Tumgik
#non so se ce l'ho più con le università
phjlavtia · 1 year
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"ragazzi non vorrei sembrare di star cadendo dalle nuvole" Carissimo so che i siti universitari fanno schifo ma almeno i corsi disponibili te li scrivono chiaro e tondo
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t4merici · 2 years
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Io: dal lunedì al venerdì sto tutti i giorni fuori casa tutto il giorno, prendo il treno la mattina presto e torno a ora di cena a casa, tutto il giorno buttata in università tra lezioni, ore di buco e studio e decido di riposare il sabato pomeriggio
Mamma: ma tu sei contenta a stare tutto il giorno senza fare niente? Non fai mai niente...
E poi non l'ho fatta finire perché le ho detto di stare zitta, ha sempre un cazzo di commento da fare e io non la sopporto più. Giorni fa mi ha fatto incazzare di brutto e da allora la evito il più possibile, non le sto raccontando niente delle mie giornate e in generale cerco di non parlarle. Dopo i primi due giorni in cui le è stato bene, ha iniziato a sentire che ero davvero lontana e ogni tanto prova a chiedere come va e come non va, che le racconto ecc ecc ma io non ho proprio voglia di ricaderci e rispondo a monosillabi o con un "niente". Lì per lì mantiene la calma ma so che le dà fastidio questa cosa, vuole che faccia come sempre, ovvero l'offesa per un paio di giorni e poi che torni tutto alla normalità. Ma io mi sono rotta il cazzo di fare tornare tutto alla normalità e allora preferisco stare zitta qui in casa. E quindi, visto che la infastidisce questa cosa, peggiora il tutto facendo commenti a cazzo ogni tanto, così per sfogare quello che le provoca questa situazione. Come ha fatto oggi, come ha fatto ieri sera ecc ecc in realtà siamo finiti così non perché mi ha fatto incazzare di brutto qualche giorno fa, ma perché è tutto un periodo di merda iniziato quando già ero in Erasmus. Nella mia stanza a Tallinn ho pianto e mi ci sono chiusa per due giorni per quello che mi avevano detto e mi sono giurata sarebbe stata l'ultima volta. Per questo non vedo l'ora di andare via da qui, per avere il meno possibile a che fare con mia madre e basta. Non ce la faccio più. Mi fa stare talmente male che poi sto giù e la cosa si ripercuote sul dialogo tra me e Andrea, lui prova a tirarmi su ma io non sempre ci riesco e sono veramente dispiaciuta da questa cosa. Il fatto è che se mi tira su, poi so che devo stare in questa casa e avere a che fare con lei, e che quindi non durerà molto quel sollievo che sto provando. Devo solo che starle lontana e starò meglio e piano piano smetterà di avere tutta questa influenza su di me.
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Ogni cosa paga
Mi sono disperato anni per il sistema universitario italiano, ho fallito più volte durante il mio percorso di studi cambiando più volte università. Sono stato bocciato più di 10 volte tra analisi 1 e analisi 2, sono stato anni fuoricorso e mi sono laureato ad una telematica sapendo che da quel momento in poi non mi avrebbero mai considerato per un posto di lavoro.
Adesso un lavoro ce l'ho, all'estero, non so bene che percorso di studi abbiano fatto i miei colleghi o i miei manager ma penso non sappiano nemmeno come funzionano le cose in un'università Italiana. I manager mi trattano con sufficienza come se fossi il primo degli scemi, per ogni cosa rispondono a chiunque, compreso me, di trovarsi una soluzione da soli perché la verità è che nemmeno loro sanno come fare le cose. Oggi è successo di nuovo con un problema che la mia azienda non riesce a risolvere da mesi, solo che io vengo da anni fuori corso in una delle peggiori università italiane, ho sempre dovuto trovarmi Na soluzione da solo, i professori proprio come i miei manager non sono mai stati veramente più di tanto di aiuto, erano bravi si a tenere le lezioni con il solito script prestampato. Bene ho risolto il problema e mi sono sentito ancora più frustrato di prima, lavoro per una big 4 e non è possibile che il primo scemo di turno viene a risolvere questo tipo di problemi, non è possibile che il mio manager prima mi diceva che avevo torto e che non valevo niente e dopo che risolvo il problema mi vuole portare da i suoi manager a spiegare la soluzione, mi aspetto di avere, così come nell'università, figure che mi insegnino qualcosa non che ti trattino come se non fossi nulla finché non servi.
È vero alla fine della fiera l'università italiana e la mia nello specifico, con questo modo di fare mi ha insegnato una delle più grandi skill che poteva insegnarmi ovvero essere capace di risolvere i problemi fuori dal manuale, ne solo felice davvero ma tutto questo ha avuto un prezzo. Ho pagato con uno dei periodi peggiori della mia vita, periodi in cui o studiavi e passavi gli esami o non eri nessuno, periodi di clausura totale, periodi in cui non c'era più alcuna speranza in me o nel mio futuro. Oggi come allora, non è quel pezzo di carta o la mia seniority a lavoro a definire quello che sono o valgo, ma le mie capacità, so fare il mio lavoro, sapevo farlo anche ai tempi delle varie bocciature, so farlo senza conoscenze, so farlo perché è così che sono, faccio schifo in tantissime cose ma in altre anche se non sono chissà chi il genio Dell informatica, so farlo cazzo.
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olstansoul · 4 years
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Sacrifice, Chapter 37
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
La cena proseguiva a gonfie vele e Wanda non se lo sarebbe mai aspettato visto che non aveva mai avuto occasione di poter invitare a cena un ragazzo. Aspettate, chiariamo... invitato a cena è esagerato, piuttosto è stata sua madre a costringere James a rimanere ma in fondo l'ha fatto per una buona causa. Non aveva smesso di piovere e se James se ne sarebbe andato, sicuramente sarebbe tornato a casa completamente bagnato per colpa della pioggia. La tavola era completamente imbandita di cose buone, cose che a pensarci bene la mamma di Wanda non aveva mai cucinato prima.
Clint era seduto a capotavola, la mamma di Wanda alla sua destra e di fianco a lei c'era il piccolo Pietro. Mentre di fronte a loro c'erano Wanda e James. Una perfetta cena di famiglia, se non fosse per il fatto che era ancora troppo presto e che per entrambi sarebbe stato troppo imbarazzante lo stesso. Il vassoio e la pirofila andavano avanti e indietro mentre ognuno prendeva la propria porzione di cibo e intanto si scambiavano chiacchiere e aneddoti.
"Tu James come vorresti proseguire una volta finito il liceo?"chiese la mamma di Wanda rivolgendosi al ragazzo di fronte a sé.
Sua figlia la guardò, non voleva che gli facesse delle domande scomode perché se l'avrebbe fatte sicuramente si sarebbe vergognata ma a James non pesava tanto.
"Pensavo all'Harvard, c'è fisica lì..."
"Oh, bene! Farai solo i tre anni oppure continuerai con altri due? Insomma è un po' lontano da qui"
"Credo che per ora mi concentrerò su ciò che ho scelto, poi deciderò se continuerò o meno...tu Wanda?"chiese lui.
Ma la ragazza non aveva sentito nulla di ciò che era stato dato detto, era davvero contenta per James certa che avrebbe potuto continuare i suoi studi anche lontano dalla città di New York. Ma il solo pensiero che magari lei non sarebbe riuscita a scegliere se continuare con l'università o meno la spaventava così tanto da non pensarci nemmeno ad essa.
"Wanda?"la richiamò di nuovo il ragazzo affianco a sé.
"Cosa?"
"Chiedevo solo quale università vorresti frequentare..."chiese lui guardandola con ancora la forchetta in mano.
Wanda si riprese un secondo poi iniziò a parlare anche lei.
"Credo...credo che andrò alla Juilliard"
"Alla Juilliard?"chiesero tutti e tre sorpresi.
Clint era sorpreso, sua madre lo era anche lei ma non sapeva di questa decisione improvvisata della figlia e James, diversamente da tutti e tre, la guardò con un sorriso di orgoglio.
"Si...alla Juilliard, è quella più vicino casa e..."disse lei iniziando a spiegare perché di questa scelta presa improvvisamente.
"Non me ne avevi parlato, come mai?"chiese invece sua madre curiosa.
"Beh...era perché...ci stavo pensando, solo che poi è successo quella cosa e..."
"Quindi studierai arte, musica e spettacolo?"
"Si, quello...sempre se ne avrò possibilità"disse lei abbassando la voce alla fine ma James la sentì lo stesso.
"Ehm...Clint, mi passi il sale?"continuò lei non badando al fatto che ora tre quarti delle persone sedute a tavola erano in silenzio. Tranne per Pietro, che era concentrato a guardare la TV.
"Si..."
La cena da quel momento proseguì e nessuno dei quattro ritornò sull'argomento consapevoli del fatto che a Wanda poteva dare fastidio. Ma più che fastidio era rabbia. Rabbia perché sapeva che, forse, non avrebbe potuto continuare i suoi studi come voleva e come aveva sempre desiderato.
"Magda, la prego si faccia aiutare..."disse James vedendo che la mamma di Wanda si era caricata di stoviglie.
"No, James faccio io...e poi dammi del tu"disse lei facendolo ridere.
"Veramente mamma, va a riposarti è stata una giornata pesante per te..."
"Ne sei sicura?"le chiese sua madre e lei annuì.
Vedendo che sua madre si andò a sedere sul divano insieme al piccolo Pietro ed a Clint lei andò in cucina iniziando a riempire il lavello da solo un lato con dell'acqua e del sapone per i piatti. Si alzò le maniche della sua maglia e prese il grembiule intrecciandolo dietro per poi fare un fiocco sul davanti. Quando vide che l'acqua era a metà decise di chiuderla e iniziò a lavare i piatti ma fu presto interrotta.
"Lascia che ti dia una mano..."disse la voce di James dietro di lei.
Si girò e vide che lui si stava alzando le maniche della sua felpa e che si stava avvicinando arrivando proprio di fianco a lei.
"James, non preoccuparti faccio da sola..."
"Voglio solo ricambiare il favore di avermi invitato a cena"
"Frena, frena, frena... tecnicamente non sei stato invitato, mia madre ti ha costretto solo perché non voleva che tornassi a casa con l'influenza e se le dicevi di no, non so come sarebbe andata a finire..."
"Mi avrebbe chiesto altre dieci volte di rimanere?"
"Chiedertelo? Lei non la conosce quella parola...ti avrebbe supplicato fino a quando non avresti detto di sì"
"Testarda, capisco da chi hai preso"
"Si...ma se fossi stata io ad invitarti certamente non ti avrei fatto lavare i piatti"
"E cosa mi avresti fatto fare?"
"James che domande! Ti avrei fatto cucinare...cosi avrei potuto vedere in anteprima se sei capace di fare una torta"
"Mancano solo due settimane al tuo compleanno, lo sai? Poi quando bisogna fare qualcosa e vuoi che sia fatta bene non c'è bisogno di pressare"
"Io sto solo cercando di farti superare le tue paure"
"La paura di cucinare non è una vera paura"
"Allora di cosa hai paura?"
"Beh...ce ne sono tante ma potrei dire quella di non realizzarmi, vedere che quelli che sono stati i sacrifici di una vita non verranno mai ripagati"
"È bello sapere che ci tieni così tanto, a qualsiasi cosa in modo che tutto sia perfetto proprio come lo vuoi tu"disse lei sinceramente guardandolo e lui sorrise con lo sguardo abbassato.
"Tu, invece? Non hai paure?"chiese lui.
"Beh, dire la paura di morire è quasi scontato nel mio caso..."
"Non è scontato"disse lui guardandola in modo serio.
E Wanda non osò contraddirlo, vedendo per la prima volta che quello che lui stava dicendo era la verità e sentendo che a lei ci teneva davvero.
"...ho paura dell'acqua. Anche se è una paura che è uscita fuori da poco...quando ero piccola, ero solita andare al lago, non ricordo neanche dov'era ma so solo che nuotavo così tanto che mia madre doveva prendermi con la forza per farmi uscire dall'acqua. Ora...ora quasi ogni notte ho lo stesso incubo, sogno di stare su una scogliera così alta e di buttarmi ma non riesco a risalire in superficie perché non riesco a muovere gambe e braccia...e per questo che..."
"Non c'è bisogno veramente, non mi va di vederti stare male"
"No, no sto bene...solo...voglio trovare un modo per sconfiggere le mie paure ma non riesco neanche a pensare che possa esserci"disse lei tirando su col naso.
"Vedrai che ci sarà"disse lui e mise la sua mano sulla sua.
Erano bagnate entrambe ma comunque sentirono insieme una strana sensazione. Strana ma bella.
Finirono di lavare i piatti e vedendo l'orologio appeso in cucina James si rese conto che era tardi quindi prese il suo zaino e la sua giacca e insieme a Wanda si diresse alla porta di casa.
