#malgrado tutto
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Tu pensi che uno come me in quanto tale
Malgrado tutto
(Ti trovo molto bella)
Che lo so sai di averci dei limiti
Se non li avessi sarei illimitato
Tu pensi che un giorno
Pensandomi
Un giorno
Potresti, pensandomi, dire tra te e te
“Beh, però si… si in effetti si…”
Cioè in altre parole
In parole povere
Che poi mica son tanto povere
Parole altre, si
Ma mica povere
Ricche anzi, direi
Insomma
Hai capito?
Non so se hai capito
Ma dovresti
A questo punto qui, dovresti aver capito
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Quindi dopo 107 pagine di tesi, abstract e cazzi e mazzi devo pure buttare giù un canovaccio per il discorso? Non sopporto più la vista di quel file, AAAAAHHHHHHHHHH, farò di tutto per farne a meno
#ma tanto alla fine dovrò cedere#per non parlare di quanto sono disabituata a esprimermi oralmente/agli esami in generale#Sono diventata mio malgrado tutto ciò che mai avrei voluto diventare
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C'era una volta la vacanza estiva che durava dai due ai tre mesi. Aveva un nome obsoleto ed in disuso, "la villeggiatura".
Tanti partivano addirittura ad inizio giugno od ai primi di luglio e tornavano a metà settembre. L' autostrada era una fila di Fiat 850, 600, 1100, 127, 500 e 128, Maggiolini e Prinz.
Non era guardato affatto chi aveva la Bmw la Mercedes o l'Audi, perché gli status symbol allora non esistevano.
Era tutto più semplice e più vero.
La vacanza durava talmente tanto che avevi la nostalgia di tornare a scuola e di rivedere gli amici del tuo quartiere, ed al ritorno non ricordavi quasi più dove abitavi.
La mattina in spiaggia la 50 lire per sentire le canzoni dell'estate nel juke box o per comprare coca cola e pallone.
Il venerdì chiudevano gli uffici e tutti i papà partivano e venivano per stare nel fine settimana con le famiglie.
Si mandavano le cartoline che arrivavano ad ottobre ma era un modo per augurare "Buone vacanze da..." ad amici e parenti.
Malgrado i 90 giorni ed oltre di ferie, l'Italia era la terza potenza mondiale, le persone erano piene di valori e il mare era pulito.
Si era felici, si giocava tutti insieme, eravamo tutti uguali e dove mangiavano in quattro mangiavano anche in cinque, sei o più.
Nessuno aveva da studiare per l'estate e l'unico problema di noi ragazzi era non bucare il pallone, non rompere la bicicletta e le ginocchia giocando a pallone altrimenti quando rientravi a casa ti prendevi pure il resto.
Il tempo era bello fino al 15 di Agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino perchè era più fresco.
Intanto arrivava settembre, tornava la normalità.
Si ritornava a scuola, la vita riprendeva, l'Italia cresceva e il primo tema a scuola era sempre.
"Parla delle tue vacanze". Oggi è tutto cambiato, diverso. La vacanza dura talmente poco che quando torni non sai manco se sei partito o te lo sei sognato.
E se non vai ai Caraibi a Sharm o ad Ibiza sei uno stronzo. O magari hai tante cose da fare che forse è meglio se non parti proprio, ti stressi di meno.
Una risposta certa è che allora eravamo tutti più semplici, meno viziati e tutti molto più felici, noi ragazzi e pure gli adulti. La società era migliore, esisteva l’amore, la famiglia, il rispetto e la solidarietà. Fortunati noi che abbiamo vissuto così.
La vita era quella vera insomma.
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"Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c'era tanta fame, come oggi purtroppo. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva: "dai, telefoniamo a Boniperti". Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito." Non è vero. Non è vero che il mondo è avaro di storie. È tutto il contrario. Le storie sono ovunque, bisogna solo avere il coraggio di cercarle nei meandri impolverati della bellezza. Non è vero che il tempo passa e le cose cambiano. L'unica cosa vera è che cambiano gli uomini, schiavi di ciò che calcio non è: il denaro." (Gigi Riva)
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Nodi che vengono al pettine: gli italiani non chiavano, almeno non per procreare.
