#ma quando arriva 'sto fondo?
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Forse nella vita va così, ho riflettuto. Bisogna soffrire, arrivare fino in fondo, per trovare la forza di cambiare.
Eshkol Nevo - La simmetria dei desideri
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Spossatezza e senso di vuoto, ormai appuntamento costante.
Diamo per l'ennesima volta la colpa al preciclo, che perdura da ormai più di una settimana senza nessun cenno delle ovaie di far finire questa messinscena.
Diciamo vabbè ma non va bene per niente, perché è da tempo che non ci sto capendo più niente. Eppure qualche anno fa, tipo a Venezia, era diventato un orologio svizzero talmente preciso che stentavo a crederci. E infatti non è durato. Ma tanto è inutile pensarci perché pure a ragionare sui possibili motivi non si arriva mica a sapere la verità. E quindi amen.
Siamo ad Ottobre, quarto mese in cui mi sono trasferita. Come corre il tempo anche se allo stesso tempo sembra già passato mezzo secolo.
Quattro mesi di tante settimane vuote. Vivere senza stimoli e obiettivi è sfiancante. Ora che mi ero preparata una sorta di tabella mentale per prendermi almeno le certificazioni linguistiche, ecco che oggi ho di nuovo ricevuto una proposta di lavoro e domani avrò il colloquio. Siamo a quota quattro o cinque. Come ogni volta sono lì che non so se sperare che mi prendano oppure no: la vita in casa è comoda, sebbene piatta e senza stimoli... ma avere un lavoro, a parte qualcosa da fare, cosa mi darebbe? Una volta divenuto loop quotidiano, non sarebbe niente altro che la stessa asettica vita con aggiunto lo stress del lavoro e del viaggio della speranza di ogni mattina che aggiungono ore lavorative non retribuite e rubate alla salute mentale.
In ambo le situazioni comunque non sono contenta. Ma quando mai lo sono, proprio io che so vedere solo il marcio delle situazioni in cui mi trovo.
Ah quanto era bella l'università: sempre piena di stimoli e di obiettivi (ovvero gli esami). Sì, ho sofferto e ho pianto, ma in fondo che vita è se non si soffre mai?
Chissà che fine faremo.
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Io non lo sapevo se sarei stata bene da sola.
Non lo sapevo ma mi ci sono trovata.
Succede.
A me è successo in quell'età in cui pensi che tutto debba essere al suo posto, allineato, definito, classificato.
In quell'età insomma in cui cominci a vivere un po' di rendita.
Ed invece no, invece mi son trovata a ricominciare da zero, anzi sotto lo zero.
Ho dovuto prendere fiato, e guardarmi attorno un po' come in quei film polizieschi dove il disgraziato viene fatto volare a calci in culo e poi una volta atterrato si rialza rintronato.
Ecco, più o meno e' andata così.
Ho potuto vedere, così, come si sta da soli.
Non è facile, lo dico subito.
Ci sono giorni che ti alzi e spacchi il mondo "via da sotto che arrivo io".
Ci sono giorni che hai paura a scendere dal letto.
Ti tocca prendere tutte le decisioni, cambiare il tubo che perde, controllare la caldaia, abbattere un muretto, litigare con il vicino.
Prendere le palle e sbatterle sul tavolo quando le decisioni sono difficili.
Non è facile essere soli.
Una donna sola, sembra che abbia bisogno di compagnia e gli uomini ci provano, una donna sola sembra che abbia sbagliato qualcosa sempre ed allora diventa di facile bersaglio.
La cosa che però ho imparato è stato prendermi cura di me.
No, non con il parrucchiere, l'estetista, il massaggiatore... No, niente di tutto ciò.
Ho imparato ad apparecchiare la tavola anche se sono da sola, a guardare un film fino in fondo, a truccarmi, profumarmi e vestirmi anche se sono in casa da sola.
Ho imparato a bastarmi.
A chiedermi ogni volta come sto, cosa desidero, cosa mi ha fatto male.
E stavolta mi sento, sento la risposta che arriva ed io l'accolgo e ne prendo piena consapevolezza.
Non lo sapevo se sarei stata bene da sola.
Ma ora che mi posso rispondere, posso con estrema sicurezza dire che mi basto.
Mi basto e mi faccio tanta compagnia.
Forse quella che prima, quando non ero sola, non ho avuto mai.
@ilariabee
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Vorrei averti vestita solo con una camicetta e una gonna corta, senza biancheria intima.
Un plug nel culetto e un ovetto vibrante dentro la tua vogliosa fighetta.
Siamo in macchina, è una sera estiva.
Il sole sta tramontando, la luce ha un colore caldo, ma l'afa sta lasciando lo spazio ad una serata più fresca.
Le buche, le curve, le piccole frenate…
Senti tutto amplificato per via dei giochini che ti si muovono dentro. Ti sento già eccitata.
Una tua mano si allunga a toccarmi la coscia, poi curiosa avanza, sente il bozzo sotto i jeans. Lo stringi un po' da sopra i pantaloni, lo massaggi.
Infilo la mano in tasca… e senti l'ovetto iniziare a vibrare, piano. Sussulti un po'.
Adoro stuzzicarti.
Ho una voglia incredibile ma mi sforzo di resistere. Voglio torturarti di più.
Accosto vicino ad un parco.
Anche se è estate non sembrano esserci molte persone, si vede solo qualche sagoma lontana qua e là. L'arrivo della sera li sta facendo rincasare.
spengo l'ovetto, ti faccio cenno e scendiamo,
iniziando a passeggiare.
scendere e muoverti ti fa sentire bene gli intrusi nel tuo corpo.
il dover camminare ti impedisce di far adattare il corpo alle sensazioni, lo senti costantemente, li senti muoversi dentro ad ogni passo.
Un tizio che fa jogging sta per incrociarci, quando è a pochi passi riaccendo l'ovetto.
ci passa accanto, non sembra accorgersi di nulla. Immagino per te sia stato difficile resistere senza tradire emozioni…
Mi sto eccitando terribilmente ad averti lì, in imbarazzo e torturata, alla mia mercè, alla mercè della mia perversione.
Spengo.
Camminiamo ancora.
Ti immagino già bagnata ed eccitata, quasi pulsante per il continuo avvicendarsi delle sensazioni.
Siamo lì in pubblico, eccitati e vogliosi, a fare un gioco terribilmente erotico.
Mentre passeggiamo affiancati, sei appoggiata a me.
Tiro fuori una mano dalla tasca, ovviamente quella libera, e ti cingo.
Di tanto in tanto con la mano ti afferro il culo, o ti stringo un seno.
Stiamo attenti a non essere visti, ma fantastichiamo sull'essere guardati…
E ogni tanto, senza preavviso, l'ovetto si accende.
