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L'ultimo scatto di Fulvio Roiter
-- Che la terra sia leggera al grande fotografo, autore di alcune delle più belle immagini di Venezia, ma prima ancora dei più umili e poveri del mondo
di Gian Antonio Stella
«Me alxo dal leto ne la me casa al Lido, me lavo la facia, me grato 'a testa, comisio a farme 'a barba ancora un pochetìn rimbambìo dal sonno, guardo distratamente 'a finestra. Ghe sbocio!!! La neve!!! La neve a Venessia! In pieno Carnevàl!!! La neve! Ghe sbocio!!!».
© Fulvio Roiter, Carnevale sotto la neve, 1966 (Cibachrome 48x33,5 - Archivio G.M.)
E il vecchio Fulvio Roiter si rovesciava a raccontare, in uno scroscio entusiasta di dialetto veneziano, quella meravigliosa avventura mattutina. Un racconto torrenziale che traduciamo pur sapendo di far torto a quella cronaca magnifica: "Butto la lametta, chi se ne frega della barba, mi infilo le prime braghe che trovo sottomano, un maglione, un giaccone, la Lou mi grida "pettinati almeno!", macché pettine, se smette di nevicare addio, butto nella borsa la macchina fotografica, e un po' di obbiettivi, corro come un pazzo verso l'imbarcadero, guardo l'orologio, vacca miseria devo aspettare sei minuti, non passano mai, cinque minuti, quattro minuti, tre minuti, due minuti, un minuto, arriva finalmente il vaporetto, salto su, "Forza fioi, nemo! nemo!", la neve veniva giù bellissima, lenta lenta, il tragitto dal Lido San Marco mi pare interminabile, Ostia, nol riva mai!", Venezia era stupenda, dico stupen-da!, c'era perfino un po' di "caligo", la nebbiolina, non ti dico il Campanile e il Palazzo Ducale e le due colonne del Leòn e San Tòdaro! Me.ra-vi-glio-si! Scatto una foto drìo l'altra, arrivo, mi butto giù dal vaporetto e comincio a correre per salire su per il Campanile, "ostia! Ancora serà!", giro su e giù disperato: neanche una maschera! "Gnanca una Dio benedeto!", corro e scatto, corro e scatto , ma "gnanca 'na maschera", era troppo presto, erano ancora tutti a letto, "de colpo! No! No posso crederghe! Ghe sbocio! Riva vanti do imbriaghi spolpi che 'a gaveva fato notte e i doveva ancora 'ndare a dormir" Due costumi stupendi. Neri. Con la neve bianca. Dico stu-pen-di! Urlo: "fermi!" Si bloccano: "Cossa ti vol?" Cosa vuoi? Dico "spalancate le braccia come angeli della notte!", l'ho sentita subito, mentre li facevo: quella era "la" foto, non so se mi spiego, non una bella foto: era "la" foto…».
Sono usciti articoli bellissimi, in questi giorni, per ricordare quello che è stato uno dei grandi testimoni dell'arte della fotografia. Ciò che è difficile ricordare, però, è l'entusiasmo con cui Fulvio, uno schiumoso ruscello in piena, riusciva a raccontare le sue storie. Ricordava uno per uno ogni «clic». E ogni «clic», diventava un'avventura sempre incredibile sempre coloratissima, sempre stupefacente: «Tasi che te conto!», taci che ti racconto!
DIETRO LE APPARENZE. Come quando spiegava la sua ammirazione per i vignaioli francesi della Champagne: «Un giorno suona il telefono :"Bonjour monsieur Roiter, rappresento i produttori della Champagne. Vorremmo proporle di fare un libro fotografico sulla nostra regione". Ci vediamo, parliamo, ci mettiamo d'accordo. Dico: per fare una cosa buona dovete darmi una mano. Ogni tanto telefonavano: monsieur Roiter, in questi giorni stanno passando migliaia di uccelli, le abbiamo prenotato un volo da Venezia domani mattina, all'aeroporto ci sarà una macchina ad attenderla…". "Monsieur Roiter, c'è una grande nebbia: le abbiamo prenotato un volo da Venezia domani mattina…" "Monsieur Roiter, tutte le vigne sono bianche di neve, le abbiamo prenotato un volo da Venezia domani mattina…"Così si lavora!».
Qualcuno, a torto, lo ricorderà per le foto di Venezia, i milioni di cartoline vendute con le maschere, certi sguardi lagunari… Finché ha avuto gambe e fiato, però, Fulvio è stato «prima», uno strepitoso fotografo degli ultimi. Il minatore nudo che spinge un carrello nella zolfatara siciliana. Il maniscalco nano andaluso, i gauchos del Rio Grande do Sul, gli indios in Amazzonia, i pastori della Mesamérica, i pigmei del Monte Hojo, la vecchia moglie di un povero suonatore a New Orleans…Che la terra gli sia leggera.
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n.d.r. - Ci vogliamo scusare con i nostri lettori se, eccezionalmente, ricorrendo proprio oggi la scomparsa, avvenuta lo scorso anno, dell'Amico Fulvio Roiter, abbiamo esulato dalla nostra linea di pubblicare solo articoli originali, proponendo un bel ricordo scritto da Gian Antonio Stella per la sua rubrica Cavalli di razza apparso su "Sette" il 29 Aprile 2016.
Ci piace anche sottolineare che proprio a Fulvio nel novembre 2002 fu assegnato a Fotopadova (manifestazione fotografica che abbiamo voluto ricordare nel dare origine questo sito) l'ambito Premio "Dietro l'obiettivo: una vita".
Fulvio Roiter - © G.M. (2002)
#fulvio roiter#champagne#gauchos#rio grande do sul#amazzonia#mesamérica#monte hojo#new orleans#sette#cavalli di razza#gian antonio stella
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Birthday ask time!
I'd like to see one of the ace-headcanoned Riders celebrating their birthday with everyone from their season and all their friends from the other seasons, if that works fo you.
Ask and ye shall receive!
I’m going to do something with only the cast of one season if you don’t mind, haha
“Emuuuu! Happy birthday!!”
“Oof, Poppy!” Emu laughed as the nurse body-slammed him with a hug. He barely caught her in time before they tumbled down the hospital’s spiral staircase.
“I got you something! I put it in your desk~” she told him with a clap of her hands.
“Alright, I’ll go check it out now. Thank you!” Poppy beamed at him, pressed a kiss on his cheek before saying goodbye to report for duty. Emu chuckled and continued on his way to his own office.
“Intern- I mean, Hojo-sensei.” Emu looked up to see Hiiro waiting for him at the top of the staircase, holding up a small pastry box. “Happy birthday.”
“Oh- I, thanks,” he said, accepting the box.
“It’s Mont Blanc. I remember you mentioned you like it, so I got some from my usual pastry shop for you.” Hiiro stated, sounding extremely flustered. “I-Uh, I have a surgery to get to now, so... yeah.���
And just like that, the senior surgeon fled, though Emu thought it strange that he was going in the opposite direction of the operating rooms. Emu shrugged and continued his way.
“Oi! Genius Gamer M!”
“Nico?” Emu asked. “What are you doing here?” he asked the girl who was leaning on the wall outside his room.
She aggressively grabbed his hand and put an envelope on it. “From me and Taiga. But don’t tell anyone about it!” she said with a clear threat, before stomping away.
Emu blinked after her, then opened the envelope, eyes widening when he saw the all-access pass to Gemn Corp’s exhibition- the notoriously exclusive, hard-to-get, and incredibly expensive ticket that Emu’s been coveting for months, and a note from Taiga duly promising to cover his shift that day, signed by himself and the hospital director.
“Wow, everyone’s giving me stuff today...” Emu said to himself as he walked into his office.
“Oh, you’re finally here, birthday boy!” crowed Kiriya, making Parad look up from the game he was playing on his phone. “Make sure to clear your sched later tonight, Parad and I are treating you to some great food and drink!” he said, slinging an arm around Emu.
“Ugh... you don’t have to do that, Parad, Kiriya-san...” Emu said with a little laugh. “But thanks, I guess?”
Kiriya nodded, apparently satisfied with his answer. “Seven p.m., my dude! I’ll text you the place. Be there or be square!”
“Alright, alright. See you later!” Emu called out as Kiriya left. He put the pastry and the ticket on his desk, along with the wrapped present from Poppy. He sighed, then took a seat on his chair and put his head in his hands.
“You do know everyone gave you that because we love you, right?” Parad asked, looking at the overwhelmed Emu.
“Yeah, I do,” Emu said, tears of happiness in his eyes. “I really do.”
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Boules de neige chapitre 30
Cactuar tequila on the rocks
AO3 | FF.net
Résumé : Gast a tout perdu. Son emploi, sa maison, ses amis, le peu de famille qu’il lui restait. Il ne lui reste que la vie, et pour la conserver, il devra la vivre caché de Shinra, Hojo et des Turks. Heureusement, Canyon Cosmo est prêt à l’accueillir, il y sera le bienvenu. S’il arrive à survivre à la fureur d’une petite jeune fille vêtue de rouge et prompte à la bataille de boue.
Personnages : Gast Falmis, Ifalna Crescent, Professeur Bugenhagen (Carl de son petit nom, c’est cadeau, c’est fanon), Seto, Nanaki (FF7), Nina (mère de Nanaki-OC)
Chronologie : Se déroule en 2951-2952. Pour référence, à ce moment-là, Vincent est sous le Manoir depuis six, sept ans, Jénova est rangée dans le réacteur du Mont Nibel, l’expérience Jénova est arrêtée et l’expérience SOLDAT commence juste.
Tags spécifiques au chapitre : Chabadabada, coup de foudre mais pas au premier regard, consommation non raisonnable d’alcool, Ifalna a une sacrée descente, Gast n’était pas prêt, mention de meurtre et tentative de, mention d’expérimentation humaine, différence d’âge importante.
#fanfic#ff7#ffvii#final fantasy 7#final fantasy VII#gast faremis#Ifalna#chabadabada ou pas#tw : age gap
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CINDERELLA FESTIVAL NOIR START
The APRIL 2021 set of NoirFes limited SSR(s) have been added into the gacha for a short period of time, and the featured idol(s) this time is Karen Hojo
Note: SSR rates are doubled to 6% and the previous NoirFes Limited cards are added into the pool!
This festival will end on the 19th of April 2021 14:59 JST and will be preceded with the next gacha of the mont.
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✨ᵛᵁᴱᴸᴬ✨ “Desde que nacimos... Nuestra mancha de plátano salió del mismo racimo. Somos hermanos del mismo horizonte. Todos nos criamos en la falda del monte...” “Hojos del cañaveral” - @residente #lavidaeneltrópico #poesía #explore #puertorico (at Camuy, Puerto Rico)
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á Y pedro rios vivo con una
persona que me hace impossible sufro
por culpa de una persona que odio con mi
fuerza dios yo no soy asi Pero no hay Otro Camino que no voy a para hasta que la guerra no se
espera con amor se lucha con la furza : Una historia para contar sobre mi vida : la no tiene sentido
sin que hay hijos de puta tù lado la vida es corta por La gente muere sin opontunida en tu vida : soy
pedro Ekueme Edu Anguè el mismo angel de la muerte Soy yo Como la muerte segunda opontunida de
la persona sin no verse la muerte te va llevar falcimente pero puede invirtalo en segundos OK : en la
Vida solo piensa en famulia por que la Famillia . Espera cuando hablamos de la familia hay tipo de
familia : una noticia Madre e hijo . Un hombre que tiene Una madre que lo deferde a su madre por
su mujer . La habla la madre de chicos y Chico se enfarda pega a su mujer por habla a su madre
está forma en la vida cuando viene una familia difernte esconde tù constubre un poco no sea hija
de puta : Como se dice cuando la persona su corazón es duro es decir tiene corazòn de acero Como
señora de acero tù mente y la mia son Como dos soles que sale de Cielo en la mañana jjjj sur y
este cuando yo no vivo por la gente que son mal hijos de mis hojos soy yo Como vostro padre y
hijo . Uno , dos , tres vive mi mente la luvia en las nubes de Sol la señora de acero es como una
historia y amor : ( señora de acero , Sara Aguilar de acero , vicenta de acero ) : ( Sara Aguilar
Como señora de acero , vicenta de acero Como la coyote ) vivar y amar es Como se dice en los
libros de amor Como una mariposa jjjjj 12345 vez es estos nùmero de amor Como gira de luz
solar : mira una vida Como valiente y Hermosa es de dicer valiente Como una diosa de guerra
Como Hermosa Como una Rosa la rosa de amor y peligrosa Esperanza de amor vivir y amar
Como una guerra vivir y uno adios Como yo : amuor Como pedro Monte listo para ver el amor
de mis hojos ojala hay quien
PEDRO EKUEME EDU ANGUÉ
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LA BURGUESÍA Y EL NACIONALISMO (segunda parte: Japón).
Capítulo 5.
JAPÓN.
Tokio.
La geografía del Japón.
