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"Il caso Blue Lady di James Patterson": Alex Cross tra intrighi militari e vendette spietate. Recensione di Alessandria today
Un thriller mozzafiato che esplora i segreti più oscuri dell'esercito e mette Alex Cross di fronte a un nuovo enigma mortale.
Un thriller mozzafiato che esplora i segreti più oscuri dell’esercito e mette Alex Cross di fronte a un nuovo enigma mortale. Una nuova indagine per Alex Cross “Il caso Blue Lady”, ottavo romanzo della serie dedicata ad Alex Cross, si presenta come un thriller denso di misteri e colpi di scena. Patterson ci trascina in un mondo dove i segreti dell’esercito americano si intrecciano con una serie…
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Mata Hari: Vita e Mistero della spia e ballerina
Mata Hari è stata una delle spie più famose e controverse del XX secolo. Il suo vero nome era Margaretha Geertruida Zelle, ed è nata l'7 agosto 1876 a Leeuwarden, nei Paesi Bassi. La sua vita è stata segnata da avventure, intrighi e tragica fine. Primi Anni di Vita Mata Hari proveniva da una famiglia benestante e aveva origini indonesiane da parte di madre. Ha trascorso la sua giovinezza nei Paesi Bassi e all'età di 18 anni, ha sposato Rudolf MacLeod, un ufficiale dell'esercito olandese. La coppia ha avuto due figli e ha vissuto in diverse località, tra cui l'Indonesia. Diventare Mata Hari Il matrimonio di Mata Hari si rivelò infelice, e la coppia divorziò nel 1907. Dopo il divorzio, Margaretha abbracciò una nuova identità e divenne Mata Hari, una ballerina esotica e cortigiana, danzando nei principali teatri d'Europa e diventando celebre per le sue esibizioni provocanti e sensuali. Il suo nome d'arte "Mata Hari" significa "occhio del giorno" in malese. Spionaggio durante la Prima Guerra Mondiale La fama di Mata Hari come ballerina la portò in contatto con molte persone influenti, tra cui ufficiali militari. Durante la Prima Guerra Mondiale, le circostanze la portarono a essere coinvolta nell'attività di spionaggio. Fu accusata di lavorare sia per i servizi segreti tedeschi che per quelli francesi. Tuttavia, l'entità esatta del suo coinvolgimento rimane oggetto di controversie. Arresto e Processo di Mata Hari Nel 1917, fu arrestata dall'intelligence francese con l'accusa di essere una spia tedesca. Il processo fu anche ampiamente pubblicizzato e attirò l'attenzione internazionale. Nonostante la mancanza di prove concrete, fu condannata a morte. Esecuzione Il 15 ottobre 1917, Mata Hari fu fucilata davanti al plotone d'esecuzione. La sua morte è stata circondata da polemiche, con alcune teorie che suggeriscono che potrebbe essere stata vittima di un ingiusto processo orchestrato per motivi politici, Foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
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Personaggio eclettico, Rostagno approdò in Sicilia dopo diverse esperienze. A Trento era stato protagonista nelle lotte studentesche ed era anche stato tra i fondatori di Lotta Continua. Dopo una lunga permanenza a Milano, Rostagno creò il circolo “Macondo”, prima di andare in India a seguire le orme del guru Osho. In Sicilia il piemontese non si occupava solo della Saman. Da giornalista aveva il brutto vizio di avventurarsi per soddisfare la sua curiosità. Così cominciò a denunciare gli intrighi mafiosi attraverso Radio Tele Cine, una televisione locale di cui divenne presto il principale animatore, discutendo di mafia e malaffare, con tanto di nomi e cognomi. Tra marzo e giugno 1988, Rostagno rivelò a una sua collaboratrice che era stato chiamato da alcuni personaggi influenti trapanesi che gli avevano consigliato di lasciar perdere la sua inchiesta sulla loggia massonica Scontrino. Nello stesso periodo Mauro stava raccogliendo, in gran segreto, materiale per una sua ricerca fondata su una tesi che vedeva collegamenti precisi tra l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto, le indagini da questi portate avanti, la famiglia Minore di Trapani, il boss Mariano Agate e alcuni imprenditori catanesi. C’era anche un’altra pista che toglieva il sonno a Rostagno. Si era accorto per puro caso che nella zona di Lenzi vi era un traffico di armi, a due passi dalla comunità Saman, dove sorgeva l’ex aeroporto di Milo, in disuso ormai da anni. Dopo la boscaglia, c’erano dei tunnel sotterranei tra Lenzi e il vecchio aeroporto militare. Un posto sicuro dove svolgere operazioni coperte, al riparo da occhi indiscreti. Il giornalista Sergio Di Cori confermò che Rostagno era a conoscenza «di un traffico d’armi che avveniva in una pista aerea in disuso che si trova nei pressi di Trapani. Aveva fatto delle riprese con una telecamera». La scoperta era stata casuale e venne fatta una sera che il giornalista si era appartato con la moglie di un alto ufficiale, in un boschetto dei dintorni. Rostagno filmò la scena in cui casse di medicinali, pronte per essere portate in Africa, venivano sostituite da casse di armi. Tutto documentato in una videocassetta sulla quale Rostagno scrisse: «Non toccare». Emerse così un sistema di connessioni indicibili. Traffici di armi e droga gestiti dalla potente mafia trapanese, con «coperture» insospettabili, a partire dai militari in servizio all’aeroporto di Birgi. Ma anche con coperture politicamente targate Partito socialista. Spuntò fuori che uno dei maggiori referenti socialisti a Trapani era proprio Francesco Cardella, il guru della Saman e braccio destro di Rostagno, che nella testimonianza del vice questore Giovanni Pampillonia avrebbe utilizzato «le scatole vuote della struttura, per gestire traffici di armi con la Somalia, dove il guru avrebbe inviato un suo emissario, ufficialmente, per realizzare un ospedale mai costruito». Il nome dell’emissario era Giuseppe Cammisa (detto “Jupiter”), imparentato con l’avvocato Antonio Messina, boss del narcotraffico di Campobello di Mazara. Una ricostruzione non suffragata, però, dalle sentenze giudiziarie. Di certo Cammisa fu l’ultimo a incontrare in Somalia la giornalista della Rai Ilaria Alpi, prima che questa fosse uccisa. Il 26 settembre 1988, due killer freddarono Mauro Rostagno mentre rientrava in comunità a bordo della sua Duna bianca. Era di ritorno dalla tv, dove aveva condotto il telegiornale. L’auto fu fermata da due uomini che gli spararono con un fucile a pompa e una pistola, uccidendolo sul colpo. Rostagno aveva quarantasei anni. Due mesi prima, aveva incontrato il giudice Giovanni Falcone.