Qualche decennio (stima ottimistica) continuando così e non ci saranno più soldi per pagare le pensioni (e non solo) che mano a mano diventeranno sempre più simili a elemosine di stato.
La pragmatica matrigna bugiarda e fascista finora ha fatto esattamente tutto l'opposto di quello che prometteva in campagna elettorale.
Ora dovrà spiegare anche questo al sodale padano che seppure distratto dalla costruzione del ponte sullo stretto e dal profumo delle friselle con pomodoro e origano (altri tempi quando baciava salumi e formaggi), non vuole saperne di ingressi di stranieri, sia pure per motivi utilitaristici.
Ma come si è visto, la destra fascista al potere fa di necessità virtù, pur di continuare a mantenere le poltrone, malgrado l'incapacità generale nel governo della nazione a rovescio.
Non è detto quindi che prima o poi vedremo l'incompetente padano (e porta💩 supremo) gridare: prima gli immigrati.
Tanto restano sempre i marziani da mettere in contrapposizione con i terrestri.
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
���Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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Storia Di Musica #331 - Antonello Venditti, Sotto Il Segno Dei Pesci, 1978
L’ultimo disco di questo scatolone incredibile che ho ritrovato in soffitta è uno dei dischi più famosi di sempre fatti in Italia. È un disco che segna un momento storico per il nostro Paese a cui indirettamente anche lui contribuisce, e uno più personale, che proietta l’autore a diventare una delle voci più famose, e incisive, della canzone italiana. È anche l’opportunità per raccontare di un cantautore che troppo spesso è stato bistrattato per il suo essere “commerciale” (definizione che per me ha valore di assoluta stupidità). Il disco di oggi esce l’8 Marzo 1978. 29 anni prima, era nato nello stesso giorno l’autore, Antonello Venditti. Proprio per questo, il titolo, profondamente autobiografico, è Sotto Il Segno Dei Pesci. Dico subito che nello scatolone ho la fortuna di avere una prima edizione originale: la stupenda copertina di Mario Convertino, designer celeberrimo di fortunatissime copertine di album e uno dei primi ad usare la grafica in TV (Mister Fantasy del 1981, di cui cura sigla e grafica, alle videosigle de La Domenica Sportiva nel 1986, e persino la grafica delle partite dei Mondiali di Italia '90) insieme ai due pesci colorati vi sono in rilievo i dodici segni dello Zodiaco. Venditti arriva a questo disco dopo un percorso artistico particolare. L’inizio, famosissimo, è al Folkstudio, il locale romano dove stringe amicizia con Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano e soprattutto Francesco De Gregori: a quel momento dedica una delle strofe più famose della canzone italiana, quattro ragazzi con la chitarra e il pianoforte sulla spalla, di Notte Prima Degli Esami. La It di Vincenzo Micocci gli dà l’opportunità di fare un disco insieme a De Gregori, e nasce così nel 1972 Theoruis Campus. Il disco segna però un distacco tra i due, su cui la stampa musicale ha ricamato cose assurde e per la maggior parte inventate (su tutte che Pianobar di De Gregori fosse indirizzata a lui). Segue quindi il percorso di un cantautorato febbrile e intenso, estroverso e popolare, incentrato sulla passione per la sua città, Roma (a cui dedicherà veri e propri inni, come Roma Capoccia, E Li Ponti So’ Soli da L’Orso Bruno del 1973, Campo De’ Fiori da Quando Verrà Natale del 1974, e sul raccontare storie forti e niente affatto scontate. Tra queste ultime, Mio Padre Ha Un Buco In Gola (Le Cose Della Vita, 1973) sugli attriti generazionali, Canzone Per Seveso (da Ullalà, 1977) per l’ecologia, e soprattutto una carrellata di canzoni dedicate a figure femminili che faranno epoca, come Lilly (dall’omonimo album del 1975), struggente, una delle prime canzoni italiane scritte sulla droga, Maria Maddalena (1977), sulla prostituzione.
