costruirne di nuove, in città, in altri posti, è più funzionale tenere le persone dove già ci sono delle case.
Molti cambiano i mobili quando c'è una nuova moda, quando non c'è alcuna esigenza di farlo: è un consumo delle risorse inutile. A seguire vengono anche i telefoni.
Anche io ho un telefono, e nonostante scelga un modello il più etico possibile, sicuramente per qualche componente è stata sfruttata una persona, un ambiente, però dato che ho imparato a ripararlo, dal 2014 l'ho ripreso adesso. Non mi escludo dal ragionamento, però potrò avere più credibilità di chi lo cambia ogni anno? Penso di si, perché sono scelte le mie, che se facessero tutti non sarei io ad avere delle responsabilità su come è gestito tutto. Nessuno dice di rinunciare alla tecnologia, ma al consumo per cose che non ci servono.
Un po' dispiace che se la prendono con me, con ciò che dico, se gli esce il sovrasfruttamento con tre, quattro pianeti, con il questionario dicendo che non è attendibile. Sicuramente non è precisissimo perché ci sarebbe da vedere tutto per ognuno, ma è indicativo sulle cose principali, le proporzioni sono giuste. Ci sta poco da controbattere. Il volume complessivo di CO² non si è prodotto da solo. Non siamo nel Carbonifero Paleozoico con un milione di vulcani attivi. Un po' più uno, un po' meno un altro, ma lì sta ed è prodotto con l'azione dell'uomo. Anche la mia, non ne dubito, ma ho visto quanto ne posso produrre e faccio di meno. L'aereo non lo prendo, la carne la mangio raramente, i vestiti quando si consumano li ricompro e tante altre cose, questo è.
Probabilmente quello che faccio è considerato meno interessante, così come quando pubblico della musica non se l'ascoltano in molti, ma non mi importa nulla. Che alcuni vanno a bere fuori tutte le sere, già che ci vai è consumo, il locale ha i frigoriferi, un consumo spropositato di energia, che si paga, è un lusso, per andarci spesso poi devi per forza fare un lavoro di un certo tipo legato ad altro sovrasfruttamento, non ti basta l'orto sinergico.
Uno può dire è questa la socialità che abbiamo adesso, ma si basa sul lusso e io tutti questi miliardari non li conosco, quindi indirettamente, chi sta nei paesi ricchi, nella complessità delle cose, prende su altri: paesi più poveri, boschi, animali.
Non è che se dico queste cose le dovete prendere come un'offesa personale, che mi importa, sono dati scientifici, se non vi sta bene cambiate abitudini
1 note
·
View note
Text
Cosa ci dice l'ultimo rapporto sull'insicurezza alimentare della FAO?
È stato da poco pubblicato il Rapporto globale sull'insicurezza alimentare (SOFI) dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO). La fame continua ad aumentare nella maggior parte delle regioni del mondo: fino a 783 milioni di persone nel mondo soffrono la fame. L'INSICUREZZA ALIMENTARE In base al nuovo rapporto delle Nazioni Unite, il costante aumento dell’insicurezza alimentare degli ultimi anni – che aveva toccato gli 828 milioni di persone nel 2021 – sembrerebbe mostrare una battuta d’arresto. Tuttavia, i dati restano allarmanti: il numero di persone che nel mondo soffrono la fame è di quasi un miliardo, molto più alto rispetto a prima della crisi COVID-19, che ha amplificato a cause strutturali preesistenti, e con enormi disparità tra le regioni. I NUMERI DEL RAPPORTO: - Fino a 783 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame nel 2022. - 2,4 miliardi di persone, tra cui un numero relativamente maggiore di donne e di persone che vivono nelle aree rurali, non hanno accesso a un'alimentazione sana e sufficiente. - Nell'intero continente africano, 11 milioni di persone in più hanno sofferto la fame rispetto all'anno precedente. Il dato allarmante è che, complessivamente, ancora oggi il 30% della popolazione mondiale soffre di insicurezza alimentare. Ovvero, 3 persone su 10 si trovano regolarmente ad affrontare l'incertezza sulla disponibilità di cibo, devono saltare i pasti, scendere a compromessi sulla qualità nutrizionale o sulla quantità di cibo consumato. Il rapporto sottolinea inoltre che il costo delle diete