"Grazie per essere venuto"disse lei.
"È stato un piacere davvero, certo non mi aspettavo di restare così tanto e neanche di cenare qui ma...è stato bello"disse alla fine guardandola.
"È stato bello anche per me"
Era proprio vero che gli sguardi potevano dire molto di più delle parole, che gli occhi erano lo specchio dell'anima. In questo momento sembrava che tutti e due stessero comunicando qualcosa che nessun'altro sapeva.
"Ci...ci vediamo domani?"chiese lei titubante mentre giocava con gli anelli fra le sue dita.
"Si"
"Ti prego fa che questo duri per sempre"pensò lei.
"Vuoi aprirmi la porta o..."
"Si, scusa è che ehm...ero sovrappensiero"
"Hai pensato per un nanomillessimo di secondo a come salutarmi?"
"...si, okay? Si...ho pensato a quanto è imbarazzante per me perché...non sono abituata a questo tipo di situazioni, non ho mai avuto un ragazzo come te qui a casa mia. Non che mi dispiace...solo che tu ecco..."
James neanche troppo stanco delle mille parole che stavano uscendo dalla bocca della castana, si avvicinò a lei e le baciò l'angolo della bocca. Lo guardò scioccata e non ebbe il coraggio di fare altro oppure di ricambiare. Ricambiare lei? Ci sarebbe voluto un po' di tempo...
"Allora a domani..."disse lei aprendogli la porta e vedendo che lui stava uscendo.
"A domani"disse lui, stava per chiudere la porta quando però uscì con solo la testa al di fuori e gli urlò dietro qualcosa.
"James...quando torni a casa, mandami un messaggio"
"Non dovrebbe essere il contrario?"chiese lui appena la vide fuori la porta preoccupata.
"No, è uguale, fallo e basta...buonanotte"gridò lei e chiuse la porta di casa alle sue spalle facendo ridere James.
Salì le scale per dirigersi in camera sua come una furia e appena chiuse anche quella porta, si poggiò con le spalle su di essa chiudendo gli occhi.
"Oh mio Dio. Non ci credo!"disse ad alta voce ma senza farsi sentire troppo.
"Non è possibile, ho baciato James Barnes...cioè non l'ho baciato, lui mi ha baciato ma non è stato neanche un bacio. Okay, calma Wanda, calma...respira perché sennò finisce male..."disse lei parlando da sola e così si sedette su letto ma finì col stendersi sopra.
"Oddio non ci posso credere! Non ci posso credere!"disse lei alzandosi dalla felicità dal letto per poi sedersi di nuovo sulla sedia della sua scrivania.
"Non ci posso credere"disse di nuovo lei ma stavolta con un tono sorpreso.
Aveva appena notato che sulla sua scrivania c'era il libro che James portava con sé ogni volta che dovevano incontrarsi e anche se da un lato poteva servirle dall'altro non poteva toglierlo a lui. Decise di chiamarlo, anche se pensava che se ne sarebbe pentita poi visto che non avrebbe azzeccato neanche una parola dopo quello che era appena successo.
"Ciao, James senti...sono Wanda ovviamente, hai dimenticato il tuo libro di fisica qui da me, ora non so se sei già tornato a casa ma...credo di si, visto che ha iniziato di nuovo a piovere. In ogni caso te lo porto domani a scuola, così potremo metterci d'accordo quando dobbiamo vederci la prossima volta, fammi sapere e...buonanotte"
"Okay...ho il diritto di avere una doccia"disse lei staccando e poggiò il suo telefono sulla scrivania.
Sarebbe servita più a chi, come sua madre, aveva trascorso una giornata pesante ma non a Wanda cui il ricordo di pochi minuti prima, se non un'ora fa, ancora si rifletteva nella sua testa. Nulla sarebbe servito per farle dimenticare quel bellissimo ricordo che ora faceva parte di sé, anche perché non avrebbe voluto dimenticare, piuttosto ricordare senza andare in escandescenze. Ma purtroppo o per fortuna andava sempre peggio, questo dipende dai punti di vista. Uscì dalla doccia e asciugò il suo corpo con l'asciugamano, si vestì col suo pigiama e iniziò a spazzolare i suoi capelli poi spense la luce e uscì dal bagno chiudendo la porta dinanzi a sé.
"Vedo che sono molto lunghi" e subito scattò per colpa della voce alle sue spalle che si rivelò essere quella di James, ovviamente.
"Oh mio Dio"disse lei mettendosi una mano sul petto.
"Non volevo spaventarti!"
"Era ovvio che lo facessi. Cosa ci fai qui?"
"Ero venuto a prendere il mio libro di fisica... me l'ero dimenticato"
"Ti avevo chiamato chiedendoti se avrei potuto tenerlo io così da dartelo domani a scuola...dove l'hai cacciato quel cellulare?"
"Batteria scarica"disse lui e lei sbuffò.
"Essere inutile..."
"Ehi, guarda che mi offendi"
"Prenditi questo e ora vai via, ci vediamo domani a scuola e buonanotte"disse lei alzandolo con un braccio e buttandogli addosso il libro.
"Come vuoi che me ne vada se c'è in corso la tempesta di Zeus e Thor insieme?"chiese lui indicando la finestra mezza aperta dove si sentivano i tuoni.
"Beh, te ne torni come sei arrivato"
"Prima non volevi che me ne andassi!"disse lui mentre lei lo spingeva.
"Prima era prima ed ora è ora"
"Che significa?"
"Wanda tutto a posto?"la voce di sua mamma fece girare tutti e due di scatto verso la porta.
"Non osare parlare, non voglio sentire neanche il tuo respiro"disse lei puntandogli un dito contro e lui come risposta fece il segno della zip sulle sue labbra.
"Si, tutto a posto...perché?"
"Abbiamo sentito dei rumori strani, va tutto bene?"
"Si, era solo...era solo un rospo"e a quell'affermazione James rise.
"Un rospo? Perché dovrebbe esserci un rospo in camera tua?"
"Ho aperto un po' la finestra ed è entrato uno..."
"Perché hai aperto la finestra?"
"Avevo leggermente caldo..."
"Ma è dicembre"
"Si, lo so che è dicembre...mamma veramente è tutto okay...ora è morto"
James non finiva di trattenere le lacrime dalle risate ma non doveva scoppiare, non in questo momento.
"Okay...buonanotte"
"Notte..."disse Wanda e prima ancora di avvicinarsi a James aspettò che sua madre si allontanasse del tutto.
"Cosi io sarei il tuo rospo?"chiese lui mentre lei lo continuava a guardare male.
"Devi andartene James, non posso permettere che mia madre ti veda qui"
"Ma già mi ha visto"
"James, sono seria!"
"Va bene, me ne vado...ma se avrò l'influenza sarà per colpa tua e voglio solo che tu lo sappia, non ero venuto qui solo per il libro di fisica"disse lui mentre prendeva la via per tornare passando però dalla finestra.
"E allora per cosa?"chiese lei.
Lui senza troppe esitazioni si avvicinò a lei e le prese il viso con entrambe le mani. E per una seconda volta nell'arco di una sola serata Wanda riuscì a toccare il cielo con un dito, riuscì a sentirsi viva solo con un suo bacio.
"Va bene, va bene..."disse lei staccandosi ma James non gli diede peso.
"...resterai qui, ma all'alba ti voglio fuori dalla mia stanza"
"All'alba? Per chi mi hai preso? Per un gallo? Prima il rospo poi il gallo, la tua camera è una fattoria e non lo sapevo?"
"James non ti conviene vedere la faccia di mia mamma appena svegliata e incazzata"
"Okay...afferrato, all'alba"
"Chissà perché ma se faccio subito il nome di mia madre, ti spaventi. Come mai?"
"Non lo so dimmelo tu..."
"Che forse mia madre ti ama e che sono io quella che continua a minacciarti?"
"Le minacce sono più intriganti"
"Scordatelo che ti faccia minacce intriganti stavolta"disse lei andando a chiudere la finestra.
Appena finì lo trovò già steso sul letto, con una gamba stesa su di esso e l'altra poggiata sul pavimento. Fece un respiro profondo pensando che questa sarebbe stata la prima volta con cui avrebbe dormito con un ragazzo. E per quanto si sentisse a disagio, con James pensava e credeva di non poterlo essere, visto che sì non era la prima volta. Si avvicinò al suo letto e ci salì sopra a cavalcioni, mettendosi poi sotto le coperte subito dopo. Si girò verso di lui e lo guardò.
"Non hai freddo?"chiese lei e contemporaneamente spense anche le luci.
"No, non tanto"
Lei si rigirò dal lato del muro e mise un braccio sotto il cuscino e con l'altro teneva stretta a sé la coperta. Solo dopo anche James si stese e se in un primo momento le rivolse le spalle subito dopo si girò anche lui. Riuscì a sentire l'odore dei suoi capelli e senza accorgersene, anche se aveva tutte le buone intenzioni per farlo, poggiò una mano sul fianco di Wanda che a quel gesto spalancò gli occhi. Le piaceva sentire la sicurezza che gli trasmetteva James, perché solo con lui si sarebbe sentita al sicuro. Si alzò prendendo il plaid che aveva ai piedi del copriletto e lo aprì in modo che anche James stesse al caldo durante la notte. E poi, contro le sue aspettative, prese la mano che James aveva poggiato sul suo fianco e la portò vicino a lei in modo che l'avesse stretta e lui si avvicinò di più a lei, per quanto le coperte glielo potevano permettere, mettendo inoltre il suo viso più vicino al collo di lei, invaso dal profumo del bagnoschiuma e dai lunghi capelli.
Sarebbe stata la prima notte dove entrambi erano privi di incubi, ma solo di sogni che presto sarebbero diventati realtà
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spettriedemoni · 6 years
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Non è successo niente
- Pronto, Università degli Studi di Padova.
- Pronto, salve, io v'avevo chiamato qualche giorno fa per quel piccolo problemino…
- Le passo l'addetto. Attenda in linea.
- Grazie.
Tell me lies
Tell me sweet little lies
Tell me tell me lies…
- Salve sono Gianfranco, come posso esserle utile?
- Salve Gianfranco, vi contatto perché ho qualche problema con il diploma di laurea.
- Che tipo di problema?
- Non funziona.
- In che senso? Può essere più specifico?
- Sì, allora vede, io ho preso questo diploma circa cinque anni fa e, abbastanza presto, ha smesso di funzionare. L'ho usato per cercare lavoro, ma niente. Non me l'avranno mica hackerato?
- Ma no, non saltiamo a conclusioni affrettate. Il diploma ce l'ha davanti?
- Un secondo che vado a prenderlo.
- Prego.
- Eccolo, ce l'ho qui.
- Allora, legga bene. È scritto “diploma di laurea” o “diploma di scuola superiore”.
- No, no, è scritto “diploma di laurea”.
- E nonostante questo lei non ha un lavoro?
- No. Gliel'ho detto, non va.
- Ha provato a spegnerlo e riaccenderlo?
- Certo.
- Ha aspettato dieci secondi prima di riaccenderlo?
- Ehm… no.
- Provi.
- Ochéi. Uhm.
- Funziona?
- No, non mi contatta ancora nessuna azienda.
- Ma alla festa di laurea funzionava?
- Ma sì, ma sì! Mia madre s'è pure commossa.
- Va bene, purtroppo da remoto non posso fare altro, le mando un tecnico.
- Ben gentile.
- Chi è?
- Sono il tecnico dell'università.
- Secondo piano, portoncino a sinistra.
- Salve.
- Salve. Prego, le posso offrire un caffè?
- Dopo casomai. Allora, questa laurea?
- Di qua, l'ho messa in cucina che c'è più luce. Eccola, mi dica lei perché, voglio dire, è pure una specialistica…
- Eh, ma non vuol dire...
- Ho capito, però ci son stato su cinque anni. È un centodieci e lode eh.
- Sì, ma deve capire che quei numeri lì avevano senso una volta. Adesso, cosa vuole, coi modelli nuovi… Senta, ma ha provato a lavorarci?
- Sì, sì, sono anni che provo.
- E niente?
- Niente.
- Ha provato facendo un lavoro di merda, uno in cui sfruttano il suo talento e la sua giovinezza con la scusa di insegnarle un mestiere per il quale poi non la assumono?
- Eh, avoja.
- E com'è andata?
- Nisba. Io ogni tanto provavo a usarla la laurea, ma quella niente. Stava lì, come morta. Ma non sarà mica che s'è fuso qualcosa dentro? Io non me ne intendo, per carità, ma che ne so, un… un cavetto, la pasta termica…
- Adesso vediamo. Senta, l'ha usata spesso?
- Dice che è l'usura?
