#io gioco a casa
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mccek · 9 months ago
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Lettera aperta a tutti quelli che che mi hanno conosciuto. 
Passano gli anni ma mi rendo conto che chi sta meglio di me in realtà sta peggio. 
Persone che ho sempre voluto vedere felici, che mai avevo visto nemmeno di persona, hanno cercato di usarmi pensando fossi ingenuo, ma la bontà non è sinonimo di ingenuità, di debolezza, io ho aperto le porte a chiunque, perché dentro non smetterò mai di abbandonare quel bambino che sono stato, che condivideva anche i sorrisi che non aveva per sé stesso, ma che non avrebbe passato la notte se avesse saputo che il suo “amichetto/a” il giorno dopo avesse avuto il broncio. 
Perché siete “cresciuti” dando spazio all’odio? 
Perché anziché promettere ad altri non promettete a voi stessi di ritrovarvi? 
Di guardarvi dentro una volta tanto, e affondare nel male che avete condiviso con me, anziché condividere quella parte di “esseri umani” che era ancora insita in voi? 
Se foste stati di parola, come a quegli anni, non mi avreste mai abbandonato, così dicevate. 
Vedere lasciare soffrire una persona non rientrerà mai nei mei pensieri, anche se fosse qualcuno che, come successo fino all’altro ieri, ha fatto di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote, no, perché so che anche il peggiore ha dentro qualcosa di positivo da condividere con chi gli sta accanto, solo che non lo sa, ma anche se fosse, non ci proverebbe minimamente a mostrarlo, l’egoismo è letale. 
Parto sempre dal presupposto che non ho lezioni da dare a nessuno, sono anni che passo muto ad osservarvi, non ho mai commentato una virgola, chi sarei per farlo? 
È proprio per questo, che ho preso in mano una penna e ho iniziato a sfogare tutto ciò che avevo dentro, quello che avrei voluto dirvi, ma sarebbero stati guai a raccontarvi quello che provavo, perché un consiglio oggi è visto come una condanna. 
Eppure vi ho sempre lasciato sfogare con me, vi ho sempre ascoltato, anche quando ne avevo le palle piene, avevo i problemi a casa con mia mamma e la sua maledetta malattia, io per anni non sono esistito per voi, ma non me ne vergogno, ho ammesso anche io i miei sbagli, ho chiesto scusa, anche quando non non mi andava di farlo, e soprattutto quando non c’era motivo per scusarmi, ma pensavo: “Magari domani sanno che potranno sfogarsi nuovamente con me, si sentiranno più liberi dal peso che questa società ci scaglia addosso”.
Quanto male mi son fatto!
Ma rifarei di nuovo tutto, vi verrei di nuovo incontro, vi vorrei vedere sorridere solo a sentirmi parlare, vi vorrei tutti più uniti, come da piccoli ricordate? 
Non c’era bimbo/a che stesse solo. 
Perché qualcuno andava a recuperarlo, anche a costo di restarci solo assieme. 
Ma abbiamo dimenticato, come si dimentica la storia, stessa identica cosa. 
Di voi ricordo ciò che dicevate tutti: “Mattia non cambiare non diventare come gli altri, hai qualcosa in più che non riuscirò mai a spiegarti”, questa frase me la ricordo ogni mattina quando mi sveglio, da quanti anni ormai? Troppi. 
Permettetemi una domanda? 
Perché voi siete cambiati? 
Per piacere a gente che poi vi ha fatto lo stesso gioco che avete fatto con me? 
Perché farsi del male da soli? 
Perché arrivare a non guardarsi più in faccia? 
E poi c’è ancora qualcuno che pensa di cambiare il mondo? 
Sì, uno ce n’era, il sottoscritto, ma non voleva cambiare il mondo, solamente la sua generazione, il mio sogno più grande, che continuerò anche se con molto sconforto, a portare avanti, “UNO CONTRO TUTTI”, chissà se ora qualcuno, capirà/collegherà tante mie frasi passate a cosa fossero collegate. 
Siete riusciti a darmi contro per una canzone su ciò che ho vissuto sulla mia pelle, e sono stato zitto, scendeva una lacrima, ma stavo zitto, so che qualcuno ancora l’ascolta e sappiate che vi leggo spesso nei commenti, e mi fa sorridere il fatto proprio da chi mi “odiava” ingiustificatamente alla fine è finito a farmi i complimenti, ma no, io non voglio queste cose, voglio solo capire perché un giorno disprezzate e l’altro apprezzate una persona come nulla fosse, ma non sapreste spiegarmelo, ne sarei sicuro. 
Io ho tanti di quei testi scritti negli ultimi anni, che spesso mi faccio paura da solo, non mi rendo conto di quanti ne scrivo, di quante cose il cuore comunica alla mano che spesso trema, come non volesse accettare quelle cose, ma deve, dobbiamo, accettare tutto in questa vita, ma io in primis non vorrei mai. 
Come non ho mai accettato le malattie di mia madre, la morte degli unici amici che avevo fin da quando ero adolescente, che sono gli angeli in terra che hanno evitato quel pensiero maledetto che avevo di togliermi la vita…ma qui mi fermo, perché ognuno di noi non accetta il passato, quindi si blocca, respira, e sa, che se continuasse a pensare a tutto ciò, prima o poi sarebbe lui stesso ad andarsene. 
Purtroppo la rabbia generata dalla mia generazione, da chi è passato per la mia anima, e dai quali ho voluto assorbire, pur di evitare di vedervi soffrire ancor di più, mi ha ucciso dentro.
Voi tutti qui, fuori da qui, avete visto Me per quel poco che mi è rimasto da far vedere esteriormente, con un maledetto sorriso che non farò mai mancare a nessuno, gentili o meno che siate con me; quelle poche volte che stavo al centro estivo le animatrici mi dicevano che un mio sorriso giornaliero, era la carica per tutti i ragazzi dello staff, e chi sono io per tenere musi?
Dentro non esisto più, da anni, ma sto cercando di recuperarmi, pezzo per pezzo, forse non mi basterà il resto della vita, ma voglio ritrovarmi anch’io. 
Il “numero uno” non esiste, qui dietro al mio essere, c’è solo tanta fragilità, tanta voglia di donare amore, un po’ di spensieratezza, anche se momentanea, di rialzare chi è a terra e spronarlo a rigenerarsi, assieme, mai da soli. 
Questa società c’ha fatto sbranare fra di noi, fatto credere che uno potesse essere meglio dell’altro, che potesse avere tutti ai suoi piedi, e noi ci abbiamo creduto, dai più piccoli ai più grandi, passando da un social alla vita reale, visto che ormai non c’è più differenza fra quest’ultime.
Voglio essere sincero con me stesso fino all’ultimo, anche a costo di perdere qualsiasi cosa ma mai la dignità, quindi risponderò a semplici domande che mi son state fatte negli ultimi anni, alle quali non ho mai voluto dare risposta. 
Cos’è l’amicizia? 
Puro opportunismo. 
Cos’è l’amore?
A 16 anni ti avrei risposto, quello che ha verso di me mia madre, piange, urla *silenziosamente* dai dolori, passa settimane a letto, ma rinasce quando mi vede felice, anche se solo per un giorno. 
Oggi? 
La stessa cosa. 