Franco Fracassi - The Italy Project
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Il film WHISTLEBLOWER è uscito nel 2011, ispirato a eventi reali.
Un agente di polizia del Nebraska accetta un lavoro come pacificatore delle Nazioni Unite nella Bosnia del dopoguerra e scopre una profonda corruzione, insabbiamenti e intrighi in un mondo di appaltatori privati e discorsi diplomatici multinazionali.
Le Nazioni Unite, la Croce Rossa, i Servizi di protezione dell'infanzia, le più grandi organizzazioni non profit e ONG di tutto il mondo sono dietro i crimini e l'umanità più atroci.
Ogni informatore "piccolo" che cerca di scoprire qualcosa di molto più grande o superiore al suo "grado retributivo" incontra un'opposizione estrema.
Gli informatori sono stati assassinati o "suiciditi" per decenni.
Gli agenti militari e dell'intelligence sono gli scagnozzi di potenti entità oscure.
Sopra di loro ci sono le élite dominanti parassiti e i gruppi/famiglie di stirpi.
Sopra di loro c'è il NON umano.
È tutto connesso.
Il Risveglio NON è carino:
abbiamo vissuto in ombre molto oscure e malvagie.
Pubblico questi soggetti per non dilatarne l'energia.
L' intenzione qui è solo l'esposizione: l'esposizione la dissolverà.
È solo quando scopri che c'è un problema, che si tratti di un problema di salute o di un problema nella tua auto, è allora che lo risolvi o lo pulisci.
In AA, ammettere che c'è un problema con l'alcool è il primo passo verso la guarigione.
Dobbiamo ammettere che questo è il problema più grande dell'umanità.
NON POSSIAMO avere la Nuova Terra nel regno fisico quando ci sono bambini e umani violentati, torturati e mangiati.
Se ti stai chiedendo perché questa operazione mondiale sta impiegando così tanto tempo, è perché la massa sta ancora dormendo.
Tutto ciò a cui stiamo assistendo fa parte dell'operazione WakeUp.
La BUONA NOTIZIA è che gran parte dei pericoli di massa sono stati neutralizzati.
Tuttavia, a seconda della frequenza e della consapevolezza personali di una persona, determinerà che la sua esperienza fisica sarà piacevole o meno, o peggiorerà dannosa per se stessa e per coloro che la circondano. NON siamo ancora in chiaro.
Da CONvid, il mondo si sta lentamente risvegliando dal coma indotto, ma abbiamo ancora un lungo viaggio davanti a noi.
Quelli di noi che sono svegli, DEVONO tenere spazio per gli altri.
Questo ci sta insegnando la pazienza come una chioccia che aspetta lentamente che i suoi ultimi pulcini si schiudano.
Rimani nel tuo spazio del cuore.
Godspeed e DIO ti benedica.
by Cosmic Light force
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Che Laurent Binet fosse uno dei romanzieri più interessanti degli ultimi periodi me lo aveva già provato in quel romanzo eccezionale che fu La Settima Funzione Del Linguaggio (di qui parlai qui). Giusto prima della quarantena sanitaria, è ritornato con un nuovo, incredibile romanzo ucronico. Se l’altra volta era la parola e il segno, con i loro misteri, ad essere il fulcro delle attività dei protagonisti, stavolta l’obiettivo è ancora più ambizioso: la visione dell’altro. Perchè Binet immagina una storia completamente diversa da quella che conosciamo in questo Civilizzazioni: Cristoforo Colombo non sbarca nel 1492 ad El Salvador ma a Cuba, dove è fatto prigioniero dai nativi, i quali scopre sono molto più “civilizzati ed europei” di quanto sospettasse (e i primi capitoli già da soli sono clamorosi e spiegano di queste “abilità”, ma non spoilerizzo nulla). Le sue caravelle, rimaste ferme per 40 anni, nel 1530 vengono aggiustate da abilissimi falegnami di ancestrali capacità e un gruppo di duecento tra uomini, donne, bambini, lama, pappagalli e un puma addomesticato, capitanati dal re Inca Atahualpa, che era a Cuba per sfuggire alla guerra con il fratello Huascar, si imbarcano per il misterioso mare. Arrivano nel 1531 a Lisbona, devastata da un tremendo terremoto, e vengono visti come un segno divino, per punire i peccati degli uomini. Quella del 1530 era un’Europa vivacissima: Carlo V era stato appena nominato Imperatore del Sacro Romano Impero, a Est i Turchi premevano sui possedimenti degli Asburgo, tutta l’Europa cristiana viveva tra i processi dell’Inquisizione e i nuovi tumulti delle sette protestanti, con la nascita del potere dei banchieri e il capitalismo nascente, con la grandezza del Rinascimento e delle Arti e i primi libri stampati. Niente male come periodo per arrivare, non vi pare?
il Re Inca Atahualpa, con grande maestria e spesso con motivazioni che si apponevano alle “illogiche” cause dei Levantini, riesce pian piano ad acquisire potere, tramite maestrie commerciali, incredibili spedizioni militari ma soprattutto riuscendo politicamente a stabilire consenso tra le fasce oppresse, garantendo una rivoluzione sociale inimmaginabile. Tra intrighi, misteri, lettere, un romanzo epico sulle gesta dei Quitiani e una nuova, inaspettata invasione da Ovest, il romanzo tiene, per 360 pagine pieni di curiosità, incollati alle vicende rimescolate e rimodulate che Binet, basandosi su quasi tutti fatti storici, ribalta del tutto, offrendoci uno spaccato di riflessione niente affatto banale.
Perchè è sempre interessante capire come i nuovi Conquistatori pensino le strane contraddizioni degli europei, tra la monogamia praticamente mai rispettata, con il simultaneo rifiuto della poligamia, alle stranezze del culto del Dio inchiodato, alla bramosia di oro e argento (che è la chiave del nuovo potere degli Inca).
Un romanzo che è meno ironico e battutista de La Settima Funzione, ma è ugualmente fenomenale, tra l’altro in un periodo dove il rapporto con l’altro è preso in mezzo ad altre istanze che ne inquinano i positivi e necessari fondamenti. Un romanzo che, come i più belli, lascia la fatidica domanda: che ne sarebbe di me (e di noi) se fosse successo davvero così?
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Ruggero Flores: templare pirata e ammiraglio brindisino (II parte)
L’ingresso a Costantinopoli di Ruggero Flores. Oleo su tela di Josè Moreno Carbonero, 1888 – Senato di Madrid
di Gianfranco Perri
I successi militari del grand’ammiraglio trentacinquenne brindisino al comando della sua Compagnia Catalana al servizio dell’imperatore d’Oriente contro le armate turche in Asia non tardarono a susseguirsi numerosi e inarrestabili per un intero anno, e parimenti furono crescendo nell’impero e fuori dallo stesso, il prestigio e il potere di Ruggero de Flor.
