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#nevioscala
enisports-blog · 7 years
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Scala raises eyebrows over Buffon international career
Scala raises eyebrows over Buffon international career ##Argentina ##England ##GianluigiBuffon ##juventus
Gianluigi Buffon wants to keep playing for Italy Former Parma chief coach, Nevio Scala has raised a few eyebrows over the international career of Juventus skipper, Gianluigi Buffon.
The Italian has a whole lot of confusion regarding his fellow compatriot’s continued involvement for the national team.
In simple language, Scala has admitted having concerns over whether Buffon should keep starring…
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ufficiosinistri · 7 years
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La distanza dal mare
Le montagne del Jura sono verdi, di un verde da pubblicità di prodotti biologici. O per lo meno, erano verdi, nell'estate del 1994. Penso e spero che lo siano ancora. La salita dalla Francia, dopo aver oltrepassato la mitteleuropea Besançon, fu dolce e graduale, la strada era una strada di montagna che avanzava tra prati recintati, paesini e piccoli torrenti nei quali immaginavo come sarebbe stato pescare. Eravamo in camper e dormimmo in un campeggio poco prima del confine con la Svizzera, stavamo tornando dalla vacanza trascorsa in giro per l'Irlanda e il Galles. L'imbarco da Liverpool Holyhead era stato ventoso e soleggiato, mentre l'arrivo in Irlanda me lo ricordo calmo. Così calmo e riposante che prima di arrivare al campeggio, nostro campo base per poter visitare la capitale, ci fermammo a visitare la Martello Tower, la casa di James Joyce. Durante quell'estate stavo leggendo "Gente di Dublino" e mio padre mi prendeva in giro, lui che ha sempre detestato Joyce. La discesa verso il Lago di Ginevra, una volta oltrepassato il confine nei pressi di La Chaux-de-Fonds, fu accompagnata da un sole inusuale per quelle valli: era forte e vivace ed arrivava ad illuminare i tetti della città che avevamo sotto di noi, lontana chilometri ma già ben visibile da alcuni tornanti rivolti a sud, che parevano affacciarsi sull'immenso specchio d'acqua come gli spettatori a teatro, che per applaudire dalle gallerie si sporgono dai davanzali dei loro balconcini. Quella città era Losanna. Entrammo a Losanna, per attraversarla, verso metà mattina. Noi goffamente a bordo del camper, in cerca delle indicazioni per Martigny, mentre tutto intorno la vita procedeva pulita, limpida e comodamente adagiata. I marciapiedi bassi, le chiese moderne che si mimetizzavano con i palazzi di vetro, sedi di banche di tutto il mondo, le indicazioni per le rive del lago che sembravano quelle per indirizzare verso le diverse sale i visitatori di un museo. Uscimmo dal centro città nei pressi di uno svincolo ordinato da due rotonde, e sempre verso sud potemmo iniziare a scorgere le vette innevate delle Alpi e il Grand Combin, al confine con la Val d'Aosta, che si stagliavano nel cielo estivo alla fine di una valle geometrica e bigia che comprendeva l'autostrada, la ferrovia e i Rodano, ancora neonato e torbido di ghiacciaio. Vedevo Losanna come il simbolo dei luoghi più distanti dal mare, più significativo di uno svincolo di tangenziale cittadina in un pomeriggio di settembre.
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A Losanna, nell'estate calda, per lo meno nel resto dell'Europa non neutrale, del 1969, nacque Stéphane Chapuisat, il più grande calciatore svizzero di tutti i tempi. Aveva appena segnato, in quel giugno, alla rivelazione Romania al Mondiale americano, in occasione di una roboante vittoria dei crociati contro l'Argentina dell'Est per quattro reti a uno ma, al contempo, era appena stato eliminato, insieme a Ciriaco Sforza, dalla Spagna, agli ottavi, con un netto 3-0. Passai da Losanna proprio nella settimana del suo compleanno. Giocava al Borussia Dortmund all'epoca, in quella che sarebbe diventata una delle squadre tedesche più pittoresche di sempre, anche se pittoresca lo era sempre stata, sin dal nome. "Borussia" significa infatti "Prussia", ma era anche il nome di una birreria della città, che sostituì come sponsor della squadra nientemeno che l'organizzazione ecclestiastica della città, nella sua piena era di espansione industriale.  
Al Borussia Dortmund "Chappi" segnò con una media di quasi un gol ogni due partite. I suoi due allenatori furono il Signor Hitzfeld dalla Brisgovia e il Signor Scala dalla sezione patalina dei Colli Euganei. Col primo, lo sanno anche i muri, giocò in una delle squadre più forti, meglio assortite e divertenti della storia del calcio: Julio Cesar, Sammer, Paulo Sousa, Andreas Möller. C'era il libero vecchio stampo, c'era il trequartista alto e spigoloso, c'erano le mezze ali, c'era il mediano coi piedi buoni non dedito esclusivamente ad interdire e c'era Stéphane Chapuisat, un centravanti proveniente dal Lago Lemano, nella Svizzera francese, forse l'ultimo luogo dal quale si potrebbe immaginare provenire un attaccanti che gioca a pallone, capace di vincere tutto. Il suo compagno di reparto era Riedle, il vecchio imperatore, il Karl-Heinz che fu capace di segnare una doppietta alla Juventus nella finale di Champions League disputata a Monaco di Baviera, vendicando così l'immenso Del Piero e il gol siglato al Westfalenstadion l'anno precedente, che diventò copyright di quel modo tutto da destri di fare gol dal limite dell'area. Quell'anno, il 1996,  la Juventus trionfò in finale contro l'Ajax, mentre il Pallone d'Oro andò al libero vecchio stampo della squadra prussiana di Chapuisat, Sammer.
Chappi fu comunque uno degli ultimi ad andarsene da quel Borussia, riuscendo anche a vincere, sempre nel 1997 e con Nevio Scala a comandare le operazioni, la Coppa Intercontinentale. L'avversario fu il Cruzeiro di Dida e la stagione terminò con un inglorioso settimo posto. La Bundesliga stava cambiando faccia, stava diventando la Bunsdesliga moderna dove una squadra vince e le altre “compagini” sono da sempre relegate al ruolo di inseguitrici. Un a Bundesliga che non rientrava nelle corde del nostro svizzero, degli avverari che avevano bisogno, per poter giocare al passo coi tempi,  di un trequartista spigoloso come Andreas Möller. Il nostro svizzero, invece, è sempre stato un giocatore diligente e azzimato, scaltro. E se ne tornò a giocare nel Paese dei cantoni. Un attaccante insofferente da lungolago, conscio della distanza che lo ha sempre separato dal mare: un luogo caldo, compromesso, dove ci si accontenta di bollire in coda alla cassa del discount per una bottiglia di vino rosato e tre dolci pagati con la moneta avanzata di una settimana di lavoro per pensare di rallegrare una serata.
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stefanoreves · 4 years
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