#loro senegal
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Questa mattina è accaduta una cosa meravigliosa, una delle più belle in assoluto da quando esiste il nostro blog: vi chiediamo di leggere questo post, anche per capire lo straordinario significato di questa foto.
Ousmane Diop è un giocatore della Dinamo Sassari, un ragazzo di 23 anni con una storia complicata alle spalle. Ha lasciato la famiglia in Senegal a 13 anni facendo una promessa a mamma e papà: "Tornerò quando diventerò un giocatore di basket e avrò i soldi per comprarvi una vera casa".
A 13 anni, in Italia, ha dormito per la prima volta in un letto da solo: prima lo condivideva con due fratelli.
Tra Udine, Torino e Sassari, è esploso il suo talento che gli ha permesso di diventare un grande giocatore di Serie A.
L'anno scorso, dopo non aver visto la sua famiglia dai 13 ai 22 anni, è tornato in Senegal e ad accoglierlo c'erano i genitori in lacrime davanti alla porta di quella nuova casa comprata dal loro bambino, nel frattempo diventato uomo.
Questa mattina, all'Istituto Comprensivo San Donato, la scuola e il rione più multietnico e problematico di Sassari, le maestre hanno proiettato in classe il video che abbiamo realizzato due mesi fa nel quale Ousmane racconta la sua storia: il video è questo https://youtu.be/TWrFqCzKsUM
Nella saletta-cinema della scuola c'erano un centinaio di bambini dai 6 ai 13 anni.
L'obiettivo era quello di dare un messaggio di speranza a dei bambini che vivono in condizioni non facili.
Alla fine della proiezione alcuni di loro si sono commossi, altri erano impazziti per la presenza di Ousmane "il gigante".
Il bambino al centro della foto è un bambino di 6 anni di origini nigeriane, che è rimasto particolarmente colpito dalla storia di Ousmane.
Ousmane, vedendolo piangere, è corso ad abbracciarlo.
Anche lui, alla fine, si è commosso.
L'abbraccio che vedete in questa foto testimonia la straordinaria grandezza dello sport.
Lo sport abbatte confini, è inclusivo, facilita i legami, è amicizia, è speranza, permette ad adulti e bambini di parlare la stessa lingua, di capirsi, di abbracciarsi, di condividere gioie ed ostacoli.
Ringraziamo LBA che ci ha dato la possibilità di realizzare questo video che ha colpito molte persone. Ringraziamo la Dinamo che ha dato una grande mano affinché si realizzasse questo incontro, e la Biblioteca Popolare dello Sport - Sassari che per prima ha avuto l'idea di portare il nostro video in una scuola.
Se qualcuno ci ponesse oggi la domanda "Ma perchè 12 anni fa avete creato un blog di basket?", risponderemmo mostrando questa foto.
@la giornata tipo su FB
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♥️QUESTI SONO GLI ESEMPI DI CUI ABBIAMO BISOGNO♥️
Il suo nome è Alessandro Frigiola, 81 anni, uno dei più famosi cardiochirurghi al mondo, ma è la sua storia degna del libro "Cuore" e non solo e non tanto per il suo lavoro.
Il dottor Frigiola ha eseguito più di 16mila interventi, più altri 20mila come tutor dei suoi numerosi allievi. Nella sua carriera, si stima abbia "salvato" 18 mila bambini.
Ma non per questo, non solo per questo, ha appena ricevuto la più alta onorificenza al merito della Repubblica dal Capo dello Stato.
Perchè, nonostante sia stato un luminare eccelso, il dottore è stato, ed è, in prima fila nella denuncia della malasanità: "I bambini sono sacri, e non solo loro" ha detto, ma esistono ancora eccessive carenze nei nostri ospedali e le patologie cardiache hanno ancora una importante mortalità, necessitano di cure molto costose e di fondi dedicati alla ricerca per trovare nuove soluzioni".
Un uomo coraggioso, prima ancora che uno scienziato, e non è ancora tutto, perchè ha fatto ancora di più, fondando vent'anni fa l’associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo, per dare una speranza di vita a migliaia di bambini di paesi poveri, destinati altrimenti a un’esistenza esposta al rischio di morte, e salvandone una marra in Siria, Kurdistan, Senegal, Camerun ed Egitto, solo per citarne alcuni.
Sapete cos'ha detto a Mattarella, ricevendo il premio? Ha detto così: "Questa onorificienza è un ulteriore stimolo a proseguire ancora con più tenacia sulla strada del bene. C’è ancora tanto da fare e per farlo c’è bisogno dell’aiuto di tutti”.
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IO CAPITANO
Ci sono film che sembrano non avere un regista, non perché il regista non abbia talento, ma perché sa farsi invisibile, sa nascondersi senza voler mostrare ad ogni costo la sua cifra stilistica, a tutto vantaggio della storia raccontata con le immagini. Questa volta però il soggetto della storia raccontata sembra uscito da un notiziario della sera, ma con l’epica drammaticità che solo il cinema sa mettere in campo. “Io capitano” di Matteo Garrone è un film che mette i brividi nonostante tratti di vicende che tutti conosciamo nel loro dipanarsi, ma che tutti cerchiamo di rimuovere dalle nostre coscienze. Due giovani ragazzi Seydou e Moussa, da Dakar in Senegal, intraprendono il loro viaggio della speranza che dovrà portarli in Italia e in Europa e paradossalmente il resto del film potrebbe anche non essere raccontato, poiché è facilissimo immaginarlo coniugando le informazioni fornite dai mezzi di comunicazione: la fuga dalla propria famiglia, i trafficanti di essere umani, gli stratagemmi, il deserto da attraversare, i predoni, le torture, le prigioni e, infine, quel Mediterraneo che fu chiamato non a caso dagli antichi “mare nostrum” e che i migranti potrebbero ribattezzare “mare monstrum”. Il film ha una dirompente e travolgente carica emotiva e ha la capacità di catapultare lo spettatore a fianco dei due protagonisti, facendocene percepire l’indomita volontà, la profonda umanità, ma anche le indicibili sofferenze, dal dolore delle membra percosse al bruciore della pelle torturata e brutalizzata, l’immane fatica dell’attraversamento del Sahara, la sete, il sudore…È indubbiamente questo che porta in dote la straordinaria pellicola di Matteo Garrone, cioè la sapienza di saper trasformare quelle che nelle nostre coscienze sembrano ormai essere “flatus vocis”, come i termini di “migrante”, “scafista”, “clandestino”, in qualcosa di tangibile. Il film non racconta solo una storia tra le tante, racconta la Storia, che non è fatta solo di politici, condottieri, generali, ma di persone senzienti che nutrono sentimenti e che hanno bisogni e necessità impellenti che è loro diritto cercare di soddisfare. Chi è un “clandestino”? Clandestino rispetto a chi? E chi è un “irregolare”? Irregolare rispetto a cosa? Era una domanda che aleggiava anni fa in una famosa canzone di Manu Chao. Il regista, senza alcuna necessità di esporre tesi o di supportare teorie o teoremi, ce lo dice con immagini chiare e dialoghi serrati (in lingua originale), senza troppi compiacimenti estetici. Non ci racconta di eroi (“Sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi” ammoniva Bertolt Brecht), ci racconta di anime e corpi che cercano il loro spazio vitale e che per trovarlo devono lasciare il loro sterminato continente, sfruttato da secoli dalle nostre civiltà (o inciviltà) capitaliste ed imperialiste. A fermare questo esodo non saranno certo qualche volenterosa signora della politica italiana o europea, né tantomeno qualche “capitano” da operetta. L”esodo” o “l’invasione” come ce lo fa immaginare la nostra cattiva coscienza, si fermerà solo quando verrà dispensata a quelle genti quel minimo di giustizia sociale che le nostre politiche ancora non considerano tra i diritti umani.