- Eh, cosa vuole, sono oggetti delicati. Però anche tenerla in soffitta a prendere polvere non le fa bene. L'avrà mica surriscaldata?
- In che senso?
- Nel senso che ha provato a farci qualcosa di un po' troppo fico. Tipo un lavoro ben retribuito in un ambiente stimolante capace di farla crescere come professionista e come essere umano?
- Ma si figuri se mi inguaio con quelle cose lì. Guardi, io al massimo la accendo solo per trovare roba da ottocento euro al mese.
- Vaaa bene. Mi fa una cortesia, me la srotola un attimo?
- Certo.
- Eccolo qua!
- Cosa?
- Eccolo il suo problema!
- Cosa? Dove?
- Qui, qui. Guardi qui. Mi dica cosa legge.
- Laurea specialistica in Strategie di Comunicazione.
- Ma ci credo che poi non le funziona!
- Non va bene?
- No, che non va bene. Dovrebbe esserci scritto “Ingegneria”.
- Ingegneria.
- Sì, o “medicina”, o “giurisprudenza”.
- Ma com'è possibile?
- Eh, cosa vuole, non è un modello particolarmente performante. In realtà già quando è uscito risultava abbastanza obsoleto. Per dirle, di queste, in negozio non ne vendiamo più. Abbiamo giusto un paio di “Dams” che vanno ancora via, ma io le sconsiglio sempre perché paiono normali, ma poi sul più bello ti lasciano in mezzo a una strada.
- È roba cinese?
- Macché, macché, puro made in Italy. Mi spieghi un po' com'è che è finita sta laurea in casa sua. L'ha vinta a una riffa? Gliel'hanno consigliata?
- No, no, è che a me sono sempre piaciute le materie umanistiche…
- È un errore che fanno in tanti.
- Cosa?
- Farsi piacere la letteratura, la storia, la filosofia, l'arte e quelle altre boiate là. È tutta tecnologia sorpassata. Vecchia generazione. In particolare qua da noi, dove non c'è più niente che gira con quel tipo di hardware lì.
- Quale hardware?
- La cultura!
- Ah.
- C'è poco da stupirsi poi se mi torna a casa con una laurea in “Strategie della comunicazione” e il sistema non me la riconosce.
- Ma che posso fare?
- Eh, a questo punto poco. Può provare a comprarsi un corso di laurea ricondizionato.
- Cioè?
- Sono piani di studio quasi terminati di qualcuno che ha cominciato Matematica, o Chimica, o Statistica e poi è morto di noia o si è suicidato. Di solito mancano un paio di esami e la tesi. Oppure mi ci mette sopra un bel master, un dottorato di ricerca, un professore di ruolo a cui leccare il culo fino alla pensione, e me la overclocka per bene. Ma anche così, le prestazioni non aumentano di molto.
- Lei cosa mi consiglia di fare?
- Intanto smetta di girare con sta cosa che è anche pericoloso.
- Ogni tanto qualcuno mi chiede che studi ho fatto.
- E lei che risponde?
- Ingegneria aerospaziale.
- Su, non pianga. La vostra generazione ha avuto la sfortuna di credere in una tecnologia come la laurea che semplicemente non ha sfondato. Come il 3D, il Kinect o i Google Glass. Lei cosa pensa quando vede uno con addosso i Google Glass.
- Che è un pomposo coglione che ha buttato via i suoi soldi.
- Ecco, la laurea è uguale. Ha senso solo se non le serve.
- Tipo i prodotti Apple?
- Tipo.
- Grazie.
- Ma si figuri.
- Vuole quel caffè?
- Lo beva lei.
- Cosa fa adesso?
- Ho un cliente che aspetta. Questo ha per le mani un corso di laurea in Discipline Storico-Artistiche e ha appena cercato su Google “Tagli alla cultura”. Lei cosa fa?
- Ho un altro mezzo impiccio da risolvere.
- Buona fortuna.
- Arrivederla.
- E questa è fatta, mo pensiamo a st'altra cosa. Pronto? Assistenza clienti My Secret Toys? Senta, io una settimana fa ho ordinato il vostro modello “Fallo Realistico”. Il dildo, sì. No, no, per carità, la spedizione tutto bene, puntualissima, anomima, tutto perfetto. Solo che... è enorme! Dico, in rapporto a… E io poi ci faccio certe figure. Insomma, è scritto realistico perdio e mi mandate il pene di un Minotauro. Come? Guardi signora che le ho lette le Cronache di Narnia, so com'è fatto il cazzo di un Minotauro! E un'altra cosa: è sempre duro. Nel senso che non ha mai un periodo di… ecco, sì, ci siamo capiti. Eh, ma mi scusi! A casa mia i peni rimangono eretti il tempo di far bollire l'acqua! Ma non è mica finita qui! Mentre lo usavamo sa cos'è successo? Lo sa? La mia ragazza ha avuto un orgasmo! Si rende conto? Sono anni che educo pazientemente quella donna a non godere più. Capirà, s'è presa un tale spavento! È scoppiata a piangere! Mo è chiusa in camera con quell'affare che singhiozza, o ansima, chi può dirlo, le donne esprimono in modi talmente misteriosi il loro dolore. No, non alzo la voce! Le dico le cose come stanno! Voi mi scrivete "realistico" e poi mi mandate un coso di trenta centimetri grosso come una tubatura che non odora, che rimane rigido, che non si scorda a metà quello che stava facendo, che genera orgasmi su orgasmi! E avete pure il coraggio di chiamarlo realistico! Non mi parli così sa! Guardi che la denunzio alla Federconsumatori! Con chi crede di parlare?! Sono laureato in ingegneria aerospaziale io!
(Via "Non è successo niente" su Facebook)
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dichiarazione · 6 years
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Verità
Mia madre è mentalmente instabile, ha una patologia seria del quale però non so nulla perché non vivo più con lei. Mio padre all'improvviso, sentendosi preso in causa perché direttamente coinvolto, cerca in tutti i modi di fare l'assistente sociale di turno. Circa 4 anni fa ho iniziato a notare in lei comportamenti strani: mancanza di igiene, difficoltà ad esprimersi, poca fame unito al passare tutto il giorno al buio davanti alla TV. All'epoca mi ero appena inserita nel mondo del lavoro, mio padre era fuori di casa da 6 anni circa, mia sorella se la spassava tra università ed Erasmus. Dentro quella casa ho passato i peggiori due anni della mia vita contando che io e mia madre non abbiamo mai avuto un rapporto affettivo e lei è sempre stata un genitore davvero mediocre e pessimo. Per due anni la mia vita è stata confinata all'interno di una casa che mi stava lentamente uccidendo, lo stress mi aveva portata a dimagrire molto velocemente e si notava. Gli atteggiamenti di mia madre non cambiavano, ma non miglioravano: così ho iniziato a parlarne a mia sorella e a mio padre, che subito non volevano crederci. In tutto ciò, nonostante questo primo campanello d'allarme, non sono mai stata presa seriamente, e per due anni di fila le uniche parole di conforto che mi sono sentita dire dalla mia famiglia sono state "Porta pazienza, vedrai che passa". Così, quando non ce l'ho più fatta, ho preso una scorciatoia e grazie all'aiuto del mio ragazzo mi sono trasferita in un'altra regione, nella quale ormai vivo da due anni. Finalmente, dopo che me ne sono andata, la mia famiglia si è resa conto della gravità dello stato mentale di mia madre e si sono mossi per fare analisi, visite, assistenza. Ad oggi, conosco la situazione solo tramite quello che mi viene raccontato da mio padre o da mia sorella, perché sono due anni che non parlo o vedo mia madre. E mio padre, che non si è mai occupato delle sue due figlie in vita sua, ora si sta prendendo "cura" di mia madre, andando a trovarla di tanto in tanto, dopo che si è trasferita a vivere con mia nonna. La mia vecchia casa è stata messa in vendita. E in tutto questo insiste nel voler cercare di farmi avere un contatto con lei, perché ora è malata e rimane pur sempre mia madre. Ma non capisce che io non ho niente da dirle e che probabilmente mia madre non mi riconoscerebbe nemmeno. E non posso dirglielo apertamente, perché direbbe che sono disinteressata e che non è normale non voler a che fare con chi ti ha messa al mondo. Eppure, c'è un fattore scatenante in tutto ciò: partorire un figlio ed essere madre o genitore, sono due cose bene distinte, una non va forzatamente di pari passo con l'altra. Cosa ne sa mio padre di come sono stata trattata, di quello che ho dovuto subire da ragazzina e da adulta? Cosa ne sa di tutti i sacrifici che ho fatto nei due anni in cui ho vissuto con una persona che non era neanche in grado di lavarsi e mentiva a riguardo, quando è stata messa con le spalle al muro? Cosa ne sanno lui o mia sorella o mia nonna che mi giudica dicendo che ho abbandonato lei e mia madre di tutti i pianti, le responsabilità e le frasi fatte che mi sono sentita dire quando chiedevo aiuto? E ora, come se niente fosse, vuole decidere cosa è meglio per me, perché ho un genitore malato solo perché una volta a settimana va a farle compagnia due ore al giorno. Mio padre non ha mai capito una cosa: tra mettere al mondo un figlio e fare un genitore c'è un abisso. E né lui né mia madre sono mai stati in grado di farlo.
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occhidelmondo · 4 years
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Perdonami
Ma se io perdessi un braccio mi derideresti perché non ce l'ho più? E se perdessi la vista mi diresti quanto era bello quando io potevo vedere dicendomi tutto ciò che mi sono persa e che mi perderò? In questi tre anni di università ho scoperto che la disabilità la mostriamo noi cercando di rendere handicappato l'altro cercando di escludere e di proteggere una normalità che non esiste. Ma se ci fermassimo un attimo e andremmo oltre alle apparenze? Che cosa accadrebbe? Scopriremmo che ognuno di noi ha un modo di vedere il mondo, come ad esempio tu, o un individuo con autismo non guardereste con i miei stessi occhi il mondo. Se noi iniziassimo ad avere cura dell'alterità dell'altro , ovvero della sua diversità, e ci riempissimo di amore allora cambierebbe il mio modo di rapportarmi con qualsiasi essere del mondo e forse adesso chiederesti "Come stai?0 hai voglia di raccontare un po'di te? Sono curioso della tua vita perché ti voglio bene e spero che tu sia felice" e non parole che a me personalmente feriscono e non oso dire cosa provi mia sorella perché non lo so, ma se noi pesassimo le parole e avremmo cura dell'altro forse questo cambierebbe in modo radicale. Io ti voglio bene e ti amo così come sei e se per te va bene ferire qualcuno che ami per dirle quanto tieni a lei va bene sei libero di fare la tua scelta, basta che tu ne sia consapevole. Detto questo spero che La mia famiglia possa cambiare il mondo con me.
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sangha-scaramuccia · 5 years
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Sesshin – dicembre 2019
Riporto i brani estratti dal notiziario N. 42  ANNO 10  MAGGIO 1985/2514 utilizzato dal maestro Taino per il teisho.
Il testo parla dei vari tipi di maestri che ci sono in circolazione, di come ognuno si cerca quello che gli va bene e che degli adulti credano alle favole che si raccontano intorno a certi maestri. Egli ha sottolineato che quanto definisce il maestro di questa scuola è che la pratica è solo per la realizzazione dell'illuminazione e non per stare meglio.
Il notiziario da cui è stato tratto il brano è stato scritto all'origine interamente a mano. Taino ha parlato del maestro di Scaramuccia, della sua storia e di come abbia dovuto e deve ancora inventarsi uno stile e un modo per trasmettere l'insegnamento agli allievi italiani, che è materia della nostra scuola, di ieri e di adesso e questa storia si può leggere nelle centinaia di notiziari pubblicati in quasi cinquanta anni.
Nel tè mondo Taino è tornato al discorso sulla decadenza di cui tratta anche nell'ultimo notiziario (n.217 dicembre 2019). A come provare a vivere l'oggettivo deterioramento del corpo e del cervello senza lasciarsi schiacciare e sopraffare.
Paolo Shōju
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Notiziario di SCARAMUCCIA  n. 42 Anno 10 Maggio 1985/2514
Devo dire di pochi giorni fa, della lettera di un allievo il quale dopo aver letto un libro di favole, perché sono favole come quelle che io racconto ai figli, ma i bambini sanno sappiamo bene che si tratta di favole, in cui parla dei guru indiani che vivono sollevati da terra.
Mi accorgo che non se ne sa mai abbastanza: persone di trentanni ancora credono alle favole di questi che vivono appunto in levitazione, e che sono così eterei che non vanno al gabinetto, forse non mangiano, non bevono, si cibano del profumo dei fiori e sono tutti rilucenti come gli UFO che vedono quelli che di notte vanno sulle colline a cercarli nel cielo.