El Japón es un archipiélago con una superficie total de 378 mil kilómetros cuadrados y está formado por cuatro islas importantes: Hokkaido, Honshu, Shikoku y Kyushu y 3.900 islas más pequeñas; estas islas se extienden a través de cuatro mil kilómetros. El extremo septentrional se encuentra a 45 grados y el meridional se extiende hasta los 20 grados, ambos de latitud norte. El 70% de este país, es tierra montañosa y las montañas más altas están en isla de Honshu; los Alpes japoneses forman una cadena montañosa y algunas de estas montañas se elevan a tres mil metros sobre el nivel de mar. El Monte Fuji alcanza los 3.776 metros de altura y es la cumbre más elevada del Japón; varias de las montañas son volcanes, con un total de 67 activos en 1992; las lavas de los mismos favorecen la fertilidad de la tierra japonesa. Pero es un suelo con muchos terremotos, entre 7 y 8 mil por año, aunque muchos de los temblores son insignificantes y solamente el más grande causa destrucción.
El Japón posee lagos entre las montañas y su territorio es azotado por los tifones (tormentas tropicales) al finalizar el verano y durante el inicio del otoño; estas tormentas inundan las tierras japonesas y causan el deslizamiento de la tierra afectada, además de arruinar el cultivo del campesinado. (Revista AQUÍ JAPÓN, 1992, páginas 2 y 3).
EL JAPÓN UNIFICADO Y LA RESTAURACIÓN IMPERIAL
Los períodos históricos.
Los historiadores japoneses dividieron la historia del Japón en los siguientes períodos históricos: Joomon (Jōmon) (3000 a. C.), Yayoi (300 a. C.), Yamato (300 d. C.), Asuka ( 593), Nara (710), Heian (794), Kamakura (1192), Muromachi (1338), Azuchi – Momoyama (1573), Edo (1603) y Moderno (desde 1868).
El Japón unificado por el gran daimyo Toyotomi Hideyoshi en 1590. El período de Azuchi-Momoyama (1573-1603).
Después de un primer éxito del gran daimyo Oda Nobunaga, en su intento de unificar el Japón, fue Toyotomi Hideyoshi quien lo logró en 1590. Su antecesor, el señor feudal de Nagoya: Nobunaga, se adueñó de Kioto y gobernó con su corte imperial, pero fue asesinado por un vasallo de él. Hideyoshi reunió a todos los daimyos del Japón y se convirtió en su autoridad central; las ciudades japonesas se sometieron a su gobierno. Hideyoshi instaló dos sedes para su gobierno central; en la primera, construyó su castillo en Fushimi (Momoyama); en la segunda, la ubicó en Osaka. Él no quiso utilizar el castillo de Nobunaga en Azuchi y cobró sus impuestos rurales siguiendo un estándar sistemático para la aplicación de los mismos, después de conocer la productividad del cultivo de arroz de cada ��rea agrícola. Su gobierno permitió a los samuráis tener armas, pero las confiscó al campesinado y las existentes en los templos.
Otra política de Hideyoshi fue rotar a los daimios con sus vasallos de una región a otra, similares en la productividad; él convirtió a los daimyos (daimios o daimyō) en oficiales del gobierno y vasallos de su ejército; Hideyoshi aseguró la lealtad de los mismos a su gobierno central. Las ciudades progresaron y se llenaron de comerciantes, guerreros y mercaderes; se acumularon el oro y la plata y los daimios construyeron castillos lujosos, decorados como los palacios y provistos de pinturas artísticas. Hideyoshi intentó conquistar Corea, pero estas campañas militares fracasaron en dos oportunidades. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio. La historia del Japón, pp 11 ,12 , 27 y 28).
Del período Edo al período Moderno.
La caída del shogunato de Tokugawa y la Restauración de Meiji en 1868.
El período de Edo (1603-1868).
Gobierno del Shōgun.
De una aldea muy pequeña de la provincia de Kōzuke, ubicada en el Kanto, derivó el nombre Tokugawa; después, esta familia se trasladó a la provincia de Mikawa. El castillo de Okazaki fue el cuartel general de un daimyo Sengoku, padre de Ieyasu; en 1500, él logró gobernar cerca del 50 % de Mikawa y estuvo sometido al soberano de Imagawa. En 1560, Oda Nobunaga venció a Imagawa Yoshimoto e Ieyasu, convertido en jefe de su casa y aprovechó la victoria de Oda Nobunaga para gobernar en toda la provincia de Mikawa; los Hojo y Takeda no lograron vencer a Ieyasu y éste conquistó la mayor cantidad de tierras de Imagawa. Cuando Nobunaga murió, Ieyasu continuó con sus éxitos militares en dos lugares: Totomi y Suruga; posteriormente, él avanzó hacia Kai y Shinano y en Sumpu, anterior capital de los Imagawa, estableció su cuartel general. En 1853, Ieyasu intentó convertirse en heredero de Nobunaga, pero la disputa con Hideyoshi duró poco y ambos establecieron relaciones amistosas. Ieyasu se dedicó a extender sus territorios; durante las campañas de Hideyoshi, él no participó militarmente en el Shikoku ni en el Kyushu; no obstante, él aportó su contribución en Odawara contra los Hojo (Hōjō) y recibió como recompensa 2.557.000 koku (la unidad para medir) de tierras del vencido. El traslado de Ieyasu al Kanto permitió al mismo tener una base adecuada para administrar y controlar directamente 1.000.000 koku; él repartió entre su vasallaje los demás feudos ubicados alrededor de su castillo de Edo; sus vasallos más poderosos: los castellanos (el castellano era el señor de castillo) fueron destinados para residir en la periferia de su territorio; en su sistema de vasallaje, Ieyasu entregó: 120 mil koku en Takasaki a Ii, 100 mil koku en Tatebayashi a Sakakibara y 100 mil koku en Otaki a Honda; 38 señores feudales, vasallos de Ieyasu, tuvieron castillos. La muerte de Hideyoshi causó la disputa por la sucesión política entre los Maida, los Tokugawa, los Uesugi y los Mori. En 1599, Ieyasu se convirtió en el Señor del País al entrar en el castillo de Osaka; él contó con las obediencias de los Maeda, otros daimios y la mitad de los daimios de liga toyotomi, quienes apoyaron a Ieyasu al final de dicho año y entregaron rehenes como los Maeda. En 1600, Ieyasu trasladó a sus militares y aliados al Kanto para luchar contra los Uesugi; el 21 de octubre de dicho año, los militares de Ieyasu Tokugawa derrotaron a la causa occidental, en la batalla de Sekigahara. La alianza de Occidente reunió a los daimios alrededor de Osaka; entre ellos, estuvieron los Ukita, los Mori, los Shimazu, los Chosokabe, los Nabeshima, los Ikoma y otros, pero fracasó la misma. La victoria de Ieyasu Tokugawa fue posible porque no intervino una parte importante de las fuerzas occidentales contra su militarismo y Kobayakawa, pariente de los Mori, desertó; después de esta matanza, Ieyasu entró en Osaka y sus militares prevalecieron. Con el triunfo de Ieyasu, 87 casas de daimios desaparecieron mientras otras cuatro, entre ellas la Toyotomi, no mantuvieron todas sus posiciones; la confiscación de 7.572.000 koku aumentó las riquezas de Ieyasu y permitió la distribución de las propiedades involucradas entre sus vasallos. Hideyori, el heredero de Hideyoshi, mantuvo un dominio de 650 mil koku y su castillo en Osaka; en el Japón, los Tokugawa no contaron con daimios propios en el Occidente, debido al juramento de los adeptos a los Toyotomi. Ieyasu conquistó la legitimidad con su título de Shogun (Shōgun); él no dejó de rendir honores a Hideyori por su fuerza política, concentró una multitud de rehenes en su castillo de Edo y se convirtió en la autoridad central de la totalidad de los daimios del Japón en 1603; Ieyasu dominó militarmente la zona perteneciente a la capital, después de establecer una guarnición suya en el castillo de Fushimi y a su gobernador militar en el castillo de Nijo, ubicado en Kyoto. El hijo de Ieyasu: Hidetada se convirtió en Shōgun porque el primero se retiró como Ogosho (Shōgun retirado), en su castillo de Sumpu. Para deshacerse del prestigio de los Toyotomi, los daimios de Ieyasu atacaron el castillo de Osaka y esta batalla, ocurrida en 1614, fue más sanguinaria que Sekigahara; los Tokugawa perdieron 35 mil militares de sus 180 mil que combatieron contra los 90 mil de los Toyotomi; recién al año siguiente, Ieyasu exterminó a sus enemigos de Osaka recurriendo al engaño y aunque terminó con el prestigio de los Toyotomi, murió en 1416. (HALL, John Whitney, pp 147, 148, 149 y 150).
Tokugawa Ieyasu era un daimyo (señor feudal) de Edo (Tokio) y asumió el gobierno central después de la muerte de Hideyoshi, sucesor de Nobunaga y unificador del Japón en 1590; en 1603, Ieyasu fue designado Shōgun por la corte imperial e inició su gobierno militar de gran prestigio, durante bastante tiempo, porque se prolongó durante 264 años. Al finalizar el período Edo, el shogunato entró en decadencia por los conflictos internos, políticos y económicos, debido a la exigencia por la reforma política a favor de la restauración imperial. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, pp 13, 14 y 15).
El Mikado en vez de gobernar desde Kioto, se dedicó a su pereza; los mayordomos del palacio Tokugawa o Chogún (Shōgun), con residencia en Edo (Tokio), se ocuparon del gobierno central, acompañados por la corte imperial de Yedo (Tokio). (CROUZET, 1975. Vol. V, p 315).
Las clases sociales.
Tres clases sociales integraron la sociedad japonesa y la más privilegiada fue la gobernante, integrada por la clase militar samurái; las otras eran: la agrícola (los campesinos) y la ciudadana, compuesta por los artesanos y los comerciantes (chomins). (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, p 13).
“El confucianismo Chu Hsi sentó las bases teóricas del gobierno Tokugawa. La metafísica del confucianismo proponía la oposición de las fuerzas cósmicas, cielo y tierra, lo positivo y lo negativo, cuya presencia en la naturaleza trata de justificar un orden jerárquico en el mundo humano. De este modo, la distinción de clases sociales en las esferas militar, agrícola, industrial y comercial se estableció como el orden básico de sociedad no sujeto a cambios”(1) (Yutaka, Tazawa y otros, 1973, p 83). Pero con el paso del tiempo, la clase mercantil se enriqueció utilizando el capital comercial mientras las clases: agrícola y guerrera y la economía comercial, dependientes de las riquezas de la tierra, conocieron la pobreza. (YUTAKA, Tazawa y otros, 1973, p 83).
Los deudores fueron abundantes en Yedo (Edo); los dineros provenientes de las ventas de arroz permitieron a los negociantes prestar dineros a los daimios y los mismos acapararon las tierras, perjudicando a los colonos. En 1816, la burguesía era de procedencia muy dudosa y emparentada con el grupo usurero; en esta clase social, fue posible comprar los títulos nobiliarios del Japón. La ciudad tuvo problemas por el desabastecimiento de la producción agrícola, debido a la migración del campesinado hacia la urbe. (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 512).
La cultura.
“Florecieron varias artes en la sociedad de los plebeyos, incluyendo las formas de arte distintas tales como el teatro Kabuki y la pintura de grabados al boj ukiyoe” (2) (Masahide, Bito y Watanabe, Akio. Pág. 14). (BITO, Masahide, Bito y WATANABE, Akio, p 14). El empobrecimiento de la nobleza y los plebeyos, convertidos en los nuevos ricos, favorecieron los cuentos, las novelas y las estampas, con algunas licencias argumentales y hasta sátiras más del gusto popular. El drama sagrado (el denominado:“No”) fue cada vez más reemplazado por la descripción de las costumbres, con sus vicios y extravagancias; Ikku pintó a las muchedumbres y Hokusai, perteneciente a la escuela vulgar: ukiyo-ye de Katsura, se dedicó a la pintura de cualquier menester y los japoneses tradicionalistas lo tildaron de pintamonas. Motoori denunció el relajamiento de la moral, debido al confucionismo formalista y los Kangakussa, a través de su escuela, defendieron la austeridad filosófica de China; los Vangakussa eligieron los preceptos del shinto por el honor del mismo y los orígenes nacionales. Motoori contribuyó a formar el lenguaje escrito del Japón: el vabun; en su obra Kojiki, él argumentó a favor de los derechos de la dinastía acallada en Kioto. Hirata reclamó el culto imperial. Varios historiadores japoneses trabajaron para esta nueva escuela; ellos eran contemporáneos de los historiadores románticos europeos y quisieron volver a la gloria japonesa de otra época anterior. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 512 y 513).