sane è così alto che più di 3 miliardi di persone, ovvero il 42% dell'umanità, non vi hanno accesso. Questa cifra è in aumento dal 2019. IL RAPPORTO SOFI L'edizione 2023 del rapporto SOFI rileva inoltre che quasi 148 milioni di bambini sotto i cinque anni sono affetti da malnutrizione (ovvero il 22,3% dei bambini sotto i 5 anni). Sebbene questo dato sia in leggero calo negli ultimi anni, è chiaro che gli sforzi sono largamente insufficienti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile del 2030, soprattutto perché il numero di bambini che soffrono di malnutrizione acuta grave è in fase di stagnazione (45 milioni di bambini, pari al 6,8%). “Numeri ancora così alti sono inaccettabili: ogni persona ha il diritto a una vita libera dalla fame. Con 40 anni di esperienza nel prevedere, prevenire e curare fame e malnutrizione, sappiamo che questo è un obiettivo realizzabile e il trend decrescente fino al 2015 lo ha dimostrato – dichiara Simone Garroni, Direttore generale di Azione contro la Fame e sottolinea – la crisi alimentare globale oggi è una questione di volontà politica. Per questo è necessario che i governi, a cominciare da quello Italiano, lavorino in ogni sede rilevante per affrontare le tre cause principali della fame: conflitti, disuguaglianze e crisi climatica. È necessario agire subito con nuovi e ambiziosi impegni per porre fine all'uso della fame come arma di guerra, garantire l'accesso ai servizi pubblici per tutti e trasformare radicalmente i sistemi alimentari, anche con l'agro-ecologia, rendendoli sostenibili, resilienti e più equi”. Read the full article
0 notes
Text
Nel bene e nel male, ciò che siamo stat_, ciò che proveremo ad essere
Due giorni, 8 e 9 luglio, che hanno provato a riflettere ciò che siamo stati, ciò che proveremo ad essere. Sapevamo che dovevamo resistere diversi giorni in quella fabbrica. Non sono stati solo diversi giorni, 730 per l'esattezza, ma sono stati anche giorni diversi. E noi oggi siamo diversi e sempre troppo uguali. Abbastanza forti per non perdere, ancora troppo poco per vincere. La nostra dimensione è grande e microscopica allo stesso tempo, epica e meschina nello stesso attimo.
Siamo una comunità bombardata, da mail di licenziamento, mancanze di stipendi, immobilismo, ignavia, ipocrisia, traumi, fatica, stanchezza. Esattamente come in una città che ha subito un assedio, ci muoviamo un po' stralunati tra la nostalgia di una vecchia vita che non tornerà più e la forza della nuova che proviamo a costruire. Abbiamo subito il lutto di tanti, troppi colleghi che hanno dovuto mollare. E al contempo c'è la gioia di forze sempre nuove che si uniscono in questa lotta. Abbiamo visto che questa talpa continua a scavare e può far crollare fortezze.
E' in fondo pura condizione umana. E solo se restiamo umani, riusciremo.
L'8 e 9 luglio viene rappresentato da Militanza Grafica, come un abbraccio. E questo è stato:
a) 500 partecipanti registrati solo al form online. 95 volontari registrati solo al form online. I conti sulle presenze effettive li stiamo ancora facendo. 600 persone a pranzo tra sabato e domenica. Una delegazione di 60 ospiti internazionali solo da Svizzera e Germania.
b) sabato mattina, assemblea su giustizia climatica e sociale, con Fff, Exploit, Ecologia Politica ecc., oltre 150 partecipanti, 25 realtà organizzate provenienti dall'estero
c) sabato alle 15, supporto all'azione di protesta al punto commerciale di MondoConvenienza
d) alle 18, al Pride
e) dalle 21 talk con Antonella Bundu, Francesca Coin, Nicoletta Dosio, Alberto Prunetti. Reading operaio
f) migliaia di persone al concerto con Assalti Frontali, Punkreas, Willie Peyote, Mauras, Romanticismo Periferico
g) un corteo notturno improvvisato che da Gkn raggiunge i cancelli di Mondo Convenienza
h) domenica mattina, la seconda tappa della Carovana del mutualismo, oltre 100 partecipanti, decine di realtà mutualistiche da tutta Italia
i) presentato il secondo e terzo prototipo di Cargo Bike, con inizio di un sondaggio di gradimento e acquisto
l) la sera di domenica in delegazione alla festa provinciale dell'Arci...
