#melanconici
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" L'autunno incipiente velava il cielo d'infinita dolcezza; l'orizzonte si copriva d'un vapore latteo e roseo, che pareva velasse ma lasciasse intravedere un mondo di sogni ineffabili. Nei crepuscoli verdognoli, rischiarati da nuvole rosse che serpeggiavano, svanivano e ricomparivano continuamente sul cielo glauco, Anania sentiva negli orti il crepitìo e l'odore delle erbe secche bruciate dagli agricoltori, e gli sembrava che qualche cosa dell'anima sua svanisse col fumo di quei fuochi melanconici. Addio, addio, orti guardanti la valle; addio scroscio lontano del torrente che annunzia il tornar dell'inverno; addio canto del cuculo che annunzia il tornar della primavera; addio grigio e selvaggio Orthobene dagli elci disegnati sulle nuvole come capelli ribelli d'un gigante dormente; addio rosee e cerule montagne lontane; addio focolare tranquillo e ospitale, cameretta odorosa di miele, di frutta e di sogni! Addio umili creature inconscie della propria sventura, vecchio zio Pera vizioso, Efes e Nanna disgraziati, Rebecca infelice, Maestro Pane stravagante, pazzi, mendicanti, delinquenti, fanciulle belle e inconsapevoli, bambini votati al dolore, gente tutta infelice o spregevole che Anania non ama ma sente attaccata alla sua esistenza come il musco alla pietra, gente tutta che egli abbandona con gioia e con dolore! E addio dolcezza e luce sopra tanti oscuri dolori, arcobaleno incurvato come cornice di perle sul quadro screpolato di una miseria antica ed eterna - Margherita, addio! "
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Grazia Deledda, Cenere.
Nota: Cenere fu inizialmente pubblicato a puntate sulla rivista culturale Nuova Antologia nell’anno 1903; il favorevole accoglimento del pubblico portò l’anno seguente alla stampa in volume per le edizioni dello stesso periodico.
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The Cure. Show, 1993
20 anni. Nella mia cameretta a sognare amori melanconici con nelle vene un metafisico bisogno di thaumàzein, anche se allora non sapevo ancora che si dicesse così. Io nella mia innocenza di ventenne pensavo che questa musica non dovesse finire mai, e che addirittura poi ne sarebbe venuta anche di migliore, e invece, e invece avevo sottovalutato la potenza della dialettica heideggeriana che diversamente da quella hegeliana, ottimista per natura, dice che siamo così fottuti che a questo punto della storia solo un dio ci può salvare (ma niente paura, nulla è perduto: io non sono heideggeriano, sono neoparmenideo)
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[ Le cose non stanno che a ricordare. Il mondo è abitato dalle nostre memorie.]
I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo,
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire
che m’appartieni
e qualchecosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapito!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l’amore
brucia la vita e fa volare il tempo.
Vincenzo Cardarelli, "Passato"
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Berenice
- Edgar Allan Poe -
La sventura ha molti aspetti; la miseria sulla terra è multiforme. Domina il vasto orizzonte come l’arcobaleno e i suoi colori sono altrettanto variati, altrettanto distinti eppure strettamente fusi. Domina il vasto orizzonte come l’arcobaleno. In che modo ho potuto trarre un carattere di bruttezza da un esempio di bellezza? Dal sogno dell’amicizia e della pace una similitudine di dolore? Ma come, in morale, il male è la conseguenza del bene, ugualmente, nella realtà dalla gioia nasce l’affanno; sia che il ricordo del passato felice crei 1’angoscia dell’oggi, sia che le agonie reali traggano la loro origine dalle estasi che sono state possibili.
Io ho da raccontare una storia la cui essenza è piena di orrore. La sopprimerei volentieri se non fosse piuttosto una cronaca di sentimenti che di fatti.
Il mio nome di battesimo è Egeo, il mio nome di famiglia non lo dirò. Nella regione non c’è castello più carico di gloria e d’anni che il mio vecchio e melanconico maniero avito. Da molto tempo la nostra famiglia aveva nome di una razza di visionari; il fatto è che in molte particolarità notevoli- nel carattere della nostra casa padronale- negli affreschi della gran sala- negli arazzi delle camere- nei fregi dei colonnini della sala d’armi- ma più specialmente nella galleria dei vecchi quadri, nell’aspetto della biblioteca e finalmente nella natura peculiare del contenuto di questa biblioteca- si può trovare di che giustificare ampiamente questa persuasione.