Los artistas del período Edo progresaron porque la sensibilidad artística llegó a la plebe; la Escuela Kano fue patrocinada por el shogunato de Tokugawa, se convirtió en la escuela oficial y su arte representó las banalidades. Los opositores crearon otras escuelas: la Sotatsu-Korin para rescatar las tradiciones propias de Yamato-e, pero con el agregado de otra faceta decorativa; en los biombos plegables, perteneciente a Sotatsu Tawaraya, se cuentan: la Danza Bagaku, el Cuento de Genji y Dios del Viento y Dios del Trueno; a su vez, Korin Ogata mostró el estilo fresco de dicha escuela con dos obras: Flores Rojas y Blancas de Ciruelo e Iris. Otra escuela, reaccionaria ante la oficialista Kano, fue una meridional: Bunjin-ga, dedicada a la pintura cuyo modelo artístico se remontó a las dinastía Ming y Ching; dicha escuela no mostró interés por el espíritu mundano y el individualismo caracterizó la misma; la población consideró dicho arte como distinta a las obras artesanales de los pintores profesionales. Sus exponentes fueron muchos; entre ellos, se destacaron: Yosa-no-Buson, Taiga Ikeno, Mokubei Aoki, Gyokudo Uragami, Buncho Tani, Chikuden Tanomura y Kazan Watanabe. Goshun Matsumura y Okyo Maruyama representaron la naturaleza de una manera realista y su técnica se caracterizó por la facilidad y la ligereza de su estilo. En el Período Edo, los artistas japoneses accedieron al arte de Occidente; un ejemplo fue el entusiasta del arte holandés: Kokan Shiba y éste consiguió, en Nagasaki, los libros dedicados a la pintura al óleo y aguafuerte, con sus ilustraciones de diversos temas: astronomía, medicina y geografía; él pintó el paisaje tridimensional, valiéndose de la perspectiva y el sombreado occidental. Además del arte destinado a la plebe, los artistas japoneses se dedicaron al arte clásico de un nivel más elitista, clásico, decorativo y tradicional; era la época del trabajo artístico artesanal porque carecieron de las máquinas; los artistas trabajaron para los productos de cerámica, laca y porcelana de ventas más factibles; ellos fueron favorecidos por el aumento el poder adquisitivo de una parte de la población, dispuesta a comprar las artesanías industriales. (YUTAKA, Tazawa y otros, 1973, pp 89 y 90).
En 1868, la educación alfabetizó al 43 % de los varones y al 10% de las mujeres; en 1868 y siete años después (1875), los porcentajes de habitantes con escuelas elementales finalizadas fueron: el 54 % para los hombres y el 19 % para la población femenina. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, p 31). Durante el shogunato de Tokugawa, la escuela (Terakoya) era pequeña, privada y regentada por un solo maestro; en dicha época, miles de centros escolares, con dichas características, funcionaron en el Japón. (ISHIZAKA, p 6).
La economía feudal. La agricultura y la productividad del arroz durante el siglo XVII. Las nuevas industrias. La población y la educación.
La administración samurái consolidó su prestigio con el aumento de la producción del arroz, porque la cantidad de este cereal se duplicó durante el siglo XVII. También se incrementó el comercio, con los productos de algunas industrias nuevas. Los mercaderes más grandes aumentaron su poder económico frente a los samuráis. (BITO, Masahide Y WATANABE, Akio, pp 13 y 14).
La población se incrementó 2,5 veces entre 1600 y 1720, con el crecimiento anual del 0,77 %, la tasa de mortalidad infantil bajó del 40% al 10 % cuando terminó el período Edo. La población más numerosa trabajó en las industrias tradicionales. La producción agrícola lucró con las verduras, el arroz, los frijoles de soja y el té; los campesinos solamente compraron los productos más necesarios afuera de sus aldeas: los medicamentos, la sal y el algodón. Pero al aumentar la urbanización, los campesinos pasaron a la economía monetaria; ellos dejaron la producción agrícola de subsistencia para favorecer otra dirigida al mercado y parte del campesinado migró hacia las urbes. Antes de concluir el período Edo, aparecieron propietarios rurales parasitarios; los mercaderes de las urbes compraron las tierras, pero ellos y los terratenientes más poderosos no trabajaron las granjas, sino arrendaron las mismas a un nuevo grupo de arrendatarios; los terratenientes obtuvieron lucros como prestamistas, vendedores de abonos y dueños de las casas de empeño; ellos fabricaron varios productos: salsa de soja, pastas de frijoles y sake. También al finalizar dicho período histórico, aumentaron los intercambios comerciales entre las aldeas agrícolas para integrarlas en una economía productiva, con su división del trabajo. El comercio se favoreció por los transportes terrestres y costeros a pesar de las limitaciones infraestructurales, obligadas por el shogunato de Tokugawa para su aislamiento antiimperialista; se prohibieron construir buques muy grandes y se restringieron los puentes sobre los ríos. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, pp 29, 30 y 31).
El censo de la población japonesa más digno de confianza fue el de 1721 y mostró una población de 30 millones de japoneses, incluidos los samuráis; a mediados del siglo XIX, la misma fue de 32 millones y a diferencia del crecimiento poblacional de China, en Japón aumentó poco debido a la economía de subsistencia. Las sequías y el fracaso en la agricultura fueron perjudiciales para la población japonesa; la hambruna de 1732 afectó negativamente a un millón seiscientas mil japoneses en la parte occidental de dicho. El bakufu y los daimios intentaron disminuir el hambre con la distribución de arroz. “Pero la carestía fue, seguramente, un factor que impidió el aumento de la población. Como es sabido, ésta era sometida también a reducciones voluntarias, especialmente por medio del infanticidio (llamado eufemísticamente mabiki, es decir, adelgazamiento), aunque es difícil decir en qué proporción” (3) (Hall, John Whitney. Página 184). Otras crisis agrícolas afectaron durante los años: 1675, 1680, 1783 y el año siguiente, 1787 y 1836 hasta el año posterior. (HALL, John Whitney, p 184).
Japón era para sus habitantes un país bendecido por los dioses, escribió Robert Schnerb y agregó: no hay “…suficiente cantidad imágenes deleitosas para expresar el reconocimiento de los seres que tienen la dicha de vivir en el país del Sol Naciente, (…) donde cada uno tiene su sitio señalado, desde el Archito Tenno, dios viviente entre los hombres, hasta el más humilde de los campesinos que cultivan el arroz, incluido el sei-i-té chogún, el general vencedor de los bárbaros, a quien el país debe su independencia, defendida con el concurso de los magníficos daimios y de los valientes samuráis” (4) (Crouzet, 1977. Vol. VI, pp 510 y 511); sin embargo, un país problemático y “…cubierto en sus tres cuartas partes por las rocas y el bosque. El aborto y el infanticidio son remedios inconfesables y condenados, pero corrientemente practicados; este malthusianismo originado por la superpoblación se conoce con el nombre de mabiki, que es el arte de clarear las legumbres” (5) (Crouzet, 1977. Vol. VI, p 511). El aislamiento era muy extremista en el shogunato de Tokugawa y 30 millones de habitantes combatieron el hambre en un archipiélago, bastante pequeño. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 510 y 511).
El aislamiento y las prohibiciones del shogunato de Tokugawa.
La crítica de los historiadores fue por el regreso al sistema feudal y el aislamiento del Japón durante el shogunato de Tokugawa; al respecto, John Whitney Hall escribió: “...sus sistemas sociales conservadores habían originado un retorno al feudalismo (…) (y) sus enérgicas medidas de control político impusieron un tiránico y despreciado estado de guarnición del pueblo japonés. La supresión del cristianismo y la política de aislamiento adoptada por los Tokugawa están consideradas como deliberados intentos de apartar al Japón de la corriente principal de la historia del mundo, de modo que, durante doscientos años, el Japón estuvo literalmente estancado en el aislamiento” (6) (Hall, John Whitney. Pág. 146). (HALL, John Whitney, p 146).
Durante el período Edo, las autoridades centrales sometieron a los pobladores del archipiélago japonés a un aislamiento muy estricto. Desde 1616, los misioneros, los portugueses y los cristianos europeos sufrieron la proscripción gubernamental japonesa, acusados de favorecer el imperialismo europeo. En 1630, prohibieron a los japoneses practicar el cristianismo y los portugueses nunca más entraron con sus barcos, por orden del shogunato. En 1637, se prohibió al pueblo japonés abandonar su país y cualquier intento al respecto, era castigado con la muerte.
El puerto de Nagasaki.
El único puerto japonés habilitado para el comercio exterior era el ubicado en la bahía de Nagasaki; en esta bahía, los holandeses contaron con su factoría en el islote de Deshima para su comercio de las mercaderías europeas, pero sufrieron humillaciones y vejaciones. El otro país permitido, en dicho puerto, era China y los juncos llegaron con sus productos de lujos; el resto del comercio mundial fue prohibido, debido al aislamiento del Japón.
“La escasez de numerario y el control del mercado de arroz explican el creciente poderío de los mercaderes privilegiados y de los cambistas, los llamados chonins (literalmente, hombres de la ciudad). El deseo de prevenir el éxodo de las especies comestibles es una de las razones que explica y motiva el cierre del país”(7) (Crouzet, 1977. Vol. VI, pág. 512), escribió Robert Schnerb. El comercio se centró mucho en Osaka por tener los graneros públicos más importantes del Japón; después, fue Nagasaki por sus negocios con los extranjeros; seguidamente, ocurrió en Yedo (Edo), con la economía de los miembros de una asociación de comerciantes de arroz: los Fudasachi, para su venta al por mayor. Los Tuaya eran los Chonins (los chōnin), dedicados a los negocios marítimos de los granos, más difíciles de transportar por vía terrestre; en dicha época, eran escasos los animales para cargar los productos agrícolas y los peajes señoriales encarecieron esta actividad económica. (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 512).
El poder político del shogunato de Tokugawa frente a los grandes señores feudales vencidos. Los campesinos ricos y los pobres.
El aislamiento japonés fue para impedir cualquier alianza militar y económica entre los señores feudales vencidos y los militares extranjeros. Los mayordomos del palacio Tokugawa eran muy poderosos; muchos daimios o barones y samuráis o caballeros fueron sus vasallos. Los herederos de los daimios pertenecieron a ciento cincuenta familias y ocuparon los puestos públicos jerárquicos, porque fueron fieles al gobierno Tokugawa y sus antepasados sirvieron militarmente al shogunato de Tokugawa. Los otros señores no tuvieron dicho privilegio público; ellos pertenecieron a las familias del bando contrario, pero no fueron molestados por el gobierno central; la única excepción a esta política, fue considerada solamente para mantener el orden por parte del Shogunato Tokugawa. Estos señores feudales de la familia Tozama vivieron en sus feudos y gozaron de ciertas autonomías.
La lealtad de cinco mil caballeros mesnaderos y de quince mil guerreros permitieron al shogunato de Tokugawa permanecer en el gobierno. Los daimios y los samuráis pertenecieron a la casta feudal y se entrenaron para la guerra; ellos fueron mantenidos económicamente por los campesinos, quienes proveyeron altos cánones de arroz a dicha nobleza; los campesinos apenas se quedaron con el arroz necesario para subsistir.
Los objetos fabricados por la nueva industria fueron vendidos por los mercaderes y comprados por la Corte y los feudos; con las ventas, ellos lograron ganancias enormes, porque compraron los productos a precios baratos y vendieron muy caros. Los campesinos terminaron más perjudicados que los artesanos por los precios irrisorios, pagados por sus productos. Varios mercaderes se convirtieron en señores feudales, porque compraron muchas tierras.
El shogunato de Tokugawa se ocupó de mantener la paz entre sus vasallos y el gobierno central japonés, porque las familias: Chimadzu, Maeda y Data, con muchas tierras y militarmente muy poderosas, contaron con las alianzas de otros daimios y samuráis; dichas familias eran peligrosas para la autoridad central. (CROUZET, 1977. Vol. V, páginas 315 y 316).
La administración del shogunato de Tokugawa.
El shogunato de Tokugawa aisló al Japón del comercio con otros países, no utilizó las rutas comerciales del mundo ni permitió que entraran los intereses occidentales en el archipiélago japonés, excepto en el único puerto autorizado. El período Tokugawa se caracterizó por el aislacionismo y la lucha contra la autonomía local de los daimios, pero dicho aislamiento no fue consecuencia de una predeterminación rigurosa de la política gubernamental y se desarrollaron las instituciones y la cultura, argumentó el historiador japonés John Whitney Hall; el Japón, gobernado por el shogunato de Tokugawa, debido su feudalismo no aceptó la cultura de Europa; tampoco, dicho gobierno compartió las concepciones políticas y científicas propias de los estados modernos de dicho continente. Después de la guerra civil y con la gran paz (Taihei), la aristocracia militar gobernó Japón; se elaboró la filosofía gubernamental; los samuráis formaron la élite de la burocracia; la organización y la racionalización caracterizaron a la administración pública; con la nueva legislación y los reglamentos, se establecieron la posición y las responsabilidades de cada clase; el confucianismo fue utilizado como orientación espiritual y los comerciantes más ricos hasta se permitieron la costumbre burguesa del ocio. (HALL, John Whitney, págs. 146 y 147).
El sistema político Tokugawa fue el denominado baku-han; el dinamismo caracterizó la tensión política entre dos instituciones políticas del Japón: un shogunato (bakufu) como autoridad central y los 250 dominios de daimios (han) como gobernadores regionales. Pero la terminología han fue utilizada recién en el siglo XIX, porque anteriormente se denominó ryo; desde una época anterior a dicho siglo, los historiadores japoneses consideraron a los dominios de daimios como han. (HALL, John Whitney, pp 150 y 151).