Quando incrociamo quel signore a passeggio.
bzzzz
Quando incrociamo quella coppia che cammina tranquilla.
bzzzz
E quel ragazzo che gioca con il cane?
bzzzz
Ti vedo mordere le labbra e ti sento fare piccoli scattini ogni volta… lo adoro.
Finalmente non sembrano esserci persone nei paraggi.
Vediamo una panchina un po' riparata, e andiamo a sederci.
Appena seduti, con impeto, accendo l'ovetto e ti germisco tirandoti a me.
Ti palpo i seni, gioco sentendo i tuoi capezzoli duri sotto al tessuto della camicetta.
Ti bacio, con passione…
Le nostre lingue duellano.
Ti sento genere sommessamente.
Sento le tue mani sul corpo e tu senti le mie sul tuo..
Mi slacci i pantaloni e senza remore lo tiri fuori.
Vedi la mia erezione svettare, mi sono rasato per te.
Lo prendi in mano e lo scappelli… Lentamente… Assapori la consistenza, la durezza…
La cappella è gia umida di voglia, di desiderio.
Fremo al tuo tocco.
Lo seghi un po' per torturarmi e farmi eccitare ancora di più.
lo senti duro e fremente, pulsante di desiderio.
Entro con due dita dentro di te, estraggo l'ovetto ancora vibrante, non prima di averlo fatto muovere un po' dentro di te.
Lo passo sulle tue labbra, bagnato di te.
Te ne faccio sentire l'aroma… il gusto…
Mi rendi davvero perverso.
Poi ti afferro i fianchi e ti guido lentamente fino a far scomparire tutto il mio cazzo duro nella tua fighetta fradicia.
Sospiriamo insieme quando arriva in fondo.
ti sento bollente.
Iniziamo a muoverci così, con il plug ancora nel tuo culetto e il mio cazzo che colpo dopo colpo ti riempie sempre di più.
Lo senti fin nello stomaco che spinge…
Io sento il tuo sesso caldo avvolgermi.
Aumentiamo il ritmo, ti sento gemere, ansiamiamo insieme.
Ti mordo il collo.
All'improvviso un rumore di passi attira la nostra attenzione.
I nostri sguardi vengono attirati da una figura alle tue spalle.
Ti blocchi.
è un uomo sui 35… ci guarda sbalordito, ma piacevolmente incuriosito.
Vediamo un bozzo sotto i suoi pantaloni.
Inaspettatamente le mie mani, che ti tengono per i fianchi mentre sei ferma su di me, con ancora la mia erezione dentro, scivolano lentamente più giù…
Afferrano la gonna e la alzano, esponendo il tuo culetto pieno del plug e il mio cazzo dentro di te… oscenamente.
chissà come continuerà questa serata avventurosa e perversa…
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Io non lo sapevo se sarei stata bene da sola.
Non lo sapevo ma mi ci sono trovata.
Succede.
A me è successo in quell'età in cui pensi che tutto debba essere al suo posto, allineato, definito, classificato.
In quell'età insomma in cui cominci a vivere un po' di rendita.
Ed invece no, invece mi son trovata a ricominciare da zero, anzi sotto lo zero.
Ho dovuto prendere fiato, e guardarmi attorno un po' come in quei film polizieschi dove il disgraziato viene fatto volare a calci in culo e poi una volta atterrato si rialza rintronato.
Ecco, più o meno e' andata così.
Ho potuto vedere, così, come si sta da soli.
Non è facile, lo dico subito.
Ci sono giorni che ti alzi e spacchi il mondo "via da sotto che arrivo io".
Ci sono giorni che hai paura a scendere dal letto.
Ti tocca prendere tutte le decisioni, cambiare il tubo che perde, controllare la caldaia, abbattere un muretto, litigare con il vicino.
Prendere le palle e sbatterle sul tavolo quando le decisioni sono difficili.
Non è facile essere soli.
Una donna sola, sembra che abbia bisogno di compagnia e gli uomini ci provano, una donna sola sembra che abbia sbagliato qualcosa sempre ed allora diventa di facile bersaglio.
La cosa che però ho imparato è stato prendermi cura di me.
No, non con il parrucchiere, l'estetista, il massaggiatore... No, niente di tutto ciò.
Ho imparato ad apparecchiare la tavola anche se sono da sola, a guardare un film fino in fondo, a truccarmi, profumarmi e vestirmi anche se sono in casa da sola.
Ho imparato a bastarmi.
A chiedermi ogni volta come sto, cosa desidero, cosa mi ha fatto male.
E stavolta mi sento, sento la risposta che arriva ed io l'accolgo e ne prendo piena consapevolezza.
Non lo sapevo se sarei stata bene da sola.
Ma ora che mi posso rispondere, posso con estrema sicurezza dire che mi basto.
Mi basto e mi faccio tanta compagnia.
Forse quella che prima, quando non ero sola, non ho avuto mai.
♡ Paola Delton
( Abbracciami come se fosse dicembre )
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Questo è quello che mi fa stare bene.
Il primo e unico ultratrail che avevo corso prima di domenica 28 Gennaio era stato “Translagorai Classic” e, per dovere di cronaca, è stato per ora, il mio miglior DNF.
Che poi non c’è niente di male, capita e, anzi, non aver terminato TLC è un’ottima scusa per tornare a Trento, rivedere un po’ di amici e tentare nuovamente la traversata del Lagorai per portarmi a casa l’adesivo più desiderato della storia dell'Ultrarunning italiano.
In quell’occasione mi ritirai al rifugio Cauriol (non ringrazierò mai abbastanza Letizia e Chiara per avermi recuperato), letteralmente svuotato di ogni energia dopo circa 50km e più o meno 3000 D+ (che i più esperti mi correggano) ma, non lo saprò mai con certezza perché il mio GPS pensò bene di abbandonarmi dopo 12 ore (più o meno tra i laghetti di Lagorai ed il Cimon de la Sute).
Ma torniamo a noi e ai dubbi che mi assalgono la sera di sabato 27. Dopo aver viaggiato, ritirato i pettorali e cenato insieme a Dario, Marco e Carletto, arriva il momento di andare a letto ed è lì che mi aspettavano i dubbi:”Ma domani, ce la farò? Sul Lagorai sono arrivato più o meno al 50° km con circa 3000 D+, distrutto e dopo una quantità di ore che nemmeno ricordo bene. Ricordo però che dopo 12 ore quando il GPS si spense, ero sì e no al 41° o 42° km e forse il dislivello era simile a quello che mi aspetta domani… saranno 45 km e 2300 D+ ed il tempo limite sarà di 10 ore. Sono più allenato, forse… certo non ho mai corso su dei dislivelli simili… ma ho tentato di fare del mio meglio…”
Per fortuna non sono il tipo che si fa togliere il sonno dai dubbi e così arriva finalmente il momento che aspettavamo.
