#jakob von gunten
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aschenblumen · 2 months ago
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A veces, por variar, retengo largo rato el aliento. Un ejercicio más, e incluso, como en cierta ocasión me dijo un médico, beneficioso para la salud. O bien escribo. O cierro los ojos, aunque no estén cansados, para no ver nada. Los ojos transmiten ideas, por eso los cierro de vez en cuando, a fin de no verme obligado a pensar. Permaneciendo así, en total inactividad, uno siente de pronto cuán penosa puede ser la existencia. No hacer nada y, sin embargo, guardar la compostura, es algo que exige energía; el que hace cosas lo tiene, en comparación, muy fácil.
—Robert Walser, Jakob von Gunten. Traducción de Juan José del Solar.
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rwpohl · 10 months ago
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wellconstructedsentences · 1 year ago
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One learns very little here, there is a shortage of teachers, and none of us boys of the Benjamenta Institute will come to anything, that is to say, we shall all be something very small and subordinate later in life.
Jakob von Gunten by Robert Walser
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las-microfisuras · 1 year ago
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11]
LOS ÁNGELES no son dorados, brillantes ni luminosos; son grises y caminan entre la multitud que arrastra los pies; entre la muchedumbre, sin color y sin rostro, de los domingos, hacia el fútbol, hacia el concierto mañanero, entre la pálida muchedumbre de los días de fiesta vacíos del mundo moderno. Ángeles grises de la pobreza y el anonimato que nadie ve, pero que muchos han sentido: un roce leve, una ligereza, un estremecimiento en el mar de la multitud anónima...El mundo de hoy no permite otros...Los de fuego y luz no vienen hoy. Sólo los otros, los ángeles de polvo y ceniza.
María Zambrano, Poemas. Edición de Javier Sánchez Menéndez. La Isla de Siltolá
Fotograma de Institute Benjamenta, o This Dream People Call Human Life,1996, primer largometraje de Brothers Quay. Se basa en "Jakob von Gunten", novela escrita por Robert Walser.
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Basta semplicemente vivere
e poi diventi automaticamente
un osservatore.
Robert Walser, Jakob von Gunten.
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Solitudini di Grazia Verasani
La solitudine dell’artista SOLITUDINI di Grazia Verasani è uno degli ultimi nati della casa editrice Oligo. In questa bella intervista, l’autrice ci racconta come e perché è arrivata a parlare di solitudine e solitudini. Il libro, che si legge tutto di un fiato (poco meno di 50 pagine), è un concentrato di spunti e riflessioni su argomento che non ha tempo: la solitudine.  Grazia Verasani è riuscita meravigliosamente a cogliere la solitudine nei suoi diversi aspetti, raccontandoci quella di alcuni scrittori famosi per veicolarci che, spesso, la solitudine è una condizione ricercata e non sempre, necessariamente, sofferta. Con grande delicatezza, l’autrice ripercorre la propria concezione di solitudine attraverso quella di grandi scrittori come Ovidio, Katherine Mansfield, Emily Dickinson, Robert Walser, Schopenhauer, a volte abbracciandone la visione, altre volte allontanandosene. La lettura di SOLITUDINI di Grazia Verasani sarà certamente un grande stimolo alla riflessione, non solo sulla nostra vita, ma anche su quella degli altri.  SOLITUDINI di Grazia Verasani: intervista all’autrice Com’è nata la scelta di trattare l’argomento della solitudine? L’amico scrittore Davide Bregola mi ha proposto di scrivere il libricino preannunciandomi l’argomento. Ho accettato subito, avevo letto altre pubblicazioni di Oligo, provavo stima per il loro lavoro, e poi un trattatello sulla solitudine era stimolante, sapevo di poter dire la mia sul tema, ero felice di dare un contributo. Che rapporto c’è, secondo lei, tra scrittura e solitudine?  