Giunti alla fine dell’estate del 1304, l’imperatore Andronico ordinò a Ruggero di spostarsi in Europa con le sue truppe per contrastare la minaccia dei Bulgari sulla Tracia e soccorrere il figlio erede, Mikele IX, nella sua campagna difensiva dinanzi ad Adrianopoli. Ma, visto che erano in corso tensioni a causa del mancato pagamento delle paghe pattuite, Ruggero de Flor si rifiutò in un primo momento di eseguire l’ordine dell’imperatore, non avendo in realtà voglia alcuna di soccorrere il recalcitrante Mikele, del quale del resto ben conosceva i sentimenti di invidia che nutriva nei suoi confronti.
In ottobre però, Ruggero finalmente si spostò con le sue truppe in Europa. Pose un accampamento fortificato sulla penisola di Gallipoli e quindi si recò a Costantinopoli per riscuotere le paghe arretrate, e lì le tensioni tra Andronico e il condottiero brindisino furono inasprendosi ancor più, sia a causa degli intrighi di Mikele che cercava di impedire l’accesso di quel rivale ad Adrianopoli, e sia per il tentativo dell’imperatore di pagare le truppe catalane con una moneta deprezzata tentando di sopperire alla critica situazione in cui versava l’erario. Alla fine di dicembre di quel 1304 Ruggero interruppe le trattative e ritornò a Gallipoli, rimanendovi fino all’aprile dell’anno seguente, quando ritornò sul Bosforo.
In quel nuovo incontro si giunse presto ad un accordo, e il 10 aprile Ruggero de Flor fu nominato e acclamato Cesare e l’imperatore promise onorare i pagamenti in pendenza. Allo stesso tempo, Ruggero s’impegnò a dimezzare il numero delle sue truppe fino a soli 3000 uomini ed abbandonare l’Europa per rientrare in Asia minore.
Subito dopo il ritorno a Gallipoli, il fiammante Cesare prese tuttavia l’incomprensibile decisione di recarsi con una piccola scorta in visita dal suo rivale Michele ad Adrianopoli «… forse nell’intento di riconciliarsi con lui prima della partenza per l’Asia minore e magari per ottenere l’approvazione ai suoi piani di creare un dominio feudale in Anatolia.» [Kiesewetter A.]
Al suo arrivo ad Adrianopoli, il 24 aprile, fu accolto da Mikele con tutti gli onori, ma pochi giorni dopo, il 30 aprile 1305 nel corso di un banchetto alla vigilia della sua partenza, il trentanovenne celebre condottiero brindisino fu assassinato dal comandante degli alani Georgios, che lo decapitò brutalmente in funzione di sicario agli ordini dell’erede al trono imperiale Mikele IX Paleologo.
Rappresentazione dell’assassinio di Ruggero Flores a Adrianopoli. Disegno di Anonimo, datato 1920
Quando la notizia dell’assassinio giunse al campamento catalano, scoppiò la rappresaglia degli almogavari: bruciarono le proprie navi per non farsi tentare dalla ritirata, misero a ferro e fuoco Gallipoli, respinsero le truppe bizantine dell’imperatore e si volsero a saccheggiare indiscriminatamente i territori della Tracia e della Macedonia, compiendo in onore a Ruggero de Flor quella che doveva passare alla storia come ‘la vendetta catalana’. [Il ricordo di quelle azioni persiste a tutt’oggi in Bulgaria sotto la figura del Katalan, un gigantesco guerriero assetato di sangue usato per spaventare i bambini. Katalan in albanese significa mostro e ancora oggi c’è chi, in Tracia, maledice minacciando con: ‘la vendetta dei catalani ti raggiunga!’].
In seguito, gli almogavari della Compagnia Catalana furono contattati dal duca di Atene Gualtieri V di Brienne, che li assoldò in chiave antibizantina e quando quelli ebbero la meglio sui suoi nemici pensò bene tradire i patti economici accordati e tentò di espellerli da Atene, ma dovette vedersela con la loro reazione. L’esercito di Gualtieri si scontrò con i Catalani nella battaglia di Halmyros sul fiume Cefisso in Beozia il 15 marzo 1311 e gli almogavari ottennero una vittoria devastante, uccidendo Gualtieri e quasi tutta la sua cavalleria, conquistando il ducato e nominando il loro lider Roger Deslaur, nuovo duca di Atene.
«La storia del Ducato di Atene era iniziata cent’anni prima. Nel 1205, in seguito alla conquista di Costantinopoli durante la 4a crociata, Attica e Beozia furono infeudate a Ottone de la Roche che assunse il titolo di signore di Atene e suo nipote Guido I nel 1259 assunse il titolo di duca. Gli succedettero Guglielmo, Guido II e, nel 1308, il fratellastro di quest’ultimo Gualtieri V di Brienne che fu, appunto, ucciso dai mercenari catalani da lui assoldati. Nel 1312 il ducato catalano fu offerto al re di Sicilia Federico III e questi nominò duca il suo quartogenito figlio Manfredi d’Aragona, ai cui discendenti il ducato rimase finché, nel 1388, il signore di Corinto Neri Acciaiuoli se ne impadronì, ottenendo nel 1394 da Ladislao re di Napoli il titolo di duca. Finalmente, con la conquista turca del 1456 e l’uccisione di Francesco II Acciaiuoli nel 1461, il ducato scomparve.»
Quella del brindisino condottiero di mare e di terra Ruggero Flores, fu decisamente una figura magna dei suoi tempi, così come lo dimostrano i tanti risvolti internazionali che ebbero le sue gesta ed il suo stesso esistere, nonché la vastissima produzione storica romanzesca e finanche artistica, che quelle gesta hanno alimentato fin dal momento stesso in cui si produssero ed hanno continuato ad alimentare fino a tutt’oggi.
«I detrattori non esitano a definirlo un avventuriero, uomo senza scrupoli, che con le sue azioni ha gettato discredito sull’intero Ordine, avvalorando così le accuse di avarizia e cupidigia formulate contro i Templari. Il suo luogotenente e compagno d’avventure, invece, il catalano Ramon Muntaner, ne ha tracciato il ritratto di un uomo di grande coraggio e di indole generosa, sempre pronto a dividere i suoi guadagni con i compagni d’arme ed a pagare anticipatamente i suoi soldati… Moriva così, per tradimento, un uomo discusso e discutibile, un uomo che aveva servito fedelmente l’ideale del Tempio e da questo – o dai suoi uomini – era stato tradito, un uomo che, addestrato a combattere, aveva fatto del combattimento la sua ragione di vita ma, trasformato il suo ideale nella ricerca del potere, ne aveva anche subito la naturale conseguenza.» [Valentini E.]