Siamo lì, tutti e quattro schierati sulla linea di partenza, visibilmente felici ed eccitati, maglia del Team, zainetto contenente tutto il materiale obbligatorio che nessuno ha mai controllato: cappellino, guanti, collo e manicotti. Ci guardiamo, ci scambiamo un doppio cinque ed un “in bocca al lupo” promettendoci di rivederci alla fine e… cinque, quattro, tre, due, uno VIAAAAAAAAAAAA! Si parte, ed è come al solito una grande emozione.
Dopo poco più di un km ci siamo già persi di vista, ma fa parte del gioco e ci va bene così, l’obiettivo è quello di rivederci al traguardo. In fondo “non importa a nessuno quando si va forte, l’importante è soffrire tutti allo stesso modo” (cit. TRC).
I primi km sono tra le strade del paese, mi sento bene. anzi, mi sento in gran forma! Dei dubbi della sera prima nemmeno l’ombra e va benissimo fino al terzo km, quando sento un dolore intenso dietro la coscia sinistra. Dario che era con me si rende conto che qualcosa non va e mi chiede se voglio fermarmi. Cammino qualche secondo, qualcosa dev'essere successo ma no, non voglio fermarmi, non posso ritirarmi ora al terzo km, non se ne parla. Arriviamo al primo ristoro, poi si vedrà.
Da lì in poi è tutto un tira e molla, prima è avanti Dario poi sono avanti io e via così fino al 21° km attraverso paesaggi fantastici e correndo su terreni di ogni tipo affrontando salite, sentieri tecnici di roccia, salite, single track nel sottobosco, ancora salite, forestali fangose, sempre salite, canyon di roccia e di nuovo salite.
Sono stupito. nonostante il dolore che mi porto dal km 3 sto andando bene, non mi sento particolarmente affaticato e quando sono quasi al trentesimo km, ecco davanti a me il ristoro che dovrebbe trovarsi tra il km 29 ed il km 30. Sono lì che inizio a tirar fuori il bicchierino da trail, quando dal sottobosco esce un cane, anche lui corre verso il ristoro, peccato che non mi veda ed infilandosi tra le mie gambe mi fa volare a terra.
Per fortuna non è niente di grave (un livido e qualche escoriazione), vengo immediatamente soccorso dai volontari del ristoro ed in 5 minuti sono di nuovo in strada. Ancora qualche km e mentre sono lì a ragionare sul dislivello che manca e i km che devo ancora percorrere prima di raggiungere il traguardo, entro in una sorta di trance senza rendermi nemmeno conto di percorrere altri 7 km. Torno al presente e sono al 37° km, sono passate poco meno di 5 ore, non manca molto, circa 8 km e 500D+, sono un po’ stanco, ripenso al Lagorai ed ho voglia di riscatto. Con questo pensiero tiro dritto ignorando il dolore che mi porto dal terzo km, la fatica che inizia a farsi sentire ed i quadricipiti che ormai mi insultano per lo sforzo a cui sono sottoposti (sia in salita che in discesa).
Arriverò al traguardo in 6h11’31” felice come un bambino che ha passato una giornata nel miglior parco giochi del mondo e come se non bastasse scopro che qui, alla Ronda Ghibellina, hanno un’usanza diversa dal solito: al posto della solita medaglia da finisher ti danno un boccale di ceramica, pieno di birra!
Non mi resta che sedermi vicino all’arrivo, sorseggiare la birra ed aspettare i miei compagni per festeggiare il loro di arrivo.
Il primo ad arrivare sarà Marco, seguito da Dario ed a chiudere il gruppo, Carletto.
Queste sono le avventure che ci piacciono, questo è quello che mi fa stare bene.
Al netto del mio non saper scrivere, mi rendo perfettamente conto di quanto, questo breve racconto non possa rendere giustizia all’avventura che abbiamo vissuto, che si è completata nel preciso momento in cui stanchi, sudati ed ammaccati ci siamo abbracciati subito dopo aver oltrepassato la linea del traguardo.
Mi chiedo se abbia senso tentare di trasmettere ciò che ho sentito e vissuto in questa giornata. Ho corso, questo è poco ma sicuro, ma forse la vera essenza, la bellezza di quello ho sentito, non può essere rccontata a parole. Resterà tutto custodito dentro di me, nei miei muscoli, nei miei tendini, nel mio cuore e nei miei polmoni ma, di una cosa sono sicuro e questa ve la posso dire:”è in giornate come queste, passate fuori a correre e a faticare che riesco a far pace con la vita”
Ci vediamo lungo la strada!
#ultrarunning#run#running#correre#corsa#trail running#ultra trailer#trailrunning#ultratrail#rondaghibellina#ronda ghibellina
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per alcuni mesi, dopo che ci siamo lasciate, invidiavo che tu stavi già con qualcuno, che potessi farci cose insieme e che non dovessi affrontare momenti di solitudine come stavo facendo io. poi piano piano ho capito che la tua felicità non sarebbe mai stata la mia definizione di felicità, che io non avrei mai desiderato quello che tu hai scelto e che a volte mi sembri triste perché in fondo dentro sei in mille pezzi da unire. E. mi ha detto che non potevi farmi regalo più grande che lasciarmi e credo sia davvero così: senza di te sto imparando tante cose che pensavo di non avere più ma che sono sempre state mie (era solo che me le avevi rubate perché tu hai sempre avuto paura di vedermi correre). Affrontare un dolore così grande come quello che mi hai buttato addosso ti da una sensazione di crescita straordinaria, come scavare a mani nude in un terreno sporco quando il sole picchia e stai per morire di sete. Non ci credevo e a volte ho ancora sete. Ma poi arriva la sorgente a piccoli fiotti limpidi e sarà un speranza eterna. ricordatevelo sempre quando soffrite
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Ciclo.