Los productos de la agricultura escasearon aunque se practicó concienzudamente; la pesca fue más abundante en el mar y además de los mariscos, la población consiguió la sal y un abono extraído de unas cuantas algas; la industria, con algunos talleres dedicados a fabricar armamentos y monedas, fue una actividad económica menos importante y agregada a la economía rural, más destacada por la importancia de su producción arrocera. Una estricta reglamentación social no incentivó la innovación económica, sino se limitó a proveer los bienes de consumo a la población japonesa. El bakufu repartió el arroz mientras el campesinado fue vigilado con recelo; todas las tierra tuvieron sus propietarios y una parte de la producción agrícola del campesinado se reservó para su subsistencia, pero la otra parte de la misma fue entregada a los graneros públicos; la clase de propietario rural, aunque no explotó en forma directa la tierra, se quedó con una porción de dicha producción rural. Las prohibiciones del shogunato de Tokugawa eran muy estrictas; no se permitió al campesinado: abandonar la tierra sin permiso, dejar de cultivar la tierra arable ni cambiar el cultivo de arroz por otro producto agrícola. Los daimios hipotecaron sus reservas y su economía fue cada vez más decadente; la fidelidad de los daimios al shogunato de Tokugawa se recompensó con la distribución de koku de arroz. La residencia del guerrero en Yedo (Edo) durante un año de cada dos fue obligatoria y ante el alejamiento del mismo de dicho lugar, por el tiempo permitido, debió dejar rehenes; la clase guerrera dedicada al servicio, conservó el privilegio de portar los dos sables curvados. “Por otra parte, si el poder señorial ha permanecido intacto en el Oeste, en Hondo y en Kiu-Siu, en el Kuanto -un país del Este, en relación al Fuji- los Tokugawa han logrado domesticar a los castellanos de la región”(8) (Crouzet, 1977. Vol. VI, pág. 512), escribió Robert Schnerb. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 511 y 512).
El equilibrio de poder de los Tokugawa se logró a través de la distribución territorial; después de la batalla de Seighara, el Shōgun fue más poderoso; en Osaka, quedó disponible 650 mil koku. Este reparto de las tierras no fue solamente consecuencia de la victoria militar, sino que se consiguieron territorios con otros procedimientos y 10 millones de Koku se volvieron a distribuir, entre 1600 y 51 años después; estas tierras eran de los daimios muertos, sin dejar herederos, en una cantidad de 4.570.000 koku; otros 6.480.000 koku se agregaron, con las confiscaciones de las propiedades por causas disciplinarias. La casa del Shōgun se incrementó en similar cantidad a las caídas de 24 casas de daimyo externas y sus dominios aumentaron de 2 a 6,8 millones de koku. “Estas tierras mantenían a unos 23.000 subalternos directos (jikisan). Estos incluían a unos 17.000 hombres de la casa (gokenin), que no tenían el privilegio de audiencia y que, generalmente, eran asalariados, y a unos 5.000 de la bandera (hatamoto), que gozaban del privilegio de entrar en presencia del Shogun, y que, en la mayoría de los casos, eran enfeudados”(9) (Hall, John Whitney. Pág. 151). (HALL, John Whitney. Página 151).
El shogunato de Tokugawa estableció un sistema de controles para gobernar el Japón, asegurando la supremacía institucional del Shōgun y fue creado fundamentalmente por Ieayasu, consolidándose en 1651 cuando murió el tercero en la sucesión: el Shōgun Iemitsu; el shogunato de Tokugawa aplicó un sistema muy reglamentado, con sus precedentes legales, para asegurar la autoridad del Shogun ante el Emperador, la Corte, los daimios y los religiosos. Nobunaga, Hideyoshi y Tokugawa defendieron el respeto público al emperador; Tokugawa mostró el mismo comportamiento que sus antecesores ante el emperador y su corte, mientras exigió a los daimios respetar a las autoridades mencionadas. Por su objetivo de controlar al emperador, Tokugawa alejó a los daimios del mismo pero se ocupó económicamente de reconstruir sus palacios y entregó 187 mil koku repartidos entre la familia imperial y otras casas de kuge. (HALL, John Whitney, pp 152 y 153).
La época Tempō.
Las crisis de la época Tempō, entre 1830 y 1844.
La época Tempō (o Tempo: 1830-1844) (HALL, John Whitney. Página 214) transcurrió durante el período Edo (1603-1868) (BITO, Masahide y WATANABE, Akio. Página 13); antes de la finalización del shogunato Tokugawa, la crisis desde 1830 perjudicó la economía de la clase social samurái (o samurai) y sus integrantes encontraron otras alternativas económicas, a pesar de la prohibición gubernamental de tener otros trabajos. El estipendio fijo del samurái, pagado con arroz, fue agravado por las 19 devaluaciones monetarias entre 1819 y 18 años después. Otros samuráis intentaron escapar de los salarios bajos produciendo artesanalmente los cepillos, los abanicos, las linternas y las sombrillas para los comerciantes, pero carecieron de los convenios laborales convenientes. Los miembros de dicha clase social desposaron a las hijas de los comerciantes ricos, con dotes importantes; los problemas económicos afectaron negativamente a los samuráis por las ventas de sus derechos de primogenitura.
Otro problema económico del Japón, fue el endeudamiento feudal del daimyō (o daimio) con el financiamiento comercial; En el siglo XVIII, los costos burocráticos, militares, residenciales en Edo, otros gastos incluidos los habituales y las pérdidas por los desastres, como los incendios y las inundaciones, hundieron económicamente a los dominios de dichos señores feudales. La deuda del dominio Owari fue del 50 % de la producción anual del mismo; para pagar el endeudamiento del dominio de Satsuma, se pensó en recaudar durante veinte año por el gran déficit fiscal. En Osaka, los comerciantes fueron los acreedores y solamente el interés anual de la suma total de dicha deuda alcanzó ¼ parte de la renta fiscal japonesa. En los han se aplicaron políticas como la emisión de moneda en papel y la colaboración gubernamental con los comerciantes para proyectos con fines monopólicos; sus agentes de las finanzas trabajaron para el fisco. La austeridad estatal fue la única alternativa económica para pagar el endeudamiento, ante la falta de una financiación más conveniente de los comerciantes. En dicha década del 30, cohabitaron en Japón, además de los comerciantes y los empresarios enriquecidos, los residentes en las urbes y los campesinos muy pobres, perjudicados por la inflación, los salarios insuficientes y la economía monetaria expansiva. Desde 1824 y durante ocho años, las cosechas no fueron buenas; en 1830, el campesinado pobre emigró hacia las ciudades y se dedicó a los trabajos serviles. En 1833, la carestía de vida perjudicó a la población japonesa septentrional y se reiteró tres años más tarde Los gobierno de los han y el bakufu socorrieron a los japoneses más desesperados ante los hechos, porque ellos atacaron los almacenes para conseguir arroz. Los funcionarios públicos y los comerciantes fueron culpados del hambre de la población por Oshio o Ōshio Heihachirō, líder de un levantamiento campesino en cuatro provincias, ubicadas en las cercanías de Osaka; él fue vencido en un día, pero mermó la autoridad del bakufu ante el campesinado. Otros problemas, para el gobierno japonés, causaron los movimientos religiosos con muchos seguidores campesinos, denominados Shinto Sectario; varias de estas organizaciones se destacaron en el Japón: la secta Kurosumi (fundada en 1814), el movimiento Tenr (formado en 1838) y la secta Konkō (creada en 1859). El denominado Movimiento de Restauración por Sir George Sansom tuvo sus precursores: Andō Shōeki, Honda Toshiaki, Takashi Shuhan, Sakuma Shōzan y Takano Chōei; el primero de ellos, recomendó abolir la clase samurái y la vuelta a la estructura social del imperio mundial japonés; el tercero (1789-1866), alentó la modernización militar del bakufu; el cuarto (1811-1864), coincidió con el quinto (1804-1850) y aconsejó el armamento de Occidente. En el dominio Mito, los filósofos reclamaron a las autoridades más interés en solucionar las urgencias japonesas y reverenciar al emperador; ninguno de los precursores, fue capaz de hacer la revolución del mikado.
Las reformas del bakufu por Mizuno y de los han.
Mizuno Tadakuni, nacido en 1793 y muerto 52 años después, se ocupó de reformar el bakufu; él fue rōjū en 1834 y defendió el castillo de Osaka; en Kiōto, Mizuno logró una vasta experiencia administrativa como Gobernador General. Tokugawa Nariaki, jefe del dominio Mito, vivió entre 1800 y 1860; él fue el contacto de Mizuno. En 1838, después de la insurrecciòn de Oshio, Nariaki entregó al Shōgun un memorial para imponer reformas en el bakufu e incentivar el aislamiento japonés y la austeridad estatal; el historiador John Whitney Hall precisó dicha propuesta: prohibir los estudios de los holandeses, desaprobar los lujos gubernamentales y de la clases samurái, volver al espíritu guerrero de antaño y restringir las actividades comerciales, especialmente por sus contactos con los extranjeros. El impedimento para la reforma fue el añoso Shōgun Ienari. En 1840, Nariaki se enteró de la Guerra del Opio en China y aplicó sus políticas más nuevas en su dominio: la incentivación espiritual y la eficacia impositiva en las propiedades agrícolas. Un año después, murió Ienari y Mizuno fue el presidente de los rōjū; él destituyó a mil funcionarios del bakufu y sus reformas fueron: el mejoramiento agrícola, la lucha contra los monopolios para disminuir los precios altos, la reducción del gasto público y la financiación de la economía estatal; Mizuno aplicó un nuevo paquete de leyes suntuarias, quiso la corrección de las clases y condenó a muerte al literato Tamenaga Shunsui (1790-1843) por considerar libertina su obra; él intentó mejorar la agricultura, incluso con la vuelta del campesinado migrado hacia la ciudad. Entre 1841 y el año siguiente, su gobierno acuñó 1,7 millones de ryō para su política monetaria; en 1843, dos millones de la misma moneda fueron prestados a su administración por setecientos comerciantes de Osaka, Edo, Kyōto y otras ciudades japonesas. Dicho reformador quiso elevar la moral marchando hacia Nikkō, a pesar del costo oneroso, para prestigiar al bakufu; Nariaki no estuvo de acuerdo. Mizuno aplicó la abolición los monopolios y no permitió las ventas al mayoreo, porque pretendió disminuir los precios de las mercaderías pero los mismos se elevaron; las asociaciones comerciales reanudaron sus actividades económicas en 1848; él para aplicar dichas políticas, pretendidamente antiinflacionarias, bajó el 20% los salarios y los arrendamientos; los daimios y los hombres de las banderas se fueron de las cercanías de Edo y Osaka, por decisión de Mizuno, para establecer nuevamente una zona geográfica más consolidada y favorecer la economía del bakufu.
El reformista Mizuno fracasó y socavó la seriedad de los rōjū; no obstante, los gobiernos de los han aplicaron sus reformas para coincidir con la austeridad estatal. En los dominios importantes, como Chōshū y Satsuma, los gobiernos quisieron disminuir la presión fiscal para calmar la agitación campesina, lograr la modernización militar, prevalecer ante los capitales comerciales y enriquecer las tierras. El dominio Yonezawa intentó salir de la quiebra económica y favoreció la actividad de la agricultura y la reducción del gasto oficial. En el dominio Mito, se aplicaron políticas restrictivas pero sin los éxitos esperados. Chōshū enfrentó un levantamiento del campesinado en 1831 y Murata Seifū (1783-1855) se ocupó de las reformas; los impuestos muy altos, los monopolios y la administración estatal deficiente fueron las quejas de entre dos mil y sesenta mil campesinos; otro amillaramiento del suelo para aplicar más razonablemente la carga fiscal y la contención del gasto público se hicieron para solucionar la crisis campesina en el dominio Chōshū. El gobierno estableció un fondo económico rotatorio, destinado a reintegrar la deuda privada; sin embargo, para el pago más oneroso se decidió por una duración más prolongada. Los ingresos económicos, provenientes del Estrecho de Shimonoseki, permitieron a dicho han comprar las armas de Occidente. Las finanzas de Chōshū tuvieron, para intentar mejorarlas, una base agraria; el dominio Satsuma se sirvió de un sistema monopólico. El samurái Zusho Hirosato (1776-1848), servidor de Shimazu y convertido en Karō, fue el reformador del dominio Satsuma; él logró el financiamiento por dos siglos de la deuda pública, favoreció el comercio con Ryūkyū y la producción azucarera; el gobierno compró, monopolicamente, las cañas de azúcar a los productores y pagó un precio muy barato; después de elaborarlas, las vendió en Osaka y obtuvo ganancias cuantiosas. (HALL, John Whitney, pp 214 a 221).
La caída del shogunato de Tokugawa.