Il significato del termine “amore” mi ha aperto gli occhi mentre pensavo inconsciamente di viverlo, ma andando avanti si inciampa negli errori degli anni passati, e l’amore per giunta non è mai stato amore, è sempre quel qualcosa con una data di scadenza, una parola inventa per stupire un pubblico di creduloni, sii sincero, per quante forme possa avere l’amore, come può essere chiamato tale, se siamo nati con l’odio e il disprezzo reciproco dentro? 
E tu come ultima cosa mi hai domandato perché scrivo? 
Perché tutto ciò chi mai avrebbe avuto il coraggio di ascoltarlo? 
Vi abbraccio con tutte le mie paure, spoglio di tutto ciò che negli anni non ho saputo tenermi stretto, consapevole che domani potrei non esserci più, e sicuro di aver raccontato tutto di me, perché l’oscurità non mi appartiene, e so di essere stato messo al mondo con uno scopo;
come ognuno ha il suo, io ho il mio, quello di far farvi splendere nel vostro piccolo, anche se per poco, assieme a me.
Chiudo mandando un abbraccio forte a mia mamma, il delfino che mi porto sempre in tasca da quando ero piccolo, per ricordarmi che non sono mai solo, anche nei momenti più disperati, mio padre, che nonostante le voragini d’incomprensioni conta su di me, per i vostri sacrifici, mi metto dalla vostra parte e riconosco tanti miei errori ingiustificabili, un abbraccio forte a tutte quelle persone che conosco e ho conosciuto che stanno passando dei brutti momenti, del resto non c’ha mai uniti così tanto il male quanto il bene…e a te che sei arrivato fin qui, l’unica cosa che chiedo sempre a tutti dopo un semplice ma per molti ormai banale: “Come stai”?! Ricordati di farti un sorriso appena puoi. 
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ilpianistasultetto · 4 months ago
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Giorgio Armani, un genio della moda. Aggiungo io: non a caso. E' sua l'uniforme della nazionale di calcio italiana. Avete visto la giacca indossata dall'allenatore Spalletti? Lo stilista aveva capito tutto e ha voluto dare una rappresentazione plastica della nazionale che avrebbe partecipato al campionato europeo, in Germania. Gente ormai imborghesita che scende in campo in ciabatte. Gente che non ama affatto sudare ma preferisce le comodita' delle loro megaville strapiene di confort . Calciatori che ormai passano piu' tempo stesi sui lettini di tatuatori che sui campi ad allenarsi. Una nazionale cosi brutta, assente, svogliata, confusa, non me la ricordo. Gioco, zero. Grinta, questa sconosciuta. Naturalmente, con certi giocatori, nessuno ti chiede di portare a casa il trofeo ma almeno la faccia, quella si. Tornare a casa sapendo che si e' data comunque l'anima, fa la differenza. Si, si..Giorgio Armani aveva capito tutto. Un genio.
@ilpianistasultetto
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lamargi · 9 months ago
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La sera che avevo deciso di sedurre mio nipote ho scelto una mise provocante, con appena un velo di chiffon a coprirmi il seno.
Come dite? Una nonna non seduce suo nipote, non così deliberatamente almeno?
Una brava nonnina per il nipote prepara buone cose da mangiare e gli dà di nascosto qualche soldo per i suoi capricci….
Ma io non sono una brava nonnina. Sono una donna libera, sono titolare di una azienda di consulenza importante, viaggio, e quando mi sento sola la sera trovo spesso un maschio da portarmi a letto. E nonostante l’eta non ho mai dovuto pagare nessun giovanotto…..
Mio nipote non lo vedevo da tempo.
“Gli farebbe tanto piacere lavorare con te, ha sempre ammirato il tuo lavoro, ha studiato tanto, lui si vergognava a chiederti di fargli fare uno stage da te, sono stata io a insistere….” Così mia figlia mi ha convinta. Loro vivono in un’altra città e io, tra lavoro e distanza, da tanto non lo vedevo. Quando si è presentato ho visto subito che non era più un adolescente brufoloso, ma si era fatto un bel ragazzo, anche se così diverso sia da me che da sua madre: incerto, insicuro, timido.
Ha cominciato a spiegarmi i suoi studi, le sue motivazioni, ma l’ho fermato e gli ho detto che lo avrei portato a cena fuori. Ho capito che non aveva previsto di fermarsi a dormire e che non aveva bagaglio con sé. Gli ho sorriso dicendogli che naturalmente sarebbe venuto a dormire …da me.
Eccoci qui, al ristorante, lui parla tanto, io lo ascolto poco. Credo che parli anche per nascondere un certo turbamento. Il suo sguardo cerca di vagare, ma torna sempre a fissarsi sul mio seno. È così teso, che sobbalza sempre quando sotto il tavolo lo tocco con le ginocchia o con il piede.
La cameriera che ci serve, che mi conosce e mi ha visto in questo locale con altre prede, alza il sopracciglio quando lo sente chiamarmi “nonna”. Ma ci scambiamo lo stesso uno sguardo d’intesa. Forse pensa a un gioco erotico, forse non crede davvero che il ragazzo a cui prendo la mano sopra il tavolo e a cui sensualmente dico che è ora di andare a letto, sia veramente mio nipote.
È a casa che l’imbarazzo di mio nipote raggiunge il culmine. Lo faccio sedere sul divano, lo faccio bere, cosa a cui si vede non è abituato. Mi seggo vicino a lui, lo accarezzo, non come farebbe una nonna amorevole, ma come fa una donna che vuole sedurre. Gli sussurro di non preoccuparsi, quando si scusa di non avere un pigiama con se.
E mentre guido la sua mano sulle mie gambe, per fargli sentire quanto ancora siano toniche le cosce di sua nonna, gli spiego che gli stagisti della mia azienda tra le loro prestazioni hanno quella di dormire con la padrona. E farsi scopare.
Il suo “nonna che dici” è interrotto dalla mia lingua che entra a forza nella sua bocca.
“Ho deciso, ti prendo”, gli sussurro all’orecchio, mentre lo prendo per mano e lo tiro su in piedi. “Ma …ma…” balbetta mentre me lo tiro dietro verso la camera da letto.
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kon-igi · 7 months ago
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Ciao Kon,
Tu forse non ti ricorderai di me ma io invece ricordo un liquore alla liquirizia, più di un meet up e quello che doveva essere un incontro al Lucca Comics finito "male" per il troppo casino (non siamo riusciti a beccarci).
Ti scrivo in anonimo perché penso tu sia una grande cassa di risonanza perché nonostante tumblr sia diventato -non per noi nostalgici- un po' obsoleto vedo che continui ad essere un punto di riferimento per questa comunità e che forse tu con il tuo cinico dissezionare la situazione possa in qualche modo riuscire a scuotere i più, ma ahimè vige il segreto professionale, cose firmate e quant'altro che mi impediscono di esprimere questo disagio pubblicamente.
REGÀ I SORRISI DEI COMMESSI SONO FALSI. Non perché non abbiamo più voglia di fare questo lavoro, ma perché è diventato tutto uno schifo, le aziende e anche i clienti se vogliamo dirla tutta.
Cosa si cela dietro la vita del commesso?
Conta persone agli ingressi, voi non li vedete ma è così e di recente c'è anche il contapersone del passaggio esterno, quindi se non ti cazziano perché non hai venduto, ti cazzieranno perché non è entrata gente.