E’ un rapporto molto stretto, direi inestricabile. Per scrivere occorre isolamento, silenzio, almeno per me. Non scrivo mai con musica di sottofondo, proprio per cercare una mia musicalità. La magia della scrittura è che nonostante tu sia fisicamente solo nell’atto, nel gesto di scrivere, in realtà sei in compagnia dei tuoi personaggi, delle tue storie, e quindi la solitudine viene meno. Creare è questo. Un “prodotto” della solitudine che rende meno soli sia chi lo realizza che chi ne usufruisce.  In “Solitudini” lei cita uno scrittore che amo molto, Robert Walser. Può raccontare ai lettori perché ha scelto di parlarne? Ho conosciuto letterariamente Robert Walser grazie al mio mentore Gianni Celati, che trovava similitudini tra la mia scrittura e quella del magnifico, disperato autore svizzero. Ho letto tutti i suoi libri, e anche saggi e biografie. Una delle mie bibbie è il suo “Jakob von Gunten”. Walser era un grande solitario, un camminatore solitario, proprio come Celati, ma amava la natura ed era curioso delle persone, dell’arte, della vita semplice. Il suo valore letterario purtroppo è stato riconosciuto post mortem, e la sua è stata una lunga vita manicomiale. Un genio assoluto.   Molti scrittori hanno delle vere e proprie “ossessioni”, temi intorno ai quali scriveranno per tutta la vita, lei ne ha? Sì, devo dire che quasi tutta la mia narrativa ruota intorno al tema del suicidio. Ho dovuto fare i conti col suicidio da ragazzina, un trauma che mi ha segnato e ha inevitabilmente centralizzato i miei scritti. Da “Quo vadis, baby’” a “Tutto il freddo che ho preso”, da “From Medea a “Lettera a Dina” il suicidio è spesso, volente o nolente, protagonista o comprimario. Un’ossessione in cerca di catarsi. Progetti per il futuro? Sta già lavorando a qualcosa in particolare?  Sì, sto scrivendo un romanzo, breve e denso, e un po’ distopico, un ritratto della nostra epoca e dei rischi morali che stiamo correndo. Può essere definito “nero”, ma io non amo le etichette. Cerco sempre di scrivere liberamente e sono quando ho un’idea che mi convince, che mi smuove, e che sento in qualche modo necessaria. Grazia Verasani vive a Bologna. Ha iniziato a scrivere incentivata da Gianni Celati, Roberto Roversi, Tonino Guerra e Stefano Benni. Dal suo noir d’esordio Quo vadis baby? (Mondadori 2004) il regista premio oscar Gabriele Salvatores ha tratto l’omonimo film e prodotto la serie tv Sky. Sono seguiti libri di successo per Feltrinelli, Giunti, La Nave di Teseo e Marsilio, che ha pubblicato Come la pioggia sul cellofan (2020) e Non ho molto tempo (2021, memoir dedicato all’amico Ezio Bosso). Tra le opere teatrali segnaliamo From Medea-Maternity Blues (Sironi, film nel 2012 per la regia di Fabrizio Cattani, presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, premio per la miglior sceneggiatura al BIF festival, Nastro d’argento e due Globi d’oro) e tra le collaborazioni TV la sceneggiatura della docufiction Amati Fantasmi (Rai5, 2021). Read the full article
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exhaled-spirals · 3 years ago
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One is always half mad when one is shy of people.
Robert Walser, Jakob von Gunten
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schizografia · 3 years ago
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Sento quant'è scarso il mio interesse per ciò che si chiama mondo, e come invece mi appare grande e affascinante quello che, nel più profondo silenzio, chiamo il mio mondo. Tutto è troppo per me, anche la minima cosa. Far conoscenza completa con qualche persona è tale impresa da richiedere la vita d'un uomo.