Sembra che qualche giornalista ha finito le ferie quindi sono tornate le notizie, che strano eh? Si va da raddoppiati gli sbarchi rispetto il 2022 al compleanno di Madonna che spegne 65 candeline, a quel calciatore che non mi viene il nome quello brasiliano che appena ti avvicini cade a terra e recita che si è fatto malissimo, va bè, lui che è andato a giocare in arabia saudita, si vede che come tanti ha la testa già alla pensione; conta dei morti di ferragosto, come tutti i giorni direi le persone muoiono, ma quelli di ferragosto sono speciali tipo persone che non sanno nuotare che si tuffano sprezzanti del pericolo, l'Algeria banna totalmente il film di Barbie motivazione 'Corrompe la morale', la BBC riporta "il lungometraggio è accusato di promuovere l'omosessualità e non rispettare le credenze religiose e culturali del Paese.", non ho visto il film quindi non posso dire niente, la mia compagna vorrebbe vederlo ma sono poco incline a guardarlo perché la trovo solo una mossa commerciale non tanto per la Mattel, che sappiamo produce la bambola dai tempi dei tempi, ma penso che se vuoi fare un film sui tempi moderni non c'è bisogno di usare metafore vai dritto al punto e spiattella in faccia al mondo la situazione. La protezione civile fa salire l'allerta a preallarme per l'eruzione dell'Etna, in che senso? Sono Etneo e avrò visto centinaia e centinaia di eruzioni nella mia vita, anche se non ci vivo più do sempre un'occhiata quando accade, alcune anche pericolose per persone e abitazioni, come quella che ha piallato il rifugio Sapienza e tutti gli edifici della piana, quando ero piccolo per evitare che la colata arrivasse ai centri abitati fecero deviare il flusso facendo saltare con la dinamite una parete lavica ecc ecc, abbiamo sempre e da secoli convissuto con il vulcano, ora arriva la protezione civile e ci dice che è pericoloso, ma siete idioti? Vi sembra che non lo sappiamo? E' la condizione che abbiamo accettato costruendo la città su un vulcano, se no la costruivano da un'altra parte, non credete? Ora quelle più importanti, gli ucraini ammettono che gli attacchi al ponte sono stati opera loro, ma va? Sai che avevamo qualche sospetto ma nel dubbio non si sa mai meglio non puntare il dito verso di voi, per carità, poi qualcuno può incazzarsi, anzi no adesso le persone si indignano, quindi, qualcuno potrebbe indignarsi e dire "poverini li hanno invasi", infatti poi leggo che l'India, organizzatore del prossimo G20 non li ha invitati, cioè che a differenza degli ultimi 2 incontri dei grandi, o presunti tali, della terra dove il paese giallo-blu era presente in veste di cosa non si sa, l'India decide che non ci deve essere, invece include altri paesi, chiamati minori, e naturalmente sarà presente anche la russia. Che dire oggi scorpacciata.
Ieri ho terminato il documentario, molto bello. Sto riprendendo a suonare sempre di più, fortuna la tendinite sembra svanita, ma tocco ferro non si sa mai, ieri ho provato ad omettere il rullante, quindi solo cassa e hi-hat (che in Italia chiamate erroneamente charleston), beh, il suono è sicuramente meno interessante però è anche meno invasivo, nel senso che il rullante ha un bel suono secco e forte una volta percosso con un pedale, che a differenza delle bacchette non ha molte dinamiche, anche perché lo percuoto col tallone, va bè vedrò. Ma mi è venuto un dubbio ieri, quando andavo al supermercato, come faccio a procurarmi le serate? Cioè con l'esperienza del passato, che scrivevo e nessuno mi rispondeva, come faccio? Sono arrivato per ora alla conclusione che è meglio non pensarsi e andare in fondo con le prove e le registrazioni, poi si vede, se no mi deprimo e non vado da nessuna parte, ma ora vado a suonare, se qualcuno fosse curioso di vedere il mio set, eccolo, il tavolino non esiste più, ma ho già postato una foto del nuovo setup dello studio, buona giornata.
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72. (Lontano)
Non ti piace, eh?
Lo so cosa vuoi. Tu vuoi solo chicchi croccanti di melograno, sotto i denti.
E il succo che esce e sbava e ti colora il colletto, dopo aver colorato le labbra.
Sangue e latte.
Sangue e latte.
E forse un nastro di raso blu.
Peccato che io stia per morire. Non tutto. Una parte di me sta per andarsene, una parte che assorbirà il resto.
Devo andarmene un po’ lassù, tra le stelle. In un posto solido come un gas immobile. E’ un posto dove arriva solo qualche canzone, solo qualche accordo, le altre cose, anche le parole, anche le mani, fanno fatica ad entrare. Se mai ci riescono.
E poi non lo so.
Non lo so se tornerò. Se tornerò ad avere quei sorrisi che dicevi t’incantassero, e quegli occhi che dicevi non vedere quando finissero. Non erano loro a non finire, in realtà. In realtà cercavano, spingevano, grattavano come una talpa e meno male che avevi un’anima profonda. Feconda. Nei miei occhi vedevi solo quello che trovavo e prendevo, senza ritegno, in te.
Ma sì, ma sì che tornerò. Tutto deve finire bene, no?
Come l’inverno, come la crosta dura e ghiacciata, quella che insieme abbiamo letto tante volte, e abbiamo accarezzato con gli occhi di vetro, ecco, come quella cosa che ti sta di fronte solo per sbatterci contro, se hai voglia di romperti la faccia, ecco, come quella cosa, anche quella cosa, anche quella cosa deve avere qualcos’altro sotto.
Sangue e latte.
E un nastro di raso blu.
Sono tra le stelle. Queste sono chicchi d’argento. Il nastro blu è un lago e i chicchi d’argento sono i pesci e io ci sto dentro, come un’alga strappata che la corrente dei colpi di coda tiene bassa. Oh, lo vedessi il tuo latte. Potessi vedere il bianco e i disegni che il sangue versato ci fa dentro. Una goccia di vita.
Lasciami stare. Tanto non c’è. Lasciami stare.
E però mi dispiace che la tua voce muoia, qui in fondo. Mi dispiace che l’eco s’anneghi in queste molecole dense. Così dense fitte e forti.
Uscirò,
uscirò lo giuro.
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Pioveva oggi, una pioggia fitta e costante. Ho acceso la moto in garage ed ho subito capito che era il momento di uscire, di prendere un'inzuppata andando chissà dove. La Harley borbottava, la zip del giubbotto è arrivata fin sotto il mento, i guanti che di impermeabile non hanno niente si sono bagnati appena ho messo le ruote fuori in strada. Il rettilineo, il traffico della città, poi un pezzo di tangenziale e poi stradine di campagna e dopo una cinquantina di chilometri mi sono fermato in un paesino in cui non ero mai stato. Il classico piccolo paese sperduto nella pianura padana, dove sono tutti concentrati a lavorare. La chiesa con la piazzetta, il parcheggio davanti al bar tabacchi. Fermo lì la moto, scendo e dopo averla spenta pare sia tornata la quiete in paese (sì, se passo se ne accorgono tutti). Il signore anziano col bastone che attraversa sulle strisce pedonali si volta a guardarmi. Entro nel bar, si voltano a scrutarmi come fossi E.T. ma va bene così, so che succede sempre. Mi siedo e dopo un attimo arriva la ragazza che prende la mia ordinazione. Un the caldo. Cazzo ridete? Sì, lo so che vi aspettavate la birra media, ma sono zuppo, gocciolo dai vestiti e ho le mani intirizzite dal freddo. La tazza fumante attorno alla quale avvolgo le dita è una manna dal cielo. Sorseggio il the e intanto mi guardo intorno. Al tavolo in fondo, in disparte, c'è una ragazza, avrà forse l'età di mia figlia. È avvolta in uno sciarpone color mogano, jeans ha e anfibi ai piedi e gli occhiali troppo grandi per il suo visino continuano a scivolare giù dal naso. Sta leggendo, non so cosa sia ma l'ha presa completamente, tanto che è stata l'unica che non si è voltata a guardare quando sono entrato nel bar. Fa sempre gli stessi 3 movimenti: tira su gli occhiali col dito medio, sposta la ciocca di capelli castani dalla fronte fin dietro l'orecchio e gira le pagine del libro. Io la guardo e lei gira le pagine. Mi sto rendendo conto che per lei l'intero universo è racchiuso in quel libro. E la invidio. Non so perché ma il suo faccino assorto nella lettura è l'essenza stessa della calma. È bella, di un bello che sa ancora di quella innocenza che non è stata ancora intaccata delle cattiverie del mondo.