Statistiche: pezzi per vendita, scontrino medio, media di scontrino per ingressi. Voi non lo sapete, ma ogni giorni ci sono storici e budget da raggiungere in base anche solo ad un singolo ingresso che voi fate "per dare un'occhiata" - ora capite perché non è facile sorridere quando i vostri figli giocano ad acchiappino correndo fuori e dentro i negozi? Perché per quei venti ingressi senza scontrino ci sarà un area manager pronto a far il culo allo staff.
Se sei fortunato e capiti in una squadra in cui ci si spalleggia bene, altrimenti è l'azienda stessa a incentivare la lotta e l'invidia tra colleghi in una lotta tra poveri per mantenersi il posto al miglior venditore.
Non abbiamo mai abbastanza personale, MAI. Siamo spesso contati, se ci ammaliamo almeno nel mio caso ci si mette una mano sul cuore e per non mettere i colleghi in difficoltà si va a lavoro con due bombardoni di tachipirina col rischio di portarsi dietro il malanno per un mese.
Le ferie saltano perché decidono di aprire più punti vendita ma non di assumere gente che non soccomba al "gioco degli stagisti".
Turni del cazzo, spezzati e il più delle volte tutto quello che fai oltre l'orario di lavoro (anche la semplice chiusura) è straordinario che non viene contabilizzato.
Reperibilità quasi totale, manco fossimo in un ospedale. Nel tuo giorno libero è un miracolo non venir contattati dal gruppo di lavoro.
E poi vogliamo parlare dei vari festivi in negozio? Io ho dovuto combattere per avere un cazzo di permesso per la comunione di mia sorella.
È domenica, sono le 15 sono in turno da un'ora in un piccolo centro commerciale di due clienti entrate, una mi ha salutato e trattato come se le avessi offeso l'intero albero genealogico con uno sdegno tale che fa tanto lotta di classe quando siamo tutti nella stessa sudicia barca.
Quindi Kon, per favore aiutami a diffondere il verbo, io sono disposta a rispondere a tutte le domande di questo magico mondo cercando di farvi entrare in empatia con i commessi, ma per favore se non è proprio questione di vita o di morte: SMETTETE DI ANDARE A GIRO PER CENTRI COMMERCIALI, TANTO LA DOMENIC SIETE TUTTI SCOGLIONATI A PRESCINDERE E ALLORA STATE COI VOSTRI CARI, MAGARI È LA VOLTA BUONA CHE SMETTERANNO DI LUCRARE A VUOTO SU STO MONDO.
Ps: stare fino alle 18 fuori e poi riversarvi alle 20 nei negozi non funziona, mettetevi una cazzo di mano sulla coscienza.
Per me i centri commerciali sono un aberrazione sociale che riesce a darmi claustrofobia e agorafobia al contempo ma dopo essere stato a quello di Orio al Serio (aspettavamo che le figlie scendessero dall'aereo... direttamente nel centro commerciale!), ho fatto la tessera di iscrizione ai terroristi.
Non sono un nostalgico della bottega sotto casa, anche perché erano altri tempi e altri modi di vivere... mi basta il supermercato ma il centro commerciale è concepito perché la gente sia invogliata A VIVERLO e questo lo trovo demotivante.
Mi spiace per te ma alla fine mi spiace per tutte quelle persone - non schiavi ma servi - che devono sacrificare se stessi per il benessere superfluo di gente che dà tutto per scontato, quasi se lo meritassero.
E invece sono solo nati dalla parte giusta della società. E del mondo.
EDIT
Non mi ricordo di te al Meetup perché probabilmente ero già ubriaco <3
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schizografia · 3 months ago
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Mi sembrava infinitamente assurdo cominciare a entrare in quel mondo che avevo sempre ignorato: lavoro carriera posizione pace benessere democrazia famiglia figli avvenire. Avevo diciotto anni e credevo indispensabile morire subito. Adesso sono entrato nel mondo. In una città qualunque, uscirò da un ufficio e per via qualunque me ne tornerò alla camera d’affitto, invecchiando pazientemente. Nessuno penserà a me, e io non penserò a nessuno, tanto sarò vuoto. Penso con Pascoli: “Io devo dirti cosa da molti anni chiusa dentro. E non piangere. La vita che tu mi desti - o madre, tu! - non l’amo”.
O, con meno romanticismo, mi torna alla memoria quello che racconta talvolta mia madre: di quel sarto che finito alcolizzato in mezzo a una strada diceva nel suo dialetto piemontese: “Ma non era meglio che mia madre invece di fabbricare me avesse fabbricato un gioco di bocce?”. Ancora per molti anni potrei continuare a camminare per le vie del mondo, insaccato e assente. Vedo già, come mi succedeva da bambino, i funerali dei miei vecchi: se li porteranno via i becchini con la parrucca sbadigliando ed io cambierò casa, affitterò una stanza. Serve a qualcosa tutto questo? Che cosa è quello che verrà dopo: avvenire?
Su queste debolezze, standone fuori, è facile ridere di scherno.
Sergio Quinzio
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occhietti · 2 months ago
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Io me la ricordo la felicità... Aveva il sapore della spensieratezza!
Il nostro social era fatto di "face to face". Non esisteva la competizione tra noi. Bastava un pallone per condividere tutto. Un gioco inventato. Un nulla per ridere. Un albero per raccogliere la frutta. Una chitarra per cantare tutti assieme. Un campo per raccogliere fiori... E le caramelle, erano per tutti. Il nostro Google era fatto dei nostri genitori. Facevano anche da "google maps" Bastava un urlo dalla finestra e sapevano dove eravamo.
Io me la ricordo la felicità... Bastava una panchina, un parco, un muretto che faceva da WhatsApp. Un fischio, una battuta di mani, un nome urlato sotto casa, che facevano da suoneria del telefono. La nostra palestra era semplice. Fatta da citofono. Bastava citofonare alla gente e poi prendere la rincorsa. Ai miei tempi, se qualcuno spariva è perché si giocava a nascondino.
Io me la ricordo l'età della spensieratezza... Aveva il sapore dell'infanzia... di quell'ultima epoca in cui felicemente "ho vissuto"! Quell'epoca in cui non avevamo niente, ma avemmo TUTTO! Eravamo ricchi e non lo sapevamo.
Tania Catarama ©Copyright L.633/1941
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catsloverword · 8 months ago
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“Ti porterei al Mare”. Oggi. Adesso. Ora. Vorrei non dovertelo scrivere, ma poter semplicemente presentarmi da te, bussare a una qualsiasi porta o suonare a un campanello e con un semplice sguardo dirti: “Andiamo”. Ti porterei ovunque, a dire il vero, ma partirei dal Mare perché lì c’è quel magico filo dell’orizzonte dove perdersi, per ritrovarsi, è inevitabile. E io, con te, mi sono persa… per poi ritrovarmi migliore. E accade in ogni istante del tempo passato insieme: mi perdo e mi ritrovo. Mi perdo e mi ritrovo. Ti perdo e ti ritrovo. In un gioco sottile che ridefinisce confini sciogliendoli nell’altro. È bello Essere Noi ora che siamo due persone distinte, libere, definite. Mi piacciano i Noi che nascono da Io e Te.