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https://www.meltingpot.org/2023/09/trattenere-e-umiliare-procedure-hotspot-a-porto-empedocle/
Trattenere e umiliare: procedure hotspot a Porto Empedocle
Il rapporto sul monitoraggio del progetto Mem.Med (Memoria Mediterranea)
22 Settembre 2023, di Silvia Di Meo e Yasmine Accardo, Mem.Med (Memoria Mediterranea)
Con i numerosi arrivi di persone via mare sull’isola di Lampedusa, è stata istituita una tensostruttura sulle coste siciliane di Porto Empedocle dove le persone vengono trattenute in condizioni critiche per espletare le procedure di identificazione e foto segnalamento. Davanti alle carenze strutturali, al sovraffollamento e alle violazioni di diritti, le persone migranti protestano.
La tensostruttura di Porto Empedocle
“No care, no help, no travel, no food”. Sono queste le parole scritte su un foglio di carta che Khaled sventola in mezzo alla strada principale di Porto Empedocle. Lui e Mohamed sono due minori somali approdati sull’isola di Lampedusa e poi trasferiti nella tensostruttura di Porto Empedocle dove stazionano ormai da 5 giorni. La situazione che sperimentano è chiara: “No freeedom” sintetizza Mohamed.
Li incontriamo insieme a centinaia di persone MSNA senza tutori e richiedenti asilo di diversa nazionalità, età e genere che nel corso di quest’ultima settimana sono state trasferite all’interno del campo empedoclino in attesa di essere ricollocate in centri di accoglienza in Sicilia e in altri luoghi della penisola.
Infatti, la tensostruttura collocata nel porto della cittadina agrigentina è da diversi mesi il secondo approdo delle persone migranti che giungono via mare a Lampedusa e che, a fronte dei numeri esponenziali di arrivi sull’isola delle Pelagie, sono stati spostati rapidamente sul territorio siciliano per alleggerire l’hotspot di Lampedusa.
La tensostruttura – che consiste in un piazzale di cemento dove sono collocati due tendoni, 18 bagni chimici e poche docce esterne – è un’area di sbarco temporanea che la Prefettura di Agrigento sembra utilizzare per identificare e smistare le persone migranti, coadiuvando di fatto le attività di pre-identificazione implementate dalle autorità nell’hotspot di Lampedusa. La tensostruttura è quindi un secondo punto di approdo in cui le persone – trasferite qui anche poche ore dopo lo sbarco lampedusano attraverso le navi traghetto Galaxy – vengono foto segnalate e viene rilasciato loro un numero identificativo. Si tratta di un numero stampato su un quadratino di carta senza cedolino e senza foto.
Qui le persone – donne, uomini, minori e famiglie originarie della Guinea Conakry, Costa D’Avorio, Senegal, Gambia, Burkina faso, Camerun, Sierra Leone, Giordania, Egitto, Tunisia, Siria, Mali, Sudan, Somalia, Etiopia, Liberia – stazionano per giorni e giorni, trattenute in maniera prolungata all’interno di un campo di cemento, presidiato dalle forze dell’ordine e gestito dal personale della Croce Rossa, dove sono praticamente assenti rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, grandi e piccole.
Nonostante il trattenimento dovrebbe durare solo il tempo necessario all’identificazione e alla disposizione del trasferimento, il transito non è breve e sembra durare una media di almeno 5 giorni. In questo tempo, alle persone è impedito di uscire dal cancello principale pertanto queste sono costrette, a causa della totale invivibilità del luogo, a saltare dalle recinzioni laterali e posteriori per cercare all’esterno aiuto, cibo, contatti, informazioni, libertà.
Le persone trattenute in questo luogo raccontano di non aver ricevuto alcuna informativa relativa all’accesso ai loro diritti, alla protezione internazionale o altre forme di tutele. Inoltre riferiscono di essere trattate come animali in gabbia: il campo infatti è senza letti, sedie, tavoli e le persone stazionano stese a terra – i più fortunati su cartonati di non precisata origine – sotto il sole cocente, in uno spiazzale ricoperto di spazzatura, cassonetti e avvolto dall’odore pungente dell’urina. Le persone riferiscono di vivere in stato di continua incertezza e forte stress dipendente non solo dalle condizioni strutturali di invivibilità del campo ma anche a causa dell’attesa prolungata di un trasferimento in accoglienza che sembra non arrivare mai.
E mentre si passa la giornata nell’afa di settembre – tra un cambio turno delle forze dell’ordine e un’intervista ufficiale rilasciata dalle autorità ai giornalisti – arrivano da Lampedusa traghetti carichi di almeno altre 400 o 500 persone migranti che vengono scortate fino all’ingresso del centro e fatte entrare nei piccoli vuoti di spazio rimasti nel piazzale. Qui le persone vengono sottoposte ad un appello pubblico, senza alcun rispetto della privacy e attraverso l’uso esclusivo delle lingue veicolari principali: francese, inglese, arabo.
In queste giornate di permanenza, qualche turista passava per il porto e fotografava le persone dietro le sbarre, qualche locale si lamentava del “disagio”, qualche giornalista riprendeva quelle persone trattenute che si infuriano dopo l’ennesima giornata di prigionia.
In questo circo periferico, la tensostruttura di Porto Empedocle risulta una zona d’ombra rispetto alle luci dello “spettacolo Lampedusa” che continua ad avere i riflettori puntati sulle proprie coste. Eppure nel corso della settimane le persone trattenute in questo piccolo piazzale – senza assistenza legale, sanitaria e libertà personale; senza letti, senza sufficienti professionisti medici e sociali, con carenze alimentari e patologie mediche – sono state più di 1.000, di cui l’80 per cento costituito da MSNA e altre figure cosiddette vulnerabili.