Qui a Scaramuccia gli UFO spirituali non ci sono, ci sono persone che nella normalità, nel fatto che quando hanno fame mangiano, che quando hanno sonno dormono, che quando sono stanchi si riposano, e se non possono continuano a lavorare. In questa semplicità c'è Dharma, c'è Budda, c'è Sangha, i tre gioielli, si possono salvare tutti gli esseri e trovare la natura di illuminazione. Al di fuori di questo non c'è altro. Ricordo le parole di un maestro il quale proprio a una persona di quelle innamorate dei fenomeni rispose: “Il maestro zen se deve costruire una casa chiama il muratore e se ha male si consiglia col medico”.
...
del “maestro”
* scrive Fabio, da Genova, il 2 marzo 1985 ore 3:34
“Bravo Taino! Quando leggo qualcosa come sui minatori inglesi o come il tuo discorso al congresso Buddista io veramente mi commuovo o mi immedesimo (lo so che iniziare una lettera al proprio maestro con un “Bravo!” può sembrare irriverente ma spero proprio che non lo sia, ti pare?) ...
*Allievi di Scaramuccia incontrando e parlando con un praticante di un'altra scuola zen, hanno detto di me, delle nostre attività, dell'insegnamento che si segue, eccetera. Ciò che ha stupito l'interlocutore è stato sapere che io guido la macchina per viaggiare [e non sa come la guido].
* È da due anni giusti da che sono stato chiamato in Giappone da Taitsu roshi per farmi la ramanzina. Quando gli risposi come sapete ricordo bene le prime parole che mi disse: “In Giappone di veri maestri zen sposati non ce ne sono!” [Strano che non abbia sentito di un certo Omori Soghen, o anche Seki Bokuo …].
* Qualche anno è passato dal giorno in cui un'anziana allieva di Scaramuccia, passando per la Francia, si recò a visitare un monastero di scuola tibetana diretto da un lama belga. Chiese di parlare al maestro e le dissero che non si poteva perché stava meditando e sarebbe durato tre giorni [avrei capito di più tre giorni con la propria moglie!].
* Luciano da Bergamo, dopo avermi scritto che non mi ritiene più suo maestro, pur riconoscendo di aver ricevuto del bene da Scaramuccia, mi ha spedito due libri del suo nuovo maestro il quale si chiama Omraam Mikhaël Aïvanhov. Cerco sempre di leggere i libri che mi regalano o imprestano, e l'ho fatto anche con questi due: “Lo yoga della nutrizione” - “Armonia”. Certo le sue parole accarezzano le orecchie e anche i cuori, quelli sensibili, che vogliono lasciarsi accarezzare. E poi siccome c'è la sua foto, barba e capelli lunghi e bianchi, con lo smoking pure bianco, così elegante, nella vita può fare solo il maestro [o il portiere d'albergo].
* Anche Gianni dalle Canarie mi ha scritto una lettera. Dice che tra i suoi amici ha trovato un grande entusiasmo verso le pratiche spirituali, e a Las Palmas, la sua città, è un vortice di iniziative, conferenze, gruppi. “... Con mio grande sollievo ho trovato la mia scelta di vita molto più semplice, virile, sincera e autentica di tutte queste (mi riferisco allo Zen). Ho assistito, più per gentilezza nei confronti di amici che mi avevano invitato che per autentico interesse, a diverse conferenze di gruppi esoterici vari. Parlavano molto bene, ma gli mancava la forza, e sorridevo pensando a cosa avrebbe detto Rinzai se uno di questi avesse provato a fare un grido. Ormai non posso più stimare un uomo per ciò che dice, se in lui non c'è quella intensità, quella forza che ho trovato in lei...”.
* Altri scrivono nei bollettini che ci spediscono, e che noi ricambiamo, che il loro lama è un Tulku, ovvero la reincarnazione di uno che era lama pure prima [e chissà quando finisce questa “lamazione”].
* Un altro dice: “Ma come, se uno è maestro di zen che centra mettersi pure a fare la guida alpina, che rapporto può esserci tra queste due attività così diverse ...”.
* E chissà quanto potrei continuare su questo problema del “maestro”.
Insomma, un maestro come "deve” essere?
A parte che sia bello o brutto, italiano, europeo, americano o orientale, Tulku oppure la reincarnazione di un tassinaro, guidi la macchina da solo o abbia il monaco autista, sposato o scapolo, meditante o sui muri arrampicante, rasato o coi capelli e la barba belli lunghi, apolitico o comunista, laureato o con la terza media. Ricapitoliamo: deve essere come gli allievi se lo sono sognato, immaginato, desiderato, bramato, immedesimato, proiettato, eccetera, eccetera, oppure può essere come lui, il detto maestro, decide, momento per momento, con sofferenza/gioia, di essere?
Io sostengo che il praticante zen, se è un maestro, non ha scopo. Forse è uno sciabolatore, anche se si rende conto che a tagliare la testa degli stronzi ce ne sarà sempre altrettanti che risorgeranno. Come l'erba che sto falciando in questi giorni. E poi, uno stronzo come può cambiare?
Capisco bene gli allievi di Scaramuccia, che guardano alla mia persona (?) come alla propria guida spirituale, come spesso possano essere spiazzati da ciò che dico e faccio. Qualcuno può provare un senso di ammirazione/frustrazione, magari nel vedere che io riesco in qualcosa che lui/lei invece non conclude. Come la telefonata di chi si sente in crisi perché lui, che fa solo lo studente, dopo dieci anni di università, ancora non ne vede la fine. Invece il suo maestro dopo 4-5 anni già (?) finisce. Certo la colpa non è del maestro però non si sente di venire alle sesshin. Capisco che possa sembrare questo mio dedicarmi a tante attività come un bisogno di dimostrare la mia bravura, però se non vado in montagna Scaramuccia muore di fame. Lo sapete bene che qui non arrivano soldi da finanziatori occulti e nemmeno scoperti! Come si può restringere in un unico nome la molteplicità dell'essere umano?
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28 Febbraio 2017
Difficilmente scorderò questo giorno. Questo sarà il giorno in cui io ho smesso di essere me stesso. È il giorno in cui tutto mi è crollato addosso.
Oggi era il compleanno della mia ex. Da poco più di un mese non ci parlavamo più. Lei mi aveva lasciato, baciato un altro, tornata, un po’ di casini insomma. Io le avevo chiesto solo tempo, perché nonostante tutto non riuscivo a smettere di amarla. Stanotte le ho riscritto: dovevo farle gli auguri e dovevo sapere. Sapere se c'era un altro perché avevo dei sospetti. Mi ha confermato di avere baciato un ragazzo più di una volta e di stare bene con lui. Sono morto in quell'istante. Sono andato a Bologna, a lezione in università. Ma non ce l'ho fatta. Sapevo che la mia ex si trovava a Firenze con due amiche per passare il suo compleanno. Sono corso fuori dall'aula, sono volato in stazione e ho preso i primi biglietti che ho trovato per Firenze. Sono arrivato alle 13:44 ma lei non voleva vedermi. Alla fine verso le 3 si è presentata e le ho letto un piccolo discorso che mi ero preparato.
Qui di seguito lo pubblico, sostituirò il suo nome con la “X”. “Quell'ultimo giorno di Gennaio che ci sentimmo uno degli ultimi tuoi messaggi fu: “farò la brava”. Ed ero sicuro che sarebbe stato così. La dolce X che conoscevo io non avrebbe ricommesso l'errore del 15 ottobre. Non avevo certo la presunzione di pretendere che tu non ti saresti mai più avvicinata a nessun altro, ma di certo non pensavo che potessi accontentarti così. Ancora una volta. È stata una scelta difficilissima quella sera, e probabilmente anche sbagliata. Da parte mia c'era una grossa convinzione: c'erano tante difficoltà, e ho visto come sei stata in quei mesi dopo che mi hai lasciato. Ho visto una ragazza che poteva stare bene senza di me. Che sarebbe stata più felice senza di me, anche se lei diceva il contrario. E lo pensavo perché c'erano prove evidenti, e siccome credevo di conoscerti, sapevo interpretare certi “messaggi”. Sai, il tempo è la cosa più preziosa fra tutto ciò che abbiamo. A volte non bisogna perdere l'attimo, altre bisogna gustarlo lentamente, lasciar scorrere piano piano, dare tempo al tempo, perché il tempo sa anche guarire. Come ti ho detto, non pretendevo che tu non ti avvicinassi più a nessuno, ma nemmeno mi sarei mai, e dico mai, immaginato che tu potessi rimpiazzarmi così presto. 27 mesi (e forse qualcosa di più) non si rimpiazzano in due settimane. Forse a non darmi pace è l'aver creduto in tutto quello che ci siamo detti in due anni: da quei “non voglio mai lasciarti” ai “se ci lasciassimo ci metterei tanto ad andare avanti”. E ora invece vedo che io solo io sono rimasto “fedele” a quelli che sembravano dei patti tra due persone che si amavano. Ma la cosa che mi ha fatto più impressione nello scriverti stamani è stata vederti completamente fredda e distaccata. Io non so cosa ti abbiano detto, per farti andare avanti ti avranno detto di tutto, ed è giusto così, perché hai vicino persone che vogliono il tuo bene. Ma tutto questo non sei tu, non sei la persona che ho conosciuto io. Non vorrei mai pensare, e non voglio assolutamente credere che in oltre due anni io non sia riuscito a conoscere la vera te. Mi sembra assurdo, anche perché io e te ci siamo aperti in tutto (almeno per me è stato così). Non puoi venirmi a dire che dopo due settimane un ragazzo “ti fa stare bene” e per questo lo baci. Perché l'X che io ho conosciuto, sai come avrebbe commentato? “Quella bagascia si lascia e già va con un altro.” E io e te avremmo riso di quella “bagascia”, di quella gente che scriveva frasi d'amore ovunque, ma che il vero amore manco sapesse cos'era, mentre invece noi lo sapevamo. Non voglio stare qui a dare giudizi (anche se forse involontariamente l'ho già fatto), ma quel “mi fa stare bene” oltre a farmi male, mi suona molto come “mi riempie un vuoto”, un rimpiazzo. Ma non è così che dovrebbe essere. Io pensavo che ci avremmo messo entrambi del tempo, ma che questo ci sarebbe servito per superare serenamente la cosa, perché come ti ho detto il tempo può guarire. Ma tu hai impiegato solo due settimane. Sarò stupido, geloso, starò dicendo stronzate, ma ripeto, due anni e più non si cancellano in due settimane, perché se è così, allora vuol dire che non mi hai amato o che invece stai facendo solo una gran cazzata. Stamattina quando ti ho chiesto se ti eri baciata con un altro, prima che tu mi dessi la risposta mi hai detto “pensi che non abbia perso tempo?”. Ecco, l'hai detto tu, non io. L'hai pensato tu. Dal canto mio in questo mese e mezzo son stato malissimo. Ho vissuto ogni singolo giorno con il rimorso di avere di detto di no quella sera. Ho vissuto ogni giorno con il dolore, perché tu ad ottobre avevi fatto finire tutto. Ho vissuto ogni giorno con la rabbia perché tu avevi baciato un altro dopo una settimana che mi avevi lasciato. Ho vissuto ogni giorno con la disperazione, perché non mi capacitavo di come tu, avessi potuto fare una cosa del genere. Ho vissuto ogni giorno con la nostalgia del 17 Dicembre, con il fatto che quel giorno ci siamo detti poco, ma forse anche troppo. Ho vissuto ogni giorno con la gelosia che tu potessi avvicinarti a qualcun altro, ma mi rassicurava il fatto che ti conoscevo ed ero sicuro che ci sarebbe voluto un po’, giusto il tempo di guarire. In un mese e mezzo sono uscito di casa due volte. Sono stato tentato da cose che sono stupide solo a pensarle. Ormai vado a letto prestissimo, verso le 21, una volta perfino alle 19, senza mangiare. Mi sveglio al mattino presto e ogni giorno vedo tu che pubblichi foto a destra e a manca di quanto tu “stia bene” con questi nuovi tipi sbucati dal nulla. Io non riesco ad uscire, a fare finta di niente; pensare solo di sfiorare un'altra ragazza per me sarebbe come tradirti. Avrei voluto scriverti, ma eri felice senza di me, che dovevo fare? Ma oggi era il tuo compleanno, dovevo farti gli auguri e dovevo sapere, perché stavo scoppiando e avevo intuito qualcosa. Non dico ciò per farti pena, sarebbe ridicolo, ma voglio farti sapere che tu non hai mai, e dico mai, smesso di importarmi, anche se tu probabilmente hai pensato il contrario. Forse sono incoerente, perché ho voluto la tua felicità, e ora che dici di esserlo, beh eccomi qui. Ma credimi che è stato brutto leggere le tue parole così decise, piene di fierezza e che non mostravano alcun briciolo di rimorso. Non so cosa te ne farai di tutto questo che ti ho scritto, a che serve ormai? Stavolta forse quello che ragiona egoisticamente sono io, strano no? Tu che mi hai sempre rimproverato di pensare prima agli altri che a me. Ma purtroppo, e dico purtroppo, sempre più mi rendo conto che la mia felicità dipende da te. Probabilmente ora mi risponderai male e forse avrai ragione. Io ancora non ho messo la parola fine, perché davvero non ci riesco. Ma indipendentemente da qualsiasi cosa tu ora mi voglia dire, fammi un favore: torna ad essere te stessa.“
Già l'inizio non prometteva niente di buono: mi sono avvicinato per darle un bacio sulla fronte e si è spostata. Ci siamo spostati per cercare una panchina, e non mi ha detto una parola se non il “ciao”. Già dall'atteggiamento sembrava svogliata, come se mi stesse facendo un favore. Ci siamo seduti e ho cominciato a leggerle ciò che mi ero preparato. Lei è sempre stata sensibile, molte volte bastava poco per farla piangere. Io sono scoppiato a piangere anche più di una volta mentre lo leggevo. Alla fine lei non ha battuto ciglio, non una lacrima. Abbiamo parlato per due orette, fin verso le 5. Lei mi ha detto che non mi ama più e non sapeva dirmi il perché. Diceva che nemmeno lei si immaginava di fare così. Le ho chiesto se centrasse il tipo, lei mi ha detto “anche” e nient'altro. Ho insistito più volte, chiedendole cosa fosse cambiato, ma lei non sapeva rispondere. Mi ha addirittura detto che la situazione le va bene così, cioè vedersi con quello perché ci sta bene, anche se adesso non pensa di mettercisi. Le ho detto più volte che sono disperato, che volevo ricominciare con lei. Ma lei mi sorrideva e mi diceva che non si poteva, perché non era giusto e perché non provava più le stesse cose di prima. Io insistevo, volevo capire come potessero esserle bastate due settimane per cancellarmi, e lei ovviamente continuava a dire di non sapere. Sembrava addirittura infastidita dalla mia presenza. Le ho preso la mano più di una volta e già sembrava una concessione e per un abbraccio ho dovuto pregare. Alle 5 è voluta tornare dalle sue amiche, perché non voleva più lasciarle sole. Ha detto che non voleva che io venissi perché non voleva che io ci stessi male. Ho aspettato che arrivassero le sue amiche per poi andarmene. Le ho detto che quella sarebbe probabilmente stata l'ultima volta che ci saremmo visti, e non ha battuto ciglio. Ha sorriso ancora. Le ho chiesto se potevo baciarla per l'ultima volta. Lo volevo tanto. Non ha voluto, ho insistito e mi ha dato solo un bacio a stampo. L'ho abbracciata per l'ultima volta e sembrava che non vedesse l'ora di lasciarmi. Ho girato per un oretta visto che avevo ancora del tempo prima del treno di ritorno. L'ho ribeccata seduta con le amiche che si faceva i selfie. Inizialmente non l'avevo vista, ma credo che invece loro mi avessero visto, ma han continuato con i selfie. Sono rimasto a guardarla finché potevo, anche perché volevo che mi vedesse. La fissavo da lontano: era così bella. Ho provato a salutarla con la mano ma sembrava non mi vedesse…si sono poi alzate per andarsene, e a quel punto l'ho salutata e lei ha risposto al saluto. Poi me ne sono andato.