Los daimios poderosos del Sudoeste, de Shiuschiu y de Satsuma eran enemigos de Yedo y apoyaron la filosofía sintoísta estoica, defendida por la escuela Kagoshima; los mismos negociaron con los círculos económicos de Nagasaki. Las reformas, acordes con los preceptos del filósofo Hudzita, fueron apoyadas por un clan pariente de los Tokugawa: el de los Mito; la restauración imperial fue ambicionada. Durante la época Tempō,se incrementaron las diferencias entre ricos y pobres; en los primeros 50 años del siglo XIX, el grupo pobre soportó la miseria económica y su supervivencia fue más difícil. En la década del 30 del siglo XIX, el hambre aumentó los conflictos en la sociedad japonesa; los chonins se enfrentaron con el pueblo y los samuráis; un ejemplo de dicha crisis en 1837, fue el motín en Osaka contra el cambista Mitsui. La decadencia del shogunato de Tokugawa se empezó a notar; no obstante, Yedo intentó moderar los conflictos, con sus decretos, para detener la ambición desmesurada de los ricos; además de imponer contribuciones, anuló parcialmente sus propias deudas; Yedo no permitió los privilegios de las hermandades profesionales de los guildas y del comercio más grande; además, obligó al campesinado a regresar a sus tierras. Estas políticas no duraron por la resistencia de una coalición, integrada por los daimios del Sudoeste y Osaka. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pág. 513).
Durante la segunda mitad del siglo XVIII, el tráfico de mercancías se intensificó; las urbes y los campos fueron favorecidos económicamente. El shogunato de Tokugawa aumentó los impuestos, porque la recaudaciòn por la productividad del arroz no alcanzó para mantener la solvencia de su administración gubernamental; esta crisis causó revueltas campesinas. La diferencia financiera entre el campesinado pobre y el grupo rico, integrado por los terratenientes y los mercaderes, ahondó el enfrentamiento entre los mismos; ante esta realidad, la población japonesa quiso la reforma política. El shogunato de Tokugawa fue presionado por los extranjeros para abandonar el aislamiento; los rusos intentaron comercializar en las islas Kuriles; los balleneros británicos y de otros países visitaron las costas japonesas para conseguir suministros de alimentos y aguas; en 1853, una flota naval norteamericana, al mando de Mathew C. Perry, llegó al Japón con una carta del presidente de los Estados Unidos. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio. Páginas 14 y 15). En 1852, el presidente norteamericano Fillmore envió al comandante Matthew C. Perry para terminar con el aislamiento japonés; el 8 de julio del año siguiente, él llegó con dos fragatas a vapor y otros dos barcos a Uraga; la carta del presidente norteamericano era para al emperador del Japón, pero fue presentada al Shōgun. En 1842, todos los barcos extranjeros fueron expulsados del Japón por orden de Mizuno Tadakuni, ante el peligro de la invasión militar de las potencias occidentales. Dos años después, llegó a Nagasaki un barco de guerra, con una carta del rey holandés; con la misma, se intentó convencer al gobierno japonés de la conveniencia de su apertura al mundo, antes de verse obligado a hacerlo por una fuerza militar extranjera; un ejemplo similar de dicha realidad política, fue la Guerra del Opio en China. Los samuráis argumentaron sobre la superioridad del Shōgun para expulsar a los extranjeros en las puertas de Edo; Perry llegó en una época de crisis. En 1852, los holandeses advirtieron al shogunato de Tokugawa sobre las intenciones del gobierno norteamericano con el envío de Perry al Japón; con su llegada a Uraga, Perry demostró que la defensa costera japonesa era vulnerable ante el imperialismo militar y el bloqueo naval extranjero. El jefe de los Consejeros Ancianos: Abe Masahiro (1819-1857) fue consciente de la dificultad para seguir aplicando la política aislacionista japonesa, porque su país careció de los medios imprescindibles. Los norteamericanos quisieron el comercio con China; después, ellos se interesaron en el Japón por: la pesca de la ballena, la importancia de contar con la ayuda para los náufragos, el abastecimiento para los tripulantes de sus barcos y la disponibilidad de los puertos para cargar el carbón. (HALL, John Whitney, pp 230 y 231). El té resultó atractivo para los negocios de los norteamericanos y los puertos japoneses eran útiles por la ruta marítima de dicho producto; luego de entrar en la bahía de Yedo, el comodoro Perry utilizó sus barcos para obligar al bakufu a permitir el uso de dos puertos japoneses: Hokodato y Shimoda. Yokohama, Nagasaki y Niigata fueron accesibles para los barcos extranjeros. Yedo y Osaka tuvieron consulados de otros países. Después de pagar los derechos japoneses, los extranjeros ganaron con sus actividades comerciales; los nativos aceptaron los tratados desiguales. La llegada de Perry a dicho país permitió la apertura japonesa al mundo y apuró la caída del régimen de Tokugawa. (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 514). El shogunato de Tokugawa se enteró de la Guerra del Opio, contra China; con posterioridad a la aceptación de los tratados de amistad con los Estados Unidos y otros países de Occidente, el gobierno japonés negoció el comercio con los mismos. (BITO, Masahide y WATANABE. Akio, pp 14 y 15).
Como el mundo antiguo, el Japón “…conservó importantes vestigios de la responsabilidad colectiva” (10) (Johnson, 2000, p 224), en vez de la responsabilidad moral del individuo de la tradición judaica cristiana. (JOHNSON, 2000. Pág. 224). Las concesiones del Japón a favor de los extranjeros no mejoraron la economía de dicho país y causaron reacciones xenofóbicas contra la apertura japonesa por el shogunato de Tokugawa, porque los tratados desiguales ofendieron la moralidad local; los artesanos y los comerciantes eran contrarios a competir con los extranjeros, ante el temor de perder sus actividades económicas privilegiadas y lucrativas; los extranjeros sufrieron atentados. El Emperador fue convencido por los daimios y no ratificó los acuerdos. Los daimios del Sudoeste, siguiendo políticas más propias de ellos, cerraron el estrecho de Shimonoseki pero sus defensas no resistieron los proyectiles explosivos de los barcos extranjeros y dichas naves pasaron frente a Osaka; el tratado fue ratificado y la aduana japonesa terminó rebajando sus aranceles. Las compras de los productos extranjeros causaron una salida abundante de numerario y empobrecieron a los fabricantes japoneses; subieron los precios de los productos locales exportados: el trigo, la seda y el algodón. La relación oro-plata de 8 a 1, en vez de 15 a 1, favoreció económicamente a los extranjeros y el oro fue llevado fuera del Japón. Las empresas quebradas se incrementaron y los samuráis bandoleros perjudicaron a dicho país. En esta época, hasta los daimios opositores del shogunato de Tokugawa compraron armas a través de los capitalistas, por ejemplo: Mitsui. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 514 y 515).
Al finalizar el período Edo, el shogunato de Tokugawa firmó los tratados favorables a Occidente y aceptó sus demandas; en 1856, Japón era vulnerable ante la amenaza extranjera, incentivada por su éxito en China. El Shōgun y los daimios (daimyō) quisieronaumentar la defensa japonesa y las deudas contraídas fueron elevadas; en la última década del shogunato de Tokugawa, las nuevas políticas económicas, aplicadas por la administración del gobierno japonés, permitieron las obras construidas con la técnica occidental: las fundiciones, los astilleros y varias otras instalaciones. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, p 32).
“Los cambios en la condiciones sociales, económicas e intelectuales durante las primeras décadas del siglo XIX acarrearon una especie de merma en la autoridad del shogunato de Tokugawa” (11) (Bito, Masahide y Watanabe, Akio. Pág. 16); el gobierno japonés careció de respuestas eficaces ante las nuevas fuerzas políticas y sociales, pero favoreció a otros daimyos, hasta entonces excluidos de la política gubernamental. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, p 16).
En 1830, aumentaron la población y la riqueza; los nuevos valores de los maestros confucianos incentivaron a utilizar el ocio en las urbes de Osaka y Edo, dentro de los castillos de los daimios y externamente en los límites de los mismos, para cultivar el intelecto; la riqueza permitió una administración pública superpoblada, caracterizada por la rigidez y los desajustes económicos; una gran parte del pueblo japonés sufrió. (HALL, John Whitney, p 214).
Yoshinobu, Tokugawa Keiki, fue el nuevo Shōgun en febrero de 1867, después de la muerte de su padre: el emperador Kōmei; él aplicó diversas reformas políticas en el shogunato de Tokugawa. Los ingleses apoyaron a los clanes Satsuma y Chōshū. En el bakufu, dichas reformas siguieron el modelo francés. A partir de 1864, León Roches se esmeró para consolidar el gobierno de Yoshinobu y ampliar la base militar japonesa; él estableció las reformas administrativas con el sistema francés: el gabinete, los ministerios y las prefecturas. Yoshinobu intentó “…una reestructuración del equilibrio del poder bajo el emperador, con la esperanza de salvar una posición de mando para el Shōgun” (12) (Hall, John Whitney, p 241); sin embargo, su coalición de daimios fracasó. La propuesta de Tosa, el daimyō rival de los clanes Chōshū y Satsuma, se conoció como el Memorial Tosa y fue elaborado para solucionar la crisis en la organización política japonesa; esta propuesta política consistió en la renuncia del Shōgun a favor de un consejo de daimyō, subordinado al emperador. La nueva autoridad política, con esta restauración imperial, fue el emperador; el puesto político de primer ministro fue ocupado por el Shōgun; él conservó sus tierras y la jefatura de la casa Tokugawa. Dicha restauración de 1867, para favorecer a Yoshinobu, no fueron aceptadas por la nobleza de la Corte y algunos jefes de han. Los militares de Chōshū, Satsuma, Owari, Echizen, Aki y Toza atacaron y se adueñaron del palacio Tokugawa; ellos entregaron la administración japonesa al emperador. La Restauración Meiji, ocurrida en 1868, abolió el shogunato y confiscó sus tierras; Yoshinobu se convirtió en un simple daimyō. La caída del shogunato de Tokugawa causó una guerra civil; Yoshinobu retiró sus militares a Osaka; el 27 de enero, algunos de sus jefes militares atacaron a Kyoto, pero su ejército fracasó ante las tropas de Tosa, de Satsuma y de Chōshū; la batalla de Toba-Fushimi fue la última y la gran oportunidad de Tokugawa para mantenerse como gobernante. Saigō, jefe del ejército imperial, se dirigió a Edo para exigir la rendición de Yoshinobu, lograda sin resistencia. Algunos enfrentamientos bélicos, pero menos importantes, siguieron; en noviembre, cayó el han Aizu; recién en 1869, la armada del shogunato dejó de resistir. (HALL, John Whitney, p 241 y 242). El emperador Mutsu-Hito se trasladó desde Kioto (Kyoto) a Yedo (Edo) y fijó su nueva residencia en la capital del Este: Tokio. (CROUZET, 1977, Vol. VI, p 515).
Período Moderno.
La Restauración de Meiji. La era Meiji.
La Restauración de Meiji no tuvo los recursos económicos ni financieros para resistir a las potencias militares extranjeras; en marzo de 1868, el mensaje oficial hacia los extranjeros fue favorable a colaborar con ellos, en la era de las luces. (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 515). Esta renovación imperial Meiji ocurrió al principio de la edad moderna; las reformas políticas y sociales acompañaron al nuevo sistema. El Banco del Japón fue el encargado de emitir para el nuevo sistema monetario japonés y los tributos sobre la tierra constituyeron la base para su sistema fiscal. Las innovaciones en las infraestructuras significaron mejoras para el Japón, con los ferrocarriles, las carreteras y los transportes marítimos; el telégrafo y el correo llegaron a todo el país; se importaron las maquinarias y los técnicos de otros países. La sociedad empresarial funcionó con el capital colectivo y existieron las fábricas administradas por el Estado. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, p 1).
Entre 1868 y 1912, las innovaciones económicas y sociales caracterizaron la era Meiji; los campesinos, liberados de los controles del feudalismo, se convirtieron en propietarios; en la sociedad japonesa, otra transformación importante fue la igualdad de todas las clases sociales, aunque algunas discriminaciones persistieron. La población se incrementó en las urbes. La modernización del Japón causó la desaparición económica del cultivo de algodón y la semilla de colza, por las competencias extranjeras; se importaron las técnicas extranjeras para capacitar a los técnicos locales; en vez de las industrias indígenas, “…el devanado del filamento del capullo de seda y el hilado de algodón, entre otras, que utilizaron materias primas importadas, crecieron hasta convertirse en industrias competitivas de exportación” (13) (Bito, Masahide y Watanabe, Akio, p 17). Las transformaciones de la era Meiji fueron apoyadas por las políticas gubernamentales; se utilizó un sistema fiscal más apropiado y las inversiones económicas del gobierno proveyeron las infraestructuras para el progreso; los éxitos de la nueva administración fueron: los transportes, el sistema educativo, el sistema de leyes con sus códigos civil y penal, las bancas y las comunicacione; entre las innovaciones, estuvo el teléfono. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, p 17).