«La sua è stata una personalità complessa, caratterizzata da numerosissime notizie biografiche il più delle volte contraddittore: se da alcuni è definito “un valoroso cavaliere che difende con ardimento gli insediamenti cristiani dalle orde saracene”, da altri invece è raccontato come “un uomo senza scrupoli, un vero pirata, che con le sue scriteriate azioni getta disonore sui Templari”. Storicamente, è stato di certo un grande avventuriero che ha combattuto con audacia a servizio di Angioini, Aragonesi e Bizantini… In Spagna le gesta di Ruggero Flores sono state rappresentate in un’opera lirica in tre atti di Ruperto Chapí su libretto di Mariano Capdepón, portata in scena la prima volta nel Teatro Reale di Madrid nel gennaio del 1878, dove ad impersonare il condottiero brindisino fu scelto il noto tenore italiano Enrico Tamberlick. La sua storia è stata narrata dai più importanti medievalisti italiani ed internazionali, e le sue imprese hanno ispirato romanzi storici di successo a firma di Azar Rudif e di Kostas Kyriazis.» [Membola G.]
«Mentre egli si trovava a pranzo col principe Paleologo e la di lui consorte, entrarono d’improvviso in quella stanza alcuni sicari, che barbaramente trucidarono il valoroso Ruggiero, mozzandogli il capo. Tale fu la fine miseranda di Ruggiero di Flores, contando la fresca età di anni 39… Quest’uomo d’aspro sembiante, ardente di cuore, vivace d’ingegno, prudente nel determinare, diligentissimo nell’eseguire e liberalissimo con tutti, occupa un posto distinto nel piccolo, ma onorevole Panteon brindisino.» [Camassa P.]
BIBLIOGRAFIA
Muntaner R. Crónica catalana de Ramón Muntaner Barcelona 1860
Kiesewetter A. Ruggiero di Flor Dizionario Biografico degli Italiani Treccani Vol. 48, 1997
Valentini E. Ruggero da Flor templare e pirata Cavalieri templari, Penne & Papiri 2001
Membola G. Flores il templare divenuto corsaro il7 Magazine N.18, Brindisi 2019
Camassa P. Ruggiero di Flores Guida di Brindisi – Stab. Tip. B. Mealli, Brindisi 1897
De Stefano A. Federico, III d’Aragona, re di Sicilia dal 1296 al 1337, Bologna 1956
Giunta F. Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, Palermo 1959
Tramontano S. La storia della Compagnia catalana in Oriente Nuova Rivista Storica XLVI, 1962
Soldevilla F. Gli Almogavari Nuova Rivista Storica LI, 1967
Dujcev J. La spedizione catalana in Oriente all’inizio del secolo XIV ed i Bulgari Annuario de Estudios Medievales IX, 1974 – 1979.
Per la prima parte:
Ruggero Flores: templare pirata e ammiraglio brindisino (I parte)
#battaglia di Halmyros#Gianfranco Perri#Gualtieri V di Brienne#Mikele IX Paleologo#Neri Acciaiuoli#Ruggero de Flor#Ruggero Flores#Ruperto Chapí#Templari in Puglia#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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Causa pandemia si stanno facendo avanti il sovranismo
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Un secondo virus nel mondo. Tra i motivi di preoccupazione non c’è soltanto l’epidemia ma anche il populismo che si manifesta in almeno quattro forme e attacca la democrazia liberale I virus oggi in giro per il mondo sono due. Per uno, il Covid-19, speriamo che prima o poi una cura e un vaccino si trovino (e chissà se quel giorno i «no vax» si scuseranno). L’altro è un pericolo per le nostre democrazie. È un virus che, oggi aiutato dal Covid-19, attacca la democrazia liberale e si manifesta in almeno quattro forme: Putin, Trump, autocrati stile Erdogan e Orbán ai nostri confini e i sovranisti europei. Insomma, il populismo nelle sue diverse manifestazioni. Per questo la cura, fortunatamente, la conosciamo: rafforzare la democrazia liberale e i «checks and balances» tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Il rischio è serio. E non solo perché il rifiuto della scienza, che accomuna i populisti, ha fatto perdere all’inizio della pandemia settimane preziose, ad esempio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, con morti che avrebbero potuto essere evitate. Donald Trump fino ai primi di marzo diceva che negli Stati Uniti tutto era sotto controllo, che erano i democratici ad esagerare e che un miracolo e la primavera avrebbero fatto sparire il virus. Oggi ci sono quasi 300 mila contagiati negli Usa e alcune proiezioni prevedono tra i 100 mila e i 200 mila morti nei prossimi mesi. C’e un ospedale da campo a Central Park e una nave militare attrezzata a ospedale ancorata all’isola di Manhattan. «Tutto sotto controllo» appunto.