Le proteste delle donne
Il malessere è progressivamente cresciuto e così le manifestazioni di scontento delle persone trattenute. Diversi gruppi di persone hanno iniziato delle proteste per la condizione di trattamento disumano a cui sono costrette a Porto Empedocle: l’inadeguatezza alimentare – pane con formaggio e pomodoro a tutti i pasti, cibo in quantità e in qualità insufficiente – l’assoluta promiscuità senza separazioni spaziali tra uomini e donne, l’esposizione ad ulteriori condizioni di violenza e soprattutto la condizione di privazione della libertà.
Nella giornata del 19 settembre, un gruppo di donne minori guineane ha dato avvio ad una protesta femminile davanti al cancello principale della struttura, al grido di: “Liberateci! Liberateci! non siamo prigioniere, lasciateci andare!” Le ragazze sono dunque salite sul muro che delimita la struttura e hanno cominciato a gridare e ad arrampicarsi, tentando di scavalcare le inferriate.
Le donne hanno poi occupato l’ingresso della tensostruttura sedendosi a terra in segno di protesta. Questa condizione di esposizione alla violenza, a cui specifiche categorie di persone vulnerabilizzate – quali le donne e i MSNA, sono sottoposte – connota la gestione disciplinante di una struttura ideata e pensata come “deposito” di persone.
Persone che, giunte dalla violenta Sfax in Tunisia o dalla Libia, vivono un processo costante di sopraffazione, sottoposte a gravi violazioni di diritti e a continue forme di abuso, coercizione e limitazione della libertà che continuano ad essere raccontate, gestite e strumentalizzate a livello pubblico – tanto da politici che da giornalisti – come normali conseguenze di una condizione emergenziale. Un’emergenza che giustifica e normalizza il trattamento riservato ai neo sbarcati sulle coste nord del Mediterraneo, destinati ad essere “ritirati” e “riconsegnati” dai vari porto mediterranei, come abbiamo sentito dire in queste ore da chi gestisce la tensostruttura.
Tuttavia le persone migranti non sono inermi e continuano ad opporsi a questo controllo violento. Le diciassettenni guineane hanno preteso di avere nel piazzale un’area femminile di loro uso esclusivo, poiché ormai da più di 7 giorni erano completamente esposte senza alcuna tutela, preoccupate delle possibili violenze nel centro. Nei giorni successivi, esasperate, hanno scavalcato il muro del centro per cercare all’esterno un minimo di libertà e benessere. Due di loro erano fortemente indebolite da patologie pregresse che non erano state adeguatamente attenzionate e, per le strade del centro empedoclino, cercavano cibo e acqua.
Tra le numerose donne qui detenute, ce n’erano varie in stato di gravidanza. Alcune di loro sono state trasferite in ospedale per partorire e subito dopo ricollocate nella tensostruttura, senza i loro figli neonati.
Molte delle persone incontrate si trovavano in evidente stato di disidratazione e deprivazione fisica, nonché di forte sofferenza psicologica dipendente dal trattenimento prolungato e dalla mancanza di contatti con il mondo esterno. Tutti i trattenuti cercavano la possibilità di comunicare con le famiglie di origine o con conoscenti, desiderosi di avvisare i propri familiari del loro arrivo, non avendo potuto farlo nonostante l’approdo fosse avvenuto ormai da quasi una settimana.
Stazione di transito, trattenimento e deportazione
Questa stazione di transito e identificazione successiva a Lampedusa, sarà nelle prossime settimane potenziata e al posto della tensostruttura verrà adibito una struttura facente ufficialmente funzione hotspot, che sta nascendo dai lavori in corso in queste ore. Il Prefetto di Agrigento, Filippo Romano ha dichiarato che: “l’hotspot di Porto Empedocle sarà collegato a quello di Lampedusa dalla stessa gestione, la Croce Rossa (…) I due hotspot devono essere visti come una sorta di ponte: quello di Lampedusa accoglie in prima battuta e quello di Porto Empedocle instrada, il più velocemente possibile, verso i pullman“.
In continuità con la gestione migratoria che ha caratterizzato le politiche europee negli anni passati, l’unico “ponte” finanziato e promosso è quello che conduce alla sorveglianza, all’umiliazione, allo smistamento e incanalamento giuridico di persone che vengono irregolarizzate, dove il dispositivo della detenzione continua ad essere principale strumento di controllo degli spostamenti umani.
Questa modalità di controllo della mobilità delle persone in arrivo alla frontiera siciliana è da inquadrare nelle nuove riforme promesse dal governo: il rafforzamento a livello nazionale del sistema detentivo del CPR, con nuove strutture e un periodo di trattenimento esteso a 18 mesi; l’introduzione di nuovi centri identificativi e di rimpatrio come CPRI a Modica, nella Sicilia orientale costituiscono la risposta europea e nazionale all’aumento degli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, due luoghi da cui le persone continuano a fuggire forzatamente, sopravvissute ai regimi che i governi europei continuano a finanziare.
In tal senso, i discorsi di Meloni e Von Der Leyen che – durante la passerella a Lampedusa nei giorni del sovraffollamento – hanno inneggiato all’arresto dei trafficanti e alla sorveglianza militare, sono in continuità con un sistema che pone come soluzione la detenzione al posto di una vera accoglienza, la violenza al posto dei diritti e che – con l’ausilio delle nuove strutture – affinerà la macchina criminalizzante della deportazione.
Intanto, mentre nei diversi angoli della Sicilia occidentale e orientale proliferano hotspot e ghetti istituzionali, mentre le politiche promettono blocchi nel Mediterraneo e pseudo accoglienza a terra, le persone migranti continueranno a protestare per la libertà di movimento ed ad arrampicarsi sui muri della detenzione per pretendere rispetto dei diritti e reclamare la loro libertà.
#Accoglienza#Approdi#Diritto di asilo#Donne e migrazioni#Minori e Minori Stranieri Non Accompagnati#Trattenimento - detenzione#Violazioni e abusi#CPR#Hotspot#CPA#Sicilia - Lampedusa#Lampedusa#Italia#Mediterraneo centrale#Sicilia
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Passarono i giorni e le settimane e il pensiero di Samuel continuava a fare capolino nella mia testa. Sapevo che la mia voglia di lui era sempre lì che aspettava di uscire. Ma non sapevo come fare, io vivevo ancora con i miei, mentre lui stava in un appartamento con altri ragazzi che era sempre occupato.
Finalmente arrivò l’occasione che aspettavo: un paio di amiche, studentesse fuori sede andavano a casa per le vacanze di Pasqua e mi prestarono casa loro.