Sotto Il Segno Dei Pesci uscirà una settimana prima del sequestro Moro. Ne diventerà suo malgrado una sorta di colonna sonora, in un disco cruciale che assomma, in una maniera decisiva la contestazione e il riflusso, le storie dell’amore intimo e l’impegno per le lotte sociali, le speranze pubbliche e le frustrazioni quotidiani. Ne è esempio il ritornello, che conosciamo tutti, della title track, dedicata alla storia di Marina e di Giovanni (due veri suoi amici) delle loro paure sul futuro, del cambiare città perchè “Tutto quel che voglio, pensavo\È solamente amore\Ed unità per noi\Che meritiamo un'altra vita\Più giusta e libera se vuoi\Corri, amore, corri, non aver paura”. È il disco con cui “ricompone” con De Gregori: gli dedica la scarna e delicata Francesco, (Possiamo ancora suoniamo ancora l'ultima volta\Senza rimpianti, senza paura\Come due amici antichi\E nient'altro di più di più di più) e soprattutto Bomba O Non Bomba, che parla di due ragazzi, Antonello e Francesco (De Gregori, naturalmente), e ripercorre il cammino dei due protagonisti, e gli incontri fatti, a Sasso Marconi, Roncobilaccio, Firenze e Orvieto (in ordine cronologico le uscite dell’Autostrada Del Sole, direzione Roma), per raggiungere il successo, rappresentato da Roma come meta finale. È anche un disco per le donne: Sara (“svegliati è primavera”) è una toccante storia di una ragazza incinta, amica della prima moglie Simona Izzo al Liceo Mamiami di Roma, di un ragazzo “mammome e anaffettivo” (Ma Sara, mi devo laureare, e forse un giorno ti sposerò\Magari in chiesa (…) tu non sei più sola, il tuo amore gli basterà\Il tuo bambino, se ci credi nascerà); Giulia è invece la prima canzone che parla apertamente di un amore lesbico all’interno di una coppia eterosessuale, il punto di vista del testo è dell’uomo che si trova a ragionare sull’allontanamento della sua amata, la canzone è un gioiello del disco, potente e struggente, È Giulia che ti tocca\È Giulia che ti porta\Via da me (…) Lei è solo troppo anche per te\Lei è solo un po' confusa\E ti prego non portarla\Via da me. C’è pure la canzone sociale di Chen Il Cinese, la deliziosa Il Telegiornale, che sembra scritta adesso “TG1, TG2, che confusione\Ma almeno rimane il pregio dell'informazione\E tra una smentita e l'altra e un sorriso ministeriale\Ci fa capire che le cose non vanno poi\Troppo male.
Il disco fu registrato a Roma nei Trafalgar Recording Studios e a Londra ai Marquee Studios; il tecnico del suono è Gaetano Ria, che si occupa anche del missaggio insieme a Tim Painter. Tra i musicisti sono da ricordare i componenti del gruppo degli Stradaperta, già collaboratori di Venditti in Lilly; anche Carlo Siliotto e Pablo Romero avevano già suonato con il cantautore (entrambi nell'album Quando verrà Natale), ed inoltre suona nell'album il tastierista dei Goblin, Claudio Simonetti. Durante le session dell'album venne registrata anche un'altra canzone, Italia, che però non venne inserita nel disco (solo nel 1982 sarà pubblicata in Sotto La Pioggia). Il disco venderà tantissimo: 700.000 copie quell’anno, Sotto Il Segno Dei Pesci\Sara singolo Numero Uno, riuscendo, come pochissimi, a intuire l’umore della piazza. Perché è un fatto che forse per la sua produzione quantitativamente molto elevata rispetto ad altri grandi cantautori, e spesso per alcune sue scelte facili, abbia sempre avuto critica feroce. Il problema della “musica commerciale” è la scusa di chi deve per forza contestare le scelte artistiche non per quelle che sono (un lavoro artistico ha tutto il diritto di essere considerato brutto). Venditti fu accusato di disimpegno negli anni ’80, su cui per anni la critica ha ironizzato sul suo intimismo da supermercato, seppure nonostante dischi non così belli come questo scriverà inni generazionali, ne elenco un paio: Ci Vorrebbe Un Amico e Notte Prima Degli Esami nel 1984 da Cuore, In Questo Mondi Di Ladri del 1988 che venderà più di un Milione di Copie, Alta Marea, cover di Don’t Dream It’s Over dei Crowded House del 1991. Ditemi se è poco.