È stata probabilmente l'ultima volta. È stato il mio primo amore, la mia ragazza per oltre due anni. Ci amavamo alla follia, a tratti morbosamente. Le son bastate due settimane per mettermi da parte. Io non so cosa fare: io l'amo e continuerò ad amarla. Per sempre.
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“We should all be feminist”
Sono qui, nella caffetteria di una piccola università del sud Italia che attendo il mio turno per leggere un brano che mi sta particolarmente a cuore Dovremmo essere tutti femministi (We should all be feminist nella versione originaria) di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana che nel 2012 ci delizia con questo bellissimo discorso sul femminismo al TED talk e che, in seguito, diverrà un libro, una piccola perla che dovrebbe essere tra gli scaffali di ogni lettore. In occasione della Giornata Internazionale della Donna non credo ci sia nulla di più adatto e di cui non voglio dir nulla ma solo riportarvelo per intero affinché vi faccia riflettere come per me è stato .
“Dunque, mi piacerebbe iniziare parlandovi di uno dei miei più grandi amici, Okuloma Mmaduewesi. Okuloma viveva nella mia strada e si prendeva cura di me come un fratello maggiore. Se mi piaceva un ragazzo, chiedevo l’opinione di Okuloma. Okuloma è morto nel tristemente noto incidente aereo di Sosoliso, in Nigeria, nel dicembre del 2005. Esattamente quasi sette anni fa. Okuloma era una persona con cui potevo discutere, ridere e parlare apertamente. È stata anche la prima persona a chiamarmi femminista. Avevo circa quattordici anni, eravamo in casa sua, discutevamo. Entrambi infervorati con informazioni a metà prese dai libri che avevamo letto. Non mi ricordo su cosa vertesse questa discussione in particolare, ma ricordo che mentre continuavo ad argomentare, Okuloma mi guardò e disse: "Sai, tu sei una femminista." Non era un complimento. Potevo capirlo dal suo tono, lo stesso tono che si usa per dire cose del tipo “Sei una sostenitrice del terrorismo.” Non sapevo esattamente cosa questa parola "femminista" significasse e non volevo che Okuloma capisse che non ne avevo idea. Allora l'ho messa da parte e ho continuato a discutere. E la prima cosa che avevo intenzione di fare, quando sono tornata a casa, era di cercare la parola "femminista" nel dizionario.
Ora, andando velocemente avanti, arriviamo a qualche anno più tardi. Ho scritto un romanzo su un uomo che, tra le altre cose, picchia la moglie e la cui storia non finisce molto bene. Mentre stavo promuovendo il romanzo in Nigeria, un giornalista, un uomo gentile, ben intenzionato, mi ha detto che voleva darmi un consiglio. E, mi rivolgo ai nigeriani qui, sono sicura che abbiamo tutti familiarità con la velocità con cui le persone forniscono consigli non richiesti. Mi disse che la gente riteneva che il mio romanzo fosse femminista e il suo consiglio per me - e stava scuotendo la testa tristemente mentre parlava - era che non mi sarei mai dovuta definire una femminista, perché le femministe sono donne infelici che non riescono a trovare marito. Così ho deciso di definirmi una "femminista felice." Poi una docente, una donna nigeriana, mi disse che il femminismo non era la nostra cultura, che il femminismo non era l'Africa e che mi definivo una femminista perché ero stata corrotta dai libri "occidentali." E mi ha divertito, perché un sacco della mie prime letture erano decisamente non-femministe. Penso di aver letto ogni singolo romanzo rosa della Mills & Boon prima ancora di avere sedici anni. E ogni volta che provo a leggere quei libri chiamati "classici femministi", mi annoio e faccio davvero fatica a finirli. Ma ad ogni modo, dal momento in cui il femminismo era non-africano, ho deciso che mi sarei definita una "felice femminista africana." Ad un certo punto ero una felice femminista africana che non odiava gli uomini, che amava i lucidalabbra e che indossava i tacchi alti per se stessa, ma non per gli uomini. Naturalmente molte di quelle cose erano ironiche, ma la parola "femminista" ha un bagaglio così pesante, un bagaglio negativo. Odiate gli uomini, odiate i reggiseni, odiate la cultura africana, quel genere di cose.
Ora, eccovi una storia della mia infanzia. Quando ero alle elementari, la mia insegnante disse all'inizio del quadrimestre che avrebbe dato alla classe un test, e chi avrebbe realizzato il punteggio più alto sarebbe diventato capoclasse. Bene, essere capoclasse era una cosa importante. Se diventavi capoclasse, dovevi scrivere i nomi di chi faceva rumore, e già soltanto questo dava un grande potere. Ma la mia insegnante dava anche un bastone da tenere in mano mentre si camminava in giro e si controllava la classe da chi faceva rumore. Ecco, naturalmente non era permesso usare il bastone, ma era una prospettiva entusiasmante per la bambina di nove anni che ero. Volevo così tanto essere capoclasse, e ottenni il punteggio più alto nel test. Poi, con mia sorpresa, la mia insegnante disse che il capoclasse doveva essere un ragazzo. Si era dimenticata di fare prima questa precisazione perché riteneva fosse ovvio. Un ragazzo aveva avuto il secondo punteggio più alto nel test e lui sarebbe diventato capoclasse. La cosa ancora più interessante di questa faccenda è che il ragazzo aveva uno spirito dolce e gentile e non aveva alcun interesse nel pattugliare la classe con un bastone. Mentre io, ero piena di ambizioni per farlo. Ma ero femmina e lui era maschio, e così divenne il capoclasse. E non ho mai dimenticato quell'episodio.
Mi capita spesso di fare l'errore di pensare che se qualcosa che è ovvio per me, lo è altrettanto per chiunque altro. Ora, prendete il mio caro amico Louis, ad esempio. Louis è brillante uomo progressista, e facevamo delle conversazioni in cui mi diceva: "Io non so cosa intendi quando dici che le cose sono diverse o più difficili per le donne. Forse in passato, ma non adesso." E non capivo come Louis non riuscisse a vedere qualcosa che sembrava così evidente. Poi una sera, a Lagos, Louis ed io siamo usciti fuori con degli amici. E per le persone qui che non hanno familiarità con Lagos, ci sono quei meravigliosi soggetti tipici di Lagos, una manciata di uomini energici che si ritrovano fuori dagli edifici e molto platealmente vi "aiutano" a parcheggiare la vostra auto. Ero rimasta colpita dalla particolare teatralità dell’uomo che ci aveva trovato un posto auto quella sera. E così, mentre ce ne stavamo andando, ho deciso di lasciargli una mancia. Ho aperto la mia borsa, ho messo la mano dentro la mia borsa, tirato fuori i soldi che avevo guadagnato facendo il mio lavoro, e li ho dati all'uomo. E lui, quest'uomo molto riconoscente e molto felice, ha preso i soldi da me, ha guardato Louis e ha detto: " Grazie, signore! " Louis mi ha guardato sorpreso e ha chiesto: "Perché mi ringrazia? Non gli ho dato io i soldi". Poi ho visto che Louis stava cominciando a rendersi conto. L'uomo credeva che, qualsiasi soldi avessi, in fin dei conti provenissero da Louis, perché Louis è un uomo.
Ora, gli uomini e le donne sono diversi. Abbiamo ormoni diversi, abbiamo diversi organi sessuali, abbiamo diverse abilità biologiche; le donne possono avere bambini, gli uomini non possono. Almeno, non ancora. Gli uomini hanno il testosterone, e sono in genere fisicamente più forti delle donne. Ci sono leggermente più donne che uomini nel mondo. Circa il 52% della popolazione mondiale è di sesso femminile. Ma la maggior parte delle posizioni di potere e prestigio sono occupate da uomini. La Premio Nobel per la Pace, recentemente scomparsa, Wangari Maathai, lo ha descritto in termini semplici e efficaci quando ha detto:
"Più alto si va, meno donne ci sono."
Nelle recenti elezioni americane abbiamo sentito più volte della legge Lilly Ledbetter. E se andiamo oltre il bel nome allitterativo di questa legge, vedremmo che trattava di un uomo e una donna che fanno lo stesso lavoro, ugualmente qualificato e dove l'uomo viene pagato di più perché è un uomo. Così, in modo letterale, gli uomini governano il mondo. E questo aveva senso migliaia di anni fa. Perché gli esseri umani vivevano allora in un mondo in cui la forza fisica era l'attributo più importante per la sopravvivenza. La persona fisicamente più forte era la più adatta a comandare. E gli uomini in generale sono fisicamente più forti; naturalmente, ci sono molte eccezioni. Ma oggi viviamo in un mondo molto diverso. La persona con più probabilità di comandare non è la persona fisicamente più forte, è la persona più creativa, la persona più intelligente, la persona più innovativa, e non ci sono ormoni per questi attributi. Un uomo ha le stesse probabilità di una donna di essere intelligente, di essere creativo, di essere innovativo. Ci siamo evoluti, ma mi sembra che le nostre idee sul genere non si siano evolute.