Chiamai Samuel e lo invitai ad uscire. Mi disse che mi avrebbe portato in un posto dove servivano cibo africano, poi avremmo deciso che fare, anche se io avevo già il mio programma. Ci vedemmo in centro per l’ora dell’aperitivo. Avevo indossato un lungo abito grigio, sotto il quale avevo messo un intimo da urlo, un perizoma minuscolo, un reggiseno di pizzo e un paio di calze autoreggenti nere; un paio di scarpe con un po’ di tacco completavano l’opera. Dopo l’aperitivo andammo a cena, dove mangiammo molto bene, con Samuel che mi raccontava la sua vita, sempre in giro per il mondo, a seguito del lavoro di suo padre, che era immigrato in Francia dal Senegal molti anni prima ed era riuscito a farsi una posizione sociale di un certo tipo, grazie alle sue capacità. Lui si sentiva francese a tutti gli effetti, ormai, nato e cresciuto in Francia, del suo paese conosceva solo le tradizioni che gli erano state raccontate e ciò che aveva visto quando andava a trovare i parenti che erano rimasti là. Stava per laurearsi in medicina e non escludeva in futuro di andare ad alleviare le sofferenze dei popoli africani. Chissà, forse un giorno, diceva e io lo ammiravo, quella pelle liscia e scura, quei suoi occhi altrettanto scuri, il suo italiano quasi perfetto, “macchiato” solo da qualche inflessione francese.
Finimmo la cena e proposi una passeggiata per digerire, il clima era piacevole, la primavera stava arrivando a Bologna e la città si risvegliava dopo il torpore dell’inverno, come sempre in quella stagione. Ovviamente lui non lo sapeva, ma la mia passeggiata era scientificamente diretta a portarci all’appartamento delle mie amiche, dal quale ero passata nel pomeriggio, avevo fatto un letto con le mie lenzuola e avevo lasciato una buona dose di preservativi. Mi fermai esattamente a pochi passi dal portone della casa, lo fissai negli occhi (cosa non semplice, vista la differenza di altezza) e cercai la sua bocca per baciarlo. C’era già stato qualcosa fra di noi e questo ci permise di saltare tutti quei convenevoli che di solito si frappongono a un bacio. La sua grande mano passò dietro il mio collo, quasi a volermi sostenere la testa, le sue labbra si appoggiarono alle mie e le nostre lingue fecero il resto. In mezzo a quei baci e a quell’intrecciarsi di lingue gli sussurrai “Voglio fare l’amore con te” e lui ripose “Anch’io, ma dove andiamo?”.
Feci il gesto di chiudergli gli occhi e gli dissi piano “Fidati di me. Chiudi gli occhi” e lo presi per mano, entrando nel portone del palazzo dove stava l’appartamento delle mie amiche.
Salimmo le scale ed entrammo in casa e senza che nemmeno potesse chiedersi dove fossimo ricominciai a baciarlo furiosamente. In un attimo le sue possenti mani stavano esplorando il mio corpo, infilandosi sotto il vestito, mentre io gli sbottonavo la camicia scoprendo quel torace nero e liscio. Poi mi inginocchiai, gli slacciai i pantaloni e liberai dalle mutande quello stupendo arnese. Stavolta lo vedevo bene e devo dire che era veramente enorme. Lo misi in bocca e cominciai a succhiarlo, mano a mano che cresceva nella mia bocca mi rendevo conto delle sue dimensioni. Mi guardava e ad un certo punto mi disse “Spogliati per me”.
Mi staccai da lui, feci un paio di passi indietro e lo guardai con lo sguardo più malizioso che mi venne, poi iniziai a togliere il vestito, rimanendo in mutandine, reggiseno e autoreggenti. Lo vidi trasalire, mentre si toglieva i pantaloni e i boxer e ancora di più quando mi tolsi il reggiseno e poi il perizoma, rimanendo solo con le autoreggenti e le scarpe, che tolsi sdraiandomi sul letto. Lo guardai e gli dissi “Vieni… Ma prima metti questo” e gli passai un preservativo. Allargai le gambe e mi preparai a ricevere quella meraviglia nera. Lui lo appoggiò piano alle mie labbra e poi mi prese. Lasciai partire due urli di piacere, anche se in realtà sulle prime provai un po’ di dolore, che se ne andò in fretta sotto i suoi potenti colpi. Ero eccitatissima, lo sentivo dentro di me, mi sembrava di essere spaccata in due, il mio respiro era affannoso, i miei rantoli di piacere sempre più forti, finché non raggiunsi il piacere, sottolineato da un urlo roco che Samuel si affrettò ad attutire mettendo la sua mano davanti alla mia bocca.
Mi aveva fatto godere, si sfilò e si sdraiò sul letto supino. Rimasi per un attimo ad ammirare quella specie di obelisco nero e ci salii a cavalcioni, girata in modo da guardarlo negli occhi. In quella posizione ho sempre provato un piacere incredibile, ora poi che sentivo le sue mani sulle mie natiche che mi guidavano su e giù stavo impazzendo. Reclinai il busto in avanti e mi sdraiai sul suo petto, baciando ogni centimetro della sua pelle che mi capitava a tiro. Lo vidi che stava per godere e infatti di lì a poco lo sentii che che veniva nel preservativo dentro di me. Da parte mia queste sensazioni mi fecero perdere completamente il controllo e raggiunsi un altro orgasmo assieme a lui.
Rimanemmo un po’ lì abbracciati, poi andammo in bagno e poco dopo eravamo di nuovo a letto. Accarezzavo il suo petto, ma non riuscivo a resistere e mi misi a giocherellare con il suo membro, sentendo che stava ritornando duro. Mi fece girare supina e si mise sopra di me, porgendomelo da leccare. Nel frattempo le sue mani si prendevano cura di me, facendomi bagnare senza difficoltà. Presi un altro preservativo, glielo misi, poi mi sfilai da sotto, mi misi alla pecorina e gli dissi: “Dai, prendimi….”.
Lo sentii che si appoggiava e poi scivolava dentro. Le sue mani mi afferrarono dai fianchi e cominciò a spingere con decisione. In quella posizione lo sentivo che entrava prepotentemente dentro di me fino in fondo, mi sentii completamente in balia di quell’uomo tanto gentile quanto possente. I suoi colpi mi davano la sensazione di aprirmi a metà, sentivo il suo corpo sbattere contro il mio mentre le sue mani mi stringevano decise. Sentii l’orgasmo montare prepotentemente dentro di me e venni con un altro urlo che soffocai mettendo la testa sul cuscino.
Lui non ne aveva ancora abbastanza, era venuto poco prima e adesso aveva ancora voglia. Mi fece girare su un fianco e, mettendosi accanto a me, ricominciò a possedermi, mentre le sue mani si allungavano a toccare i miei seni. Sembrava instancabile, proseguiva con foga a battere i suoi colpi dentro di me, mi toccava, e io sapevo che a breve avrei goduto di nuovo. Avevo la vista annebbiata, copiosi umori scendevano lungo le mie gambe e sentii che stava arrivando il momento del piacere, che infatti non tardò, facendomi contorcere come una serpe e urlare di nuovo.