Ma stavo parlando del Mare… dove ti porterei, anche solo per il gusto di rapirti dalla “solita” vita. Anche solo per sradicarti da obblighi, impegni, ruoli, responsabilità.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che, ogni tanto, ci assolva dall’essere adulti, che ci sollevi di peso e… faccia per noi, impedendoci di pensare troppo, di ripeterci cosa sia giusto o sbagliato o… Nessuna replica. Andiamo. E, prima di tutto, ci godiamo il viaggio. Ridiamo di nulla. Parliamo di tutto. Stiamo in silenzio a guardare angoli di mondo che scorrono ricordandoci che tutto muta e che, forse, solo l’amore (quello vero) resta. E questo te lo direi appoggiando la mia mano sulla tua, in quel leggero aggrovigliarsi di dita che raccontano incastri d’anima a scoperta di noi. In tutto questo il Mare diventerebbe solo un pretesto… il migliore al mondo, ma pur sempre un pretesto. Perché infiniti sono gli orizzonti che si spalancano di Bellezza quando due anime viaggiano insieme. Quello che conta è avere il coraggio di partire. E, ogni tanto, lasciarsi semplicemente portare. Dimenticando le “valigie” a casa.
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Letizia Cherubino, Se non t’incontro nei sogni, ti vengo a cercare
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autolesionistra · 5 months ago
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Ormai sono settato sul fuso orario della Polinesia francese e vivo un po' in ritardo tutto. Per esempio mi sto ancora portando appresso certe sensazioni di questo periodo venticinqueaprilico/primomaggico, a ormai un mese secco di distanza, durante il quale - tanto per raccontare i cazzi miei - non ho mai suonato tanto in contesti, diciamo, socialmente amici.
Quindi alla fine uno ha certe percezioni un po' falsate, se la canta e se la suona (anche letteralmente). Da un lato parlando con compagni dell'ANPI o del sindacato raccontavano come quest'anno sia stato tutto un po' più partecipato, dall'altro le partecipazioni che ho visto io avevano un'età media non proprio incoraggiante e non fai in tempo a finire di preoccuparti per la scomparsa di una generazione di ex partigiani che tocca già preoccuparsi della scomparsa della generazione successiva che ha vissuto o partecipato ad una certo modo di pensare il sociale (mica tutti, eh)
E tanto per chiudere il quadretto da vecchio trombone nostalgico (che è un po' la maledizione della mia generazione, avere già la mentalità da pensionati senza troppe speranze di arrivarci, ad una pensione) aggiungeremo il rant sulle europee. Che le prese per il culo facciano parte di ogni campagna elettorale fa parte del gioco, una volta però avevo almeno la percezione che il raggiro fosse meno grossolano. Le candidatura civetta di candidati-mazinga che mai metteranno il culo su uno scranno del parlamento europeo (fenomeno tutto italiano, va detto) sono da sempre la cifra stilistica di partiti di merda. Il fatto che a queste europee la cosa sia ai massimi storici è abbastanza significativo.
Ma anche la (mancata) sottigliezza linguistica dei cartelloni elettorali: mi immagino la riunione fra quelli di forzaitalia e l'agenzia di comunicazione che ha curato la campagna: "ecco, sicuro ci mettete una foto del caro estinto di fianco a qualcuno ancora vivo, però per stemperare l'effetto weekend-con-il-morto dovreste trasmettere in maniera sottile il concetto che siamo un partito rassicurante" "ecco qui: UNA FORZA RASSICURANTE." fanno millemilaeuro, grazie.
Anche la lega ha optato per evitare direttamente fattori che avrebbero potuto mettere in crisi lo zoccolo duro dell'elettorato, tipo le coniugazioni verbali: a difesa della casa e delle auto (cristosanto), più italia meno europa; quest'ultimo slogan, tristemente affisso nei pressi di casa mia, ha scatenato un intenso dibattito sulle sperequazioni geografiche fra i figliuoli: "ma che significa?" "ma infatti, se l'italia è in europa se dici meno europa è anche meno italia" [attimo di perplessità guardando ad occhi stretti il cartellone] "quello lì non mi piace mica"
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raccontidialiantis · 1 day ago
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Lo scarno alfabeto del nostro rapporto
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Per le caratteristiche del mio lavoro io sono impegnato dal lunedì al sabato compreso. In genere, se non ci sono problemi particolari, stacco alle due e mezzo e quindi alle tre del pomeriggio sono già a casa. Lei invece ha un lavoro veramente impegnativo, che le richiede un continuo confronto coi suoi collaboratori, per risolvere i problemi e dar loro le giuste direttive. Ha sulle sue spalle - solo apparentemente fragili - le responsabilità e il peso della direttrice del punto auto-nolo di un noto marchio in aeroporto. 
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Arriva a casa alle sette di sera, quando va bene. Toglie il giaccone, bacetto sulla guancia, due chiacchiere rapidissime e poi si siede a gambe incrociate sul tappeto, apre il portatile sul tavolinetto basso, non troppo lontana da me che spignatto nell’angolo cottura. Continua con telefonate, e-mail e impegno. In genere, lei va avanti fino a che non la prelevo di forza e la faccio sedere al tavolo per mangiare. Il patto è che massimo alle otto comunque stop e basta. Non transigo. Però, siccome è una donna bellissima, spesso al solo sentirla rientrare mi prende un sacrosanto durello. La osservo, le sorrido malizioso e le consento di sbrigare le ultime e-mail.
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Subito a seguire, spengo i fornelli, le vado vicino e inizia la nostra intima danza dell’alfabeto: con le mani le faccio il segno della “T” di timeout, che tra noi vuol dire “adesso basta: ti voglio scopare, mi urge.” Se continua, dopo un ulteriore minuto le faccio il segno della “V” che significa “vieni subito a fare il tuo dovere di femmina.” Se ancora non molla il pc o non attacca il telefono, allora alzo l’indice, che sarebbe una “I” a significare che "sono infoiato” o, in altre occasioni, anche “incazzato come una biscia.”
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Lei quindi capisce. Chiude tutto, s’alza, va in camera e si dispone come sa che mi piace trovarla: nuda e a natiche ben alte sul letto. La fica deve essere aperta e già lavorabile. A volte prova ad andare in bagno, per farsi un bidet dopo una giornata di lavoro e prima di farsi leccare, ma io la blocco: il suo odore naturale intimo, i suoi sapori dopo tante ore sono la cosa che mi piace e mi eccita di più! Divarico le sue natiche, le metto un dito nel culo, la stimolo e intanto inizio appunto a lavorarla.
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Poi le lecco la fica lentamente, con impegno e concentrazione. Gliela lavoro con gusto. La aspiro e la mordicchio, trattengo le sue labbra nella mia bocca, le succhio il clitoride, che ha bello sviluppato: ci gioco. Poi mollo tutto e inghiotto i suoi succhi. Amo quel sapore. Sento che ora anche il suo ano inizia a rilassarsi e di sicuro la stimolazione la fa godere. Continuo a leccarle le labbra inferiori.
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Affondo la lingua e sento che lei preme le chiappe totalmente aperte contro il mio viso. Perché lei si apre al massimo possibile, per farsi leccare ovunque. Inizia a gemere e a eccitarsi. Finalmente. Questo di solito è il momento in cui inizia davvero il mio vero divertimento: lascio l’area fica e passo a leccarle l’ano. Che ha un gusto completamente diverso. Quanto ci gode! Però non me l’ha mai confessato. È un suo adorabile vezzo, dirmi ogni volta, immancabilmente: “no, che fai! Lo sai che non mi va, lì dietro” ma il corpo regolarmente la tradisce.