Qualche settimana fa sono entrata nella hall di uno dei migliori alberghi nigeriani. Ho pensato di dire il nome dell'hotel, ma probabilmente non dovrei. E un guardiano all'ingresso mi ha fermato e mi ha rivolto delle domande irritanti. Poiché si suppone automaticamente che se una donna nigeriana cammina in un albergo da sola, allora è una prostituta. E, a proposito, perché questi hotel si concentrano sull’apparente offerta, piuttosto che sulla domanda, di prostitute? A Lagos, non posso andare da sola in molti bar rinomati e nei club. Semplicemente non ti lasciano entrare se sei una donna sola. Devi essere accompagnata da un uomo. Ogni volta che entro in un ristorante nigeriano con un uomo, il cameriere saluta l'uomo e ignora me. E qui qualche donna avrà detto: "Sì, anch'io l'ho pensato!" I camerieri sono prodotti di una società che ha insegnato loro che gli uomini sono più importanti rispetto alle donne. E so che i camerieri non intendono fare uno sgarbo, ma una cosa è saperlo razionalmente, e un'altra è sentirlo emotivamente. Ogni volta che mi ignorano, mi sento invisibile. Mi sento turbata. Voglio dire loro che sono tanto umana quanto un maschio, che sono altrettanto meritevole di riconoscimento. Queste sono piccole cose, ma a volte sono le piccole cose che pungono di più.
Non molto tempo fa ho scritto un articolo su cosa significa essere una giovane ragazza a Lagos e un conoscente mi ha detto: “Era così rabbioso.” Certo che era rabbioso. Io sono arrabbiata. Il genere, per come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Noi tutti dovremmo essere arrabbiati. La rabbia ha una lunga storia nell’apportare un cambiamento positivo, ma oltre ad essere arrabbiata, io sono anche fiduciosa perché credo profondamente nella capacità degli esseri umani nel rinnovare se stessi per il meglio.
Il genere conta ovunque nel mondo, ma voglio concentrarmi sulla Nigeria e sull'Africa in generale, perché la conosco e perché è dove sta il mio cuore. E vorrei chiedere di cominciare adesso a fare sogni e progetti per un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini più felici e donne più felici, più onesti verso se stessi. Ed è così che bisogna iniziare. Dobbiamo crescere le nostre figlie in modo diverso. Dobbiamo crescere anche i nostri figli in modo diverso. Facciamo un pessimo lavoro con i ragazzi, nel modo in cui noi li alleviamo. Noi soffochiamo l'umanità dei ragazzi. Definiamo la virilità in modo molto limitato. La virilità diventa questa piccola gabbia rigida e noi mettiamo i ragazzi dentro la gabbia. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla paura. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla debolezza, dalla vulnerabilità. Noi gli insegniamo a mascherare la loro vera essenza, perché devono essere, come dicono in Nigeria, " uomini duri!". Alle scuole superiori, se un ragazzo e una ragazza, entrambi adolescenti, entrambi con la stessa quantità di soldi, uscissero fuori, ci si aspetta che sia sempre il ragazzo a pagare, per dimostrare la sua virilità. E ancora ci chiediamo perché i ragazzi sono più propensi a rubare i soldi dai loro genitori. Che cosa accadrebbe se sia i ragazzi che le ragazze venissero educati a non collegare la virilità con i soldi? Cosa succederebbe se l'atteggiamento non fosse: "Il ragazzo deve pagare ", ma piuttosto: "Chi ha di più, dovrebbe pagare." Ora, naturalmente a causa del vantaggio storico, sono quasi sempre gli uomini ad averne di più oggi. Ma se cominciamo a crescere i figli in modo diverso, allora in cinquant'anni, in un centinaio di anni, i ragazzi non sentiranno più la pressione di dover dimostrare questa virilità.
Ma la cosa di gran lunga peggiore che facciamo ai maschi, facendo intendere che devono essere duri, è che li lasciamo con degli ego molto fragili. Più un uomo sente di dover essere un “uomo duro”, più è debole il suo ego. E poi facciamo un lavoro anche peggior con le ragazze, perché le educhiamo a soddisfare i fragili ego degli uomini. Insegniamo alle ragazze come farsi da parte, come farsi più piccole. Diciamo alle ragazze, "Puoi avere ambizione, ma non troppa. Dovresti puntare ad avere successo, ma non troppo successo, altrimenti potresti minacciare l'uomo.” Se in una relazione con un uomo sei tu a portare il pane a casa, devi far finta che non sia così. Soprattutto in pubblico. Altrimenti lo stai castrando. Ma se mettessimo in discussione la premessa stessa? Perché il successo di una donna deve essere una minaccia per un uomo? Che cosa succede se decidiamo di sbarazzarci semplicemente di quella parola, e non credo ci sia una parola inglese che mi piaccia meno di "castrazione".
Un conoscente nigeriano una volta mi ha chiesto se fossi preoccupata dal fatto che avrei potuto intimidire gli uomini. Non ero preoccupata affatto. Infatti non mi è mai accaduto di essere preoccupata perché un uomo che si lascia intimidire da me è esattamente il tipo di uomo che non mi suscita alcun interesse. Ciononostante, ero rimasta davvero colpita da questa cosa. Perché sono femmina, ci si aspetta che aspiri al matrimonio. Ci si aspetta che faccia le mie scelte di vita tenendo sempre a mente che il matrimonio è la cosa più importante. Ora, il matrimonio può essere una buona cosa. Può essere una fonte di gioia, di amore e di sostegno reciproco, ma perché dobbiamo insegnare alle ragazze ad aspirare al matrimonio e non insegniamo ai ragazzi la stessa cosa?
Conosco una donna che ha deciso di vendere la sua casa perché non voleva intimidire un uomo che avrebbe potuto sposarla. Conosco una donna non sposata in Nigeria che, quando va a dei convegni, indossa un anello nuziale. Perché, dice lei, vuole che tutti i partecipanti alla conferenza le portino rispetto. Conosco giovani donne che sono così pressate da parte della famiglia, degli amici, anche sul posto di lavoro, per il matrimonio, e che vengono spinte a fare delle scelte terribili. Una donna che a una certa età non è sposata, la nostra società ci insegna a vederla come se avesse avuto un profondo fallimento personale. E di un uomo, che dopo una certa età non è ancora sposato, pensiamo semplicemente che non si sia mosso per fare la sua scelta.
È facile per noi dire: "Oh, ma le donne possono semplicemente dire “no” a tutto questo." Ma la realtà è molto più difficile e molto più complessa. Siamo tutti esseri sociali. Noi interiorizziamo le idee dalla nostra socializzazione. Anche il linguaggio che usiamo nel parlare di matrimonio e relazioni dimostra questo. Il linguaggio del matrimonio è spesso il linguaggio della proprietà, più che il linguaggio della collaborazione. Usiamo la parola "rispetto" per intendere qualcosa che le donne mostrano ad un uomo, ma che di frequente un uomo non mostra una donna.
Sia gli uomini che le donne in Nigeria diranno - e questa è un'espressione che mi diverte molto - "L'ho fatto per la pace del mio matrimonio " Ecco, quando lo dicono gli uomini, di solito riguarda qualcosa che comunque non dovrebbero fare. A volte lo dicono ai loro amici, è qualcosa che dicono ai loro amici in modo affettuosamente esasperato. Capite, qualcosa che alla fine dimostri quanto siano virili, quanto voluti, quanto amati. "Oh, mia moglie ha detto che non posso andare al club ogni notte, così, per la pace del mio matrimonio, ci vado solo nei fine settimana. " Ora, quando una donna dice: "L'ho fatto per la pace del mio matrimonio", di solito si riferisce all’aver abbandonato un lavoro, un sogno, una carriera. Noi insegniamo alle ragazze che, nei rapporti, il compromesso è quello che fanno le donne. Cresciamo le ragazze per guardare alle altre come concorrenti, non per lavoro, o per degli obiettivi - che credo possa essere una buona cosa - ma per l'attenzione degli uomini. Insegniamo alle ragazze che non possono vivere la sessualità nel modo in cui lo fanno i ragazzi. Se abbiamo figli maschi, non ci interessa essere al corrente delle loro fidanzate. Ma dei fidanzati delle nostre figlie, Dio ce ne scampi! Ma naturalmente, quando arriva il momento giusto, ci aspettiamo che queste ragazze trovino l'uomo perfetto che diventi loro marito. Noi sorvegliamo le ragazze Lodiamo le ragazze per la verginità, ma non lodiamo i ragazzi per la verginità. E mi ha fatto sempre pensare a come tutta questa storia dovesse funzionare, perché... Voglio dire, la perdita della verginità di solito è un processo che coinvolge due persone.
Recentemente una giovane donna ha subito una violenza di gruppo in un’università in Nigeria. E la reazione di molti giovani nigeriani, sia uomini che donne, era qualcosa sulla falsariga di questo: "Sì, lo stupro è sbagliato. Ma che cosa ci fa una ragazza in una stanza con quattro ragazzi? " Ora, se possiamo dimenticare l’orribile disumanità di tale risposta, questi nigeriani sono portati a pensare alle donne come intrinsecamente colpevoli. E sono stati educati ad aspettarsi così poco dagli uomini che l'idea degli uomini come esseri selvaggi senza alcun controllo è in qualche modo accettabile. Insegniamo alle ragazze la vergogna. " Chiudi le gambe", "Copriti." Le facciamo sentire come se nascere femmine le rendesse già colpevoli di qualcosa. E così, le ragazze crescono fino ad essere donne che non possono dire di avere desideri. Crescono per essere donne che si zittiscono da sole. Crescono per essere donne che non possono dire quello che realmente pensano. E crescono - e questa è la cosa peggiore che facciamo alle ragazze - crescono per essere delle donne che hanno trasformato il dover fingere in una forma d'arte.
Conosco una donna che odia il lavoro domestico. Semplicemente lo odia. Ma finge che le piaccia. Perché li è stato insegnato che per diventare "buona materia da matrimonio", deve essere - per usare una parola nigeriana - molto "casalinga". E poi si è sposata, e dopo un po' la famiglia del marito ha cominciato a lamentarsi che fosse cambiata. In realtà, lei non era cambiata. Si era solo stancata di fingere.
Il problema con il genere è che prescrive come dovremmo essere, piuttosto che riconoscere come siamo.
Ora, immaginate quanto saremmo stati più felici, quanto più liberi di vivere le nostre vere individualità, se non avessimo avuto il peso delle aspettative di genere. Ragazzi e ragazze sono innegabilmente diversi, biologicamente. Ma la socializzazione esagera le differenze, e allora diventa un circolo che si alimenta da solo.
Prendete la cucina, per esempio. Oggi è più probabile che siano in generale le donne a fare i lavori di casa rispetto agli uomini, cucinando e pulendo. Ma perché è così? È forse perché le donne nascono con un gene della cucina? O perché nel corso degli anni la società le ha portate a vedere la cucina come il loro ruolo? A dire il vero, avrei risposto che forse le donne nascono con il gene della cucina, fino a quando mi sono ricordata che la maggior parte dei cuochi famosi nel mondo, ai quali diamo il vistoso titolo di “chef ", sono uomini.
Ho sempre avuto rispetto per mia nonna, che era una donna davvero brillante, e mi chiedo come sarebbe stata se avesse avuto le stesse opportunità degli uomini quando stava crescendo. Oggigiorno ci sono molte più opportunità per le donne rispetto ai tempi di mia nonna, grazie ai cambiamenti nella politica, ai cambiamenti nella legislazione, tutti quanti molto importanti. Ma ciò che conta ancora di più è il nostro atteggiamento, la nostra mentalità, ciò in cui crediamo e il valore che diamo al genere.
Cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sulle capacità, invece che sul genere? Che cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sull’interesse, invece che sul genere? Conosco una famiglia con un figlio e una figlia, entrambi brillanti a scuola, due bambini davvero meravigliosi e adorabili. Quando il ragazzo ha fame, i genitori dicono alla ragazza, "Va' a preparare degli spaghetti Indomie per tuo fratello." Ora, alla ragazza non piace particolarmente cucinare degli spaghetti Indomie, ma è una ragazza, e quindi lo deve fare. Che cosa sarebbe accaduto se​ i genitori, fin dall'inizio, avessero insegnato, sia al ragazzo che alla ragazza, a cucinare gli spaghetti? Cucinare, tra l'altro, è una capacità molto utile da possedere per un ragazzo. Non ho mai pensato che avesse senso lasciare una cosa così importante, la capacità di nutrire se stessi, nelle mani di altri.
Conosco una donna che ha la stessa laurea e lo stesso lavoro di suo marito. Quando tornano dal lavoro, lei fa la maggior parte dei lavori di casa, e penso sia così per molti matrimoni. Ma quello che mi ha colpito di loro è che ogni volta che il marito cambiava il pannolino del bambino, lei diceva "grazie" a lui. Ora, cosa accadrebbe se lei vedesse come perfettamente normale e naturale il fatto che lui debba, a tutti gli effetti, occuparsi di suo figlio?