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Perché non volete vedere?
Tutto scorre come se nulla fosse. Lasciate che il diavolo occupi ogni aspetto di ciò che viene propagandato a livello mass mediatico, e non ve ne frega niente. Continuate a seguire riti satanici, messe nere in mondovisione, magari anche apprezzando e battendo le mani. Tutto normale, tutto ok, perché siete degli zombie e in quanto tale non potete reagire a qualcosa che nemmeno comprendete. Vi risulta accettabile la perversione esibita come un valore, la blasfemia mostrata senza vergogna, l’annullamento del bene in favore del male. O di quella che viene spacciata come “libertà”. La libertà di doversi spaccare il cervello per almeno otto ore al giorno, perché il mondo si regge sullo sporco denaro, per poi tornare a casa e aver però la possibilità di vedere i demoni in televisione. Qualsiasi persona di buon senso rimasta ancora sulla faccia della Terra (e ne esistono ancora, grazie a Dio) ha capito che quanto trasmesso ieri sera in mondovisione, inerente alle “olimpiadi”, è stato uno dei peggiori “spettacoli” di sempre. Per noi non servono disegnini, spiegazioni, didascalie. È tutto sotto la luce degli occhi. E mi sembra perfino ovvio, superfluo, utilizzare trenta minuti del mio tempo per scrivere questo testo. Ma devo farlo per forza per un motivo molto semplice: per esprimere la mia totale e assoluta contrarietà a questo mondo occidentale, in cui non mi riconosco, e non mi riconoscerò mai. Non posso lasciare che si pensi, anche solo lontanamente, che io anche solo in qualche minima misura possa approvare l’orripilante sequenza di atrocità che ieri sera sono state mostrate a milioni di persone. Non esiste. E quindi malgrado la distanza che mi separa sempre più da questo posto, per ragioni molteplici, questo è un testo dovuto. Non accetterò nella mia vita persone che possano condonare certe ideologie, che possano essere morbidi nel giudicare ciò a cui bisogna, a tutti i costi, rinunciare. Gesù Cristo è l’unica via, l’unica voce, l’unica Verità. Non c’è letteralmente altro. Questo mondo vacuo, malato, perso e costantemente peccaminoso, lo lascio a voi. Accetterò anche la solitudine più rigida, qualora essa dovesse rendersi necessaria. Ma la mia fede, la mia morale, i miei valori in genere, non verranno mai e poi mai da voi intaccati. Questo se lo ficchi in testa anche la bellissima Alice, che il Signore ha scacciato da me perché non era credente. E ovviamente per questo eternamente lo ringrazierò. Era carne, carne che mi ha tentato più di quanto fino a quel momento mi fosse mai capitato. Ma a conti fatti, la realtà dimostra che non era nulla di più. Diversamente sarebbe rimasta, diversamente si sarebbe convertita. Invece ha scelto di continuare a stare male, lontano da me. Sì, oggi la mia rabbia esplode, perché sono stanco di vivere in un mondo così ripugnante. Ho bisogno di persone sane di mente, non deviate. Aurora, Alice, e chi prima di voi: non mi servite. Fate riferimento a un’entità che non vuole il vostro bene e che v’inghiottirà completamente.