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Spudorata e bugiarda donna. Contrae l’ano e lo rilascia di continuo. Io approfitto e vi infilo la lingua dentro al massimo possibile. La assaporo rapito. Continua a pronunciare dei no formali a raffica, con una voce ormai debole, roca ed eccitante, ma intanto apre al massimo possibile le natiche, reggendole con le sue mani e infine premendo l’ano fortemente contro la mia bocca. Me lo offre senza più vergogna o scrupolo.
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Ci sto dieci minuti o anche più, troppo mi piace leccarle il culo. Quasi vengo, dal piacere di essere a contatto intimo e proibito con quel gran pezzo di fregna della mia compagna, felice di farla godere eccitandola. Sento le sue gambe che si aprono sempre un millimetro di più. A volte penso sia sovrumana, che abbia dei superpoteri. Resto lì a consumare lingua e saliva, insisto fino a che la natura in qualche modo le fa compiere un vero miracolo. Una cosa mai vista prima in nessun’altra femmina: il suo ano si schiude. Le si allarga da solo! E a quel punto lei perde ogni dignità, mi porge l’anima, mette ai miei piedi tutto il suo pudore di donna, aperto come un libro e mi sussurra, calda e rossa in viso: “inculami, presto. Ti prego.”
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A questo punto io appoggio il glande contro il suo sfintere che offre zero resistenza, anzi quasi mi risucchia e in mezzo secondo affondo tutta l’asta dentro quel corpo di pantera giovane. Lei dapprima lancia un urlo soffocato di dolore, sparando un dolce “noooo. che mi fai fare...” poi inarca la schiena ed esplode in un sonoro “siiiiii, dammelo tutto, sfondami, dòmami, cavalcami. Devo godere. Incula la tua femmina, stallone: forza, daiiii...” e per me è un vero onore, servirla. Capisco che essendo una manager rispettata e temuta ogni tanto senta il bisogno di essere messa in riga, scopata e gestita in modo appropriato, come ogni uomo deve saper fare con la propria metà.
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Perché io la amo, la desidero di continuo. Mi piace osservarla: quando si veste, quando si spoglia, quando sorride, quando è triste. Ma soprattutto quando lo prende in culo e allora diventa una cazzo di vera troia. Le afferro i lunghi capelli, la tiro verso di me e vedo di traverso che sorride, che gode nell’essere domata. Moltissimo.
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La mia puttana preferita. Addirittura... pagherei, per poterla scopare e soddisfare. A un tratto non ce la faccio più, glielo dico e sborro. Veniamo insieme. Lei si ferma, si apre tutta e mi preme il culo contro per farmi godere. Stiamo così, in silenzio per due minuti: io mi butto sul suo collo e glielo divoro, reggendole i seni con le mani e strizzandole i capezzoli gentilmente. Le piace da morire.
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La mia donna, vinta totalmente ma mia unica padrona, si lascia mangiare. È docile e morbida, adesso: completamente stordita dal piacere. Poi mi si sfila da sotto, va in bagno e subito torna. Si inginocchia ai piedi del letto e aspetta a testa bassa. Capisco che in lei ora c’è una geisha colta, servile e desiderosa di gratificare il suo uomo.
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Io la rispetto al massimo. Vado in bagno anche io, mi lavo accuratamente, prendo il latte dal frigo. Ne verso due bicchieri e torno in camera. Beviamo, ci sorridiamo e capisco che in lei è tornato un po’ di pudore, di imbarazzo; però si rimette subito in posizione geisha. Io allora mi siedo a cosce larghe sul bordo del letto. Bagno il mio uccello nel bicchiere di latte e quindi le offro il mio bacino nudo.
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La regina del mio godere inizia a slinguare il mio glande. Ci gioca, ogni tanto guardandomi e sorridendo. Dolcissima puttana: la adoro. Poi pian piano si infila tutto il cazzo in bocca e inizia la sua danza esperta. Mi fa sborrare di nuovo dentro di lei. Ha un’esperienza e un tiraggio veramente notevoli. Ci alziamo sfiniti, ci baciamo come solo due che si amano fanno: in un modo disdicevole, osceno e a lungo.
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Non stacchiamo le lingue e le labbra anche se cola la saliva. Un vero bacio d’amore. Poi, mentre finalmente le consento di lavarsi come si deve, apparecchio, metto in tavola e possiamo iniziare a parlare della giornata, di ciò che ci è accaduto. E mi piace tantissimo il vederla sollevata, presente e interessata soprattutto a noi due. Sorride. Mi viene voglia di scoparla...
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RDA
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ilpianistasultetto · 1 year ago
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VI STRAPPO UNA RISATA..
“Papà, ti ho mandato sulla mail la rata del mutuo che dovrei pagare ma non ho soldi" - “che bello, non aspettavo altro, guardo subito!”
Ho ingoiato un po' di saliva e ho aperto l'allegato.
Chiamo mia figlia: “Giu', ma si deve pagare subito o abbiamo un po' di tempo?” - “Pa', ieri già era tardi! Perché c'è qualche problema?” - “nooooo, quale problema, figurati...”. Pero', cavolo, per pagare sempre tutto uno si dovrebbe mettere a far rapine.
Rapine? Ho detto rapine? Mumble mumble..La banca si trova a due chilometri e ho la schiena che mi duole senza tralasciare l'uomo nerboluto che sta all' ingresso. Penso di optare per il negozio di cibo per animali sotto casa. C'è sempre una vecchietta da sola e le crocchette per cani vanno a ruba. Sicuramente gli incassi non mancano, sembra il posto perfetto da rapinare..
Il piano è da preparare con cura. Avrò bisogno di qualche complice. Chi meglio del mio cagnolino?
Gli racconto un po' la strategia: “Ascolta Dandy, le crocchette non ti sono mai mancate, anche le scatolette di manzo, pollo e cinghiale di quella marca che tu preferisci. I croccantini, quelli che a te fanno schifo, ma costano poco, non te l'ho mai imposti, quindi, se vuoi continuare a fare la vita da nababbo come un parlamentare mi devi essere complice. Ascoltami bene: stasera verrai con me, indosserai questo marsupietto colorato, anche se il disegno di Pluto non ti piace, non ho altro, quindi zitto! Andremo nel negozio di cibo per animali. La signora ama i cani e di sicuro quando ti vedrà sarà un gioco facile. Ti prenderà in braccio, tu, in un primo momento, sarai dolce, occhi mielosi e strusciamenti continui: “Ma quanto è bello..., come si chiama..., ma che carino...”, dopo qualche minuto tu, con uno scatto gli scivolerai via dalle braccia e ti nasconderai nel retro bottega. Naturalmente la signora ti vorrà seguire e ti cercherà, bada che non ci vede bene, quindi perderà del tempo: "Cagnolino, dove sei?" E in quel tempo io mi pappo la cassa..., intesi?”
Il piano è fallito vergognosamente, io me lo sentivo, Dandy non è affidabile. In quel caxxo di negozio, proprio mentre tentavo il furto è entrato un tizio con un Rottweiler bavoso e anche un po' scontroso. Ha trovato Dandy che si era nascosto in due secondi.... quel bastardo!
Dandy è scappato come un vigliacco!