Abbiamo straripato convergenza, per provare a continuare a insorgere. Nei prossimi giorni i dettagli, le foto, i video. #insorgiamo
1 note
·
View note
Text
Nella prospettiva stiegleriana, le tecnologie attuali si caratterizzano per la produzione, su scala industriale e globale, di «oggetti temporali», così definiti da Husserl in quanto costituiti essenzialmente dal tempo del loro svolgimento. La caratteristica di tali oggetti è di essere formati da ritenzioni del passato e protensioni verso il futuro, e creano perciò un continuum come flusso che di fatto coincide con il flusso della coscienza di cui sono oggetto. A partire da tale coincidenza, riscontrata da Husserl, Stiegler suppone che gli oggetti temporali possano modificare i meccanismi della coscienza, influenzandoli o controllandoli. Questo perché guardando un film, una trasmissione televisiva o radiofonica, la coscienza adotta il tempo di tali oggetti. Dai fotogrammi alla scrittura, dalle sinfonie musicali ai loghi del mercato, questi oggetti di supporto della memoria sono di fatto pubblicazioni delle ritenzioni secondarie di cui parlava Husserl e, nel lessico di Stiegler, divengono perciò ritenzioni terziarie. Se infatti Husserl, all’interno dei processi della coscienza, distingueva due tipi di ritenzioni, di cui le primarie sarebbero quelle che ci permettono di trattenere parti del vissuto (percezione) mentre le secondarie consisterebbero nel far “riapparire” qualità di cose del passato (ricordo), Stiegler concepisce le registrazioni di oggetti temporali come una terza forma di ritenzioni, in grado di sovradeterminare le relazioni tra le prime due. Se le ritenzioni secondarie erano ricordi legati alle ritenzioni primarie già vissute, le ritenzioni terziarie rappresentano le forme oggettive e pubbliche del ricordo. In questo senso, cellulari, lettori mp3, tablets, netbook, ecc. sono le nuove forme di hypomnémata che costellano le nostre vite quotidiane e rendono conto del carattere industriale che accompagna l’economia egemone nella società “delle reti” o “dell’informazione”, quella del cosiddetto capitalismo cognitivo e dei servizi alla persona. Ora, la critica degli hypomnémata e delle ritenzioni terziarie che questi producono, in termini di controllo, di captazione dell’attenzione, di ipersollecitazione e di depotenziamento delle attività sociali, cognitive e libidinali è ciò che Stiegler definisce farmacologia negativa. In questo senso, la farmacologia è prima di tutto critica. La farmacologia positiva consiste invece nell’inventare, proprio tramite questi hypomnémata, forme e utilizzi delle ritenzioni terziarie capaci di rovesciare quelli oggi all’opera, che producono i “malesseri” appena citati. Come vedremo tra poco, questa farmacologia positiva deve cioè individuare in quale modo le ritenzioni terziarie possano favorire lo sviluppo del sapere individuale e collettivo, dunque della socialità. Per farlo, alla farmacologia spetta il compito di impadronirsi, “dal di dentro”, delle tecnologie e delle pratiche – politiche e commerciali – che accompagnano e guidano gli hypomnémata e le ritenzioni terziarie, in modo tale da poter sviluppare processi tecnologici alternativi a quelli esistenti, e cioè indirizzati alla condivisione dei saperi, alla salvaguardia delle risorse e all’incremento dell’intelligenza sociale.[...] «si assegna anche il ruolo di lottare contro questa tendenza autodistruttiva del capitalismo, contribuendo all’invenzione di pratiche di tecnologie dello spirito che ricostituiscano degli oggetti del desiderio e delle esperienze della singolarità». [...] lo spirito è un valore; non tanto nel senso morale del termine, ma precisamente in quello economico-ecologico, come economia-ecologia delle relazioni, delle facoltà cognitive, dell’ambiente sociale, culturale e tecnologico.
0 notes