I ricordi dei miei primi anni sono legati unicamente a quella sala e a quei volumi dei quali non parlerò più. Quivi morì mia madre; quivi nacqui io. Ma sarebbe ozioso dire che non ho mai vissuto prima d’allora- che l’anima non ha un’esistenza anteriore. Lo negate?- non discutiamo su questa materia. Io son convinto ma non cerco di convincere altri. C’è, del resto, una rimembranza, di forme eteree, di occhi spirituali e parlanti, di suoni melodiosi e melanconici, una rimembranza che non vuole andarsene; una specie di memoria pari a una ombra,- vaga, trasmutabile, indeterminata, vacillante; e di questa ombra essenziale non potrò mai disfarmene, finché brillerà il sole della mia ragione.
Io nacqui in quella stanza là. Emergendo così di mezzo alla lunga notte che sembrava essere ma non era la, non esistenza, per cadere ad un tratto in una regione fantasmagorica, in un palazzo fantastico- negli strani domini del pensiero e dell’erudizione monastica- non è meraviglia che io guardassi intorno a me con occhio ardente e sbigottito- che abbia consumato l’infanzia fra i libri e prodigato la mia gioventù in fantasticherie; ma quel che è strano- quando gli anni passarono e il meriggio della mia virilità mi trovò vivo ancora nella dimora dei miei antenati- quel che è strano è quel ristagno che si produsse nelle sorgenti della mia vita, quella completa inversione che si produsse nelle qualità dei miei pensieri più abituali. Le realtà del mondo agivano su me come delle visioni e solo come visioni, mentre che 1’idee folli del mondo dei sogni divenivano, in compenso, non solo il pascolo della mia esistenza quotidiana, ma effettivamente la mia stessa unica, la mia intera esistenza.
Berenice ed io eravamo cugini e crescevamo insieme nella casa paterna. Ma crescemmo disugualmente: io malaticcio e sepolto nella mia melanconia, essa agile, graziosa, esuberante di energia; a lei il vagabondare per le colline- a me gli studi da monaco io vivevo nel mio cuore stesso e mi votavo, anima e corpo, alla più intensa, alla, più ingrata meditazione- essa errava traverso alla vita, noncurante, senza pensare alle ombre del suo cammino né nella fuga silenziosa delle ore alla nere piume Berenice!- io invoco il suo nome – e dalle grigie rovine della mia memoria su levano a questo nome mille ricordi tumultuosi. Ah, La sua immagine è là, vive dinanzi a me come nei giorni primi della sua spensieratezza e della sua gioia! Oh, magnifica e insieme fantasiosa bellezza! Oh silfide nei boschetti di Arnheim! Oh naiade di quelle fontane! Poi- poi tutto diviene mistero e terrore storia che non vuole esser raccontata. Un male- un male tragico piombo sul suo corpo come il simoun; anzi mentre la contemplavo, lo spirito trasformatore passava su di lei e la rubava a poco a poco, impossessandosi della sua mente delle sue abitudini, del suo carattere, perturbando perfino la sua fisionomia in modo sottilissimo e terribile. Ahimé! il distruttore veniva e se ne andava; ma la vittima- la vera Berenice- che è diventata? Quella lì non la conoscevo o almeno non la riconoscevo più quale la Berenice di un tempo. Nel corteo numeroso di malattie apportate da quel fatale e principale attacco che produsse una rivoluzione così orribile nell’essere fisico e morale di mia cugina, la più tormentosa e la più ostinata era una specie di epilessia che spesso finiva in catalessi- catalessi che rassomigliavano in tutto alla morte, da cui essa, certe volte, si risvegliava in un modo brusco e improvviso. Nel tempo stesso il mio male- perché mi hanno detto che non potevo denominarlo altrimenti- il mio male aumentava rapidamente i sintomi erano aggravati dall’uso dell’oppio; e finalmente prese il carattere di una monomania di nuovo genere e mai vista. Ogni ora, ogni minuto, guadagnava in energia e alla fine conquistò su me il più strano e il più incomprensibile potere. Questa monomania se devo servirmi di questo vocabolo consisteva in una morbosa irritabilità delle facoltà dello spirito che il linguaggio filosofico comprende sotto il nome di “facoltà di attenzione”. È più che probabile che non sia capito; ma in verità, temo di non poter dare in nessun modo alla più gran parte dei lettori un’idea esatta di questa intensità d’interesse per la quale, nel caso mio la facoltà meditativa- eviterò il linguaggio tecnico – si applicava e si sprofondava nella contemplazione delle cose le più banali di questo mondo.