Quando fui di nuovo in grado di parlare dissi: “Ti voglio in bocca”. Mi fece sdraiare e si mise sopra di me, gli tolsi il preservativo intriso dei miei umori e ricominciai a succhiarlo.
Non passò troppo tempo quando lo sentii dire “Si, vengo….” e prenderlo in mano per riversare una quantità enorme di sperma sul mio viso e nella mia bocca che, aperta davanti a lui, lo attendeva. Sembrava non finire più, cercavo di prenderlo tutto ma era tantissimo, avevo il viso mezzo coperto dalla sua crema che cercavo di raccogliere con la lingua, avidamente, mentre leccavo anche la sua asta nera per ripulirla da ogni goccia del suo piacere.
Andammo in bagno e poi tornammo a letto, deve ci addormentammo nudi e abbracciati. Ci eravamo donati reciprocamente un piacere intenso e profondo e rimanemmo così fino al mattino.
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(via Oscar 2025 Miglior film internazionale: l'Italia seleziona Vermiglio)
L'Italia presenta agli Oscar 2025 Vermiglio, un toccante melodramma che ci immerge in un mondo rurale ormai ai margini. Il pluripremiato film di Maura Delpero vincitrice del Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Venezia, che racconta una storia avvincente e intima in un microcosmo sociale che merita di essere raccontato, concorrerà nella categoria Miglior film internazionale sfidando gli “attuali” favoriti come Francia (Emilia Perez), Germania (The Seed of the Sacred Fig), Irlanda (Kneecap), Brasile (I'm Still Here), Senegal (Dahomey), Portogallo (Grand Tour), Danimarca (The Girl with the Needle).TRAMA: Sul confine tra l'adolescenza e la maturità, Flavia, Lucia e Ada vivono l'ultimo anno di guerra in Trentino-Alto Adige. Un colpo improvviso le proietta nell'età adulta, segnando indelebilmente le loro vite.Vermiglio è stato selezionato per due importanti festival che precedono la Stagione dei Premi americana: il Toronto International Film Festival e il BFI London Film Festival.
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Vicenza: rapinatori seriali arrestati, si chiude il cerchio su una serie di rapine
Vicenza: rapinatori seriali arrestati, si chiude il cerchio su una serie di rapine Al termine di una serrata e complessa attività d'indagine, coordinata dal Dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Vicenza, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato Raimondo Martorano, gli Agenti delle Volanti hanno proceduto all'arresto di J.L. cittadino nigeriano classe '92 e F.P., originario del Senegal, classe 79, ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di alcune rapine avvenute nel centro cittadino di Vicenza tra il 4 marzo ed il 2 aprile. In due distinte occasioni, in particolare, J.L., armato di un coltello con una lama lunga più di 40 cm, minacciava due individui intenti a prelevare danaro contante presso l'ATM di una banca sita in Viale Verona. L'uomo, con l'aiuto di un complice, riusciva a farsi consegnare nel primo caso 500 euro e nel secondo 600 euro; in entrambi gli episodi, al termine di una colluttazione con le vittime, i due malviventi riuscivano a dileguarsi senza lasciare traccia. Alcuni giorni dopo, in Viale Sant'Agostino prima e in Via Torino poi, a cadere nella rete dei due, una donna di origini peruviane e un cittadino rumeno. Nel primo caso, alla donna veniva sottratto un telefono cellulare ed 80 euro in contanti custoditi nella sua borsa, strappata dai due proprio mentre si trovava alla fermata dell'autobus di Viale Sant'Agostino; la vittima, nel tentativo disperato di trattenere con sé la borsa, veniva spintonata da uno dei due, cadendo al suolo e riportando lesioni al polso e alle gambe giudicate guaribili in 10 gironi. Nel secondo episodio, J.L., di notte, in Via Torino, intercettava un uomo di origini romene e, con la scusa di chiedergli una sigaretta, lo immobilizzava consentendo al complice, intanto sopraggiunto alle spalle della vittima, di rovistare nelle sue tasche e di asportargli la somma di 70 euro ed un telefono cellulare. Tutti e quattro gli episodi venivano puntualmente ricostruiti dagli Agenti, consentendone l'arresto venerdì 12 aprile. I due, che si nascondevano in un immobile abbandonato in Via Ferretto dei Ferretti, venivano raggiunti da due ordinanze di custodia cautelare in carcere e, al termine delle attività di compiuta identificazione, associati presso la casa circondariale di Vicenza. Nel corso dell'accesso al loro rifugio, inoltre, veniva identificato un altro cittadino extracomunitario (K.M., cittadino senegalese classe 96), del tutto estraneo ai fatti criminosi commessi dai loro "coinquilini" ma deferito alla competente Autorità Giudiziaria, in stato di libertà, in quanto inottemperante al foglio di via e al divieto di dimora nel capoluogo berico. Il Questore della provincia di Vicenza, Dario Sallustio, dichiara "a conclusione di questa complessa ed articolata attività investigativa, intendo esprimere il mio plauso ed apprezzamento per l'impegno ed il grande intuito investigativo dei Poliziotti che hanno minuziosamente ricostruito diversi episodi criminosi, spesso compiuti in orario serale ed a notte fonda, da parte di soggetti estremamente pericolosi. Gli Uffici investigativi della Questura, magistralmente coordinati dalla locale Procura della Repubblica con cui si è instaurata una sinergia rapida ed efficace, sono riusciti ad assicurare alla giustizia due soggetti estremamente determinati nel delinquere che, se lasciati ancora liberi di agire, avrebbero sicuramente continuato a mettere a segno altri reati, con conseguente sempre più gravi".