Dos clanes: Satsuma y Shiushiu se repartieron el poder en el Japón; el genrō fue integrado por los consejeros más poderosos; esta intelligentsia, entre los funcionarios, envió misiones al continente europeo para capacitar a sus miembros y éstos volvieron con planes organizativos. El genrō se identificó con los intereses del Estado, no fue opuesto a las prerrogativas del mikado y derogó el feudalismo para servir al emperador. Una nobleza, formada con los funcionarios públicos, tuvo títulos honoríficos como la europea. El Estado se adueñó de los bienes pertenecientes a las órdenes budistas y cobró las cargas fiscales, aplicadas al campesinado propietario. Los feudos fueron convertidos en prefecturas. Los japoneses contaron con las escuelas para capacitar a los cuadros de mandos y los servicios públicos se modernizaron. La conscripción se aplicó en el ejército y afectó al campesinado. Los préstamos para el Japón provinieron de Alemania y Francia; los técnicos y los utillajes fueron importados tanto de los Estados Unidos como de Inglaterra. La guerra civil perjudicó el trabajo rural y el campesinado se decepcionó de la acción revolucionaria; agregó Crouzet: los campesinos “… que, libres de cultivar a su gusto, de comprar y de vender, de poseer las parcelas de las cuales disponían como usufructuarios a perpetuidad, están obligados al servicio militar y a pagar un impuesto en metálico, (…) sin contar las cargas que los propietarios que no explotan la tierra pueden seguir exigiendo a sus colonos" (14) (Crouzet, 1977. Vol. VI, p 516). Los trabajadores rurales perdieron el derecho a usar el bosque, porque se agregó al dominio del mikado. Durante la era Meiji, el campesinado pobre no mejoró su situación económica, porque ya no disfrutó de los bienes comunales y el impuesto rural resultó pesado económicamente; además, el mismo debió pagar una hipoteca y vender su tierra, cuando el precio del arroz bajó o su producción fue insuficiente. “El 74 % de las propiedades campesinas y el 71 % de las explotaciones no pasan de una hectárea. Los particulares ricos compran barato. Con el aumento de la población suben el precio de los arrendamientos un 50 % y hasta un 60% del valor de sus frutos”(15) (Crouzet, 1977. Vol. VI, p 521), explicó dicho historiador francés. La migración campesina hacia las ciudades ocurrió por varias causas, muy negativas para el trabajo rural; los arrendamientos fueron más caros; el arroz apenas alcanzó para el consumo; el taller textil chico, utilizado en una época anterior, faltó en cada hogar rural para mejorar los ingresos económicos del campesinado; en 1890, el sueldo del jornalero era miserable: 0,80 yenes; las plantas industriales resultaron más atractivas económicamente para el campesinado. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 516 y 521).
Omura Masujiro, militar de Chōshū, asumió la dirección del Departamento de Guerra en 1869; él trabajó para tener un ejército moderno, contar con las escuelas militares y los arsenales, pero el reclutamiento nacional no se aprobó. Una Guardia Imperial, integrada por diez mil hombres de los ejércitos han, pertenecieron a los clanes Chōshū, Satsuma y Tosa; en 1871, su jefe fue Saigo Takamori. En 1869, Yamagata Aritomo, miembro del clan Chōshū, fue el nuevo jefe militar después del asesinato de Omura; él consideró un sistema militar similar al de Prusia, con posterioridad a su viaje por Europa. En 1871, el gobierno de Meiji abolió los han y creó un ejército nacional, con las guardias han de la época anterior, pero sin permitir los vínculos locales. En 1873, se promulgó la ley para el reclutamiento obligatorio y se anuló la diferencia entre los samuráis y el resto de la población; los varones de 21 años fueron inscriptos en los registros, destinados al reclutamiento del ejército, con la obligación de servir tres años en el servicio militar; en la reserva, el servicio fue extendido a otros seis años. Fueron exceptuados del reclutamiento militar: los funcionarios, algunas profesiones, los jefes de familia y los herederos; otra excepción era posible con el pago de 270 yenes. Japón contó con seis distritos militares y 46 mil hombres pertenecieron al ejército, mientras se mantuviera la paz. (HALL, John Whitney, pp 257 y 258).
Con la Restauración Meiji, Japón ingresó en el mundo moderno y heredó algunas instituciones del pasado, pero las mismas se tuvieron que adaptar a la nueva realidad japonesa; el sistema familiar y su trabajo en grupo favorecieron esa transición al nuevo sistema. El feudalismo fue abolido en 1869 y el sistema de cuatro clases fue sustituido por dos clases sociales: la aristocrática y la plebeya; el sistema han fue reemplazado por otro: un control centralizado; además, se establecieron los límites de las prefecturas. Entre 1871 y el año siguiente, la población fue autorizada a vender arroz; las familias de los nobles, los burócratas y los guerreros de la época anterior se dedicaron a los negocios agrícolas, comerciales e industriales; otras políticas del gobierno de la era Meiji fueron: el sistema escolar común, la libertad generalizada para ejercer oficio y el reclutamiento militar. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, pp 32 y 33).
Desde la abolición de los han, la clase samurái careció de su posición política más privilegiada y propia de la época anterior. Una de las consecuencias más importante del reclutamiento militar fue la anulación de sus privilegios; entre los samuráis, el grupo joven se molestó por el entorpecimiento de su libertad para desenvolverse, debido a las restricciones sociales; no obstante, en la Carta de Juramento fue incluida una frase sobre la libertad de empleo, pero dichos samuráis quisieron servir al estado japonés y no se interesaron por los principios, más abstractos, de igualdad social. Los privilegios de las clases sociales se anularon por razones prácticas: favorecer la libertad de trabajo, cobrar la carga impositiva y el reclutamiento militar obligatorio; durante algún tiempo, los ex-samuráis y los ex-daimios fueron tratados de una manera especial. (HALL, John Whitney, pp 258 y 259).
La contribución sobre la tierra fue reformada, aumentó los ingresos fiscales y fue, durante bastante tiempo, el recurso económico más importante; en 1868, la antigua contribución sobre la tierra recaudó dos millones de yenes; en 1873, con la reforma impositiva entraron al fisco 50 millones de yenes. Estos ingresos económicos permitieron al Estado acumular capitales económicos y crearon el marco útil para el comienzo del capitalismo liberal y su sistema económico. El capital económico acumulado, perteneciente al sector privado, se incrementó con las tierras arrendadas por los terratenientes y el dinero fue invertido mayormente en la industria textil; otras inversiones económicas fueron para los bancos, los transportes marítimos y los ferrocarriles; no obstante, no toda esta acumulación de capital provino del campo. (HALL, John Whitney, p 33).
El partido político liberal jiyuto (o Jiyūtō) fue aliado de los Mitsui; los Mitsubishi apoyaron al progresista keshinto; ambos existieron con posterioridad a 1880. La Constitución de 1889 favoreció a la alta burguesía japonesa, todavía en formación (CROUZET, 1977. Vol. VI, pág. 518); en dicho año, fue promulgada y combinó la tradición japonesa con la técnica occidental. “El emperador estaba servido por un Ministerio de la Casa Imperial y por una Ley de la Casa Imperial, que existían al margen de la Constitución y de los cauces normales de gobierno” (16) (Hall, John Whitney, p 273). La participación popular, permitida por la Constitución, era posible a través de “…la Dieta y (…) las asambleas populares, en general carentes de todo poder” (17) (Hall, John Whitney, p 273); la Cámara de Pares y la Cámara Baja componían la Dieta. El primer ministro y su gabinete eran responsables ante el emperador y éste contó con su Consejo Privado (HALL, John Whitney, p 273), genrō, para decidir sobre las cuestiones más importantes; el emperador designó a los integrantes de la Cámara de Pares y los votantes eligieron a los integrantes de la Cámara de Representantes, pero la negativa a firmar una ley de la misma y su disolución fueron otros poderes del emperador (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 519). Los 450.000 electores (HALL, John Whitney. Pág. 273) de un total de 40 millones (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, p 17), escogidos entre los contribuyentes más importantes (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 518), eligieron en la primera votación a los miembros de la Cámara Baja y la aprobación del presupuesto fue la única decisión importante de la misma; cuando ellos no lograron ningún acuerdo sobre el presupuesto para aprobarlo, se aplicó el correspondiente al año anterior. La Constitución Meiji no solamente cuidó de los privilegios de la clase dirigente, sino también de los valores políticos y sociales, muy conservadores; dichos valores eran modernos para esta época en el Japón, explicó John Whitney Hall. La Dieta no fue simplemente una concesión a la oposición política, porque Ito logró la instauración de la misma a pesar de la resistencia gubernamental contra su aceptación, sino era para conocer la opinión pública y permitir su participación en el gobierno japonés. (HALL, John Whitney, pp 273 y 274). El emperador era el jefe del ejército, la marina y las relaciones exteriores (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 519); los ministros de la marina y del ejército estuvieron subordinados al Comandante en jefe de ambas fuerzas: el emperador, sin depender éste del control civil para dicha función gubernamental. El gobierno central designó a los gobernadores, además de adscribir la administración local al Ministerio del Interior. (HALL, John Whitney, p 273).
La explosión demográfica japonesa afectó tanto a la ciudad como al campo; en 1890, alcanzó el 25 % en la urbe; al inicio del siglo XX, agregó la tercera parte del total poblacional. Ochocientos mil japoneses, entre los samuráis pobres y los soldados agricultores, fueron ubicados por el gobierno japonés en la isla Hokkaido (Hokkaidō); ellos soportaron temperaturas muy bajas y se dedicaron a la ganadería, porque era más apropiada económicamente que la producción del arroz. El japonés fue incitado por las autoridades para dejar su país y residir en Hawái, Corea y California, pero él se sintió atraído por las actividades propias de su ciudadanía y no deseó irse del Japón. Las ciudades japonesas se desarrollaron con el incremento poblacional y la modernidad. Kioto contó con su barrio Avata, donde se instalaron las fábricas y los talleres para trabajar con las porcelanas, los esmaltes y las lacas. Otra ciudad de gran importancia comercial fue Osaka y ésta se convirtió, juntamente con Kebé, en un gran centro económico por sus actividades navales y textiles. Yokohama pasó de un pequeño pueblo, dedicado a la pesca, a tener un puerto importante, favorecido por su profundidad costera; además, poseyó un arsenal. En el siglo XVIII, se fundó Tokio, ubicado sobre un pantano; esta ciudad fue admirada por su arquitectura y otros atractivos; el castillo imperial, denominado el Siro, fue rodeado por los muros y los fosos; en el Soto-Siro, con los palacios imperiales (Yachkis), estuvieron los altos dignatarios y otros funcionarios; el Midzi, observado por Hübner en 1877, se lució por su infraestructura: las calles muy transitadas o hasta desiertas, los jardines, los arrozales y los templos; el Hendjii fue muy apreciado por los almacenes públicos y los lugares destinados al placer. Rodeando todas estas infraestructuras, se construyeron las fábricas, los talleres y las casas de ladrillo y de madera. Los japoneses navegaron en los juncos, se transportaron en las Jinrikisha de dos ruedas y los tranvías; además, ellos empezaron a usar el teléfono y la energía eléctrica (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 521 y 522); el consumo eléctrico total, doméstico e industrial, fue de 400 millones de Kw en 1909, mostrado por el gráfico estadístico de Ryoshin Minami en: Testsudo to Denryoku. Ferrocarril y energía eléctrica. Long-term Economic Statistics. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, p 49). ). La clase social alta japonesa vistió la levita y el chaqué burgués por la fusión cultural entre el Japón y los países de Occidente; no obstante, los integrantes de esta clase no descuidaron sus vestimentas tradicionales y usaron, en sus hogares, la camisa nacional (juban) y el kimono; ellos vistieron el Kaori en las ceremonias y utilizaron el parasol y el abanico en la vida social. Las sami-sen, las guitarras de tres cuerdas sirvieron para acompañar los cantos y las danzas, pero pasaron de moda para la alta burguesía. El japonés fue entusiasta del judo; el béisbol y el baloncesto fueron otros deportes populares en dicho país. El aumento y la concentración poblacional no favorecieron al campesino pobre; él tuvo que migrar hacia la ciudad para subsistir y habitar algún barrio industrial, pero no logró un salario más elevado que el ingreso económico del jornalero. En la urbe, la familia proletaria, compuesta por cuatro o cinco miembros, soportó el hacinamiento en una pieza de dos metros cuadrados; el proletariado tuvo un poder adquisitivo muy pobre para comprar su alimentación y comió las sobras de las sopas y las legumbres, provenientes del ámbito castrense y de algún otro lugar; esta calidad de vida, muy paupérrima, no mejoró la economía del campesinado radicado en la ciudad. El incremento salarial fue parejo con los precios, pero solamente en una primera época; después, el poder de compra del salario bajó. Los industriales hicieron trabajar a los niños; las campesinas fueron contratadas, pero soportaron un encierro humillante. El contrato del trabajador, con una duración de tres años, no permitió la resistencia del mismo para cambiar su situación económica; en 1890 y una década después, las leyes prohibieron al empleado pertenecer a una asociación. (CROUZET, 1977. Vol. VI, pp 521 y 522).