Sto cercando di disimparare molte delle lezioni di genere che ho interiorizzato quando ero piccola. Ma a volte mi sento ancora molto vulnerabile di fronte alle aspettative di genere. La prima volta che ho tenuto un corso di scrittura in una facoltà specialistica, ero preoccupata. Non ero preoccupata per le cose che avrei insegnato, perché ero ben preparata e stavo andando ad insegnare quello che mi piaceva. Invece, ero preoccupata per quello che avrei indossato. Volevo essere presa sul serio. Dato che ero una femmina, pensavo di dover automaticamente dimostrare il mio valore. Ed avevo paura che, se fossi apparsa troppo femminile, non sarei stata presa sul serio. Volevo davvero mettere il mio lucidalabbra brillante e la mia gonna femminile, ma ho deciso di no. Invece, ho indossato un vestito molto serio, molto maschile e molto brutto. Perché la triste verità è che quando si tratta di apparenza, cominciamo col prendere gli uomini come standard, come la norma. Se un uomo si sta preparando per un incontro d'affari, non si preoccupa di apparire troppo virile, e quindi non essere preso seriamente.. Se una donna si sta preparando per un incontro d'affari, deve preoccuparsi dell'apparire troppo femminile, di quello che dice, e se verrà presa sul serio oppure no. Vorrei non aver indossato quel brutto vestito quella volta. A dirla tutta l’ho bandito dal mio armadio. Se avessi avuto la fiducia che ho ora, nell’essere me stessa, i miei studenti avrebbero beneficiato ancora di più del mio insegnamento, perché sarei stata molto più a mio agio, e più profondamente e sinceramente me stessa.
Ho scelto di non dovermi più scusare per il mio essere donna e per la mia femminilità. E voglio essere rispettata in tutta la mia femminilità, perché lo merito.
Il genere non è un argomento di facile discussione. Sia per gli uomini che per le donne, quando si parla di genere a volte si incontra una resistenza quasi immediata. Posso immaginare ci siano delle persone qui che stanno pensando: "Donne sincere con se stesse?" Alcuni tra gli uomini qui presenti potrebbero pensare, " Ok, tutto questo è interessante, ma non la vedo così." E questo fa parte del problema. Che molti uomini non pensino attivamente al genere o non notino il genere, è parte del problema di genere. Che molti uomini dicano, come il mio amico Louis, "Ma tutto va bene ora." E che molti uomini non facciano nulla per cambiarlo. Se sei un uomo ed entri in un ristorante con una donna e il cameriere saluta solo te, ti viene in mente di chiedere al cameriere: "Perché non l'ha salutata?"
Poiché il genere può essere un argomento molto scomodo da discutere, ci sono modi molto semplici per chiuderla, per chiudere la conversazione. Alcune persone tireranno fuori la biologia evolutiva e le scimmie, e come le femmine delle scimmie si inchinino davanti ai maschi e cose del genere. Ma il punto è che noi non siamo scimmie. Inoltre le scimmie vivono sugli alberi, mangiano lombrichi a colazione, ma noi non lo facciamo.
Alcune persone diranno, "Beh, anche i poveri uomini hanno dei momenti difficili. " E questo è vero. Ma non è di questo che tratta la conversazione. Genere e classe sono forme diverse di oppressione. In effetti ho imparato un bel po' di cose sui sistemi di oppressione e in che modo siano ciechi l'uno verso l'altro, parlando con uomini neri. Una volta stavo parlando del genere con un nero e mi ha detto: "Perché devi dire 'la mia esperienza di donna'? Perché non può essere la tua esperienza 'come essere umano '?" Bene, questo era lo stesso uomo che si riferiva spesso alla sua esperienza da nero.
Il genere conta. Uomini e donne sperimentano il mondo in modo diverso. Il genere influenza il modo in cui viviamo il mondo. Ma possiamo cambiare la situazione. Alcune persone diranno: "Oh, ma le donne hanno il potere reale, il "bottom power". E per i non nigeriani, "bottom power" è un'espressione che suppongo significhi qualcosa per intendere una donna che usa la sua sessualità per ottenere favori dagli uomini. Ma il "bottom power" non è affatto un potere. "Bottom power" significa che una donna ha semplicemente una buona base dove attingere, di tanto in tanto, al potere di qualcun altro. E poi, naturalmente, dobbiamo chiederci quando questo qualcun altro è di cattivo umore, o malato o impotente.
Alcune persone diranno che una donna subordinata a un uomo è la nostra cultura. Ma la cultura è in continua evoluzione. Ho due bellissimi nipoti gemelli di 15 anni che vivono a Lagos. Se fossero nati cento anni fa, sarebbero stati portati via e uccisi perché era la nostra cultura, era nella cultura Ibo uccidere i gemelli. Quindi, qual è il punto della cultura? Voglio dire, c'è l’elemento pittoresco - la danza, ad esempio - ma la cultura riguarda anche la conservazione e la continuità di un popolo. Nella mia famiglia, io sono la figlia più interessata alla storia di chi siamo nelle nostre tradizioni e alla conoscenza delle terre ancestrali. I miei fratelli non sono così interessati come me, però io non posso partecipare. Non posso andare ai loro incontri. Non posso avere voce in capitolo, perché sono femmina.
La cultura non crea un popolo. Il popolo crea una cultura.
Quindi, se è effettivamente vero che la piena umanità delle donne non è la nostra cultura, allora dobbiamo renderla la nostra cultura.
Penso molto spesso al mio caro amico Okuloma Mmaduewesi. Possano lui e gli altri che sono morti nell’incidente di Sosoliso continuare a riposare in pace. Egli sarà sempre ricordato da quelli di noi che lo amavano. E aveva ragione, quel giorno, molti anni fa, quando mi ha chiamata femminista. Io sono una femminista. E quando ho cercato la parola nel dizionario quel giorno, questo è quello che diceva: femminista: una persona che crede nell'uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi.
La mia bisnonna, dalle storie che ho sentito, era una femminista. Scappò dalla casa di un uomo che non voleva sposare e finì per sposare l'uomo che aveva scelto. Si rifiutava, protestava, alzava la voce, ogni volta che sentiva di essere privata dell'accesso, dello spazio, quel genere di cose. La mia bisnonna non conosceva quella parola, " femminista. Ma non vuol dire che non lo fosse. Molti più di noi dovrebbero rivendicare quella parola.
La mia definizione di femminista è:
femminista è un uomo o una donna che dice: "Sì, c'è un problema di genere oggi come oggi, e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio."
Il miglior femminista che conosco è mio fratello Kene. Lui è anche un uomo gentile, bello e adorabile. Ed è molto virile.
Grazie.”
Inoltre nell’attesa, sorseggiando di tanto in tanto il mio tè alla menta, tiro le somme della giornata di oggi e mi sento alquanto soddisfatta. Al di là di quello che ognuno di voi possa pensare di questa ricorrenza, personalmente ne ho approfittato per passare una giornata all’insegna dello studio grazie anche all’iniziativa voluta dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo che ha permesso alle donne interessate di visitare gratuitamente tutti i musei e i luoghi di cultura statali. Non credo ci sia nulla di più adatto in certe ricorrenze. 
Ricordatevi: siate curiosi, siate avventurosi, siate folli, non accontentatevi mai perché solo così potrete fare la differenza.
Stefania.
Chimamanda Ngozi Adichie, Dovremmo essere tutti femministi, Torino, Einaudi, 2015
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welcometomylife42 · 5 years
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Sono felice per te, nonostante la fatica, anche se lavori duro vedrai che avrai buone soddisfazioni quando quello che otterai lo avrai guadagnato tutto tu, in bocca al lupo!
Passo passo vedrai che tra patente e il resto ce la farai, non cedere e guarda avanti.
Ma è legale fare tutti quei giorni senza stop di lavoro? Devi esserne uscita stravolta...
Non so se lo sai, io Theo l'ho incontrato.
Situazione esilarante, imbarazzante e sicuramente non voluta, però poteva andare molto peggio. Ero seduta una sera tardi su un muretto in montagna a discutere con tuo fratello e avevo lacrime un po' ovunque, poi vedo questo ragazzo dai vestiti sgargianti con una ragazza e per un secondo mi sono rivista, poi la mia mente ha detto che non aveva senso scappare o altro, sono rimasta lì, mi sono asciugata le lacrime e ci siamo salutati, ho conosciuto la sua amica.
Quando ho finito di parlare al telefono mi sono avvicinata a loro, ero nel mood del "fanculo tutto" ed ero anche curiosa. Curiosa di sapere come stesse, come se la passasse, anche perché nonostante tutto ci resto legata a lui. È andato tutto bene, nulla di che, niente di eccessivo, con un certo distacco. Dato che c'era la sua amica (che non so se mi conosceva già o se invece non sapeva nulla della mia persona) abbiamo raccontato un po' i vecchi tempi e l'abbiamo portata a fare un giro nel recidence...
Poi niente a un certo punto, dato che tra l'altro dovevo svegliarmi presto, ho detto che andavo e niente, ci siamo salutati come due conoscenti, più o meno.
Opinioni personali? È andata bene, è stato anche divertente, però lui non è cambiato di una virgola, o comunque, se è cambiato, di molto poco. Sento ormai un abisso, anche se non è una cosa che ho provato solo con lui.
Non so cosa sia successo tra voi ma mi dispiace se ci sei rimasta male o ti ha trattato male. Per quello che ho visto è sempre lo stesso.
Uff comincia un nuovo anno di università. C'è un cambio di coinquilini in casa, speriamo bene. Cambio di tante altre cose. Dovrò quasi totalmente salutare le mie compagne di corso perché seguirò le lezioni del primo anno e non del secondo, di nuovo con gente sconosciuta. Ma pazienza, bisogna farsi forza e farsene una ragione. Sono già stanca.
Ho bisogno di andarmene da questa casa, da questa famiglia, ho bisogno di aria.
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ilmiolimbo · 6 years
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Domenica 15 luglio 2018, ore 20:37
Da qualche giorno ho mal di schiena quando mi sveglio. Ora, anche di giorno. Credo sia per la postura, sono sempre seduta per studiare, per il fatto che sia in sovrappeso e che non faccia sport. Martedì ho l'esame più difficile che abbia mai fatto all'università, probabilmente il più difficile in 5 anni. Sono abbastanza tranquilla perché mi sento molto preparata, dall'altra parte è un mese e mezzo che studio solo per lui.
Mi sento sola, senza amici e con una famiglia e un fidanzato che non mi comprendono come vorrei, non riescono a capirmi, sono così diversi da me e così simili tra loro.
A livello universitario sono stanca.
Sono felice per il lavoro, mi hanno cambiato, ora sto in biblioteca, devo archiviare libri. Posso lavorare tutti i giorni quando voglio, quindi tra fine luglio/inizio agosto e fine agosto/inizio settembre concludo le ore, mi pagano e CIAONE! Finalmente potrò dedicarmi solo all' università e il tempo libero a me stessa, ho bisogno di tempo per me, per uscire e svagarmi con i "conoscenti" (perché amici non sono) che mi regalano due risate e con cui sto bene. Ho bisogno di dimagrire perché il mio corpo è cambiato e secondo me anche la salute ne sta risentendo. Infatti tolto il lavoro, da settembre inizio. È deciso. Mi ci metterò d'impegno, come ogni altra cosa che faccio.
Che poi l'importante è stare bene con se stessi, tutto il resto non conta. E io voglio arrivare a stare bene con me stessa e con i miei impegni, la mia vita, la mia carriera.
Pian piano ho eliminato sempre di più le persone intorno a me, fino a capire che non avevo veri amici, solo conoscenti. Ma mi sono detta ho due genitori, una sorella, un fidanzato. Mi amano sicuramente, ma...boh sono pratici e io teoria, non ci prendiamo, loro si prendono.
Vorrei che qualcuno mi capisse, capisse perché ho scelto l'università sopra ogni cosa, perché psicologia, più nel dettaglio neuroscienze, in particolare i meccanismi neurali del BED, sia la mia linfa vitale.
Mi criticano il fatto che secondo loro non so vivere, non so fare nulla di pratico ecc., nessuno pensa ai miei risultati universitari? All'impegno che ci metto? Alla passione che ho? Al fatto che comunque lavoro nel mentre e mi dò da fare? Ci sono persone che mi ammirano, genitori che vorrebbero una figlia come me e ragazze che vorrebbero avere una sorella come me e loro non mi apprezzano, forse c'è pure chi vorrebbe una fidanzata come me. A me non interessa, sinceramente, di loro, cioè mica non ci parlo, viviamo comunque insieme e con il mio ragazzo ci sto bene alla fin fine. Continuerò sulla mia strada, con le mie ambizioni, i miei traguardi, i miei obbiettivi e i miei sogni. Da sola o con pochi, io ho un obiettivo enorme, ambizioso e ne vado fiera. Sarò pure egoista o egocentrica secondo loro, io mi reputo semplicemente individualista, perché nonostante mi sia rovinata con le mie stesse mani mi sono sempre messa davanti a tutto e tutti. E comunque io una persona vicino e costante per tutta la mia vita non ce l'ho mai avuta e sarò pure depressa a stare a 23 anni a sfogarmi su Tumblr, ma mi sono sempre salvata da sola e continuerò così, sempre. Perché io ci sono, ci sarò e soprattutto ci sono stata per me stessa, perché non c'è nessun'altra persona al mondo che può capirmi e amarmi come faccio io con me.