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“ Mettiamo per ipotesi che volessimo ripercorrere la storia di un uomo terribile come Adolf Hitler. La raccontiamo dall’adolescenza alla presa del potere? Dalla presa del potere alla disfatta? Scegliamo solo un episodio significativo? Narriamo tutta la sua vicenda dagli inizi alla morte? Il problema più importante è decidere se il dittatore sarà il protagonista assoluto: sarà «visto» da un altro (o altri) oppure sarà raccontato oggettivamente? Nel primo caso verrà fuori un personaggio «filtrato» attraverso una precisa (e quindi parziale) esperienza; nel secondo egli risulterà così come realmente è stato, nella sua verità storica. Esaminiamo adesso questa seconda eventualità. Al di là della «autenticità» dei fatti che racconteremo, da un punto di vista strettamente narrativo siamo costretti a sciogliere un nodo molto difficile: riusciremo a rappresentare bene un personaggio così «negativo»? O meglio: riusciremo a renderlo in tutta la sua negatività? Nella nostra testa egli è la quintessenza della malvagità e del cinismo, ma poi, passando alla scrittura riusciremo a «restituirlo» così come lo immaginiamo? Sicuramente no, a meno di non renderlo «incredibile», falso, forzato. Non ci riusciremo perché nel momento in cui dobbiamo approfondire il personaggio - anche per cercare le ragioni più o meno oscure della sua violenza - finiamo fatalmente per trovargli una, seppur aberrante, giustificazione. E senza volerlo, faremo di Hitler un eroe, un sublime dannato, grande come un demone dell’apocalisse, una vittima di sé stesso, carismatico com’è carismatico il male.
Penso, ad esempio, al Riccardo III di Shakespeare, allo spietato duca di Gloucester, il quale riesce a salire sul trono d’Inghilterra dopo aver fatto assassinare mezza corte reale. La sete di potere acceca quest’uomo infelice (è nato storpio e claudicante) e quando alla fine il conte di Richmond giungerà a liberare il paese dall’usurpatore, questi, nel momento di morire, acquisterà la sua dimensione tragica ed eroica. Riccardo è un uomo reso cinico dalla natura, un «mostro» suo malgrado. La sua malvagità è in qualche modo legittimata dalla sua infelicità. Come potremmo noi, oggi, senza falsare smaccatamente la storia, trovare la spiegazione delle atrocità naziste nella contorta personalità di Hitler? Ogni tentativo di collegamento tra il carattere del dittatore e gli avvenimenti della storia è destinato al ridicolo.
Uno scrittore (di letteratura, di cinema, di teatro eccetera) non può fare a meno di andare nel fondo dei personaggi, di pescare nelle loro contraddizioni, nella loro essenza segreta. Là dentro si muovono forze creaturali capaci di rendere un uomo libero o schiavo di sé stesso. Ma in tutti e due i casi egli è innocente. Come può uno scrittore lavorare con un personaggio senza un briciolo di luce? Un Hitler tutto nero, insensatamente malvagio, rischia di diventare una caricatura, un burattino, la maschera del cattivo: niente di più schematico. Julien Sorel (protagonista di Il rosso e il nero), personaggio arrivista e assassino, è amato da Stendhal malgrado sia «negativo»: lo scrittore ne descrive con pietas il desiderio frustrato di adeguarsi alla morale della Restaurazione francese. Se volessimo dunque raccontare la malvagità di Hitler, sia come uomo sia come dittatore, senza «salvarlo» in qualche modo, saremmo costretti a farne un ritratto bugiardo. Quindi è meglio trovare un’altra strada, una maniera «trasversale» di raccontare il personaggio. Magari, come avevo accennato, cercando un altro protagonista e lasciare che sia lui a far da intermediario. “
Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Garzanti, 2002; pp. 28-30.