Riflettere infaticabilmente per ore ed ore, inchiodando l’attenzione su qualche puerile citazione in margine o nel testo di un libro- restare assorto per quasi tutta una giornata d’estate per un’ombra bizzarra che si allungava obliquamente sugli arazzi o sul pavimento- dimenticare tutto per una intera notte nel sorvegliare la fiammella diritta di un lume o la brace del caminetto- sognare giorni interi sul profumo di un fiore- ripetere in una maniera monotona qualche parola volgare fino a che il suono a forza d’esser ripetuto, non rappresenti più allo spirito nessuna idea- perdere ogni coscienza di movimento e di esistenza fisica in un assoluto riposo prolungato ostinatamente- queste erano alcune delle più comuni e perniciose aberrazioni delle mie facoltà mentali, aberrazioni che certamente non restano del tutto senza esempi, ma che certamente sfidano ogni spiegazione e ogni analisi. Anzi mi spiego meglio. L’anormale, intensa, morbosa attenzione eccitata così da oggetti in se stessi frivoli, non e di natura tale da confondersi con quella inclinazione al fantasticare che è comune a tutta umanità, a cui si abbandonano sopratutto le persone di ardente immaginazione.
Non solamente non era, come si potrebbe supporre a prima vista, un termine remoto, un’esagerazione di quell’inclinazione, ma anzi n’era differente per origine e per qualità. Nell’un caso il sognatore, l’uomo immaginativo occupato da un oggetto generalmente non frivolo, perde a poco a poco di vista il suo oggetto attraverso un’ infinità di deduzioni e suggestioni che ne scaturiscono fuori, cosicché in fondo ad una di queste meditazioni spesso piene di voluttà si accorge che l’incitamentum o causa prima delle sue riflessioni è completamente svanito e dimenticato. Nel caso mio invece il punto di partenza era sempre banale sebbene assumesse un’ importanza immaginaria e di rifrazione, traversando il campo della mia visione malata. Io facevo poche deduzioni- se pure ne facevo, e nel caso, esse tornavano ostinatamente all’oggetto principale come a un centro. Le meditazioni non erano mai piacevoli; e alla fine del sogno la causa prima lungi dall’essere fuori questione aveva raggiunto quell’importanza straordinariamente esagerata che era il tratto dominante del mio male. In poche parole la facoltà dello spirito in modo speciale acuita in me era, come dissi la facoltà, dell’attenzione, mentre che nel sognatore comune quella della meditazione.
In quel tempo i libri se non mi servivano proprio a irritare il male, partecipavano ampiamente come si può capire, nel loro carattere imaginativo e irrazionale, delle qualità peculiari del male stesso. Mi ricordo bene, fra gli altri del trattato del nobile italiano Celio Secondo Curione, Della grandezza del felice regno di Dio; la grande opera di S. Agostino, La Città di Dio e Della carne del Cristo di Tertulliano, il cui inintelligibile detto: credibile est quia ineptum est; sepultus resurrexit, certum quia est quia impossibile est– assorbì esclusivamente tutto il mio tempo, per più settimane di una laboriosa e infruttuosa investigazione.
Senza dubbio più d’uno concluderà che la mia ragione, scossa nel suo equilibrio da certe cose insignificanti, offriva una certa somiglianza con quella rocca marina di cui parla Tolomeo Efestio che resisteva immutabilmente a tutti gli attacchi degli uomini e al furore più terribile delle acque e dei venti e che fremeva al tocco del fiore chiamato asfodelo. A un giudice superficiale parrà semplicissimo e fuor di dubbio che la terribile alterazione prodotta della condizione morale di Berenice dalla sua malattia dovesse fornirmi più di una occasione ad esercitare questa intensa e anormale meditazione di cui a grave fatica ho potuto definirvi la qualità. Ebbene le cose non stavano punto in questo modo. Nei lucidi intervalli della mia infermità, la sua sventura mi cagionava è vero molto dolore; quella rovina totale della sua bella e dolce esistenza mi pungeva acutamente il cuore; io riflettevo spesso e amaramente sul modo misterioso e strano nel quale aveva potuto prodursi una sì rapida trasformazione. Ma queste riflessioni non avevano il colore proprio al mio male ed erano uguali a quelle che in circostanze analoghe si sarebbero presentate alla massa comune degli uomini. Quanto alla mia malattia, fedele al suo carattere, si faceva un pascolo dei cambiamenti meno importanti ma più visibili, che si manifestavano nell’organismo fisico di Berenice- nella strana e spaventevole distorsione del suo aspetto. È certissimo che nei giorni più luminosi della sua incomparabile bellezza io non l’avevo amata. Nella strana anomalia della mia esistenza, i sentimenti non mi sono mai venuti dal cuore e le mie passioni mi son sempre venute dallo spirito. Traverso alla pallidezza del crepuscolo- a mezzogiorno fra le ombre intrecciate della foresta- e la notte nel silenzio della mia biblioteca- essa mi era passata oltre gli occhi e io 1’avevo vista, non come la Berenice vivente e respirante, ma come la Berenice di un sogno, non come un essere della terra, un essere carnale, ma come l’astrazione di un tal essere; non come una cosa da ammirare, ma da analizzare non come oggetto di amore, ma come il tema di una meditazione tanto astrusa quanto anormale. E ora, ora tremavo al suo cospetto, impallidivo al suo avvicinarsi; intanto sebbene lamentassi amaramente la sua triste condizione di deperimento, mi ricordai che essa mi aveva amato lungamente e, in un momento infelice, le parlai di matrimonio. Il tempo fissato per le nostre nozze si avicinava quando un pomeriggio d’inverno- una di quelle giornate nebbiose che preparano la febbre al cuore- mi sedei credendomi solo nella stanza della biblioteca. Ma, alzando gli occhi, vidi Berenice dinanzi a me.
