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MEXICAN SPITFIRE
Mi chiamo Costanza Alma Jiménez Del Boca. Sono stata una ballerina, una cantante e un’attrice. Ho recitato per Cecile De Mille e D.W. Griffith, sono comparsa in 37 pellicole che mi hanno fatto guadagnare una stella sulla Walk of Fame, ma le interpretazioni più memorabili si consumarono tutte fuori dal set. Sono balzata agli onori della cronaca a causa di un’esistenza burrascosa fatta di grandi successi e scarti di botteghino, di folli passioni e dubbie frequentazioni, di pugili e gangster, di fiumi d’alcol e barbiturici... un’esistenza colata a picco nella tazza di un water, la notte di Halloween di quasi un secolo fa. Questo almeno è quello che tramandano le leggende. Si scomodò tutta Los Angeles per il mio funerale. Il sindaco, il presidente dell’Academy, Orson Welles e persino quella gran piantagrane di Bettie sfilarono a testa china per i viali dell’Hollywood Memorial, precedendo il lungo corteo di ammiratori affranti. L’unica a versare lacrime autentiche fu Dolores. L’unico a non farsi vedere fu Lui. La camera ardente venne tenuta aperta un’intera giornata affinché le centinaia di persone accorse da ogni angolo della città potessero ammirarmi - fasciata nello splendido abito di chiffon bianco che avevo scelto per l’occasione - e rivolgermi una preghiera d’addio. Tra i numerosi epiteti che mi ha affibbiato la stampa "sputafuoco messicano" è senz’altro il mio preferito. Rende bene l’dea. I giornalisti dicevano che avevo bruciato le tappe e incendiato i cuori di molti... ma l’unico a rimetterci per davvero fu il mio. Non diedi mai peso ai linciaggi mediatici e ai nomignoli poco lusinghieri che vedevo spesso stampati vicino al mio nome. Consideravo quelle riviste carta straccia, roba buona per pulirsi il culo, per lucidare gratis un’immagine appannata o garantirsi la pensione. Come accadde alla cameriera di casa Del Boca. Quella che tirò fuori la mia testa dal gabinetto, per intenderci. Juanita non dovette più spolverare una mensola in vita sua. Campò di rendita grazie alle interviste che di tanto in tanto le facevano, vuoi per una ricorrenza, vuoi per riempire un buco di cronaca. La sua memoria invece di sfaldarsi e cedere al logorio del tempo sembrava rinvigorirsi a ogni confessione. Al pari di un abile prestigiatore, quella faina tirava fuori dal cilindro dettagli sempre più vividi sulla mia morte. Il tono cambiava a seconda del giornale: se l’intervista doveva comparire su una testata scandalistica di bassa lega, i racconti si riempivano di dettagli macabri e raccapriccianti come i grumi di vomito che aveva tolto dai miei capelli e le occhiaie viola che avevano deturpato il mio volto appena trapassato. Se a sganciare i verdoni era una rivista destinata alle povere casalinghe frustrate, i toni rasentavano un pietismo bieco. Fu così che Juanita, durante una delle sue miracolose reminiscenze, ripeté le parole che giurava di avermi sentito bisbigliare nel mio ultimo anelito di vita. "Chiedo perdono..." le parve di udire. Forse avrà ingannato le casalinghe piagnucolose e i lettori poco attenti, ma chi mi conosceva veramente, sapeva che non avrei mai chiesto scusa. Mai. Prendersela per queste cose comunque non serve a niente, soprattutto a Hollywood dove la dignità è una valuta molto rara e di solito fa rima con convenienza. In quell’universo di cartapesta è impensabile salvarsi dallo scannatoio mediatico, puoi solo fare buon viso a cattivo gioco e approfittarne. Il primo consiglio utile che uscì dalla bocca del mio agente fu quello di fregarmene e di cavalcare gli umori dei rotocalchi: del resto essere sempre in prima pagina garantiva nuovi ingaggi, visibilità, passapartout illimitato per letti e film importanti. Non dovevo compiere grandi sforzi per essere rincorsa dalla stampa: facevo tutto quello che mi passava per la testa, fottendomene delle conseguenze. Come la volta in cui rincorsi Gary in stazione brandendo la mia calibro 22. Adoravo quella pistola, le avevo fatto fare l’impugnatura in madreperla e non esitavo a usarla. Povero Gary, come sbiancò quando partì il colpo! Non credeva che avrei avuto il fegato di sparargli. Per sua fortuna non ho una buona mira. Sì, il soprannome di sputafuoco mi calzava a pennello. Su una cosa ci avevano azzeccato quei giornalistucoli della domenica... Il mio temperamento avrebbe fatto invidia a una granata. Ero sempre pronta ad accendere la miccia.
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