La signora che entra col bambino urlante che cerca di svincolarsi dalla mano della madre mi fa smettere per un attimo di osservare quella attenta lettrice. Quando torno a cercarla con lo sguardo ha chiuso il libro, l'ha infilato in una enorme borsa a tracolla, si è alzata ed è andata dritta dal bimbo, lo ha preso per mano e l'ha portato verso l'espositore dei pacchetti di patatine facendolo smettere di urlare in me che non si dica. Poi ha dato un bacio sulla guancia alla madre del nanetto che nel frattempo ingurgitava le dixie. Per un attimo negli occhi di quella donna ho visto quelli di mia madre, calmi, pieni d'amore, stanchi. Mi sono alzato, ho pagato il conto anche per il bimbo e la ragazzina che leggeva, uscendo le sono passato accanto, mi sono fermato davanti a lei e alla madre e sorridendo ho detto "signora, non faccia mai perdere a sua figlia la voglia di leggere".
Me lo diceva sempre mia made. Sarà per quello che non ho più spazio nelle librerie di casa...
La cinquantina di chilometri del rientro col diluvio in atto hanno avuto un sapore diverso, di speranza. Sì, perché non ho trovato una ragazzina fissa sul cellulare, ma una con lo sguardo avido di sapere. E questo mi fa sperare.
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Io non lo sapevo se sarei stata bene da sola.
Non lo sapevo ma mi ci sono trovata.
Succede.
A me è successo in quell'età in cui pensi che tutto debba essere al suo posto, allineato, definito, classificato.
In quell'età insomma in cui cominci a vivere un po' di rendita.
Ed invece no, invece mi son trovata a ricominciare da zero, anzi sotto lo zero.
Ho dovuto prendere fiato, e guardarmi attorno un po' come in quei film polizieschi dove il disgraziato viene fatto volare a calci in culo e poi una volta atterrato si rialza rintronato.
Ecco, più o meno e' andata così.
Ho potuto vedere, così, come si sta da soli.
Non è facile, lo dico subito.
Ci sono giorni che ti alzi e spacchi il mondo "via da sotto che arrivo io".
Ci sono giorni che hai paura a scendere dal letto.
Ti tocca prendere tutte le decisioni, cambiare il tubo che perde, controllare la caldaia, abbattere un muretto, litigare con il vicino.
Prendere le palle e sbatterle sul tavolo quando le decisioni sono difficili.
Non è facile essere soli.
Una donna sola, sembra che abbia bisogno di compagnia e gli uomini ci provano, una donna sola sembra che abbia sbagliato qualcosa sempre ed allora diventa di facile bersaglio.
La cosa che però ho imparato è stato prendermi cura di me.
No, non con il parrucchiere, l'estetista, il massaggiatore... No, niente di tutto ciò.
Ho imparato ad apparecchiare la tavola anche se sono da sola, a guardare un film fino in fondo, a truccarmi, profumarmi e vestirmi anche se sono in casa da sola.
Ho imparato a bastarmi.
A chiedermi ogni volta come sto, cosa desidero, cosa mi ha fatto male.
E stavolta mi sento, sento la risposta che arriva ed io l'accolgo e ne prendo piena consapevolezza.
Non lo sapevo se sarei stata bene da sola.
Ma ora che mi posso rispondere, posso con estrema sicurezza dire che mi basto.
Mi basto e mi faccio tanta compagnia.
Forse quella che prima, quando non ero sola, non ho avuto mai.
Paola Delton - "Abbracciami come se fosse dicembre"
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Il futuro è una inaffidabile invenzione dell’uomo
La mente umana è una macchina incredibilmente moschetto. … Sorpresa! Cos’è quel “moschetto” lì, in fondo alla frase?
Ecco, è proprio il concetto di "sorpresa" su cui mi sto arrovellando da un po’. Pare che la sorpresa sia un meccanismo cerebrale messo lì dall’evoluzione per avvisarci che le cose non vanno come previsto.
Cos’è, dunque, la sorpresa? Per rispondere a questa domanda è necessario fare una debita sagittario -oh oh, humor psicologico- … una debita premessa: il cervello umano non opera in modalità reattiva, ma predittiva. Controintuitivamente, l’atto di pensare non inizia dopo il flusso di stimoli provenienti dal sistema sensoriale, ma durante tale flusso, a cominciare dal primo accenno di stimolazione, immaginando preventivamente uno scenario mentale ricavato dall’esperienza, cioè dalla memoria, per proseguire, poi, verificando che i successivi dettagli in arrivo dai sensi si incastrino nello scenario immaginato. Esempio: tornando alla mia frase, per il cervello leggere le parole “La mente umana è …” è già più che sufficiente per immaginare una possibile conclusione, tipo “… costituita da miliardi di neuroni.” Poi, quando si aggiunge “una macchina”, il cervello completa il suo primo scenario con l’aggettivo “complessa” o “meravigliosa”, estratto dalla sua memoria; per lui il senso della frase è compiuto: “La mente umana è una macchina complessa.” Il cervello ha stabilito un senso compiuto prima ancora di aver finito di leggere la frase. Intanto, dai sensi continuano ad arrivare informazioni: si aggiunge l’avverbio “incredibilmente” che conferma pienamente la previsione del cervello, il quale, novello Nostradamus, perfeziona in “La mente umana è una macchina incredibilmente complessa.”
Alé, è fatta. Dai, stacca la spina.