Robert Walser, Jakob Von Gunten
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Jakob von Gunten belongs to what may be called slow modernism.3 Its vaguely apocalyptic setting, an anachronistic institute for the formation of servants, is a site of deferral, repetition and slumber in the midst of a bustling early twentieth-century metropolis. Modernity’s excess of progressive movement is countered by an ascetic physical discipline of loitering at a school that teaches the virtuosity of servitude as an end in itself, more than as a preparation for a future post. At a time when teleological mobility and speed became increasingly synonymous with military mobilization, the servants’ futile ornamental exercises represent a critical gesture in the discursive build-up towards the First World War... Yet even though the unwillingness to comply with the charged trajectories of modern mobility brings life to a halt, Jakob von Gunten’s enlisting in the servants’ institute does not entail stasis. It gives rise instead to forms of “still-act,” to borrow a phrase from recent performance theory—that is, to “a corporeally based interruption” of modes of historical flow (Lepecki 15). The “de-” of “demobilization” generally stands within parentheses in this article in order to foreground the commitment not to the abolishment of movement, but to a rethinking of its terms.
Lucia Ruprecht, Virtuoso Servitude and (De)Mobilization in Robert Walser, W. G. Sebald, and the Brothers Quay
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thevividgreenmoss · 6 years ago
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...I am a mystery to myself for the time being. Perhaps there is a very very commonplace person inside me. But perhaps I have aristocratic blood in my veins. I don't know. But one thing I do know for certain: in later life I shall be a charming, utterly spherical zero. As an old man I shall have to serve young and confident and badly educated ruffians, or I shall be a beggar, or I shall perish.
Robert Walser, Jakob von Gunten
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alfabetas · 6 years ago
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―Robert Walser
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aschenblumen · 2 months ago
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Los fósforos producen un chasquido idéntico al de la risa sofocada. Me gusta mucho, muchísimo, que a mi risa se le impida estallar. No poder liberar lo que tanto desearía escaparse produce un cosquilleo delicioso. Aprecio lo que no debe existir, lo que debe volver al interior. Lo no liberado se convierte en algo m��s penoso, pero a la vez más valioso. Sí, sí, confieso que me agrada sentirme oprimido. Es cierto. No, no siempre es cierto. Que el señor Cierto se vaya de paseo. Lo que quería decir es esto: no estar autorizado a hacer algo significa hacerlo doblemente en otro sitio.
—Robert Walser, Jakob von Gunten. Traducción de Juan José del Solar.
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rwpohl · 10 months ago
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jakob von gunten, peter lilienthal 1971
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hojusilencioso · 7 years ago
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¿Qué? ¿Crees que tengo tiempo de aburrirme? ¡Qué preguntas más absurdas! Tal vez la gente elegante se aburra, Kraus no; y tú te aburres, de lo contrario no pensarías en estas cosas ni vendrías aquí a preguntármelas. Siempre se puede estar un poquitín activo, si no de cara al exterior, sí al menos interiormente, mascullando cosas, Jakob. Seguro que ya habrás querido burlarte de mí por mi manía de mascullar, pero escúchame y dime: ¿sabes qué es lo que mascullo? Palabras, querido Jakob. Yo mascullo todo el tiempo, repitiendo palabras. Es muy sano, te lo aseguro. ¡Al cuerno con tu aburrimiento! Se aburren quienes se pasan la vida esperando que algo los estimule desde afuera.
“Jakob von Gunten”, Robert Wasler.
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moriras-lejos · 7 years ago
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Siento que la vida exige emociones, no reflexiones.
Sí, sin duda existe en el mundo eso que llaman progreso, pero no es sino una de las numerosas mentiras divulgadas por los hombres de negocios para poderle exprimir dinero a la masa con mayor cinismo y desparpajo. La masa es el esclavo de nuestro tiempo, y el individuo, el esclavo de la grandiosa idea de masa. Ya no hay nada bello ni excelente. Lo bello, lo bueno y lo justo has de soñártelo tú mismo. Dime, ¿sabes soñar?
Robert Walser
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Ah, tutti questi pensieri, questi desideri strani, questo cercare, questo tender la mano verso un significato! Poter sognare, poter dormire. E lasciare che quel che ha da venire venga. Sì, che venga.
Robert Walser, da Jakob von Gunten
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