En el Japón, se permitió a la población ejercer cualquier oficio y lograr más ingresos económicos estatales. La nueva carga impositiva fue aplicada en el ámbito rural. El gobierno japonés trabajó para la industrialización de su país; esta nueva política, destinada a la economía secundaria japonesa, fue denominada: Shokusan Kogyo; la misma, se ideó para favorecer a las industrias locales y promover al empresariado. El desarrollo económico permitió la modernización del Japón hacia finales de la década del 80, en el siglo XIX; la industrialización de dicho país logró progresar en épocas posteriores. Desde el inicio de la era Meiji, el gobierno japonés aplicó políticas para la modernización de su país; se reformó la economía agrícola; la moneda fue unificada; fueron concretadas obras modernas; llegaron los técnicos y las tecnologías del extranjero. Fue el sector tradicional de la economía, sin disponer de muchos capitales económicos, la responsable de aumentar la producción para su exportación; las inversiones capitalistas privadas más importantes recién se hicieron después de la guerra entre Rusia y Japón, ocurrida entre 1904 y el año siguiente. El capitalismo estatal invirtió en las tecnologías importadas y estableció la fábrica modelo para dar el ejemplo de una nueva economía industrial moderna; posteriormente, el sector privado acumuló el capital económico e importó las tecnologías. Desde una época anterior a la era Meiji, la población japonesa acostumbró a ahorrar y continuó con dicho esfuerzo durante el desarrollo de la economía secundaria. La fábrica modelo fue otra creación del gobierno japonés; después, privatizó la misma y favoreció el incremento industrial; entre las industrias, presentes en el Japón, estuvieron: las hilaturas de algodón, el cemento, el carbón y el vidrio. La industria moderna no fue creada solamente por la aplicación de esta política gubernamental y permitió la introducción de la tecnología, imprescindible para trabajar; poco después, se favoreció a dos actividades económicas industriales: la siderurgia y la industria naval. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, pp 5, 6 y 34). Durante la transición hacia una economía industrial, Japón necesitó vender arroz para tener los capitales económicos y destinarlos a comprar el hierro, el algodón y las maquinarias; el equilibrio de la balanza comercial japonesa fue más necesario, debido a la deuda externa; bajó la calidad de vida de la población pobre, a pesar de su esfuerzo laboral para lograr la modernización. (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 523). Lockwood y Rosovsky consideraron más razonable atribuir el crecimiento económico, durante el inicio del desarrollo industrial, a diversas causas: el trabajo enérgico del negociante sin tantos capitales económicos, el esfuerzo del pequeño ahorrista y la mejora en la producción de la agricultura. El rol estatal, en determinadas zonas, fue más para la industria pesada y los arsenales; además, el Estado invirtió económicamente en los transportes marítimos, los ferrocarriles y los servicios de telégrafos y de correos. Para la industrialización, la economía japonesa necesitó de un sistema bancario consolidado, con un banco central; entre 1876 y 1880, los bancos permitieron el ahorro para invertir económicamente en la industria y la emisión de la moneda nacional; en 1832, el Banco del Japón emitió el papel moneda e inició otra etapa, destinada a unificar el sistema bancario. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, p 34). Desde 1886 a 1905, el Japón tardó para su desarrollo industrial, todavía incipiente; en 1886, culminó la denominada deflación de Matsukata y permitió una base monetaria eficaz, destinada a su industrialización. Entre 1876 y 1881, el gobierno japonés emitió gran cantidad de papel-moneda, para costear la guerra en Satsuma y el programa de las pensiones de los samuráis; esta emisión monetaria, muy exagerada, causó una gran inflación y perjudicó el presupuesto estatal y la balanza de pagos. En 1881, Matsukata fue designado ministro de Hacienda y aplicó su política deflacionaria para favorecer el presupuesto gubernamental; él reorganizó el sistema bancario, con la creación del Banco del Japón. (HALL, John Whitney, p 280). Al finalizar 1885, la expansión del mercado de servicio, en dicho país, fue una consecuencia de la política deflacionaria del Ministro de Finanzas Masayoshi Matsukata; los campesinos vendieron sus tierras por la crisis agrícola, causada por dicha deflación. Entre 1878 y 1880, se desarrolló el transporte marítimo. Desde 1881 a 1890, la inversión económica fue para los ferrocarriles y la red ferroviaria aumentó el 27,4 % cada año; los trenes comunicaron las economías regionales y favorecieron a las industrias. Posteriormente, se invirtió en la industria del carbón y se exportó el 50 % del total de su producción en 1890; con la explotación económica del carbón, se formaron las fortunas de los Zaibatsu como Mitsubishi, Mitsui y Sumitomo. Después, se desarrolló la industria textil, “…con un crecimiento anual sobre la base de la acumulación de capital de un 22,6 % entre 1883 y 1890” (18) (Nakamura, Takafusa y Grace, B. R. G., 1985, p 35); se destacaron la seda y el hilado de algodón. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985, pp 34 y 35). En Japón, “…no fueron las ostensibles industrias pesadas las que facilitaron el primer estímulo al desarrollo económico, ni las que dieron al Japón la base necesaria para alcanzar su seguridad económica internacional” (19) (Hall, John Whitney, p 280); dos productos industriales japoneses: la seda y el hilado de algodón fueron exportados exitosamente y favorecieron la balanza comercial. La industria de seda era una economía tradicional de procedencia rural; su modernización y el control más exigente de la calidad de la seda favorecieron su venta a los países europeos; entre 1899 y cuatro años después, su producción alcanzó una cantidad superior a 7.500 toneladas de seda en rama. La otra economía productiva fue la industria dedicada al hilado de algodón; la mecanización y la utilización de la fuerza laboral campesina excedente, especialmente del sexo femenino, lograron producir, anualmente, 200 mil toneladas de hilados de algodón y contaron con 1,5 millones de husos. (HALL, John Whitney, pp 280 y 281). La burguesía, dedicada al comercio, se convirtió en accionista de las sociedades económicas, heredadas del gobierno japonés. Las empresas más grandes se empezaron a consolidar como trusts; se conocieron como los zaibatsu y fueron favorecidos por la baja del yen y apoyados por los bancos; las riquezas industriales y comerciales terminaron concentradas por los zaibatsu. (Crouzet, 1977. Vol. VI, p 523). Japón quemó etapas con más rapidez que Rusia, explicó el historiador Crouzet; los japoneses conocieron el capitalismo monopólico, igual que Occidente. “Esta oligarquía de plutócratas consolidará sus posiciones a favor del auge general de los años 1895-1914” (20) (Crouzet, 1977. Vol. VI, p 523). La política gubernamental japonesa, para desarrollar sus industrias, se pareció más al capitalismo estatal de Rusia, antes de 1914, que al capitalismo liberal occidental, afirmó Paul Johnson; no obstante, el Japón no tuvo los conflictos sociales del gobierno zarista. (JOHNSON, 2000, p 226). El Código de Comercio, aprobado en 1890, permitió la expansión industrial y dió el marco legal a las empresas. En 1887, el capital económico concentrado en los bancos y los seguros fue del 46,8 %; en los transportes, se invirtieron el 35,8 %; en las industrias, alcanzó al 9 %. En 1899, los bancos y los seguros concentraron el 40,7 % de capital; el 32,4 % fue para los transportes; el 14,6 % perteneció a las industrias. En 1909, el capital desembolsado en los bancos y los seguros fue del 31,6 %; el 21,3 % se concentró en los transportes; las industrias lograron el 20,5 % del total. En 1870, prevalecieron las exportaciones de los productos de la economía primaria, entre ellos: el té, el hilo de seda y los productos marinos; en 1890, los productos exportados fueron: el hilo de seda, los hilados de algodón, los tejidos de seda, el té, los tejidos de algodón y otros; en 1910, la industria textil exportó los tejidos de algodón, el hilo de seda y los tejidos de seda. En 1870, los productos importados por el Japón fueron el arroz, el azúcar y otros; en 1890, se importaron el arroz, el azúcar, el algodón en rama y las maquinarias; en 1910, ingresaron a dicho país: el algodón en rama, azúcar, madera, acero, las maquinarias y otros productos. Estos porcentajes y otros conocimientos económicos pertenecen al libro de T. Nakamura: Economic Growth in Prewar Japan (Yale University Press). Nakamura y Grace utilizaron otras fuentes estadísticas para conocer la población japonesa empleada y dichas fuentes fueron: Ohkawa y otros, Patterns; y Oficina de Estadísticas, Oficina del Primer Ministro, Censo de la Población. En 1872, la población empleada en la economía primaria alcanzó el 72,7 %; en el sector terciario, trabajaron el 27,4 % de los nativos; en 1885, bajó a 70,1 % el porcentaje de empleados en el sector primario y aumentó en la economía terciaria con el 29,9 %; en 1895, el empleo en el sector terciario fue del 65,3 % y se elevó a 34,7 % el personal ocupado en el sector servicios; en 1905, trabajaron en la economía secundaria el 15,5 %; en el sector terciario, disminuyó el porcentaje de empleados a 15 % y se incrementó el 69,5 % en la economía primaria, un poco más que en 1895. El incremento de la ocupación en el sector terciario, por ejemplo en 1872, no fue porque se crearon organizaciones administrativas japonesas más modernas, sino los porcentajes indicaron los ocupados en el sector tradicional: los empleados de las tiendas, los vendedores ambulantes, los artesanos y otros. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G., 1985. Páginas 16, 17, 24, 27, 35 y 36). En 1905, más del 50 % de las exportaciones eran los productos de la mecanización; Tokio, Yokohama, Osaka y Kōbe se convirtieron en los centros económicos de las industrias pesadas; los consorcios comerciales y financieros se desarrollaron para estimular la gran industrialización japonesa. (HALL, John Whitney. Pág. 281). El Japón, desde el comienzo de su industrialización, necesitó exportar sus productos y conseguir los técnicos, los capitales económicos y las materias primas de otros países; además, la competencia extranjera y los tratados desiguales obligaron al Japón a protegerse (CROUZET, 1977. Vol. VI, p 523), porque dichos tratados, firmados durante el gobierno Tokugawa, favorecieron a los extranjeros, residentes en el archipiélago japonés, con privilegios económicos y fiscales. En 1894, la extraterritorialidad quedó abolida y los extranjeros ya no fueron exceptuados de la jurisdicción del Japón; en 1911, el gobierno japonés firmó con Occidente una serie de tratados a favor de la autonomía arancelaria local. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, p 17). Durante el gobierno del tenno, los zaibatsu eran los empresarios japoneses; ellos trabajaron con los gambatsu y los militares para construir un país rico y fuerte; en dos generaciones, se organizaron los grupos industriales más poderosos como: Mitsui, Yasuda, Mitsubishi y Sumitomo. (JOHNSON, 2000, p 226).
Japón después de la era de Meiji.
La era Taishō.
Taishō ocupó el trono japonés hasta 1926, después de la muerte de su padre el emperador Meiji en 1912; él gobernó su país en vías de modernización, caracterizado por: el progreso industrial, la educación más popular y los movimientos políticos, incluidos los revolucionarios. El gobierno japonés cambió sus políticas locales y externas para afrontar los nuevos acontecimientos mundiales; la crisis de confianza internacional en la democracia occidental (liberal), expandida hacia otros estados políticos durante la Primera Guerra Mundial, obligó a dicho replanteo; otras causas fueron: la revolución bolchevique en Rusia y la ineficacia de la Sociedad de las Naciones. Dicha conflagración mundial no terminó con todas las guerras y fue una época europea de enfrentamientos imperialistas y xenofobias nacionalistas; sin embargo, Japón no soportó la destrucción bélica de la misma y se quedó con las posesiones de la Alemania derrotada, tanto en China como en el Pacífico. (HALL, John Whitney. Página 283).
Los japoneses, incluidos los privilegiados, quisieron pertenecer a un clan o batsu. Habatsu fue la facción permanente y se aplicó a las diversas actividades de los nativos en 1868; entre ellas, las escuelas para estudiar las pinturas, los arreglos florales y las luchas; 22 años después, fue utilizada en la política. (JOHNSON. 2000, pp 230 y 231). En 1920, el establishment del Japón fue integrado por los grupos privilegiados; la aristocracia y la alta burguesía (monbatsu); el terrateniente y la burocracia del militarismo (gumbatsu); la dirigencia del partido conservador y el capitalismo japonés (zaibatsu). Los líderes políticos de la era anterior: Sainji y Yamagata, ya ancianos, todavía influyeron en la política japonesa, pero solamente por su pertenencia a un grupo privilegiado económicamente. Los dirigentes de los partidos políticos, vinculados a la alta burocracia, se ocuparon de designar o destituir a los funcionarios importantes, según los resultados de las elecciones gubernamentales. El zaibatsu buscó los medios para participar en la política nacional y defender sus intereses creados. El terrateniente era conservador y su base económica estaba consolidada. El zaibatsu y el terrateniente influyeron en las decisiones gubernamentales japonesas. (HALL, John Whitney, pp 285).
La interdependencia de la economía dual: tradicional y moderna.
La agricultura prevaleció en la economía de la era Meiji y su productividad fue superior a la industrial hasta 1935. El sistema capitalista se aplicó poco, tanto en la granja como en la economía de los servicios; el capitalismo se incrementó recién a partir de la segunda mitad del siglo XX. Nueve décadas después de la restauración imperial, la producción del capitalismo fue más utilizada en las industrias básicas japonesas; las producciones mineras y manufactureras, el transporte y los servicios lograron atraer a las inversiones capitalistas. De las economías productivas del Japón, la industrial creció más que la agrícola; entre los años 1879 y 1918, las industrias aumentaron el 4,8 % y la agricultura ascendió al 1,7 %. El producto interior bruto (PIB o PBI) alcanzó el 2,6 %.