Ma no, lo sguardo prosegue la lettura, arriva all’ultima parola che è “moschetto”. Il cervello è sorpreso e completamente disorientato. La sua previsione è sbagliata e per lui non c’è niente di più fastidioso che non capire cosa stia per succedere. Il dipartimento di chimica viene prontamente avviato per scatenare la produzione di microgrammi e microgrammi di sostanze, alcune proibite persino in Colombia. La chimica fa il suo lavoro e produce malessere, tensione, sensi allertati a DEFCON 1 (guerra nucleare imminente o già in corso), sudorazione copiosa: suonare il clacson al conducente in fila davanti a te che si trovasse in questo stato è una pessima idea.
Cos’è la sorpresa? Si tratta di una condizione emotiva che si manifesta quando la previsione del cervello si rivela sbagliata (cfr. Lisa Genova, Dan Gilbert e altri - molti altri). Ecco quindi perché ti sorprendono le novità e, in generale, ciò che non sapevi: il cervello non può prevedere quello che non è già presente in memoria. Il famoso adagio popolare “chi lascia la via vecchia per la nuova male si ritrova” non è dettato da banale prudenza, ma da un antico comportamento inconscio del cervello che lo pone in guardia da tutto ciò che non conosce.
Ora, trattandosi di una reazione inconscia e automatica è facile intuire come la sorpresa sia un fenomeno che può essere indotto una volta scoperto il meccanismo che la provoca. Ogni bravo titolista lo sa bene, come anche ogni bravo sceneggiatore che, nel costruire il suo film, sa come fare leva sugli automatismi del nostro cervello per provocare le emozioni del pubblico (mai letto Story di Robert McKee?). Sei mai rimasto fino a tardi a leggere il tuo giallo perché volevi scoprire chi fosse il colpevole? Oppure hai mai consumato il weekend davanti a Netflix divorando una intera serie? Cosa ti ha impedito di smettere? Il cervello non sopporta di non riuscire a prevedere e da questa sofferenza nasce la necessità di “sapere come va a finire”.
Prevedere significa immaginare il futuro. Il futuro è un’invenzione dell’uomo: siamo l’unica specie vivente in grado di immaginare il futuro. Il che si è rivelato un vantaggio competitivo, almeno fintanto che qualcuno non ha capito che è impossibile immaginare cose di cui non abbiamo alcuna memoria. La nostra immaginazione rimaneggia ricordi. Se sfogli un’opera futurista di quelle dai titoli tipo “Into the Atomic Age” oppure “The World of Tomorrow” troverai tavole e descrizioni del futuro dominate da treni nucleari e automobili antigravità che attraversano città protette da gigantesche cupole di vetro, ma mai uno skateboard, un walkman o uno smartphone. Chi immaginava il futuro negli anni ‘50 del ‘900 lo faceva combinando informazioni del presente.
Ahimé, proprio per questa ragione gli automatismi del nostro cervello offrono il fianco agli hacker della mente, quei soggetti malintenzionati a manipolare il pensiero altrui. La tristemente famosa vicenda del massivo condizionamento operato da Cambridge Analytica che portò, nel 2018, al noto scandalo e al successivo fallimento della società, ne è un fulgido esempio. L’uso combinato di dati personali sul comportamento delle persone presi dalle banche dati dei social media insieme alle indicazioni provenienti dagli studi di psicometria, la scienza che studia il comportamento umano, ha portato al condizionamento politico di grandi quantità di elettori. Studia il comportamento attuale di una persona, dipingi loro un futuro fosco basato sui suoi timori e poi offriti come alternativa: chi non ci cascherebbe?
Se dunque la nostra idea di futuro è condizionata dal passato e dal presente, per far immaginare un mondo migliore, come ha correttamente ragionato Cambridge Analytica, è sufficiente far leva sui problemi del presente. Per esempio, è possibile indurre molte persone a immaginare la terra del futuro riarsa dal sole perché molti sanno cos’è il “cambiamento climatico” ed è altrettanto possibile indurre molte persone a credere a una soluzione del problema basata sull’inversione di tale cambiamento; nella memoria ci sono questi dati e le persone prese di mira da questa comunicazione manipolativa sono certamente in grado di immaginare lo scenario indotto, e lo fanno anche senza volerlo.
È invece impossibile immaginare un futuro in cui il clima sia effettivamente cambiato, la terra spaventosamente riarsa dal sole, eppure popolata da un'umanità serena e felice grazie a…
Personalmente non ho particolare stima del mio cervello.
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PRINCE: “HE’S BACK!”
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ESCALADE (A)
“Si può ritenere che la meraviglia della vita sia sempre a disposizione di ognuno in tutta la sua pienezza, anche se essa rimane nascosta, profonda, invisibile, decisamente lontana. Tuttavia c’è e non è né ostile né ribelle. Se la si chiama con la parola giusta, con il suo giusto nome, essa arriva. Questa è l’essenza dell’incantesimo, che non crea, bensì chiama”.1
“Mi sono un po’ smarrito, ma non importa, perché Lei forse mi ha accompagnato e ora siamo smarriti tutti e due”.2
Silenzio della sera. Sono nel mio Guscio di Noce, la mia microscopica casa di campagna. Nel bel mezzo del mio orto. Il solo rumore che a quest’ora posso ascoltare è quello delle onde del lago. Laggiù. Non le vedo, ma le sento bene.
Oggi lo scirocco ha smosso le acque ed il lago si fa sentire. Anche da qui. Da casa mia, che è lontana da lui almeno cento metri, in linea d’aria.
Normalmente nel mio Guscio di Noce - specie di sera, specie a fine estate - domina il silenzio. Si sente al massimo un grillo che canta. O qualche cicala che ha ancora voglia di farsi notare, oppure, mentre preparo la cena, può arrivare fino a me il canto del picchio rosso, che vola sugli ulivi, in cerca di formiche, poco prima che faccia davvero buio.
Le sere sono quasi sempre silenziose qui, quando sono nella mia campagna. Mi godo a fondo quella pace. Leggo, scrivo, guardo qualche serie. Vado a letto prestissimo, quasi sempre. Prevalentemente nel silenzio.
Stasera sto aspettando che faccia buio a sufficienza, per infilarmi tra le lenzuola fresche, aspettando che l’umidità del lago arrivi fin qui, a darmi un po’ di ristoro.
In questo silenzio, quello che precede di poco la notte, in questa sera dall’aria delicata, mi arriva alle orecchie il rumore di una macchina. All’improvviso. È ancora piuttosto lontana da qui. Sento che è dalle parti della prima curva, quella poco prima del rettilineo che costeggia una parte della recinzione, quella verso nord.
A quest’ora di sera non passa mai nessuno qui. O pochissimi. Ci sono abituata.
È una casa di campagna, la mia. Siamo in pochi ad abitare in questa parte del paese, un po’ fuori mano. Sulla strada di casa mia raramente passa qualcuno. Quasi mai per venire da me.