Oltre al mutuo ci sono le bollette da pagare..., forse opterò per la banca, almeno lì i cani non li fanno entrare!
@ilpianistasultetto
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Il complice..😱
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pensieri-inlacrime · 2 months ago
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Scusa la maleducazione, non ho chiesto a te come passi la giornata o com’è una tua giornata tipo ahah. Te la chiedo ora:
Come passi la giornata? Com’è una tua giornata tipo?
Ma no tranquilla non eri obbligata 🤣
Io mi sveglio molto presto, di solito 7.00/7.15
Difficilmente faccio colazione e se la faccio di solito è con un toast o mezza piadina. Se non ho impegni rimango un po' a letto e vedo un film o gioco al telefono.
Poi quando anche mio marito si sveglia, inizio a pulire la casa oppure esco con qualche amica.
Cucino il pranzo, e poi il pomeriggio studio, leggo, gioco ai videogiochi, guardo qualche film. Ma tra poco riprendo a lavorare e quindi le attività del pomeriggio le spargo anche durante la mattina.
Cena, di solito cuciniamo insieme oppure spesso lo fa mio marito. Poi semmai filmetto insieme oppure quattro chiacchere prima di dormire.
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lamargi · 4 months ago
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Cosa faccio qui? Cosa sto facendo? Sono in auto, parcheggiata, alcuni metri fuori da scuola. E sto aspettando …lui. Che esca da scuola. Già questo dovrebbe spingermi a mettere in moto e andare via. Non lo faccio. Ho perso la testa. Mi sono invaghita di un ragazzo più giovane di mio figlio. Un ragazzo che va ancora a scuola la mattina. E io, qui ad attenderlo.
Tra le gambe sento un fremito. Già l’attesa, il pregustare di vederlo mi fa bagnare. Sei proprio impazzita. Che ti ha preso?
Lo conosci da sempre. Sei amica del cuore della sua mamma. Poi, ti sei accorta di come ti guardava. E anziché riderne e non pensarci hai cominciato a giocare. Sguardi, sorrisi, accavallamenti di gambe, scollature generose, qualche sfioramento solo in apparenza innocente sotto il tavolo. Un gioco di provocazioni che ha portato il ragazzo a cadere nella tua rete. Finché non lo hai sedotto e te lo sei fatto.
Un capriccio. Ma lui è così dolce….e mio dio come ti fa godere Margi.
Così, sei qui, che lo aspetti.
Mi controllo il trucco. Passo le mani sulle gambe, eccitata. Ho messo le calze e il reggicalze stamattina. E senza mutandine. Porca, per andare a prendere un ragazzo adolescente davanti scuola….
Eccoli che escono. Anche lui. Gli accordi sono chiari. Guai a farci notare. L’auto parcheggiata nell’angolo, ad alcune decine di metri dal portone. Lui che cammina, cerca con gli occhi la mia ufo, sorride quando la vede. Ma deve fare finta di camminare diritto. Solo all’ultimo momento aprirà lo sportello e si infilerà nel posto accanto al guidatore. Accanto a me.
Lo guardo. Che voglia di pomiciarlo subito. Anzi, di farmelo subito, qui in macchina, sbottonargli i pantaloni, salirgli di sopra e scoparmelo sul sedile.
Non si può, controllati ancora per qualche minuto.
Metto in moto e sorrido senza dire una parola. Allungo la mano, gli tocco la patta. Poi prendo la sua, e la guido sotto la gonna, sulle cosce. Riporto la mano sul voltante. Lui mi accarezza le gambe, indugia sul reggicalze, poi si spinge in mezzo.
“Devo guidare…” gli dico.
Lo sto portando nella casa appena fuori città rimastami dopo il divorzio. Il mio ex marito neanche sospetta che la usi. Avremo un paio d’ore prima che debba riportarlo a casa, dalla sua mamma. Gli toglierò i vestiti appena chiusa la porta alle nostre spalle. Lo spingerò sul letto. Non ho mutandine, non ho neanche bisogno di spogliarmi. Di sprecare nemmeno un secondo …..
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arreton · 26 days ago
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Se potessi sognare, cosa sogneresti?
Per me sognare è tipo un esercizio di fantasia che ogni tanto mi riscopro a fare affrontandolo tuttavia sempre in maniera pratica. In pasticceria mi hanno chiesto spesso, per gioco, che attività mi aprirei. Io ho sempre risposto nessuna perché odio i piccoli imprenditori, le partite Iva e non voglio responsabilità, tuttavia una volta sono stata "obbligata" a rispondere e ho detto che mi aprirei una pasticceria. Da allora non ho fatto altro che pensare a come sarebbe la pasticceria mia se la avessi e pensavo che sarebbe tutto preparato in maniera artigianale e sarebbe più che altro un negozio per la prima colazione o per una pausa rilassante durante la giornata. I mignon non mi importano, mi importa regalare un momento tutto per sé appena svegli o durante la giornata, col profumo dei cornetti artigianali appena sfornati, crostate, torte da forno, biscotti, caffè e cappuccino e bevande varie. Sarebbe un ambiente rilassante e quasi casalingo ma ponendo delle distanze da casa perché se vado a mangiare fuori significa che a casa non ci voglio stare. La vetrina sarebbe piena di plum cake, ciambelle, torte da servire accompagnate da una pallina di gelato o un ciuffo di panna, cornetti sfogliati, biscotti, muffin. Passata la mattina il resto sarebbe dedicato alla pausa durante la giornata da accompagnare sempre con torte e biscotti ma anche con monoporzioni di cheesecake o simili. Non mi interessa la tradizione, non mi interessano i dolci siciliani né mi piacciono i mignon, non credo che preparerei le torte di compleanno perché non voglio cagacazzi che iniziano a fare storie per i loro eventi, ma farei i panettoni e un sacco di sfogliati e lievitati come brioches, pain au chocolat, panini al cioccolato ecc. Quello che vorrei trasmettere è la fissa che ho per la colazione, il pasto per me più bello, e per le pause dove se io decido di prendermi un caffè non è che mi prendo il caffè al volo tra una cosa ed un'altra ma mi siedo, mi ci metto un dolcetto vicino, mi leggo un libro o guardo un video interessante insomma una pausa dove ristabilire il proprio centro uscendo dalle questioni pratiche, dalla fretta, dalla sopravvivenza.
È tenero riscoprirmi ad immaginare di poter realizzare un qualcosa ed in generale di riscoprirmi ad addirittura sognare, volare con la fantasia io che ormai ho quasi dimenticato come si fa, terrorizzata dalla sopravvivenza minacciata e dal terrore della morte e della povertà.