[1ª edizione: Einaudi, 1996]
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Mio malgrado ho dovuto declinare un invito di laurea perché avendo trovato ieri due scarafaggi in casa grossi quanto limoni e resistenti a qualsiasi mazzata di scopa, eliminati a fatica e col terrore soverchiante che mi piombassero in faccia, non ho esattamente voglia di servirmi degli ambienti e degli oggetti circostanti alla scena del delitto. Nella jella trasversale e senza fine che mi perseguita da due anni a questa parte trova posto anche una fortuna, perché abitando in una palazzina io e mia madre abbiamo potuto ripiegare sul piano superiore, nel quale ci siamo rifugiate seppur con tutti gli ulteriori stenti del caso (igiene personale non attuabile al primo posto). Con la solita, dannata ingenuità che mi contraddistingue ho quindi riportato in questi stessi termini detta situazione alla laureanda che ovviamente mi è sembrata infastidita, e non mi sorprenderebbe se avesse pensato che fosse una scusa (avrei forse dovuto allegarne le prove fotografiche). Ma non la posso biasimare fino in fondo, sia perché probabilmente teneva davvero a che io presenziassi – nonostante le lauree altrui, considerato che aspetto la mia da 11 anni, mi mettano voglia di sdraiarmi sui binari in attesa di una vettura che nemmeno passerebbe – sia perché quando inizi ad affastellare una sfiga sull’altra in un eterno racconto dal sapore kafkiano* allora la propria credibilità in termini generali inizia a degradare, anche quando si rema ostinatamente in direzione contraria. Ho perso molte pseudoamicizie a causa di questo, e forse dopotutto è meglio così. Le autoscremature sono a volte le più indolori. Eppure, delle innumerevoli giustificazioni addotte negli anni per la mia assenza, tutto è sempre stato squallidamente vero.
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Malgrado tutto conserviamo sempre un desiderio inconfessabile e inconfessato persino a noi stessi, di essere importanti per qualcuno, almeno una volta nella vita...
Come se l'attenzione di un'altra persona potesse dare un senso al vuoto che ci portiamo tutti dentro, in misura diversa...
Enrico
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Non sarò mai una donna perfetta, forse non ho fatto mai abbastanza per meritarlo ... forse non ero destinata ad una vita dove tutto quadra.
Non io ...
Io che ho fatto scelte che nessuna donna perfetta farebbe.
Io che ho stupidamente rinunciato a cose per cui avrei dovuto combattere con più coraggio.
Io che ho accettato sfide già perse in partenza, lasciando da parte la ragione e giocandomi tutto il coraggio di cui ero capace.
Io che ho sbattuto la mia testa dura contro muri di indifferenza e superficialità.
Eppure ....
malgrado tutte le difficoltà e gli errori non ho mai rinnegato i miei passi ... con le mie scelte, i sogni ed il mio pessimo carattere fatto di eccessi, manie e drammi.
Con il tempo un po' si cambia, per poter sopravvivere .... prima battevo i pugni, mi impuntavo, sbraitavo ... cercavo di capire e di farmi capire.
Ora non più.
Ora, mi allontano anche per i minimi dettagli, soprattutto se percepisco falsità o freddezza, se avverto aridità di cuore, se oltre una bella facciata mi accorgo che si nasconde il "nulla".
A volte, neanche provo più a spiegarmi ... perché ho imparato che la comprensione non è per tutti.
Non mi interessa più sapere cosa pensa di me la gente, specie se si tratta della stessa gente con cui non ho nemmeno un valore in comune.
Ho le mie idee, i miei pensieri felici, i rimorsi e alcune ferite che faranno fatica a guarire ed altre che non guariranno mai.
Ho sogni che nessuno saprà mai e tanti ricordi che, solo a pensarci, mi riempiono gli occhi di maliconia.
Una donna come me, non poteva essere destinata alla perfezione perché sono il frutto dei miei stessi sbagli, alcuni dei quali ho pagato ed ho rimediato come meglio potevo ed altri, i più importanti, sono quelli che, malgrado tutto, sono certa ... rifarei ancora.