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Illustrazione di Francesca Capellini shadow Alcuni populisti, ad esempio in Ungheria, hanno sfruttato la pandemia per sospendere la democrazia. Trump stesso usa falsità o mezze verità per denigrare i governatori democratici di vari Stati, in particolare quelli come il Michigan che saranno cruciali nelle prossime elezioni. Il virus come strumento di campagna elettorale. In un momento di emergenza nazionale un vero leader riunisce la nazione, Trump la divide ancor di più. C’è addirittura chi teme per la regolarità delle elezioni di novembre. La Costituzione americana proibisce di spostarle ma da Trump e dal partito repubblicano oggi ci si può aspettare di tutto. Se si diffondesse, il virus del populismo renderebbe gli europei irrilevanti e impoveriti. I sovranisti, con la «scusa» dell’immigrazione (problema serio ma esagerato strategicamente) vogliono distruggere l’Unione europea e sostituirla con tanti orticelli apparentemente sovrani ma in realtà alla mercé di Russia, Stati Uniti e Cina. Paesi europei relativamente piccoli finirebbero per combattersi fra loro in guerre commerciali, con tariffe, svalutazioni competitive, concorrenza fiscale. Un gioco a somma ampiamente negativa che abbiamo già sperimentato negli anni Venti e Trenta, fra le due guerre mondiali, e che ha prodotto un disastro. Proprio per evitare il ripetersi di quelle catastrofi si è iniziato, negli anni Cinquanta, il processo di cooperazione europea. Sparita l’Europa, come vorrebbero i sovranisti, Stati Uniti, Russia e Cina deciderebbero da soli le sorti della umanità: da come proteggerci contro i cambiamenti climatici, alle regole del commercio fra nazioni, dal destino dei regimi a loro non graditi, alla dimensione degli eserciti. Putin e Trump sperano che l’Europa si disintegri per eliminare un concorrente e lavorano insieme per raggiungere questo obiettivo. Con l’aiuto degli autocrati ai confini dell’Europa creano instabilità e incertezza illudendo i sovranisti nostrani che la democrazia liberale sia un po’ «passé». Invece dobbiamo rafforzarla, altrimenti potrebbe aprirsi un periodo assai buio per le libertà individuali e per le nostre economie. I «falchi» del Nord Europa sembrano non capire che qui non si tratta di disquisizioni tecniche su eurobond o Mes, ma di compiere scelte che determineranno la sopravvivenza, o meno, dell’Europa. Se al di là dei dettagli l’Europa non dimostrerà che a uno shock comune (il virus) è capace di rispondere in qualche modo comune avrà finito di esistere. Che i leader di Germania e Olanda, e non solo loro, non lo capiscano è straordinario. Soprattutto in un mondo in cui l’Unione europea è rimasto uno dei rarissimi esempi di collaborazione fra Stati. Un esempio sul quale dovremmo far leva per rafforzare la nostra posizione nel mondo: altro che aver paura degli intrighi di Putin e Trump. Putin ha sicuramente influenzato le elezioni americane del 2016 per favorire Trump. Pare sia intervenuto di nuovo nelle primarie del partito democratico per favorire Bernie Sanders, un candidato la cui «nomination» avrebbe garantito a Trump la rielezione sicura e una presidenza se possibile ancor più imperiale di quella che sta per chiudersi. Magari con sua figlia Ivanka candidata nel 2024. Il fatto che una potenza straniera interferisca in elezioni altrui è grave e le tecnologie dei social rendono assai difficile evitarlo. Lo stesso Trump ha chiesto aiuto a un Paese straniero (l’Ucraina) per cercare di sabotare la candidatura di Joe Biden, in cambio di aiuti militari pagati dai contribuenti americani. Se Putin interverrà in elezioni di altri Paesi staremo a vedere: ma è quasi certo che i servizi russi pagassero, e forse ancora lo fanno, cittadini europei di varie nazioni perché «postassero» sui giornali on line commenti sovranisti e favorevoli a Mosca. Al punto che un quotidiano inglese, il Guardian, per difendersi da queste interferenze, aveva smesso di pubblicare i commenti dei lettori. E appena può, Putin deride la democrazia liberale, definendola un sistema obsoleto. Nel frattempo, come è accaduto giorni fa a Jacopo Iacoboni, giornalista della Stampa, fa attaccare dai suoi generali la libertà di stampa in Italia, forse pensando che fra poco riuscirà lui a limitarla attraverso i suoi amici italiani. Trump sta mettendo a dura prova la democrazia più che bi-centenaria degli Stati Uniti, un sistema i cui anticorpi nella storia hanno sempre limitato le ambizioni imperiali dei presidenti. Basta leggere i testi dei padri fondatori della democrazia americana, soprattutto James Madison, per rendersi conto di quanto fossero preoccupati di limitare i poteri dell’«uomo forte», seppur cercando di far sì che la capacità di agire del governo non fosse bloccata dall’opposizione. Trump oggi domina un partito repubblicano preoccupato delle prossime elezioni anziché della Costituzione americana. Durante il suo primo mandato il presidente ha licenziato chiunque si opponesse alle sue scelte. Recentemente si è di fatto auto-nominato capo della giustizia e ha agito di conseguenza, chiedendo con un tweet al ministro della Giustizia, William Barr, di intervenire per ridurre la pena comminata al suo collaboratore e amico Roger Stone. Barr prima ha obbedito, poi rendendosi conto della gravità della cosa e della valanga di critiche ricevute da più di duemila giudici ha «quasi» minacciato le dimissioni. «Quasi» perché il culto per la personalità dell’«uomo forte» Trump e la paura per le sue reazioni pervade il partito repubblicano. Nel frattempo, il presidente ha «perdonato» una dozzina di personaggi condannati per gravi crimini di corruzione o di «insider trading». Trump ha sinora nominato 50 giudici distrettuali, il doppio dei 25 nominati da Obama allo stesso punto della sua presidenza. Il risultato è che in tre tribunali distrettuali, fra i quali quello di New York, uno dei più importanti, le nomine di giudici giovani, tutti conservatori, influenzeranno per molti anni l’interpretazione della legge. Anche la Corte Suprema, con l’arrivo del giudice Cavanagh ha oggi una maggioranza di conservatori. Con le sue nomine Trump sta trasformando anche i servizi segreti, che dovrebbero essere un delicato organo super partes, in un organo partigiano, pieno di amici suoi. La presidenza di Trump sta creando precedenti ai quali futuri presidenti, siano essi repubblicani o democratici, potrebbero appellarsi per indebolire i «checks and balances» della democrazia americana, un virus che si potrebbe propagare ad altre democrazie. Comunque, ma soprattutto se Donald Trump venisse rieletto, i «checks and balances» della Costituzione americana dovranno funzionare al meglio. Perché l’esempio di questa presidenza imperiale potrebbe ispirare negativamente molti altri sia negli Stati Uniti che altrove. Tanto più che a proposito di non democrazie liberali, la storia ci dirà se nel dicembre scorso il partito comunista cinese, che guida un Paese totalmente privo di «checks and balances», non abbia nascosto qualcosa sul virus che avrebbe potuto aiutare il resto del mondo a reagire più in fretta. E anche nei mesi successivi: il numero dei morti cinesi ad esempio non appare più credibile e questo ha messo fuori strada le azioni di contenimento nel resto del mondo. Read the full article
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di Luca Baiada
Cent’anni dalla fondazione dei Fasci di combattimento: Milano, piazza San Sepolcro, 23 marzo 1919. Il fascismo, un tipico prodotto di successo del Made in Italy; forse la parola italiana più nota all’estero, insieme a mafia e pizza. Ipocrisia e sangue. Va al potere con le stragi di democratici e sindacalisti, con gli incendi, coi saccheggi; ma le condanne a morte che pronuncia col Tribunale speciale, quelle eseguite, sono poche decine. Lupara bianca e lupara nera. Al fascismo bastano sette anni dal suo primo governo per sforbiciare un pezzo della capitale e consegnarlo al papato, e pochi anni in più per legare le sorti del paese alla Germania con risultati disastrosi. Paradosso tutto nostro, quel suicidio differito del Risorgimento passa per patriottico.