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Dal 17 febbraio al 21 aprile (anteprima stampa il 16 febbraio alle ore 12.00 e inaugurazione alle ore 18.00) il Museo Carlo Bilotti di Roma, in Via Fiorello La Guardia, 6 e Viale dell’Aranciera, 4 nel cuore di Villa Borghese, ospita, a cura di Gabriele Simongini, la mostra, progettata dall’artista per il Museo, “Manuel Felisi 1:1” dedicata al mondo animale (ingresso gratuito; orari: dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 16.00 e il sabato e la domenica dalle 10.00 alle 19.00). Il Museo Carlo Bilotti, per l’artista, è la sede ideale per ospitare il suo progetto incentrato sulla raffigurazione su grandi tavole di legno di un bestiario posto in dialogo con il vicino Bioparco, il giardino zoologico più antico d’Italia (Piazzale del Giardino Zoologico, 1, aperto tutti i giorni). La collaborazione con la Fondazione Bioparco di Roma inoltre consente di osservare dal vivo alcuni degli animali ritratti dall’artista e protetti al suo interno per rendere possibile un ulteriore approfondimento sulla natura delle specie. In esposizione 80 opere, come suggerisce il titolo “1:1”, a grandezza naturale, realizzate con la tecnica di pittura ibrida - cifra stilistica di Felisi (Milano, 1976) - che da sempre pratica un’arte di commistione tra tecniche e linguaggi, modi della tradizione e innovazione tecnologica, trovando nella versatilità la chiave della sua ricerca. “Felisi/Noè - scrive il curatore Gabriele Simongini - porta nella grande Arca della pittura l’immagine/memoria di animali la cui esistenza è spesso minacciata dalla nostra folle e pervasiva aggressione ambientale. Sospesi fra apparizione e scomparsa, non di rado trasformati in presenze fantasmatiche, gli animali ci fissano quasi increduli, stagliandosi in scala reale su sfondi che sembrano evocare anche la raffinatezza dell’Art Déco e comunque un tempo che già appartiene alla dimensione del ricordo.” Infatti, se nelle opere dell’artista l’iconografia centrale sono le forme arboree e floreali, simboli di vita che inneggiano alla forza della natura, nella mostra 1:1 Felisi si cimenta per la prima volta nella rappresentazione del regno animale, che vede insieme a opere bidimensionali, alcuni lavori sottratti alla staticità attraverso animazione digitale ottenuta con interventi di digital art. “Sulle ampie superfici di legno - afferma l’artista - i rulli e le garze, le resine e le campiture irregolari che caratterizzano la mia pittura hanno trovato il terreno fertile per creare un mondo fantastico dove immergere i miei animali.“ La mostra è nata nell’anima dell’artista nel corso del primo lockdown, nella primavera del 2020. In un periodo drammatico come quello del Covid e di stasi forzata, alcune foto di animali, scattate da Felisi durante un viaggio in Senegal, “hanno suggerito una riflessione sui pericoli che le specie animali stanno correndo a causa del degrado del loro habitat naturale. Attraverso la mediazione dell’arte, Felisi crea così l’idea di un giardino incantato che possa mettere al riparo gli animali da qualsiasi insidia. Il richiamo evidente è quello con l’Arca biblica. Ogni Arca è fatta di legno e quella creata da Felisi non fa eccezione, motivo per cui per le opere in mostra utilizza grandi tavole di legno. Non mancano i richiami al Contemporaneo. In particolare al ‘Bestiario’ realizzato da Andrea Pazienza, una raccolta di disegni, schizzi, illustrazioni del noto fumettista dedicati al mondo animale e alle creazioni per bambini ideate da Bruno Munari, in cui le forme degli animali giocano un ruolo chiave”. Nel corso del vernissage, venerdì 16 febbraio alle ore 18.00 si svolgerà un incontro, moderato dal curatore Gabriele Simongini, organizzato da National Geographic Italia, tra Manuel Felisi e il pluripremiato fotografo naturalista Bruno D’Amicis. Il confronto tra i due porterà Felisi alla realizzazione di un’opera inedita sulla base di una foto di D’Amicis raffigurante un grande orso marsicano, con l’idea di sensibilizzare il pubblico alla conservazione di questa specie a rischio anche attraverso lo specifico linguaggio dell’artista.
Attualmente a Roma, presso l’Aeroporto di Fiumicino al Terminal 1, in sintonia con la mostra allestita al Museo Bilotti, sono in esposizione due opere di grande dimensione di Manuel Felisi dal titolo Vertigine posizionate una di fronte all’altra: una serie di griglie composte da piccole tele vanno a scomporre e a ricomporre fotografie di alberi, ritratti senza foglie e protesi verso il cielo in due momenti diversi nell’arco della giornata, la mattina e la sera. Le opere testimoniano l’intento dell’artista di portare l’attenzione - in un luogo di continuo passaggio - sul mondo della natura e sulla preservazione dell’ambiente. L’esposizione, accompagnata da un ampio catalogo pubblicato da Gangemi Editore, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, prodotta e organizzata dalla Galleria Russo con il sostegno del Gruppo Banca del Fucino, in collaborazione con la Fondazione Bioparco di Roma e in media partnership con National Geographic Italia.
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Mares: 75 Anni di Eccellenza Subacquea e Innovazione
Benvenuti nel mondo di Mares, un'azienda che ha plasmato il panorama delle attrezzature subacquee con la sua straordinaria storia, impegno all'innovazione e tecnologie avanzate.
Quest'anno, Mares celebra il suo 75º anniversario, un traguardo che sottolinea l'impegno costante per l'eccellenza e la soddisfazione dei subacquei di tutto il mondo.
Origini e Fondazione
La storia di Mares inizia nel cuore delle acque cristalline del Mar Mediterraneo. Fondata nel 1949 da Ludovico Mares, l'azienda ha avuto umili inizi come piccolo laboratorio artigianale a Rapallo, Italia.
Durante la prima guerra mondiale, Ludovico Mares ha prestato servizio come subacqueo nella flotta della Regia Marina Austriaca. Dopo il conflitto, ha continuato a praticare immersioni, specializzandosi nel recupero di oggetti sommersi.
Al termine della seconda guerra mondiale, insieme ad altri profughi istriani, Ludovico è emigrato e si è stabilito a Rapallo. Qui, ha avviato un'azienda di costruzione di attrezzature per subacquei.
All'inizio, la produzione si limitava a pochi fucili, maschere e pinne. Tuttavia, grazie alla loro innovazione e alla precisione costruttiva basata su una profonda comprensione del mondo subacqueo, i prodotti Mares hanno guadagnato popolarità in tutto il mondo nel giro di pochi anni.
Ludovico Mares è stato una figura chiave nell'affermare la popolarità del fucile pneumatico per la pesca subacquea negli anni '60. Ha anche sperimentato nuovi approcci alla propulsione, utilizzando pinne fatte di materiali come tela cerata e giunco. Questi esperimenti sono ora parte della collezione del Museo del Mare di Gorée, in Senegal.
L'impegno per la qualità e la passione per l'immersione hanno presto fatto crescere Mares, portandola a diventare un punto di riferimento nel mondo subacqueo.
Nel 1971, Ludovico Mares ha deciso di ritirarsi dal mondo del lavoro, cedendo l'azienda a una grande multinazionale. Ancora oggi, Mares fa parte di questo gruppo, ora chiamato Head NV.
Nonostante il cambio di proprietà, Mares ha mantenuto il suo spirito innovativo originale. Continua a cercare l'eccellenza nella progettazione e nella realizzazione dei suoi prodotti, introducendo nel tempo numerose innovazioni nel mondo dell'immersione subacquea.