Fu la mia immaginazione sovreccitata, o l’influsso dell’atmosfera brumosa o la veste oscura, che avvolgeva la sua persona, che le diede quel contorno così tremante e indeciso? Non potrei dirlo. Forse dopo la sua malattia era cresciuta. Essa non disse una parola; e io non avrei pronunziato una sillaba per nulla al mondo. Un brivido gelato mi corse il corpo; una sensazione di angoscia insopportabile mi opprimeva; una curiosità divorante s’introdusse nel mio animo; e appoggiandomi riverso sulla poltrona rimasi un po’ di tempo senza moto e senza respiro cogli occhi inchiodati sulla sua persona. Ahimé era estremamente smagrita; dell’essere di una volta non era sopravvissuto vestigio né era rimasto neppure un lineamento. Finalmente i miei sguardi caddero sulla sua faccia. La fronte era alta, pallidissima e supremamente serena; i capelli, una volta di un nero corvino la coprivano in parte e ombravano le tempie incavate colle fitte anella, ora di un biondo caldissimo; e quel tono capriccioso di colore stonava dolorosamente colla malinconia dominante sulla sua fisionomia. Gli occhi erano senza vita e senza splendore, come senza pupille, e involontariamente io distornai lo sguardo da quella vitrea fissità, per contemplare le labbra affinate e aggrinzite. Esse si aprirono e in un sorriso stranamente espressivo i denti della nuova Berenice si rivelarono lentamente alla mia vista. Non li avessi mai guardati o fossi io morto subito dopo averli guardati.
Una porta chiudendosi mi scosse e, alzando gli occhi, vidi che mia cugina era uscita dalla camera. Ma nella camera sconvolta del mio cervello lo spettro bianco o terribile dei suoi denti restava e voleva andarsene più. Non una scalfittura, sulla superficie di quei denti, non un’ombra sul loro smalto, non una punta sul quel sorriso passeggero non fosse bastato a imprimere nella mia memoria. Anzi li vidi allora più nettamente che non poco prima. Quei denti! quei denti!- Essi erano qui- poi là, per tutto- visibili palpabili, dinanzi a me; lunghi stretti e bianchissimi, colle labbra pallide che si torcevano intorno, orribilmente tese, com’erano poco prima. Allora sopraggiunse la furia piena della mia monomania ed invano lottai contro la sua irresistibile influenza. Nella massa infinita degli oggetti del mondo esteriore, non avevo pensiero che per i denti. Tutte le altre cose, tutte le alterazioni diverse furono assorbite in quella unica contemplazione. Essi, essi soli, eran presenti all’occhio del mio spirito e la loro esclusiva individualità divenne il fulcro della mia vita intellettuale. Io li guardavo sotto tutte le luci; li volgevo in tutti i sensi; studiavo le loro qualità; osservavo i loro segni particolari; meditavo sulla loro conformazione. Riflettevo sull’alterazione della loro natura. Rabbrividivo attribuendo loro nella mia immaginazione una facoltà, di sensazione e di sentimento e anche, senza neppure il concorso delle labbra, una potenza d’espressione morale. Fu detto eccellentemente della signorina Sallé che tutti i suoi passi erano dei sentimenti e di Berenice io pensavo seriamente che tutti i denti erano delle idee.- Delle idee!- ah! ecco il pensiero assurdo che mi ha perduto!! Delle idee! ah! ecco dunque perché li desideravo così pazzamente! Sentivo che solo il loro possesso poteva restituirmi la pace e ripristinare la mia ragione. E la sera così discese su di me- e le tenebre vennero, si fissarono e poi se ne andarono- e una luce nuova comparve e le nebbie di una seconda notte si agglomerarono su di me- ed io ero sempre immobile in quella camera solitaria, sempre seduto, sempre sepolto nella mia meditazione, o sempre il fantasma dei denti manteneva la sua influenza terribile a tal punto che io la vedevo fluttuare qua e là e traverso la luce e le ombre cangianti della camera, colla più viva e la più orrida limpidezza. Finalmente in mezzo ai miei sogni scoppiò un gran grido di dolore e di spavento al quale successe dopo una pausa, con suono di voci desolate, intramezzato da gemiti sordi di dolore e di lutto. Io mi alzai e aprendo una delle porte della biblioteca trovai nell’anticamera un servo piangente che mi disse che Berenice non viveva più! Era stata presa dall’epilessia nella mattinata; e ora, sul cader della notte, la fossa aspettava la futura abitatrice e tutti i preparativi del seppellimento erano terminati.