Tre quarti di secolo dall’attacco partigiano in via Rasella (non per caso, la Resistenza scelse il 23 marzo) e dalle Fosse Ardeatine, il giorno dopo. L’attacco lo fecero i Gap, Gruppi di azione patriottica; patria non sapeva di populismo e non metteva in imbarazzo. Pochi giorni prima, il 10 marzo e sempre a Roma, per l’anniversario della morte di Mazzini i gappisti avevano disperso a revolverate i fascisti, che in via Tomacelli sfilavano contro il re e per la repubblica, ma quella finta di Mussolini. Brutto colpo, per i repubblichini, che sul «Messaggero» commentarono: «Purtroppo i soliti elementi perturbatori attentano alla serena compostezza del corteo». I comunisti sparano sui fascisti per impedire che si fingano mazziniani. Da approfondire, il senso di quell’accademia a mano armata.
La memoria è rimasta prigioniera del paradigma vittimario delle Ardeatine, crimine sepolto nel monumentalismo; l’azione ben riuscita di via Rasella non ha avuto la considerazione che merita, anzi è stata accusata di tutto: i partigiani che volevano l’eccidio, che dovevano consegnarsi ai tedeschi, che ignorarono moniti e comunicati. Qualche anno fa è stato pubblicato e demistificato il volantino fascista che fabbricò menzogne poco dopo il massacro (una manovra disinformativa persino più zelante di quelle tedesche); ma le smentite razionali non bastano, l’accusa contro la Resistenza risponde a un bisogno emozionale. Ha combattuto, ha spezzato l’inerzia, e nella città santa: è colpevole.
Mezzo secolo dalla strage di piazza Fontana, a Milano. Nel 1969 corre lo sviluppo economico, sono in piena maturazione l’industrializzazione e l’urbanizzazione, si è affacciata la rivoluzione sessuale, si progettano il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, lo Statuto dei lavoratori. Si reclamano riforme dei codici, della scuola, dell’università. Una parte del paese vuole entrare nella modernità, un’altra frena: vi entrerà zoppicando.
Piazza Fontana è una strage indiscriminata, la prima di tipo bellico dopo la guerra; le altre, da Portella della Ginestra a Reggio Emilia, hanno un margine di selezione delle vittime. Nel 1969 si colpisce a caso: il bersaglio grosso non è in quei morti, è il popolo. Insieme c’è la violenza poliziesca, la macchinazione che mira all’anello debole della contestazione: gli anarchici, estranei al circuito politico del blocco al governo e di quello all’opposizione, riottosi alla retorica del costituzionalismo ingessato, dissonanti dal reducismo ciellenista. Però la morte di Giuseppe Pinelli, un po’ simmetrica e un po’ decentrata rispetto alla bomba, colpisce mirando ed è un monito per tutti, fitta di segni che parlano di allineamento, di ubbidienza non solo governativa. L’uomo che quel giorno va tranquillo coi poliziotti in questura, fiducioso in un chiarimento, ne uscirà cadavere dopo un interrogatorio che viola ogni norma procedurale.
In carcere, additato come il mostro, finirà un altro anarchico innocente, Pietro Valpreda; ci vorranno anni e una modifica legislativa per tirarlo fuori. Ci si renderà conto, finalmente, che le leggi sono ancora quelle fasciste e che un detenuto può sparire senza garanzie. E insieme c’è la giustizia, così inadeguata che alla verità processuale su quel 1969 mancano ancora pagine importanti. La spiegazione corrente su Pinelli sarà un ossimoro osceno, il malore attivo, in cui – come nei Promessi sposi, con le febbri pestilenziali – l’indicibile si sposta sull’aggettivo. Qualcosa si muove, qualcuno fa, insomma c’è un che di attivo, in quella morte. Ma il sostantivo è incolpevole e sa di vecchio, di malfermo: il malore, meno grave della malattia, più svenevole di un dolorino. Pinelli era quarantenne. Da rivedere, sulla giustizia, il film Processo politico di Francesco Leonetti.
Un quarto di secolo dalla rifrequentazione di un tremendo archivio segreto. Fra il 1943 e il 1945 gli occupanti tedeschi e i collaborazionisti fascisti uccidono italiani in una quantità mai davvero calcolata: probabilmente almeno trentamila. Nel 1945 si decide di concentrare indagini e prove a Roma, negli uffici della giustizia militare, per far meglio chiarezza. Negli anni immediatamente successivi i fascicoli sono usati per celebrare pochissimi processi, poi sono lasciati alla polvere, nel silenzio di tutte le strutture partitiche, politiche, sindacali, combattentistiche. Molti sanno, tutti tacciono, qualcuno manovra. È uno scandalo senza paragoni nell’Italia postunitaria, forse nella storia europea: un paese occulta le prove di due anni di massacro dei suoi cittadini, di ogni età e condizione, compresi i bambini, i militari fedeli al governo legittimo, i partigiani, il clero, gli ebrei.
Un giornalista battagliero, Franco Giustolisi, chiamerà questa cosa orribile Armadio della vergogna, un’espressione fulminante. Dopo che l’Armadio è stato riaperto si muovono commissioni d’inchiesta, si scrivono relazioni, eppure restano oscure sia le implicazioni di un’inerzia così lunga, sia le modalità dell’improvvisa rifrequentazione dell’archivio. Avviene, appunto, nel 1994: cioè dopo il Trattato di Maastricht e dopo la trattativa Stato-mafia con la notte in odor di golpe denunciata da Ciampi, e dopo l’assassinio di Falcone e Borsellino. Soprattutto, a breve distanza dalla caduta del Muro di Berlino e dalla riunificazione tedesca, e subito dopo l’arrivo di Berlusconi al governo. In quell’anno i Modena City Ramblers cantano Quarant’anni: «Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze e anarchici distratti cadere giù dalle finestre. Ho venduto il mio didietro ad un amico americano. Ho massacrato Borsellino e tutti gli altri. Ho protetto trafficanti e figli di puttana. Ma ho un armadio pieno d’oro, di tangenti e di mazzette, di armi e munizioni, di scheletri e di schifezze».
La rifrequentazione non ha neppure una data sicura. Di altri misteri italiani si conosce almeno il giorno; nel 1994 l’Armadio ricompare senza un verbale, senza una fotografia. Negli anni che seguono si celebrano una ventina di dibattimenti, l’ultimo termina nel 2015; va in prigione solo un sottufficiale. La Germania non paga nessun risarcimento; anzi, alla Corte internazionale dell’Aia fa condannare l’Italia per lesa maestà, perché uno studio legale ha ipotecato una villa tedesca a Como. Attenzione. La posta in gioco non è solo di crediti italiani e di una villa: con quella sentenza la Corte, cioè la voce giudiziaria dell’Onu, dice che gli Stati non possono mai essere condannati a pagare, neppure per crimini di guerra o contro l’umanità. Vale per il passato e per il futuro, per Sant’Anna di Stazzema e per la Siria. È il 2012: la crisi economica dilaga, terrorismo e destabilizzazioni fanno il doppio gioco sul sangue di interi paesi, e Wikileaks, col Cablegate e coi documenti sull’Afghanistan e l’Iraq, ha svelato intrighi e massacri. Ecco che sul tavolo anatomico dei giuristi, all’Aia, le stragi di italiani dal 1943 al 1945 sono dissezionate e manipolate per fabbricare un salvacondotto legale a quelle future, ovunque. Gli apprendisti stregoni cuciono i lutti della Seconda guerra mondiale col fil di ferro del formalismo; ne esce un mostro alla Frankenstein, servizievole alla ragion di Stato. Sangue assolve sangue.