Sento arrivare questa macchina, ma non le presto troppa attenzione.
Non aspetto nessuno, non sono quasi mai attenta a quello che accade fuori dal mio cancello.
Non conosco ancora i cognomi di quelli che abitano da anni nel mio stesso palazzo - in città - figuriamoci se mi metto a prestare attenzione a chi passa dalle parti del Guscio di Noce, in questo tardo pomeriggio estivo. Quasi sera.
Ho finito da poco di cenare. Sto risciacquando i piatti. Ho già indossato la mia camicia da notte estiva: una maglietta che mi ha regalato mia madre poco prima di morire e che, da quando lei non c’è più, mi fa compagnia. La sostituisce. È come se lei fosse nel letto insieme a me, a coccolarmi. Ogni notte.
Sono passati dodici anni da quando lei non c’è più e quella maglietta - lavaggio dopo lavaggio - è ormai un po’ il fantasma di ciò che era stata all’inizio, ma va benissimo anche così.
Mi accontento anche dei brandelli di attenzione. Da sempre.
Da bambina avrei voluto dormire a lungo tra le braccia di mia madre, ma a quei tempi non c’era spazio per le smancerie e, visto che non l’ho potuto fare quando lei era in vita, ne approfitto adesso che se n’è andata da qualche anno a prendere il sole in Giardino.
Nel Giardino dell’Eden.
(questa, però, è un’altra storia: la raccontiamo da tempo nella stanza accanto)
Sento il rumore di questa macchina, dunque. Si avvicina. Ha appena iniziato la curva a gomito che precede di poco il mio cancello.
Sarà qualcuno che sta andando dai miei vicini - penso - quelli che amano organizzare serate danzanti con i loro amici. Tanghi, valzer e twist à gogo.
Ridono molto, quando sono tutti insieme. Cantano a squarciagola. Mi piace ascoltarli, mentre si divertono. Ogni tanto provano a coinvolgermi, ma riesco quasi sempre a disimpegnarmi con destrezza: non sanno che odio a morte quel tipo di serata.
Declino ogni volta con gentilezza, sorridendo, con il terrore che insistano troppo e che alla fine io sia costretta ad accettare l’invito per una di quelle loro serate.
(Dio non voglia, mai!)
Mentre aspetto che la macchina passi, butto lì un’occhiata distratta. Canticchio, sottovoce: amo cantare, mentre svolgo le faccende di casa.
La macchina rallenta: posso vederla distintamente dalla finestra che dà verso il cancello.
“Ma chi è?...” - penso
Vedo che non passa oltre: si ferma proprio davanti al cancello.
Il mio cancello.
Quello verde. Quello che ho fatto rifare da poco. Di un bel color verde semaforo.
La guardo. Non è esattamente una macchina: è un veicolo enorme, qualcosa a metà tra un pulmino ed un Suv. Gigantesco. Occupa quasi tutto lo spazio di questa semplice e stretta strada di campagna.
“Ma?...”
Guardo meglio quella specie di grosso scarafaggio. Nero. Con i vetri oscurati.
Per un attimo mi sembra di essere finita dentro una di quelle serie americane di spionaggio, in uno in quei passaggi narrativi cruciali e violenti, quelli in cui uomini dell’FBI dallo sguardo glaciale, armati fino ai denti, uscendo da un aggeggio come quello, balzano addosso al serial killer, asserragliato in incognito in un posto sperduto in mezzo alla campagna. Lo hanno trovato, usando tutte le diavolerie tecnologiche che sono installate proprio dentro quel Suv. E alla fine gli sparano, senza mancare il bersaglio. Missione compiuta. Ciao, mondo!
(dissolvenza)
Il cuore mi salta in gola, ma non perché io pensi che sia arrivata l’FBI. A spararmi.
No. Conosco benissimo quella macchina. O meglio. Mi pare di conoscerla. Ma non può essere. O meglio: non sono sicura che sia proprio quella. Ma forse sì. Ma non può essere.
Non è l’FBI, comunque.
“Non puoi essere davvero tu.” - dico a voce bassa, per convincere me stessa.
Ed invece sei proprio tu.
Sei appena arrivato.
Ti osservo, come estraniata dalla scena, mentre scendi da quella specie di insetto gigante e ti guardi intorno, un po’ spaesato.
Ti guardo. Tu ti giri e mi vedi. Mi fissi. Un velo di sorriso si diffonde sul tuo viso.
(Continua)
note:
1: Franz Kafka, Diari, 1921
2: Franz Kafka, “Lettere a Milena”, maggio 1920
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Monday what else?
7:15 gatto rompi palle, 7:30 sveglia del telefono della mia compagna che però spegne il tel e torna a dormire, ma io ho perso il sonno e quindi mi alzo e preparo il caffè. Alle 8 lei viene in cucina e mi comunica che dovrei spostare il carrello, ieri hanno portato il legno, allora mi prendo di coraggio mi butto su giubbotto, cappello e guanti e sposto sto trabiccolo, fuori c'è 1° scarso, la brina è congelata sull'auto, nell'erba del giardino e sulle foglie degli alberi, le nuvole si muovo veloci e minacciano sorridenti, sembrano dire "Preparati che nevicherà presto", lo sapevo già perché quando l'estate è inesistente l'inverno arriva prima. In tutto questo apro il pc e guardo le notizie, tutti a puntare il dito contro Hamas e i palestinesi dopo l'attacco di un paio di giorni fa, mentre per più di 70 anni israele ha massacrato i palestinesi e nessuno dice niente di quella invasione illegale, poliziotti che picchiano e arrestano bambini di 10 anni basterebbe questo per mandarli all'inferno, ma non è questo il discorso che voglio fare oggi, questo schifo è colpa dei soliti noti. Passo quindi sui social irritato vedo che su FB molti parlano della stessa cosa, che palle, poi vedo un post di un contatto, un musicista anche lui one-man band ma più verso il punk, allora apro il link e WOW un documentario sulla scena Punk a China town, dura quasi un'ora ma si dai, adoro i documentari musicali dove ci sono le interviste alle persone che erano li in quel momento, a quelli che hanno creato qualcosa che è restato indelebile nella storia della musica, ma posto il link in fondo così potete constatare voi stessi se avete tempo (naturalmente è in inglese). Adoro il Punk perché come genere ha dato una scossa al mondo, l'ultimo vero movimento cultural-musicale poi il vuoto, lo so molti dicono che il grunge è stato il punk degli anni 80/90 ma anche no, i motivi sono vari, a differenza del punk che si diffuse a macchia d'olio nell'occidente come genere rivoluzionario e di protesta contro il sistema, il punk diede inizio anche al DIY (do it yourself, oramai un must) perché molti musicisti di quel periodo non avevano l'educazione musicale di quelli precedenti, se si pensa che il punk ha ucciso il progressive rock si capisce perfettamente che la tendenza dei super musicisti era finita anche se non del tutto. Ma il punk era politicamente scorretto, ma non solo per gli attacchi diretti al sistema, democratico o monarchico, ma anche a livello sociale i ragazzi erano visibilmente anticonformisti e al dire dei conformisti vestiti in modo terribile, certo è bello essere vestiti come un manichino dei grandi magazzini e tutti uguali eh? Ma c'è molto di più dietro il punk, c'è la ribellione di una generazione a cui i dogmi di una società non solo stanno stretti ma non piacciono, se si pensa che è nato negli stati uniti e non in UK come si pensa con i Sex Pistols che quando iniziarono la loro carriera i Ramones erano già al terzo album, c'era il malcontento di quella porzione di popolazione giovane che non gradiva l'omologazione, il conformismo, il 9to5 (lavoro d'ufficio) e tutto quello che la società americana imponeva se si voleva fare una vita agiata e senza problemi, un pò quello che abbiamo ora in tutto il nostro bel mondo marrone occidentale, solo che in quel periodo, più o meno dalla metà degli anni 70, le voci che contrastavano il sistema erano un numero alto e gridavano forte anche e soprattutto attraverso la musica, quindi il punk come il rock'n'roll negli anni 50 era uno stile di vita e non soltanto un genere musicale. Sappiamo che ci sono band punk in ogni decade, che hanno raggiunto un successo mainstream intendo, ma essendo appunto famosi il genere si è come dire ammorbidito o adattato alle esigenze di giovani ribelli ma non troppo, di quelli che dicono "Si ascoltavo punk ma poi sono cresciuto", l'ho sentito anche del rock, del metal e di tutti quei generi che oramai sono così smussati che spesso mi sembra di vedere i manichini dei grandi magazzini suonare.