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schizografia · 4 months ago
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I bambini sono bambini dello Stato, così pensa lo Stato e si comporta di conseguenza, provocando da secoli danni devastanti. È lo Stato in realtà che partorisce i bambi-ni, vengono partoriti soltanto bambini di Stato, la verità è questa. Non esiste un solo bambino libero, c'è soltanto il bambino di Stato, di cui lo Stato può fare quello che vuole, è lo Stato che mette al mondo i bambini, alle madri vien solo dato a intendere che siano loro a mettere al mondo i bambini, ma è dal ventre dello Stato che nascono i bambini, la verità è questa. Sono centinaia di migliaia i bambini che ogni anno escono dal ventre dello Stato sotto forma di bambini di Stato, la verità è questa. I bambini di Stato vengono messi al mondo dal ventre dello Stato e vanno alla scuola di Stato, dove sono istruiti dagli insegnanti di Stato. Lo Stato partorisce i suoi bambini nello Stato, la verità è questa, lo Stato partorisce i suoi bambini di Stato nello Stato e non li lascia più uscire. Ovunque ci guardiamo intorno, non vediamo altro che bambini di Sta-to, scuole di Stato, lavoratori di Stato, funzionari di Stato, anziani di Stato, morti di Stato, la verità è questa. Lo Stato produce e autorizza soltanto esseri umani di Stato, la verità è que-sta. Lessere umano secondo natura non esiste più, è rimasto soltanto l'essere umano di Stato, e dove l'essere umano secondo natura esiste ancora, esso viene braccato e perseguitato a morte e/o trasformato in un essere umano di Stato. La mia è stata un'infanzia bella ma nello stesso tempo crudele raccapricciante, penso, un infanzia nel corso della quale quando ero dai nonni potevo essere un essere umano secondo natura, mentre a scuola ero tenuto a essere un essere umano di Stato, a casa dai miei nonni ero un essere umano secondo natura, a scuola ero un essere umano di Stato, per mezza giornata ero secondo natu-ra, per mezza giornata di Stato, per mezza giornata, e cioè di pomeriggio, ero secondo natura e quindi felice, per mezza giornata, e cioè di mattina, ero di Stato e quindi infelice. Di pomeriggio ero l'essere umano più felice che si possa immaginare, di mattina il più infelice. Per molti anni fui di pomeriggio l'essere umano più felice in assolu-to, di mattina il più infelice in assoluto, penso. A casa, dai nonni, ero un essere secondo natura e felice, a scuola, giù nella cittadina, ero un essere innaturale e infelice. Quando scendevo giù nella cittadina andavo nell'infelicità (dello Stato!), quando tornavo a casa dai miei nonni in mon-tagna, andavo nella felicità. Quando andavo dai nonni in montagna, andavo nella natura e nella felicità, quando scendevo giù nella cittadina, a scuola, andavo nell'artificio e nella infelicità.
Entravo, di prima mattina, direttamente nell'infelicità e per mezzogiorno o nel primo pomeriggio ritornavo nella felicità. La scuola è una scuola di Stato, dove i giovani vengono trasformati in esseri umani di Stato, vale a dire in galoppini dello Stato e nient'altro. Quando andavo a scuola andavo nello Stato, e poiché lo Stato annienta gli esseri umani, andavo nell'istituto per l'annientamento degli esseri umani. Per molti anni io sono uscito dalla felicità (dei nonni!) per andare nell'infelicità (dello Stato!) e ritornare, sono uscito dalla natura per andare nell'artificio e ritornare, la mia infanzia è consistita in questo andirivieni e nient'altro. Sono cresciuto in questo andirivieni dell'infanzia. Ma in un simile diabolico gioco, non ha vinto la natura ma l'artificio, la scuola e lo Stato, non la casa dei miei nonni. Lo Stato ha costretto me, come tutti gli altri, a entrare al suo interno e mi ha asservito, lo Stato ha fatto di me un essere umano di Stato, un essere umano irreggimentato e registrato e addestrato e diplomato e pervertito e depresso come tutti gli altri. Quando vediamo degli esseri umani, vediamo soltanto esseri umani di Stato, servi dello Stato, come giustamente si dice, non vediamo esseri umani naturali, ma esseri umani di Stato sotto forma di servi dello Stato che sono ormai in tutto e per tutto innaturali, e per tutta la vita rimangono al servizio dello Sta-to, il che significa per tutta la vita al servizio dell'artificio. Quando vediamo degli esseri umani, vediamo soltanto esseri umani di Stato sotto forma di esseri umani innaturali, immolati all'ottusità dello Stato. Quando vediamo degli esseri umani, vediamo soltanto esseri umani in balia dello Stato e al servizio dello Stato, ormai vittime dello Stato. Gli esseri umani che vediamo sono vittime dello Stato e l'umanità che vediamo non è altro che il foraggio dello Stato, con cui lo Sta-to, sempre più ingordo, viene appunto foraggiato. L'umanità non è altro, ormai, che un'umanità di Stato, e già da secoli, e cioè da quando esiste lo Stato, essa ha perso, penso, la propria identità. L'umanità oggi non è altro, ormai, che una disumanità, che poi è lo Stato, penso.
Thomas Bernhard
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cinnamoonrolling · 9 months ago
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vogliamo parlare di quello che è successo a DomenicaIn? una cosa disgustosa.
allora intanto parliamo della pochissima professionalità, perché c'erano artisti che hanno aspettato lì ore a vedere siparietti a dir poco imbarazzanti e se ne sono dovuti andare senza essersi esibiti perché "era finito il tempo". tempo che hanno trovato per parlare dieci minuti dei capelli di una, altri per sessua4lizzare un altro e altri ancora per leggere un comunicato raccapricciante.
comunicato che si sono affrettati a scrivere perché due artisti hanno osato dire cose assurde come "basta ammazzare bambini e gente innocente". parole di una gravità assurda, a quanto pare. ma, ehi, l'ambasciatore di isnotreal si è sentito punto sul vivo e minacciato, quando nessun nome è stato fatto e viviamo in un mondo così malato, distorto e marcio dove ci sta più di un genocidio in corso. excusatio non petita accusatio manifesta.
però qui siamo ad un livello di distopismo superiore perché viene considerato come messaggio d'odio "dobbiamo proteggere i bambini". non si nascondono più, non ci provano nemmeno.
e subito a leggere quel comunicato due volte (perché dopo è stato ripetuto come prima cosa al Tg1 delle 20). ci mancherebbe eh, noi sudditi così servili, dobbiamo leccare il culo ai potenti sempre.
però io quelle parole non le condivido. quelle parole non mi rappresentano proprio. a rappresentarmi, la settimana scorsa, è stata quella persona che ha urlato "Palestina libera" durante il discorso di Ghali. a rappresentarmi è stata quell'altra che ha detto "cita Gaza" mentre la Venier leggeva quell'oscenità. a rappresentarmi sono stati quei ragazzi con quei cartelli e la bandiera palestinese, l'ultima sera di festival, sulla Costa Smeralda.
anzi mi stupiscono i giornalisti lì, a DomenicaIn, che mi sono sembrati abbastanza d'accordo con i discorsi sia di Ghali che di Dargent. la Venier un po' meno. palese da come ha cercato di smorzare le parole di Ghali con l'ambigua "eh la pace la vogliamo tutti" (e se non ricordo male anche una frase come "quei bambini ti ricordano te stesso?", nella speranza di sviare il discorso), nel liquidare Dargen con "dobbiamo seguire una scaletta" (che poi non è stata comunque rispettata), e dalle parole che ha rivolto ai giornalisti lì: "non mi mettete in imbarazzo".
perché la Venier ama tutti. un po' meno chi non sta al suo gioco (ed i bambini palestinesi, ma in generale quello con la pelle più scura, temo). ed il suo gioco è sempre stato quello di bacini e abbraccini di qua, ti amo e amore mio di là. sessua4lizzare e oggettificare una persona da una parte e parlare della loro vita intima e sessu4le dall'altra. sono contenta sia crollato il mito di "zia Mara" (o quantomeno, me lo auguro sia caduto) perché non ho mai capito da cosa, come e perché sia nato.