Settant’anni dalla fondazione della Nato. Voluta contro un blocco politico-economico che non esiste più da un trentennio, è sopravvissuta al suo nemico e continua a condizionare il presente. I responsabili di crimini nazifascisti commessi in guerra sono stati protetti e adoperati; la strategia della tensione è stata l’area in cui la Nato ha incontrato il nazifascismo bellico e la protezione postbellica della sua impunità, cioè l’ombra silenziosa dell’Armadio della vergogna.
Lo stragismo nazista e fascista, sempre antipopolare, sempre collaborazionista, ha disseminato di ingiustizia e reticenza un secolo segnandone le tappe. Durante la guerra è stato usato per fabbricare il complesso di colpa per la Resistenza, la squalifica profonda degli italiani, e per gettare le basi di un senso di inferiorità contrario al Risorgimento, al socialismo e alla democrazia; da rileggere, le pagine di Giuseppe Dossetti su Marzabotto come delitto castale. Dopo la guerra ha stravolto l’ingresso del paese nella modernità, costruendo col metodo terroristico la minaccia del colpo di Stato, lo scacco alle conquiste sindacali e democratiche, la difesa a oltranza dei privilegi di classe. Dopo la dissoluzione del blocco socialista e la riunificazione della Germania, i contraccolpi di quel sangue e quei silenzi hanno continuato a pesare. I segreti della strategia della tensione e l’impunità delle stragi nazifasciste in tempo di guerra hanno ricevuto una protezione solida, dentro l’abitudine del potere all’utilizzo indiscriminato della criminalità organizzata e del fascismo; abiti intercambiabili, in Italia, e sempre con l’ornato di una cultura prostituita alla distrazione. Da rivedere l’intervista al regista (Orson Welles), in La ricotta di Pasolini: «Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa». La ricotta comincia col Vangelo di Marco: «Non esiste niente di nascosto che non si debba manifestare; e niente accade occultamente, ma perché si manifesti».
Ancora da sondare, i rapporti fra le coperture dell’Armadio della vergogna e il reimpiego del fascismo negli anni della conflittualità armata, come le relazioni fra crimine, fascismo e affarismo – riciclaggio, privatizzazione di beni pubblici, traffico di droga e armi – nella prima metà degli anni Novanta, in concomitanza coi delitti più vistosi (Falcone, Borsellino). Tutti da affrontare, i legami con altri delitti che hanno segnato la situazione europea poco prima della liquidazione del socialismo o nell’immediatezza (omicidi Olof Palme, Alfred Herrhausen, Detlev Rohwedder).
Le stragi fasciste dal 1919 preparano la dittatura, che prepara i massacri sociali, coloniali, bellici. Le stragi belliche, massacri dentro l’immane massacro, sorreggono l’occupazione militare, la schiavizzazione, la deportazione, il saccheggio, la repressione materiale e morale. Le stragi della strategia postbellica orientano il cambiamento dell’Italia in conformità alla spartizione del mondo in blocchi. Le stragi del 1992-1993 chiudono quella stagione, mettendo a tacere chi sa troppo e aprendo la strada a un nuovo quadro di potere, che serve alla penetrazione economica nei paesi ex socialisti e alla distruzione dell’originale socialdemocrazia italiana, coi suoi specifici miti e pilastri (democristianesimo, eurocomunismo, partecipazioni statali, banche pubbliche). Questo lunghissimo sacrificio umano ha per costante l’eliminazione mirata di notabili (uomini d’ordine antifascisti, politici onesti, sindacalisti impegnati, intellettuali coraggiosi, magistrati scomodi) e il massacro casuale, indiscriminato, contro il popolo, che la strategia del sangue riduce a massa informe di carne.
Davvero, tanti anniversari. Eppure, a leggerli insieme si capisce meglio. Un uomo diritto che visse per amore, patria e poesia, e morì d’esilio in povertà: «Non accuso la ragione di stato che vende come branchi di pecore le nazioni: così fu sempre, e così sarà: piango la patria mia, “Che mi fu tolta, e il modo ancor m’offende”». Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 17 marzo.
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. Xª FLOTTIGLIA MAS La situazione a Gorizia – prima e dopo la Battaglia di Tarnova La Decima arrivando a Gorizia trovo’ una citta’ prostrata. L’ azione dei politici del Litorale Adriatico e quella dei militari locali pareva aver cancellato i segni di Gorizia italiana. Se nelle valli e nei capisaldi i reparti italiani erano ben presenti, nella citta’ si notavano quasi solamente soldati tedeschi e gli slavi delle varie fazioni favorevoli ai tedeschi: domobranci sloveni, ustascia croati, cetnici serbi… Non una sola bandiera italiana, nelle vetrine e nei negozi molte insegne e scritte in tedesco e sloveno, i circoli culturali italiani chiusi, le iniziative economiche ostacolate. Il monumento ai caduti della Grande Guerra era stato fatto saltare dai belogardisti La Decima, che aveva compiti militari, in effetti si fece carico di un piu’ ampio impegno: riportare a Gorizia una visibile presenza italiana. Gli ufficiali ed i maro’ non attesero ordini per entrare nei negozi e chiedere che venissero tolti i cartelli in lingua straniera. Il comando divisionale volle mettere rimedio anche all’ isolamento delle province orientali e istitui’ un servizio di pulman tra Gorizia e Milano. Uno degli obiettivi di questa iniziativa era anche di consentire ai giovani che volevano abbandonare la Todt, spesso arruolati forzatamente, di raggiungere Milano per entrare nei ranghi della “Decima”. Il servizio di pulman consenti’ anche di distribuire a Trieste e a Gorizia i giornali che si stampavano a Milano e a Torino, dei quali – dalla data dell’ armistizio – era stata vietata la diffusione. Per gli italiani di Gorizia – almeno per la grande maggioranza che non intendeva passare sotto la Yugoslavia o sotto il dominio della Germania – l’ arrivo e l’ impegno della “Decima” assumeva un aspetto chiaramente nazionale e sollevava grandi speranze. Per la prima volta dopo l’ 8 settembre in quelle terre era presente una forza militare italiana libera da compiti di presidio e in grado di modificare in prospettiva la situazione politica. I battaglioni si erano appena messi in movimento che a Gorizia si prospetto’ un nuovo incidente con i tedeschi. Per una esposizione di quadri