Punti di Forza
Mares ha consolidato la sua reputazione nel corso degli anni, diventando sinonimo di affidabilità, sicurezza e innovazione. Nel corso della sua straordinaria storia, Mares ha introdotto al mondo alcuni dei prodotti più iconici, diventati best seller globali.
La ricerca costante per materiali di qualità e l'attenzione ai dettagli nella progettazione degli equipaggiamenti hanno contribuito al successo di Mares. La gamma di prodotti spazia dalle maschere alle mute, dagli erogatori ai computer subacquei, offrendo soluzioni complete per ogni esigenza subacquea.
Ma non solo: Mares sostiene attivamente il progetto Blue Oceans di SSI. Negli ultimi tre anni, Mares si è impegnata a ridurre l’uso della plastica nei propri imballaggi per contribuire a una miglior tutela del pianeta.I primi passi sono stati fatti, introducendo gradualmente materiali alternativi in tutte le linee, nella speranza di sostituire completamente la plastica nel prossimo futuro.
Innovazione e Futuro
Il DNA innovativo di Mares ha portato all'introduzione di tecnologie all'avanguardia nel mondo delle attrezzature subacquee. Dai primi giorni, Mares ha investito in ricerca e sviluppo, portando all'implementazione di materiali leggeri e resistenti, progettazioni ergonomiche e soluzioni tecnologiche avanzate.
Tra i prodotti più famosi e di successo nelle vendite di Mares, spiccano la maschera Mares X-Vision, con il suo design innovativo e comfort ineguagliabile, le pinne Mares Avanti Quattro, con capacità propulsiva e comodità di utilizzo tuttora ineguagliate, e il computer subacqueo Mares Puck Pro, che ha ridefinito gli standard di facilità d'uso e funzionalità avanzate.
In conclusione, festeggiamo i 75 anni di Mares, un'icona di eccellenza subacquea che ha plasmato il panorama dell'immersione. Un viaggio straordinario che unisce passato, presente e futuro, dove ogni immersione è un'affermazione della dedizione di Mares a offrire il meglio ai subacquei di tutto il mondo. Scopri tutti i prodotti e le novità di Mares, sul nostro shop ufficiale
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Dal film di Matteo Garrone “Io Capitano” ad una riflessione profonda sull’accoglienza. E’ accaduto al The Space Cinema, dove si è tenuto un incontro di sensibilizzazione promosso dal Progetto Sai di Corciano. Ad essere coinvolti gli alunni partecipanti al progetto Cinema dell’ IIS Cavour Marconi Pascal di Perugia che hanno assistito alla proiezione di “Io Capitano”, l’emozionante film di Matteo Garrone con protagonisti due giovani migranti dal Senegal. “E’ importante che i ragazzi delle scuole, nonché coetanei di tanti giovani che si trovano in difficoltà e scappano dai loro Paesi per trovare conforto nel nostro, si ritrovino a riflettere sui […]
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Eunice Brookman-Amissah
Eunice Brookman-Amissah, medica e politica, pioniera nel campo della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi. È stata ministra della Sanità del Ghana, ambasciatrice nei Paesi Bassi e la prima donna alla vicepresidenza della Ghana Medical Association.
Importante punto di riferimento in tema di aborto sicuro, nel 2023 è stata insignita del Right Livelihood Award, conosciuto come il Premio Nobel alternativo, per l’impegno pionieristico sui diritti riproduttivi delle donne in Africa, per aver indicato i criteri per la legalizzazione delle interruzioni di gravidanza aprendo la strada alla liberalizzazione delle leggi sull’aborto.
In trent’anni di incessante impegno ha contribuito a spostare la discussione sull’aborto da argomento considerato tabù a tema di rilievo sanitario, influenzando dibattiti e riforme legali.
Ha guidato attività di advocacy di alto livello, elaborato programmi di sensibilizzazione e formazione sui diritti riproduttivi delle donne, riunendo persone esperte operanti nel sistema sanitario, in quello legale e nelle funzioni governative, per sostenere le riforme della legge sull’aborto in diversi paesi africani come Mozambico, Sierra Leone, Benin, Swaziland e Kenya. Ha anche contribuito a migliorare l’attuazione delle leggi sull’aborto in Ghana, Zambia, Malawi, Senegal e Mauritius.
La sua posizione, negli anni, le ha procurato molte opposizioni, è stata minacciata di morte da parte di gruppi estremisti, ma la sua determinazione a porre fine alle morti inutili e alle disabilità dovute a interventi non sicuri è rimasta incrollabile.
Dal 2000, ha contribuito a ridurre del 40% i decessi legati all’aborto nell’Africa sub-sahariana, area in cui l’accesso all’aborto è limitato al 92% delle donne, mentre ogni anno si eseguono sei milioni di interruzioni di gravidanza illegali e non sicure, risultando l’area più pericolosa al mondo per le donne che ricorrono alla pratica.
Eunice Brookman-Amissah ha lottato instancabilmente per l’emancipazione delle donne, per il loro empowerment, per tutelare la loro salute, affinché vivano in una società più equa e rispettosa in cui migliorare personalmente e professionalmente.
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TRAMA IO CAPITANO
Dopo il Leone d’Argento per la migliore regia al Festival del Cinema di Venezia 2023 per il film “Io capitano“, Matteo Garrone è stato ospite di Fabio Canino e della Laura.
Io Capitano, film diretto da Matteo Garrone, racconta la storia di due giovani Seydou e Moussa (Seydou Sarr e Moustapha Fall), che partono da Dakar, in Senegal, per affrontare un lungo viaggio per raggiungere l'Europa.
La loro diventa un'odissea nel mondo contemporaneo, che li porta ad attraversare il deserto e le sue mille insidie, i pericoli del mare aperto e lo stesso essere umano, pieno di ambiguità e ipocrisia.
Io Capitano è un film di genere drammatico del 2023, diretto da Matteo Garrone, con Seydou Sarr e Moustapha Fall. Uscita al cinema il 07 settembre 2023. Durata 121 minuti. Distribuito da 01 Distribution.
Tutti i siti streamfullhd.live presenti presenti su internet, compreso il nostro, lavorano ed esistono grazie alla pubblicità presente sulle loro pagine e fin qua tutto ok, ma una cosa è la pubblicità che si sceglie volontariamente di visionare e una cosa sono i pop up invasivi che si aprono e che si moltiplicano, che non danno modo più di chiuderli e uscirne fuori, una cosa veramente fastidiosa e eccessiva.