un modo orribile per chiudere una settimana di Sanremo, che tra alti e bassi, è comunque riuscita a portare messaggi importanti.(Amadeus si è comunque preso una responsabilità nel mettere in gara due canzoni come Casa Mia e Onda Alta).
ora domenica, Ghali sarà da Fazio a Che Tempo Che Fa. ho letteralmente 0 aspettative perché Fazio è tra i più democristiani che ci siano in circolazione. magari il suo astio nei confronti della Rai permetterà di far parlare Ghali più liberamente, non so (però sono sicura che non ci risparmierà la domanda "eh ma quindi tu...condanni ham4s?", possiamo già metterci il cuore in pace).
mi è piaciuto molto come Ghali nel suo discorso abbia nominato internet come fonte di informazione (se non ricordo male, in relazione alla possibilità di vedere come lui abbia sempre parlato dell'argomento), un bel suggerimento nel dire che se sai cercare, trovi anche quello che non ti vogliono dire. (e l'imbarazzo che ho provato nel vedere una persona intelligente fare un discorso coerente e giusto essere ridotta in "sei proprio sexy" e "io l'ho visto da dietro" da due vecchie viscide, non ve lo so spiegare, anche perché lui era visibilmente a disagio.) e Dargen, citando dati dell'ISTAT parlando dell'immigrazione, ha reso il suo discorso letteralmente inconfutabile. tant'è che sono corsi ai ripari nell'unico modo a loro possibile, ovvero zittendolo.
questo perché la stragrande - per non dire la quasi totalità - delle persone si limitano alle informazioni che vengono passate loro dai media, senza andare a controllarle da sé, magari approfondire e vedere se c'è dell'altro che non dicono perché altrimenti distruggerebbe le loro argomentazioni, la loro credibilità.
e questa è l'Italia, "un paese di musichette, mentre fuori c'è la morte" come dicono in Boris. ed è vero. domenica scorsa è stata la conferma. siamo questa cosa qui. pizza, pasta, mandolino e grasse risate, senza mai prenderci responsabilità e stare dalla parte giusta della storia. una storia che poi si ricorderà di noi e che non perdonerà.
adesso ho visto che qualche cantante e influencer ha iniziato a parlare. aspettavano che qualche altro ci mettesse la faccia prima di loro e adesso cavalcano l'onda per avere consensi credo (soprattutto per gli influencer, dato che per loro è tutto un trend, anche la vita dei palestinesi se i tempi chiamano). meglio di niente suppongo? almeno se ne parla.
distopico comunque è stato che poche ore dopo il comunicato Rai, durante il Super Bowl tra pubblicità sioniste, c'è stato l'attacco a Rafah. io non penso di riuscire a dire altro, davvero. questa situazione è angosciante e terrificante e siamo tutti complici finché i governi che dovrebbero rappresentarci non ci ascoltano (anzi, ci zittiscono) e non intervengano in qualche modo.
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susieporta · 10 months ago
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Forse tutti avete visto la foto che ritrae l’allineamento della Luna con la Basilica di Superga e il Monviso. È una foto perfetta che racconta di un’attesa lunga sei anni. Io però voglio raccontarvi un’altra storia, quella del fotografo che l’ha scattata. Una storia di pazienza, di tenacia e di coraggio. Coraggio di cambiare radicalmente strada nel momento più difficile della propria vita.
Voglio iniziare però proprio da quello scatto, e da una domanda: si possono aspettare sei anni per scattare una #fotografia? Alla fine del 2017 Valerio aveva segnato sul calendario tutte le date delle fasi lunari, in particolare quelle in cui la luna tramontava in un determinato punto. Ogni sera “giusta” partiva per provare a portare a casa l’immagine che aveva sognato, ma c’era sempre un problema: le nuvole, la pioggia, la nebbia, la foschia… Così per sei volte, all’inizio di ogni anno, ha compilato il calendario e non ha mai sprecato una data possibile, ma senza successo. Alla fine, alle 18:52 del 15 dicembre 2023, la lunga attesa è stata premiata e la sua vita è cambiata.
All’inizio l’idea era quella di allineare la Basilica di #Superga e il #Monviso per fotografarli insieme. Valerio si era fatto aiutare dal mappamondo di Google Earth e aveva individuato quattro possibili punti. Il punto ideale lo aveva trovato a nord-est di Torino, sopra Castagneto Po, a 380 metri d’altezza. La prima volta che c’è salito si è reso conto che in quell’istantanea che aveva immaginato poteva entrare anche un terzo soggetto: la luna. Da quel momento si è messo a studiarne le fasi per scoprire che ci sarebbe stato soltanto un giorno perfetto in tutto l’anno.
E al sesto tentativo, dieci giorni prima di Natale, ha capito che forse ce l’avrebbe fatta: il cielo era limpido e l’aria asciutta. Così si è messo ad aspettare e quando tutto si è allineato e ha visto la sagoma del Monviso disegnata sulla Luna ha scattato. La mattina dopo, soddisfatto del risultato, ha spedito il file alla #Nasa, per partecipare al concorso “Astronomy Picture of the Day”, la risposta non si è fatta attendere: per l’ente spaziale americano la sua è stata la foto del giorno di Natale.
«È come se questa foto avesse sbloccato qualcosa, migliaia di persone hanno condiviso quell’immagine e hanno scoperto le mie foto che sono uscite dal Piemonte e sono andate in giro in tutto il mondo».
Conosco Valerio Minato pH da più di dieci anni, da quando ho notato il suo banco sotto i portici di Piazza Vittorio a Torino. Non vendeva libri, borse di cuoio, gioiellini, ma le sue fotografie, stampate su un supporto rigido e a prezzi accessibili a tutti. Ricordo che mi avevano colpito i soggetti ricorrenti: il Monviso, la Mole Antonelliana, il Po, le vecchie vetture del tram, ritratti però con prospettive originali.
Lo vedevo ogni fine settimana, con qualsiasi tempo, dietro il suo banco dalla mattina alla sera. Ho cominciato a fermarmi a chiacchierare e siamo diventati amici. Valerio è nato nel 1981 a Biella e nella sua vita la fotografia è arrivata dopo i trent’anni. Si era diplomato perito chimico tintore, aveva trovato subito un lavoro in un’industria tessile, poi era passato in una fabbrica chimica del settore gomma: «A 24 anni, dopo cinque passati in fabbrica, ho avuto un bruttissimo incidente sul lavoro: ho quasi perso un braccio, risucchiato da una macchina. Sono stato un mese e mezzo in ospedale, ho subito cinque interventi chirurgici, e tra un’operazione e l’altra ho deciso di cambiare tutto».
Così ha lasciato Biella e si è iscritto all’università a #Torino: Scienze forestali e ambientali. «Volevo una vita nuova, stare in un mondo completamente diverso. Volevo la natura e l’aria aperta».
All’ultimo anno di università compra una macchina fotografica e per gioco inizia a scattare, dopo la laurea trova lavoro in un’azienda, ma la passione per l’immagine occupa sempre più spazio dentro di lui. «Quando mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato ho deciso di dire di no, di fare una scelta ancora più totale di libertà. Ispirato dai banchi sotto i portici di Via Po mi sono iscritto all’albo degli “Operatori del Proprio Ingegno” e ho aperto il punto vendita delle mie foto».
Mario Calabresi
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