By Paola H. - Le Verità Mancanti -
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Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo.
Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri ci “abitano”. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere.
Paul Auster
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Il Partito Unico di Chi Non Vuole Pagare Le Tasse è al governo, senza una opposizione decente.
Chi lo vota e lo voterà, e saranno in tanti, ma purtroppo anche quelli che il voto lo daranno ad altri o lo terranno in tasca, si preparino a dover pagare tutto, scuola e sanità in primis e a rinunciare alla pensione o se va bene, ad avere una pensione da fame.
Diventeremo una sorta di Stati Uniti (Dei Poveri) in cui chi non ha qualche soldo da parte (ma pure l'attuale classe media non se le passerà benissimo), diverrà ancora più povero, mentre i ricchi staranno sempre meglio.
E malgrado tutto ci sarà sempre un numero enorme di coglioni che pensano che se i ricchi diventano più ricchi, qualche briciola potrà arrivare fino a loro...
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“Ho sempre pensato che
ognuno di noi abbia bisogno
di qualcuno con cui parlare,
di qualcuno che può essere la tua mano quando cadi, e i tuoi occhi quando non riesci a vedere.
Di qualcuno che ti faccia ridere nel tuo momento peggiore, e che ti fa credere che, nel mondo, esistono esseri umani capaci di strapparti sospiri solo con un semplice sorriso.
Di qualcuno che, malgrado tutto, pensa che tu sia la sua miglior poesia, anche se sulla terra ti hanno dato un nome.”
— A. Ammendola
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Nella prima metà degli anni ‘60 due donne , giornaliste e scrittrici, si mettono in macchina e da nord a sud intervistano 1018 uomini. Di età e condizioni sociali diverse. Un viaggio sociologico e antropologico complicato che mirava a capire il punto di vista maschile su argomenti che riguardavano la sfera intima della coppia, la condizione della donna ed il sesso. Era impensabile per l’epoca che due donne parlassero così apertamente di tali argomenti.
La verità è che non se ne parla mai abbastanza…e tantissimi rimangono tabù. Quest epoca di iper-informazione ci sottopone ad un maxi bombardamento che non riesce tuttavia a nutrire nel modo giusto coscienze, cervelli e cuori.
Mio malgrado reputo alcune di quelle interviste attuali. La condizione della donna, il sesso, i diritti civili…questo paese sembra pronto a tutto e invece io lo trovo a tutto impreparato.
La gente non è attenta all altro. La gente non è più abituata a “sentire” l’altro. Mi fa paura un mondo così. Forse è per questo che coltivo la mia solitudine e in un modo che quasi atterrisce rifiuto gli altri.
Che mondo è quel mondo che mi costringe a farmi queste domande. (Non giudizi. Solo domande.)
(1) come e' possibile essere circondati da persone che dicono di volerti bene e che non si accorgono che sei incinta due volte?
(2) come e' possibile che mentre lavori con i bambini, studi per formare i ragazzi, studi anche per distruggere quelli che porti in grembo?
(3) come e' possibile che facendo l'amore non eviti, due volte, conseguenze che non vuoi?
(4) come e' possibile che affidi a internet la gestione della tua salute?
(5) come e' possibile che te ne vai in vacanza con le persone che non hai sentito di amare per considerarle alleate?
(6) come e' possibile che dopo avere seppellito in giardino quelli che hai considerato rifiuti organici pensavi di poterla fare franca?
(7) come e' possibile che una gravidanza ti crei vergogna, cosi come pure un aborto medico, preferendo diventare un animale primitivo che continua a navigare come se nulla fosse nella modernita' felice della famiglia del Mulino Bianco?
Solo domande. Nessun giudizio.
Domande come stilettate che non so schivare da giorni.
E questo libro…che pure poco ha a che fare con questa vicenda mi conduce su strade che non voglio percorrere perché non vi trovo nulla di buono.
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