…
Il cuore grave di angoscia, oppresso da sbigottimento, mi diressi con una certa ripugnanza nella camera da letto della defunta. La camera era vasta e oscura e ad ogni passo inciampavo nei preparativi della sepoltura. Le cortine del letto, mi disse un domestico, erano chiuse intorno alla bara, e dentro a questa bara, aggiunse o, voce bassa, giaceva tutto quel che restava di Berenice. Chi fu dunque che mi domandò se volevo rivedere il corpo? – Io non vidi che nessuno muovesse le labbra; eppure la domanda era stata proprio fatta e l’eco dell’ultime sillabe strascicava ancora nella camera. Era impossibile opporsi e con un senso di oppressione mi trascinai accanto al letto. Sollevai adagio il cupo panno dello cortine, ma nel lasciarle ricadere discesero sulle mie spalle e separandomi dal mondo vivente mi chiusero nella più stretta comunione colla defunta. Tutta l’atmosfera della camera sapeva di morte; ma l’odore particolare della bara mi faceva male, e mi pareva che un odore deleterio esalasse già dal cadavere. Avrei dato l’oro del mondo per scappare, per fuggire il pernicioso influsso della morte per respirare ancora 1’aria pura dei cieli immortali. Ma non avevo più la forza di muovermi; i ginocchi mi vacillavano; avevo preso radice nel suolo, guardando fissamente il cadavere rigido, steso in tutta, la sua lunghezza nella bara aperta. Dio del cielo! è mai possibile? Il mio cervello delira? o il dito della defunta si è mosso sotto la tela bianca che lo chiude? Tremando di un terrore indescrivibile alzai gli occhi lentamente per vedere la faccia del cadavere. Avevano messo una benda intorno alle mascelle, ma non so come si era sciolta. Le labbra livide si torcevano in una specie di sorriso e traverso alla loro melanconica cornice i denti di Berenice bianchi, lucenti terribili mi guardavano ancora con una realtà troppo viva. Io mi scostai convulsamente dal letto e senza dir parola mi slanciai come un maniaco fuor di quella camera di misteri, di orrore e di morte.
…
Mi ritrovai nella biblioteca, ero e solo. Mi sembrava di uscire da un sogno confuso ed agitato. Vidi che era mezzanotte ed io avevo preso le mie precauzioni perché Berenice fosse sepolta subito dopo il tramonto. Ma di quel che accadde durante quel lugubre intervallo non ho conservato memoria certa né chiara. Pure la mia mente era ingombra di orrore, tanto più orribile quanto più vago, di un terrore che l’ambiguità rendeva più spaventoso. Era come una pagina paurosa nel registro della mia esistenza scritto interamente con ricordi oscuri, orrendi e inintelligibili. Mi sforzai di decifrarli, ma invano. Pure di tanto in tanto simile all’anima di un suono fuggevole, un grido sottile e penetrante- come voce di donna- mi sembrava che si ripercuotesse nelle mie orecchie. Io avevo fatto qualche cosa, ma che cos’era mai? Io mi rivolgevo la domanda ad alta voce e gli echi della camera mi bisbigliavano per tutta risposta: Che era mai?
Sulla tavola accanto a me ardeva una lampada e accanto c’era una piccola scatola di ebano. Non era una scatola di stile notevole e 1’avevo già vista più volte perché apparteneva al medico di famiglia; ma come mai era venuta lì, sulla tavola, e perché mi venivano i brividi a guardarla? Eran cose che non valeva la pena di attrarre l’attenzione; ma gli occhi mi caddero alla fine sulle pagine aperte di un libro e su una frase sottolineata. Erano le parole bizzarre, ma molto semplici del poeta Ebn Zaiat: Mi andavan dicendo i compagni miei che se avessi visitato il sepolcro dell’amica i miei affanni sarebbero alquanto allievati.