“Queste persone non vogliono venire in Italia, ma vogliono raggiungere l’Europa o addirittura l’America. Oggi, anche con i social, hanno una finestra costante sul nostro mondo. Però, al di là di questo, il film racconta un cambio di prospettiva: abbiamo cercato di mettere la macchina da presa dall’altra parte in una sorta di controcampo, per raccontare un viaggio epico perché sono loro gli unici portatori dell’epica contemporanea e abbiamo raccontato la storia dal loro punto di vista. Questo perché? Per cercare di far rivivere, a chi vedrà il film, quell’esperienza che loro vivono, con tutti i momenti di sconforto e disperazione, ma anche tanti momenti di speranza in cui sembra che tutto sia a un passo dall’essere raggiunto. È un romanzo di formazione“
Grazie al browser Chrome, esistono delle impostazioni che vi permettono di bloccare i pop up, ed escludere altri che invece li utilizzano non in modo molesto, ora vi farò vedere come:
Apri il browser Chrome.
Clicca sui 3 puntini in verticale che trovi in alto a destra in Chrome e poi su “Impostazioni”.
Sulla sinistra clicca su “Privacy e sicurezza” e poi su “Impostazioni sito“.
Scorri in basso e clicca su “Popup e reindirizzamenti”
Qui imposta la scelta su “Non consentire ai siti di inviare popup o utilizzare reindirizzamenti”. Poco più sotto alla voce “Possono inviare popup e utilizzare reindirizzamenti” puoi inserire i siti che vuoi escludere dal blocco dell’invio dei popup.
In questo modo, avremo finalmente posto rimedio a questo fastidioso problema, vi ricordo inoltre che basta riattivare la spunta su “Consenti in Popup e reindirizzamenti” per far tornare tutto come prima.
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Premi su Play e all’apparizione del messaggio in cui ti viene detto che devi essere registrato per vedere o scaricare filmati, premi sulla X e clicca nuovamente su Play. Chiudi le ¾ finestre che si aprono e riprova a premere Play per far partire il film.
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ARABOFUTURS (parte II)
(segue) Sempre incentrate su forme naturali, le opere di Hala Schoukair: una scultura organica e vivente che compone mondi apparentemente naturali, che reali non sono, ma puramente immaginari e viene da chiedersi se per caso non siano mondi reali “altri”. Sempre nell’ambito del paradigma natura/futuro parlano le architetture del paesaggio di Zahrah Al Ghamdi. Il grande plastico all’ingresso della mostra realizzato con materiali naturali evidenzia una tensione tra i grandi spazi naturali del mondo arabo e il devastante ambiente urbano e mette bene in mostra l’anima della sua produzione; si tratta di “Birth of Place”, completamente in argilla, materia estratta da sito di Al-Turaif nei pressi di Ryadh, luogo che è patrimonio UNESCO. L’installazione è una sorte di skyline di grattacieli naturali modellati appunto in argilla. “Mycellium Running” oscilla anch’esso tra organico ed inorganico: mille piccole ed irregolari sfere in cuoio che ricoprono una parete della sala espositiva e che ricordano un organismo, non si sa bene se animale o vegetale. Tante e che vanno in diverse direzione, le suggestioni della mostra: una fantascienza più vicina all’immaginario anni Ottanta, è certamente quella di Ayham Jabr, con immagini veicolate sul web, più simili a quelle immaginate dal mondo del fumetto che non a quello di progettualità effettive. Nell’ambito della fotografia vorrei ricordare il lavoro, assolutamente originale, di Skyseeef, pseudonimo di Youssef Oubahou, marocchino, classe 1999 che con la serie fotografica “Culture is Waves of the future” (2022-2024), presenta una serie di veicoli (auto e camion), privi di ruote che fluttuano a pochi centimetri dalla terra riarsa del deserto. I veicoli sembrano fluttuare su un cuscino d’aria molto futuristico, ma conservano, sulle carrozzerie, i segni del tempo, un tempo che è il nostro. Certo è, che la cultura visiva di questo giovane artista sembra inglobare in sé le auto volanti di Blade Runner, come i veicoli del futuro anteriore immaginato da Enki Bilal. Molto interessante la sezione video, che fa giustizia (parziale) dell’assenza pressoché totale della science fiction negli studi sul cinema arabo del XX secolo. Ci aveva pensato nel 2013 una studiosa italiana, Ada Barbaro a cercare di porre rimedio alla lacuna con il suo libro “La fantascienza nella letteratura araba”, in cui si faceva cenno a quella cinematografia di quei paesi, ma certo è che “Arabofuturs” porta finalmente il cinema di fantascienza arabo, nel cuore culturale dell’Europa. A questo proposito sono da considerarsi assolutamente sorprendenti alcune creazioni come “Le voyage verso la lune” del 1959 girato da Rehla Ila al Qamar. Per concludere questo parziale excursus sugli artisti e sulle artiste presenti in questa mostra dell’IMA,( la cui chiusura, visto il grande successo è stata più volte posticipata), mi piace ricordare il lavoro di Fatima Al Qadiri, artista multidisciplinare originaria di Dakar in Senegal e Sophia Al-Maria scrittrice e cineasta originaria del Qatar. Proprio a loro, come già ricordato, si deve la nascita del termine “Gulf Futurism”. Nella loro bella serie fotografica ironizzano sul concetto di pop-culture gettando uno sguardo disincantato e distaccato su quello sfrenato consumismo, a cui molta parte del mondo arabo guarda ormai come ad un punto di riferimento e che affascina l’universo femminile di quei paesi, che ha sposato tutte le più deteriori ambizioni del mondo iperconsumista. Per concludere, la mostra dell’IMA comprende una nutrita sezione dedicata al design, alla fotografia e alla pittura. Jack Lang, presidente dell’Istituto, scrive nella sua introduzione al catalogo: “Plus qui jamais, l’IMA fast cap Sur l’avenir. Notre bâtiment emblématique inventé par le visionnaire Jean Nouvel, se fait vasseau amiral d’anticipation” e non credo occorra traduzione…
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Io Capitano è un film di genere drammatico del 2023, diretto da Matteo Garrone, con Seydou Sarr e Moustapha Fall. Uscita al cinema il 07 settembre 2023. Durata 121 minuti. Distribuito da 01 Distribution.
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“Queste persone non vogliono venire in Italia, ma vogliono raggiungere l’Europa o addirittura l’America. Oggi, anche con i social, hanno una finestra costante sul nostro mondo. Però, al di là di questo, il film racconta un cambio di prospettiva: abbiamo cercato di mettere la macchina da presa dall’altra parte in una sorta di controcampo, per raccontare un viaggio epico perché sono loro gli unici portatori dell’epica contemporanea e abbiamo raccontato la storia dal loro punto di vista. Questo perché? Per cercare di far rivivere, a chi vedrà il film, quell’esperienza che loro vivono, con tutti i momenti di sconforto e disperazione, ma anche tanti momenti di speranza in cui sembra che tutto sia a un passo dall’essere raggiunto. È un romanzo di formazione“
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