Non dico che oramai la musica ribelle è stata rabbonita dal sistema per evitare ribellioni dei giovani perché risulterei complottista, ma è così, lo sdoganamento e i dogmi hanno fatto si che la musica nel tempo ha perso la sua forza rivoluzionaria, forse nei paesi in via di sviluppo è ancora viva quella scintilla che da ai giovani la forza di andare contro il potere, mentre nel nostro occidente civilizzato chi fa musica vuole solo guadagnare soldi, non tutti come giusto che sia, ma se parli con un giovane musicista difficilmente ti dirà "Faccio punk perché odio il sistema e lo combatto". I tempi sono cambiati e anche il sistema è cambiato, bisognerebbe ribellarsi e gridare comunque NO FUTURE, ma dovrebbero essere i giovani non io che ho quasi 51 anni, ma han trovato il sistema per evitare di essere criticati aspramente, inutile che vi dica quale lo sapete. Con questo non voglio dire che tutti i giovani sono amminchiati e non si ribellano ad un sistema che per com'è sta distruggendo il mondo, ma se ne guardano bene dal disobbedire perché sanno che gli verrebbe negato lo status di "brava persona", personalmente me ne fotto dello status di normale, visto che la normalità è stata inventata da persone prive di fantasia (Alda Merini). Potrei continuare a libitum sul sistema sul fatto che non ci si ribella ecc ecc, ma tanto è solo un discorso come un altro oramai, giusto per iniziare la settimana bene dai 😁
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- Ciao mamma, sono arrivata un po' tardi ma volevo passare per un saluto.
- Io sono sempre contenta di vederti, sto aspettando tuo fratello, non è rientrato ancora da scuola, ma appena arriva vedrai!
- Non ti conviene aspettarlo mamma, si sarà trattenuto con i suoi amici. Che lavoro a maglia stai facendo?
- Questo? È un maglione per mia figlia, le piace l'arancione, la sto aspettando, anche lei non è ancora arrivata.
In silenzio la osservo mentre fa qualche punto e poco dopo con un espressione dubbiosa lo disfa, sono passati dieci minuti e non ha più detto niente e nemmeno io. Ogni tanto alza la testa, dirige lo sguardo in fondo al vialetto e con un movimento del capo contrariato seguito da un sospiro continua "il maglioncino". Sembra quello per una bambola, forse mi immagina ancora piccola nella sua testa. Mi alzo e le do un bacio, ritrovo i suoi occhi sorridenti dentro ai miei ma poi mi sento gelare quando mi dice: "arrivederci", anche se in fondo me lo aspettavo.
Lei non sa chi sono, solo a tratti mi riconosce, per tutto il tempo rimane lì in attesa di un bambino che non c'è più. Vorrei spazzare via il grigiore della sua memoria, ma non posso, così ogni volta l'abbraccio e respiro un po' del suo profumo prima di darle un bacio e lasciarla a quelle attese e al suo mondo fuori tempo.
Consuelo Accornero.
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Nei giorni di pioggia va bene ma no anche con il sole quel fantasma mi cammina accanto penso dovrà smettere prima o poi amore che vieni amore che vai… non pensarmi più che non mi hai mai pensato abbastanza in fondo in fondo a quel burrone ci sono finita io adesso il caos ha indossato un grembiule e cerca di mettere ordine ma lo sai lo sai che non è capace smetti di giocare a scacchi con i lanciatori di coriandoli smetti che non c’è partita sto rifacendo tutti i letti disfatti disfatti cercando quel pezzo perso ma non era in nessun posto e chissà dove sono finita io che mi cerco tra le parole che escono ma sono solo dentro quelle che restano in silenzio oggi ho un sorriso nuovo ma non è pieno è trattenuto incatenato insieme ai miei piedi che fanno sempre passi lasciando briciole vogliono esser certi di poter tornare indietro quella vecchia strada mi ha insegnato a fuggire così bene che non sono mai sicura di poter restare ho camminato talmente tanto che mi fa male tutto tutto mi fa male perfino questo momento quasi perfetto il sorriso sincero che arriva dritto al petto e io che chiudo gli occhi e col pensiero scappo fa paura il sole fa male agli occhi spegni la luce a chiudi la porta quando esci lasciami qui che a volte penso che sto meglio in questa torre perché la gente felice non ha mai niente da dire e forse mente… lasciami qui al buio non c’è rimasto niente da salvare anzi sono solo scorie adesso frammenti residui di una guerra ferma che non ha mai avuto battaglie né vinti né vincitori lasciami qui dammi ancora un minuto faccio un respiro poi accendo la luce.#karenlojelo #parole #scrittura #scrittriceitaliana #scrittrice #letteratura #quotesoftheday (presso SOME WHERE) https://www.instagram.com/p/CpvKMyzqlyH/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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