Perché mai dunque a leggere quelle linee mi si rizzarono i capelli sulla testa e il sangue mi si ghiacciò nelle vene? Un colpo fu battuto alla porta, e un servo, pallido come un cadavere, entrò sulla punta dei piedi. Aveva gli occhi sconvolti dallo spavento, e mi parlo con voce bassissima, tremante, soffocata. Che mi disse? Io sentii qualche frase qua e là. Mi raccontò, sembra, che un grido spaventoso aveva turbato il silenzio della notte, che tutti i domestici si eran riuniti, e che avevan cercato nella direzione del suono, poi la sua voce bassa divenne chiara in modo da darmi i fremiti parlandomi di violazione di sepoltura, d’un corpo sfigurato, spogliato del lenzuolo, ma che ancora respirava e palpitava, che viveva ancora.
Mi guardò i vestiti; erano imbrattati di fango e di sangue aggrumato. Senza far parola mi prese dolcemente per mano; la mia mano aveva delle impronte di unghie umane. Poi richiamò la mia attezione sopra un oggetto appoggiato al muro, 1o guardai qualche minuto. era una vanga. Mi gettai con un grido sulla tavola ed afferrai la scatola di ebano, ma non ebbi la forza di aprirla e nel tremito mi sfuggì di mano, cadde pesantemente e andò in pezzi; ne uscirono rotolando con fragore di terraglia degli strumenti da dentista e con essi trentadue piccole cose bianche, simili ad avorio, che si sparpagliarono qua e là sul pavimento
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Che poi dice… dice che tutto passa, che tutto sarà come prima, che non bisogna essere melanconici (che poi chi usa questa parola? “Oggi ti vedo un po’ malinconico”, ma vattinn’, “Oggi ti vedo una chiavica”, ecco, diretto ed efficace). E comunque niente sarà come prima, forse solo quel velo di tristezza che ti accompagna da troppo tempo.
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[Sotto il segno di Saturno][Susan Sontag]
Sotto il segno di Saturno raccoglie alcuni tra i più brillanti saggi pubblicati da Susan Sontag negli anni Settanta.
Sotto il segno di Saturno raccoglie alcuni tra i più brillanti saggi pubblicati da Susan Sontag negli anni Settanta. In quest’affascinante galleria critica di grandi melanconici della letteratura e dell’arte, Sontag delinea con acutezza i tratti febbrili e le apatie, le provocazioni e le risacche, le tenaci ossessioni e i piaceri stravaganti che innervano le opere di alcuni autori chiave della…
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#2023#Antonin Artaud#Elias Canetti#Hans-Jürgen Syberberg#Leni Riefenstahl#LGBT#LGBTQ#nonfiction#Nottetempo#Paolo Dilonardo#Paul Goodman#Roland Barthes#Saggi#Saggistica#Sotto il segno di Saturno#Susan Sontag#Under the Sign of Saturn#USA#Walter Benjamin
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这美好的夜晚多寂静伴奏--陈思曼 Tacea la notte placida
https://www.99banzou.com/product/1292882.htmlTacea la notte placida E bella in ciel sereno La luna il viso argenteo Mostrava lieto e pieno… Quando suonar per l’ aere Infino allor sì muto Dolci s’ udiro e flebili Gli accordi di un liuto E versi melanconici Un Trovator cantò Versi di prece ed umile Qual d’ uom che prega Iddio In quella ripeteasi Un nome…il nome mio! Corsi al veron…
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Oroscopo di Chirya: dal 26 Dicembre 2022 al 1 Gennaio 2023
Oroscopo di Chirya: Cari, eccoci alle previsioni per la settimana prossima da Lunedì 26 Dicembre 2022 al 1 Gennaio 2023, nuovo anno che inizierà con la luna nel Toro, in aspetto positivo a Urano, mercurio e venere, e poi anche a Plutone. La settimana non risente comunque del grosso impatto sociale, scorre tranquilla, in attesa dei cambiamenti che si produrranno solo alla fine di febbraio. Le stelle, che illuminano ma non determinano, ci parlano di una scelta sociale verso i valori certi, di una solida liquidità, la ricerca di beni durevoli, poco inclini ai capricci della moda. Ciò che ci accade intorno, fa riflettere sempre di più, e nella settimana, nonostante le feste, molti chiederanno più rigore, forze sociali comprese. Oroscopo di Chirya: dal 26 Dicembre 2022 al 1 Gennaio 2023 Ariete Oroscopo di Chirya: Cari Ariete, Giove nel vostro segno significa ottimismo e fortuna, in particolare se siete alle prese con scadenze inderogabili, e nel lavoro farete realmente la differenza. L’amore vi chiede tranquillità e stabilità, cosa che otterrete grazie all'influsso della Luna. Non date retta a Venere e a Mercurio, che porteranno qualche tensione in più sul lavoro e in famiglia. Super positive giovedì e venerdì, la Luna splenderà nel segno, regalandovi consensi e fascino. Toro Cari Toro, sabato e domenica di Capodanno, la Luna sarà nel tuo segno, avrai anche il favore di Venere e quello di Mercurio, positivo per i sentimenti e le relazioni. L’unica giornata un po’ tesa della settimana sarà