La economía tradicional se caracterizó por el progreso y sumó a las industrias tradicionales algunas importadas, por ejemplo la hilatura de seda. El 84 % de la producción local, exportada en 1868, perteneció a la agricultura; el hilo de seda se destacó en dicha producción primaria, con el 40%; los recipientes conteniendo los capullos de seda, con el 21,8; el té verde, con el 21,5%. Los países extranjeros compraron al Japón: el algodón, los paraguas y la cerámica. La economía dual fue posible por la interdependencia entre las industrias tradicional y moderna; el empresariado moderno bajó el precio de la hilatura uniforme y favoreció al fabricante textil de poco capital económico; se fabricó cada parte de la bicicleta japonesa en el taller chico, pero su montaje se hizo en la empresa grande. La industria tradicional fabricó bienes para el consumo interno y la exportación; esta industria fue proveedora de la producción industrial moderna y se convirtió en un mercado para la misma. Dicha interdependencia económica prevaleció hasta la década 20 del siglo XX. La banca, traída por los extranjeros, ayudó económicamente a las empresas tradicionales, incentivó sus ventas al por mayor y favoreció la creación industrial moderna del Japón (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G, pp 41 y 43).
La población económicamente activa japonesa.
Los campesinos tuvieron mejores ofertas laborales durante la Primera Guerra Mundial; ellos trabajaron en la economía tradicional para aumentar sus ingresos económicos y fueron numerosos, hasta la finalización de la segunda década del siglo XX. El comercio y la industria, mayormente del sector tradicional y con pocos capitales económicos, dieron empleos a los agricultores; estos campesinos abandonaron el ámbito rural para trabajar en las urbes. La población de Tokio (Tokyo o Tōkyō) totalizó 700 mil habitantes en 1908; los originarios de dicha ciudad apenas alcanzaron el 35%.
Los sueldos de las empleadas de las granjas fueron diferentes entre las regiones japonesas; los trabajadores tuvieron salarios distintos entre una ciudad y otra; la remuneración de un carpintero en Tokio fue más alta que la percibida en Niigata. El mejoramiento laboral resultó más viable con: la movilidad del mismo y la utilización del ferrocarril, la disminución de las diferencias salariales mencionadas y la creación del mercado nacional japonés. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G, pp 41 y 43).
La industrialización del Japón ocupó a 1.600.000 trabajadores y favoreció el aumento demográfico; en 1920, la cantidad de habitantes alcanzó a 55 millones. La población de Tokio fue de 2 millones, un millón más que Osaka. (HALL, John Whitney, p 284).
El sector primario de la economía japonesa alcanzó el 70.1 % de la población ocupada en 1885; diez años después, disminuyó al 65,3 %. En 1885, el sector económico terciario permitió trabajar al 29,9 %; en una década posterior, dicho sector reunió al 34,7 % de los trabajadores. En 1905, el sector primario fue ocupado por el 69,5 %; el sector secundario: el 15,5 %; el sector terciario: el 15 %. En 1915, el sector primario disminuyó al 62,5 % y los otros sectores económicos aumentaron; el secundario, con el 19,5 %; el terciario, con el 18 %. En 1925, el sector primario siguió su disminución ocupacional con el 52,4 %, el sector secundario fue del 23,6 % y el terciario logró tener el 24 %. Las fuentes consultadas por Grace y Nakamura fueron: Ohkawa y otros, Patterns; y Oficina de Estadística, Oficina del Primer Ministro, CENSO DE LA POBLACIÓN. (NAKAMURA, Takafusa y GRACE, B. R. G. 1985, pp 17, 41 y 43).
Los partidos políticos.
Los años de la década 20 fue una época anterior al belicismo japonés; esta década se caracterizó por la democracia del liberalismo y el gobierno de sus partidos políticos. La Constitución Meiji y La Dieta favorecieron a los partidos liberales; no obstante, el marco dado a sus actividades políticas tuvo una base bastante limitada. Los zaibatsu y los terratenientes fueron representados por los partidos políticos; sus dirigentes mediaron entre las élites del establishment, los genrō y los burócratas; la dirigencia partidaria presionó al gobierno japonés, dominado por la burocracia de los profesionales y la personalidad política, con mucho poder e independencia. Con la desaparecieron los genrō, dichas fuerzas sociales se convirtieron en centros políticos y apoyaron a los jefes no tan influyentes, sucesores de los mismos. En la Dieta del año 1912, los partidos políticos formaron un frente para oponerse a los incrementos de las asignaciones militares; un año después, se se sentó la base bipartidista con la creación del partido Dōshikai, rival del poderoso Seiyukai. En 1918, se inició el gobierno del partido auténtico, cuyo primer ministro fue el jefe de la fuerza social mayoritaria en la Dieta. (HALL, John Whitney, pp 289 y 290).
Las relaciones diplomáticas japonesas con las potencias de Occidente.
Las relaciones diplomáticas japonesas con las potencias de Occidente fueron conflictivas; Japón se comprometió a no desprestigiar a las organizaciones de la democracia, integradas por Gran Bretaña, Estados Unidos y Francia, con el cambio del status quo mundial; sin embargo, soportó restricciones, impuestas diplomáticamente por Versalles, Washington y Londres; las limitaciones defensivas, impuestas al militarismo expansionista japonés, socavó sus aspiraciones de convertirse en un gran imperio. En 1921, Japón fue a la Conferencia de Washington y aceptó el status quo, concerniente a sus defensas situadas en el Pacífico; asintió las políticas de Puertas Abiertas con respecto a China, a pesar de las rivalidades con las potencias extranjeras en dicho país. Cinco años después, Japón ingresó en la Sociedad de las Naciones; en 1928, firmó el Pacto Kellog-Briand y renunció a la guerra. En 1930, el Tratado de Limitación Naval de Londres, ratificado por Japón, obligó a la restricción del poder militar japonés en el Pacífico. (HALL, John Whitney. 1973, pp 284 y 291).
Los conflictos sociales.
El incipiente desarrollo industrial fue logrado por las organizaciones industriales del Japón, integrado por un grupo chico de la economía total; no obstante, la economía industrial ocupó únicamente a una parte de la población y causó la depresión económica del sector tradicional en 1920. Siete años antes, solamente 52 empresas contaron con el capital monetario de un poco más de 5 millones de yen; sin embargo, representaron el 38% del capital económico y el 1% de las empresas japonesas. En 1920, aumentaron los empleados de las empresas industriales más grandes; ellos presionaron para conseguir mejores salarios y condiciones laborales. La modernización no avanzó en el campo como en las urbes más pobladas; muchos campesinos arrendaron las tierras de los terratenientes y pagaron en especie; el total del arrendamiento alcanzó el 50% del suelo cultivado. La disminución del precio de la seda en rama sucedió en 1920. Las importaciones masivas de los productos agrícolas: las frutas y el azúcar de Taiwán, el trigo norteamericano y los cereales de Corea perjudicaron la economía agrícola japonesa; la producción de la agricultura fue insuficiente y primitiva para alimentar a la población aumentada. Los movimientos políticos rurales lucharon por las reivindicaciones laborales del campesinado y formaron las asociaciones de los arrendatarios rurales y los sindicatos; sus integrantes exigieron extender el sufragio universal y una legislación laboral más conveniente; ellos fueron acompañados por los partidos político locales para lograr las mejoras impositivas, incluidas en sus programas políticos. El empresariado local presionó políticamente a las autoridades japonesas contra los sindicatos, porque temió los conflictos sociales, influidos por la revolución bolchevique rusa. El gobierno japonés afrontó el peligro de la inestabilidad de su sistema político y social; las facciones menos dispuestas a acordar políticamente con el oficialismo fueron defendidas. Desde el inicio de la década siguiente, la democracia occidental, el socialismo y el fascismo quisieron prevalecer en la sociedad japonesa; fue similar a la República de Weimar en Alemania, pero sucedió de otra manera. (HALL, John Whitney, pp 287 y 289).
El gran terremoto de Kantō.
En 1923, ocurrió un gran terremoto en el área de Kantō; Tokio (o Tōkyō), Yokohama y otras ciudades de la misma fueron afectadas catastróficamente. El terremoto de Tōkyō conmocionó a la población japonesa (BITO, Masahide y WATANABE, Akio. Páginas 19 y 20); la policía aprovechó para reprimir a un grupo disidente, considerado peligroso por el gobierno japonés ante los conflictos sociales. (HALL, John Whitney, p 284).
El sufragio universal y la preservación de la paz.
En 1919, el sufragio universal fue el tema político clave entre los intelectuales, los estudiantes universitarios y los trabajadores; los interesados se reunieron en el Parque de Ueno. En 1925, fue promulgada la Ley de Sufragio Universal y votaron los varones desde los 25 años. (BITO, Masahide y WATANABE, Akio, p 18). Entró en vigencia la ley de la Preservación de la Paz, con su control policíaco para la libertad de expresión y la reunión de la población japonesa. (HALL, John Whitney, p 293).
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Že čez 14 dni me čaka moj naslednji večji projekt: tek na Monte Roso. Tekma bo dolga 37 km s kar 3500 višinci vzpona in najvišjo točko na nadmorski višini 4554 m. Skratka še ena v vseh pogledih ekstremna tekma. V Sloveniji pa žal enostavno nimamo niti približno tako dolgih klancev kot bo tam. Tako sem za trening izbral najdaljši klanec, ki v Sloveniji obstaja: in sicer iz Stare Fužine na vrh Triglava, kar znese 2295 m relativne višinske razlike. Tretji razlog za to turo pa je ta, da letos mineva 240 let od prvega vzpona na Triglav, ki je bil osvojen ravno iz smeri iz Bohinja. Med tem dolgim tekom sem imel dovolj časa, da sem se v mislih počastil njihovem pogumu.
https://video.relive.cc/26886686412_garmin_1528642041472.mp4
S tekom sem začel na parkirišču v Stari Fužini in odtekel v dolino Voje. Teče se po makadamski cesti, ki se v petih kilometrih vzpne le za 150 višincev. Na koncu doline pri slapu, pa se pot končno začne strmeje vzpenjati. Žal je pot večino časa zelo razrita in neprijetna že za hojo, kaj šele za tek. Tudi razgledov na pot ni, razen za kratek čas na planini Spodnja Grintovca. Sicer pa se izmenjavajo strmi odseki, kjer sem hitro hodil in daljše ravnine, kjer sem “moral” kar precej hitro teči. Tik pred Vodnikovim domom je na poti še nekaj večjih snežišč, ki pa se jih zaradi mehkega snega da brez problema prečiti.
Planina Spodnja Grintovca in Tosc
Vernar
Triglav prihajam!
Pod Planiko
Planika
Od Vodnikovega doma do Konjskega sedla je najmanj strm in najbolj tekaški del poti. Tako, da sem res užival. Na poti od Konjskega sedla do Planike pa je več snega, kot kopnih predelov. Zato sem bil tu precej počasen. Sneg je mehak. Tako da nevarnosti za zdrs ni. Vendar po južnem snegu navzgor enostavno ne gre hitro. Od Planike do vrha Triglava pa je bila pot povsem kopna. Se pa tu pri teku že precej pozna efekt višine in enostavno ne gre tako hitro, kot bi na enaki poti šlo npr. 1000 višincev nižje. Zato se zavedam, da je nujno da se pred tekmo na Monte Roso spet aklimatiziram na višino. Na vrh Triglava sem pritekel v 3 h 9 min.
3 h 9 min
Megla se dela
“Ledenik”
Sestop proti Kredarici
Kredarica
Sestopil sem čez Mali Triglav na Kredarico, kjer sem pri prijaznih vremenarjih obnovil zaloge pijače. S spustom sem nadaljeval čez Kalvarijo na Konjsko sedlo do Vodnikovega doma. Na tej poti je še ogromno snežišč, ampak so vsa brez težav prehodna brez zimske opreme. Nisem hotel tvegati poškodbe na razdrapani poti v Voje. Zato sem raje nadaljeval po Triglavski magistrali do planine Tosc. Tu pa sem zavil navzdol na pot proti planini Uskovnici. Ni mi bilo žal te izbire. Ta pot je res super za tek. Na nekaterih mestih je sicer močno poškodovana od snežnih plazov. Sicer pa pa ponuja en sam tekaški užitek. Z Uskovnice sem potem imel le še kratek sestop do Hudičevega mosta in izhodišča. Garmin mi je nameril 35,4 km in 2505 m vzponov. Po razdalji je torej to zelo podobno, kot bo na Monte Rosi, manjka pa 1000 višincev.
Uskovnica
Pot proti Uskovnici
Triglavska magistrala
Današnja tura
Triglav je v luknji
GPS sled: https://www.dropbox.com/s/zp34bf0do7hj4du/activity_2766263196.gpx?dl=0
Arhiv:
Tek na Triglav, september 2017
Tek na Triglav, junij 2017
Tek na Triglav, 2016
1. TNT (Tek na Triglav) (2015)
24-urni izziv Krma-Triglav-Krma
Tek na Triglav, 2013
Tek na Triglav, 2012
Tek na Triglav z Vrat, 2010
Tek na Triglav po Dolini sedmerih Triglavskih jezer, 2010
Tek na Triglav s Krme, 2009
Tek na Triglav s Stare Fužine Že čez 14 dni me čaka moj naslednji večji projekt: tek na Monte Roso. Tekma bo dolga 37 km s kar 3500 višinci vzpona in najvišjo točko na nadmorski višini 4554 m.
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