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frusciodistreghe · 8 years
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2.
Bum Bum Bum!
E’ già la quarta volta che bussano insistentemente! Possibile che non capiscano che è occupato? Merda sto di merda. Ho bevuto decisamente troppo, le piastrelle del bagno continuano a fluttuare davanti ai miei occhi. Improvvisamente mi scappa da ridere. Da quanto tempo non bevevo così? E poi scusa dove sono finiti tutti? Ho dei ricordi vaghi di Mati che va via con Giovanni e degli altri che scendono a comprare le sigarette nel tabacchino sotto casa del festeggiato. Bum Bum Bum! Ancora?! Ora giuro che mi incavolo. Mi alzo in fretta e la stanza inizia a girare così velocemente che ho bisogno di appoggiarmi alla maniglia della porta per non cadere a terra. Questa si apre (allora non avevo chiuso!) e sbatte violentemente contro il molestatore. “Che cazzo fai?!” grida questo e si gira tenendosi una mano sul naso. Devo averlo colpito in pieno viso. Sto per scoppiare a ridere quando riesco a metterlo a fuoco e capisco chi ho davanti. Lui. Oh no! Lui no! Un lampo di comprensione gli passa negli occhi e una serie di espressioni indecifrabili deformano i suoi bei tratti.“Guarda un po’ chi si vede!” mi dice con quel suo ghigno divertito e gli occhi verdi iniettati di sangue puntati su di me. Mi sento arrossire come una povera idiota mentre mi guarda. Dio! Detesto come mi fa sentire, come se fossi sempre fuori posto! “Cazzo ci fa chiusa nel mio bagno? Spostati devo pisciare”. Ed ecco a voi, signori e signore, la sua vera essenza. Così bello fuori quanto vuoto dentro. Non faccio in tempo a replicare che mi spinge di lato bruscamente, entra in bagno e chiude la porta a chiave, mettendosela nella tasca dei pantaloni. “Cosa fai? Sei impazzito?” mi giro verso di lui e lo guardo sgranando gli occhi. "Perchè? E’ il mio cazzo di bagno e devo pisciare e tu eri chiusa qua dentro da un sacco” biascica lui con il suo accento toscano. “Fammi uscire prima!” gli grido in risposta. Deve aver bevuto parecchio anche lui perché va verso il gabinetto e si gira con un sorrisetto malefico prima di iniziare a slacciarsi la cintura. Mi appare mentalmente la faccia di Ben Barnes nel “Ritratto di Dorian Gray” mentre accetta di scambiare la sua anima con il diavolo. Per quanto ne so e per l'assurdità della situazione potrei essere in un sogno. I contorni delle cose sono leggermente sfocati e non riesco a fissare lo sguardo su niente. Non ci posso credere. Lo sta facendo davvero. Sta facendo pipì! Con me in bagno! Provo ad aprire la porta ma non ottengo niente. Ha una mano appoggiata al muro. Fischiettando mi guarda da sopra una spalla. Nota la mia espressione esterrefatta e mi dice "Bhe che c'è? Non hai mai visto un uomo al cesso?” E ride. Sento un'ondata di calore e percepisco le mie guance arrossire. Come è possibile che tutte le volte lui riesca a farmi sentire una stupida? Mi passano velocemente tutte le umiliazioni subite nei tre mesi di università e sento montare la rabbia dentro di me. "Nessuno di loro mi ha mai costretto ad assistere. Sai com'è!”. Tace. Forse ce l'ho fatta. Mi siedo sul bordo della vasca mentre lui in silenzio si avvicina al lavandino e inizia a lavarsi le mani. E’ quando i nostri sguardi si incrociano nello specchio che decido di continuare. “Sai cosa? E’ che io ti detesto proprio. Ma davvero tanto! Sei sempre li a vantarti di quanto tu sia bravo e intelligente e di quanto gli altri non capiscano niente. Di quanto tu sia un bravo in quello che fai e bla bla bla. E non sei altro che un idiota pieno di se che non ha rispetto degli altri!”. Mentre parlo lui mi sorride malefico e si avvicina sempre di più alla vasca. La sua vicinanza mi fa arrabbiare, sa di essere bello di fare questo effetto alle ragazze, lo fa apposta per deconcentrarmi. Mi sposta una ciocca di capelli dal viso e la ferma dietro il mio orecchio e io mi blocco di colpo. “Se mi odi così tanto come dici perché il fatto che io sia a pochi centimetri da te ti destabilizza così tanto?” Scopre i denti in quello che dovrebbe essere un sorriso ma appare più come il ghigno di una belva che ha appena individuato la sua cena. Siamo così vicini che riesco a sentire il suo profumo mischiato a una nota pungente di alcol del suo fiato. I suoi occhi sono ancora più verdi e devo davvero fare appello al mio autocontrollo per non cedere all’ impulso di accarezzargli la barba scura. D’un tratto ho voglia di continuare a parlare. “Sì, ti odio davvero. Ti odio perché io lo so che tu potresti vedermi. Ma vedermi davvero, vedermi dentro. Ma io non voglio che tu mi veda. Non te lo meriti, sei solo un coglione. E ogni volta che mi guardi mi fai arrabbiare perché mi leggi e io non voglio. Capito? Non puoi averla vinta!”. Ommioddio. Sto vaneggiando. Cosa dico? Sono matta. Speriamo sia talmente ubriaco da non ricordarselo. Devo andare via, se solo non avesse tolto la chiave! Improvvisamente mi prende il mento con le dita e alza la mia testa in modo da far incontrare i nostri sguardi. “Sei tu la stupida qui.” Ora è serio. “Io lo so chi sono, so i miei limiti, so i miei difetti. Tu invece hai una gran paura, di te, di me, di tutto. Io non ho più paura.” Sono talmente arrabbiata che non capisco neanche quello che sto facendo. Gli metto la mano della tasca dei pantaloni, voglio la chiave, voglio andarmene di qua. Lui mi blocca il braccio. Faccio per divincolarmi ma non si smuove di un millimetro. Alzo l’altro braccio, ora se la prende sul serio una sberla. Mi blocca a mezz’aria la mano e mi spinge indietro contro la porta. Non l'ho mai visto così serio. Mi guarda negli occhi per un ultimo secondo e poi lo fa. Mi bacia. Preme le sue labbra sulle mie, dolcemente, anche se mi tiene ancora bloccata. Sono così morbide. E ha un buon sapore. Che idiota sono! Vorrei staccarmi e andarmene indignata ma la realtà è che non ne ho nessuna voglia. C’è una vocina dentro di me che mi sta urlando qualcosa. Solo che non capisco cosa. Mi lascia le braccia e posa la sua mano sulla mia schiena, spingendomi verso di lui. A quel contatto mi esce un gridolino e la vocina dentro la mia testa alza il volume. Le mie mani salgono fino al suo collo e poi affondano nei capelli ricci. Mi spinge ancora e si attacca a me, costringendomi tra lui e la porta. Sono così arrabbiata con lui! E con me! Me ne sto qui come una deficiente a farmi baciare. Gli stringo forte i capelli per la frustrazione e sento le sue labbra curvarsi in un sorriso. La vocina si fa per un istante più chiara ma non posso darle retta ora perchè ha improvvisamente cambiato il ritmo, mi bacia più intensamente, mi stringe. È quasi violento, urgente. Mi piace. Si stacca da me e inizia a baciarmi il collo, leccandomi e scendendo sempre di più verso il seno. Non so se voglio. Cosa sta succedendo. Non riesco a pensare lucidamente, non riesco a focalizzarmi su nulla e non so cosa fare. Dovrei staccarmi e uscire! Io lo odio, ricordi? Eppure il piacere si fa strada dentro di me mentre lo sento alzarmi la maglietta e con le dita calde abbassare il reggiseno morbido che indosso sta sera. Non so cosa fare. Mi guarda attraverso le ciglia per un istante e poi sento le sue labbra e la sua lingua sul mio seno destro. Sospiro. Possibile che sia reale? Sono davvero chiusa dentro il bagno con Lui? Poi, improvvisamente, si stacca da me e si alza. Mi guarda. Ha un sorriso diabolico stampato sulle labbra. “Mi odi eh?” mi dice. Ride. Improvvisamente capisco le parole della mia vocina interiore: “Idiota! Che ti aspettavi?”.
Lo spingo via, prendo la chiave ed esco. Devo assolutamente andarmene.
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youremywanderwoll · 8 years
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Quali sono le cose o le persone che ti mancano di più del liceo? 🖖🏻👩🏻‍🏫🍭
Anonnnn caro/a finalmente una bella domandina dopo tanto tempo! 🙈💖🌈Dunque..devo riflettere prima di rispondere a questa domanda ehAllora direi di iniziare con le cose che mi mancano del liceo: è stupido dire che mi manca l'idea stessa del liceo? Perché non c'è qualcosa in particolare che mi manchi, semplicemente sento spesso la necessità di avere tutto organizzato come lo era un tempo. Mi manca la costanza con cui studiavo ogni giorno, facevo sempre esercizi, scrivevo tanto, mi tenevo allenata (?). Qua mi sembra una cosa così assurda il dover studiare due mesi e non fare niente per altre tre mesi o più, perché diciamoci la verità: si studia ben poco durante le lezioni e si inizia a farlo veramente soltanto a ridosso degli esami. E non sono una pazza che desidera studiare ogni giorno, non pensare questo, dico solo che facendo così forse sarebbe più facile...Poi mi mancano le piccole cose stupide del liceo come le patatine buonissime alle macchinette, tutti gli adesivi appiccicati al diario (ora mi prendono per stupida se lo faccio), oppure le ora passate in rivolta totale contro alcuni prof. Mi manca tantissimo studiare letteratura italiana ora che ci penso, quelle lezioni bellissime della Loy in cui ascoltavo a bocca aperta.. 🌷😴Passando invece alle persone dico che mi manca l'idea di classe, quell'essere un gruppo (anche se non lo siamo mai stati), il fatto di voltarti e trovare comunque una faccia familiare con cui parlare di qualsiasi cosa pur di non ascoltare la lezione...in università a volte mi sento sola, parli con tutti ma non sei amica di nessuno, ognuno è per i fatti tuoi e da un lato mi piace, ma dall'altro mi spaventa un po'. 😔Se devo parlare di persone specifiche che mi mancano allora: innanzitutto dico Eva, è la forse la persona che mi manca di più...ci incontriamo in uni qualche volta sì, scambiamo due parole, ma non è lo stesso che condividere cinque ore al giorno. Mi manca parlare con lei, non solo per dire cose che gli altri considerano cattive, ma anche di qualsiasi altra cosa, delle mille robe da studiare, dell'odio verso educazione fisica ahahah 💕🌻Poi mi manca anche Bebbina, per gli stessi motivi di Eva più o meno, eravamo un bel trio ops 🙊 e anche Gian Marco: lui è credo l'unica persona con cui mi sento più frequentemente e parliamo abbastanza, però non sono una persona che ama parlare per messaggio perché non riesco a dire quello che vorrei spesso, quindi mi dispiace.In tutta sincerità pensavo avessi sentito di più la mancanza di Greta, Benedetta e Martina: mi manca quello che eravamo a scuola, solo in alcuni momenti mentre in altri non le sopportavo, mi manca condividere tante cose con loro, formare quel quartetto nell'angolino e passare le lezioni a modo nostro, però vedendo come sono ora non mi dispiaccio più di tanto: Greta sta col suo ragazzo venticinquenne e ha abbandonato il mondo, Benedetta la vedo sempre in università ma ha quell'aria così arrogante e sempre scocciata che a volte mi dà ai nervi, Martina boh, finché veniva a lezione stavo bene con lei, ora non si è fatta più sentire e vedo solo le sue cento foto giornaliere in cui ce l'ha col mondo e con un amore finito ma che non finirà mai e bla bla bla (ah la novità sono le Vans Old Skool che non le stanno così bene quanto a me ahahahahah 🤣)Okay basta, sono stata troppo chiacchierona mi sa, scusami ma mi sono lasciata prendere 🙊Ps: lo dico a te che sei un anon innocentissimo: ho preso 30 e lode al mio primo esame di semiotica!!! Non l'ho detto nessuno (a parte alla mia famiglia) perché non ho per niente voglia di sentirmi dire che sono secchiona e non mi va di sembrare vanitosa quando non è così. Sono stupida lo so! 🦄🍭
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