quella di lunedì, con una luna in posizione sfavorevole. fortuna ottima e romanticismo davvero sorprendente. Venere, inoltre, potrebbe favorire un fine settimana decisamente romantico, Auguri. Gemelli Oroscopo: Cari Gemelli, Marte e Giove vi sorridono, qualche tensione dobbiamo tenercela, magari in famiglia, non rivanghiamo cose vecchie, causate da una gelosia. Alla fine della settimana tutto migliora, ricevere e donare regali, oltre a qualche bella sorpresa emozionante, vi metteranno di buon umore, grazie al favore della Luna. Saturno ancora vi protegge e quindi festeggiate, siate carichi di empatia, come solo voi sapete essere. Auguri. Cancro Cari Cancro, giovedì e venerdì, avrai una luna nervosa, non peggiorare la situazione, con i tuoi melanconici atteggiamenti, punta su sabato e domenica, trascorrerai queste festività con amici e familiari, godendoti le feste. In amore c’è voglia di impegno, con una persona, e il fine settimana sarà dolce e romantico, ma domenica potreste ritroverete il buonumore. Auguri Leone Oroscopo di Chirya, Cari Leone, c’è Giove che vi porta fortuna nei successi professionali. Una bella Luna, giovedì e venerdì, positiva, risolverà le questioni più private. Sul lavoro la parola giusta per gli affari è: iniziativa. Qualche piccola incomprensione con la famiglia, ci sta, e potreste avere un attimo di inquietudine, superate. Anche perché quello da cui dovete veramente guardarvi sono le spese pazze, pensateci più volte se quello che state acquistando vi è veramente necessario. Auguri. Vergine Cari Vergine, la Luna in opposizione sia martedì che mercoledì, alzerà i livelli di stress, con la complicità di Marte. Godetevi le feste con amici e parenti, la vostra proverbiale dinamicità e creatività potrebbero aiutarvi a passare serenamente questa settimana. Anche chi vi circonda e chi vi vuole bene saprà rendere queste feste magiche e particolari per voi, sia Urano, che i pianeti veloci, sia il Sole e la Luna vi proteggono dal segno amico del Capricorno, non temete il futuro, Auguri Bilancia Oroscopo di Chirya: Cari Bilancia, questa fine d’anno sarà migliore dello scorso anno, Giove non è ancora in piena opposizione, i pianeti Venere e Mercurio, invece portano tensioni sia sul lavoro che in famiglia. Come se non bastasse, tra giovedì e venerdì avrai anche la luna in opposizione, chi vi aiuta è Saturno, che col suo rigore vi fa gli ultimi regali, rendendovi razionali e determinati nel trarre il meglio da ogni cosa, Auguri Scorpione Oroscopo di Chirya, Cari Scorpione, contare sul favore de Venere e Mercurio, non è cosa da poco, avrete una bella inventiva. L'amore con Venere vi regalerà delle occasioni splendide con la persona amata, Tensioni nella giornata di domenica, lasciate stare i vecchi rancori, buttateli con il vecchio anno. Le giornate fortunate saranno martedì e mercoledì, in pronte a regalarvi belle emozioni, Auguri Sagittario Cari Sagittario, settimana di tregua che vi permetterà di ritrovare tempo e stare con le persone che ami, fortunati giovedì e venerdì, e l'umore sarà dalle stelle, potreste avere delle sorprese che vi emozioneranno. In amore l'altro, vi farà sentire tutto il suo amore, e Giove in trigono vi porta fortuna e finanze. La famiglia è il perno su cui contare per superare nostalgie, Auguri. Capricorno Oroscopo di Chirya: Cari Capricorno, il 2023 con Venere e Mercurio nel segno, ti garantiranno l’amore, Giove non ancora sfavorevole, e ti porterà, un po’ di stanchezza e qualche ostacolo in più. Una bellissima congiunzione di Venere e Mercurio, vi regala una dote comunicativa mista a sentimenti positivi, senza precedenti. Anche se la stanchezza si fa sentire nel fine settimana, non mancheranno i risvolti positivi. Auguri. Acquario Oroscopo di Chirya: Cari Acquario, lunedì, una bella luna nel tuo segno, ti porterà fortuna. Marte e Giove favorevoli, non ti faranno mancare le buone notizie. Il buonumore della prima metà della settimana vi porterà un’atmosfera serena, e vi darà quella carica che vi renderà disponibili per organizzare qualcosa di unico per il fine settimana. Attenzione alla malinconia, che vi prenderà alla sprovvista nel corso della domenica. Auguri. Pesci Cari Pesci, Venere e Mercurio, pronti a sostenervi sul fronte lavoro e in amore, vi regalano anche martedì e mercoledì che saranno particolarmente fortunate, tante buone notizie sono in arrivo. Purtroppo, nonostante le feste, gli impegni potrebbero portarvi a risultati ottimi ma allontanarvi dalla famiglia, fine settimana denso di sentimenti e di romanticismo. Auguri. Seguiteci, saremo presto con voi per nuove previsioni con un nuovo oroscopo! Read the full article
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Ojalá el destino nos vuelva a juntar por que te extraño demasiado.
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a solidão sempre vai estar caminhando ao seu lado, voce achar mesmo que ela irá desaparecer depois de fazer amizades, depois de conquistar um namoro? se voce pensa assim, voce vai continuar enganado, voce vai estar criando um mundo de ilusões em sua vida, creio que não seja isso o que voce almeja ter. esse sentimento de estar sozinha nunca vai desaparecer, vamos ter que aprender a lidar com ela... então faça da solidão sua melhor amiga.
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Dicen que vivir de recuerdos no es bueno...
Pero en mi caso... es lo unico que me mantiene con vida
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@melanconici
Welcome to Spirale.
That’s what the man opening the taxi door had said.
I’ll take you to your residence.
The next thing he had stated when Bruno got into the car.
The ride wasn’t long but it gave him enough time to think about this unusual predicament. He remembered what happened before he woke up here but it didn’t explain this. As far as Bruno knew, he was very much dead. He left everything in the hands of Giorno, a blind gamble but he bought time for that kid. Closing his eyes and steadying his breathing, he found that the car had stopped.
Condo 419, Archimedes Ward. Enjoy your stay.
And so the once Capo of Passione got out of the taxi and stared at what he guessed would be his residence. Whatever that meant. He’ll find out soon enough, stepping up to the door labeled 419 and heading in. He didn’t think he’d expect to find a very unlikely but familiar face already on the inside. How long he’d been there, he didn’t know. Quite unaware he would be assigned room mates of all things but this one...
“Leone?”
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@melanconici
Summer is ending, he could feel it in the air, Perhaps a couple more weeks according to the calendar Spirale had. Though the air itself felt just a little bit cooler on his skin, it didn’t mean things were less hot and it didn’t help the plants that grew outside the condo he was assigned to. As long as his quick, dimwitted neighbor doesn’t come traipsing over the flower beds he tended to every morning, things will be fine. This is about as far to getting a hobby as Risotto is going to get while he remained stuck in limbo.
He really tried not to make it a habit of people watching those who just arrived but when someone with just as much as a strange goth aesthetic goes walking by, he could only stare. Now this one... This one looked familiar. Where exactly... Oh.
“Leone Abbacchio!” The hitman dropped the watering can unceremoniously on the grass as he abandoned his routine, his long stride and posture suggesting he was once again quite angry. “It is.”
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@melanconici
So this time he was housed in Cotes Ward. Pretty place, the foxes were neat though too bad for them because of his nature for chasing smaller things. More of a menace than an actual threat, Pembroke knew. He wouldn’t remember any of it. That’s fine, right now he needed the closest god damned bar since being dumped here.
Good news: the constant call was silenced.
Bad news: this place didn’t have nearly enough room for Karma to run off energy. Just close quarters city. That’s never a good idea.
But here he is, stumbling into a bar with the intent to...
“Two full bottles of whiskey. Don’t worry, that shit won’t make a dent in my sobriety,” Pembroke told the bartender, leaning against the counter with his most charming grin. The guy on the other side looked him over, shrugged and walked off to get him exactly that. For now? The unfortunate goth sitting to the right was his secondary focus.
“Hey sweetheart,” the Irishman stated, taking a seat. “Haven’t been in Cotes as often as I’d like. The shit good here?”
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Ojalá y alguien se preocupara de forma bonita por mi.
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@melanconici from [X]
Looked like the kind of guy who could use the company. At least one who could keep the evening pretty damn chill and even if this guy was a particular bastard in personality, John would just take it in stride. He always did. The wasteland had all sorts of bastards, it wouldn’t be anything new.
And then the comment. The ghoul could only smirk, leaning back on his heels briefly before he took a seat next to Abbacchio.
“Ain’t never seen a ghoul before, brother?” He inquired, resting his ruined chin on the palm of his ruined hand. “That’s alright, folks tend to startle at me around these parts. Simply how it is.
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