di artisti italiani e tedeschi nella sala era esposta la bandiera tedesca, alcuni maro’ chiesero al gestore di esporre anche quella italiana, ma questi rispose che aveva paura a farlo. Il Comandante Carallo, informato del fatto, ordino’ ai suoi uomini di esporre la bandiera italiana nella sala, ne scaturi’ un contrasto con le autorita’ civili tedesche e intervennero anche quelle militari. Incluso il comandante della piazza di Gorizia. Insistettero nell’ affermare che le disposizioni da loro ricevute vietavano l’ esposizione delle bandiere italiane e slovene. Carallo, per non pregiudicare ulteriormente i difficili rapporti con i comandi germanici e non compromettere le operazioni militari appena iniziate, in cui i suoi uomini erano pesantemente impegnati, accetto di togliere la bandiera italiana, ma immediatamente dopo invio’ una nota al comando “Adler” con richiesta di riparazioni per “l’ offesa all’ onore della nostra bandiera” informando contestualmente della situazione il Comandante Borghese. --------- Z.O. 21.12.1944 XXIII MARINA DA GUERRA NAZIONALE REPUBBLICANA COMANDO DIVISIONE “DECIMA” Ufficio del Capo di S.M. Al COMANDO X MAS – Lonato ARGOMENTO: Situazione politico-militare a Gorizia RISERVATA PERSONALE Riservata al Comandante BORGHESE Ti rimetto con conoscenza copia della mia richiesta al comando “Adler” (Comando superiore SS Globocnik) Comunque, in risposta alla proibizione, una immensa bandiera italiana sventola dal balcone del mio comando, molte vetrine hanno gia’ esposto bandiere italiane e questa notte inondero’ Gorizia di manifestini tricolori con un saluto della Decima alla popolazione della citta’ santa. Avevi perfettamente ragione: la nostra presenza qui non e’ solo necessaria, ma indispensabile per non far perdere il sentimento di italianita’ a quei pochi restati immuni dalla passiva rassegnazione della politica austriacante, poggiata sul dissidio italo-slavo e degli intrighi che vogliono creare tra noi e i tedeschi. In tutta la mia azione mi sorreggono gli ufficiali di collegamento delle SS. DECIMA! DECIMA! DECIMA! Il Comandante in 2^ Capitano di Fregata Luigi Carallo A Gorizia i rapporti con i tedeschi ricominciarono ad essere tesi… In un settore tanto movimentato militarmente si sovrapponevano contrasti etnici e piani a lunga scadenza. La presenza della “Decima” aveva un peso decisamente politico! Cio’ non piaceva assolutamente a chi pretendeva di avere una posizione preminente. Ci fu un ennesimo incidente, ancora per la bandiera italiana: il TV Montanari, Capo Ufficio Operazioni, fece intervenire da Salcano una compagnia del “Barbarigo” per bloccare il solito tentativo dei tedeschi di far ammainare la bandiera italiana che sventolava sulle caserme e sui comandi della “Decima”. Peggiori ancora erano i rapporti con gli slavi alleati dei tedeschi che, forti della protezione di questi ultimi, ostentavano apertamente disprezzo per i militari italiani. La reazione della “Decima” in questi casi fu sempre decisa e immediata, si arrivo’ a violente zuffe e si sfiorarono scontri a fuoco. All’ ospedale militare i feriti delle due etnie dovevano essere rigorosamente tenuti separati. L’ atteggiamento dei domobranci non differiva sostanzialmente da quello dei comunisti del IX Korpus: le loro mire espansionistiche coincidevano, la - Slavia Veneta secondo loro - aveva per confine il Tagliamento e questo doveva essere l’ assetto politico a fine guerra. Il C.te Borgese nel 1947 in un suo manoscritto ricorda la situazione in questi termini: “Le autorita’ politiche austriacanti, non riuscendo a spuntarla per altra via e decise a sbarazzarsi di questi “pericolosi italiani”, ricorsero allora ad un altro sistema, gia’ in uso da parte della polizia del vecchio impero absburgico, di servirsi di agenti provocatori per far affluire decine di denunce contro gli uomini della Decima, accusandoli di ogni specie di crimini, dal saccheggio allo stupro, dall’ omicidio all’ incendio doloso; si arrivo’ all’ assurdo di denunciare un marinaio della Decima di essersi pubblicamente fatto vanto di aver gia’ ucciso sei ufficiali tedeschi e di essere in agguato per raggiungere al piu’ presto il record di dieci! Questa campagna porto’ a maturazione i piani della cricca politica austriacante. Verso la fine del gennaio ’45 il Gauleiter Rainer chiedeva ufficialmente, mediante telegramma al plenipotenziario militare germanico, generale Wolff, il ritiro della Divisione Decima dalla Venezia Giulia e il suo trasporto a ponente del Tagliamento.”
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La pietra del cielo, Jack Whyte
Ho iniziato a leggerlo perché non avevo altro a portata di mano e mi stavo annoiando da morire, nella convinzione che nella mia lista ci fosse anche un romanzo storico. Ma siccome ne leggo un casino di mio, ho deciso di non inserire romanzi storici nella lista, e quindi non va ad aumentare il conto.
In ogni caso, siamo nella Britannia del III secolo dopo cristo, al tramonto dell’Impero Romano, una Britannia in cui vivono da generazioni Romani che Roma l’hanno vista solo da lontano. Publio Varro, il nostro protagonista, è un veterano dell’esercito in pensione anticipata a causa di una ferita di guerra. Riprende l’attività di lavorazione del ferro condotta da suo nonno e piano piano ne riporta alla luce le tecniche e i segreti. Tra questi, un metallo ignoto tratto da una “pietra del cielo”: che delle pietre possano cadere dal cielo è per l’epoca un concetto assurdo, ma non ci sono altre spiegazioni per lo strano metallo lavorato dal nonno di Publio. Il primo di una serie che rivisiterà una delle più note saghe ambientate in terra inglese, pone le origini del ciclo arturiano prima del periodo che di solito considereremmo.
Mi sono piaciute molto l’ambientazione tardo-imperiale, gli intrighi politici che - lo sappiamo - erano ordinaria amministrazione fin dagli albori di Roma, l’accuratezza nel raccontare le strutture e le manovre militari e poi, dal punto di vista della trama, l’avvicinarsi pian piano al punto focale della narrazione. L’autore ci racconta tutte le vicissitudini di Publio, come ha conosciuto l’amico Gaio, come ha smesso di fare il soldato ed è diventato un fabbro, come ha migliorato la sua arte e come ha perso tutto, come si è rifugiata dall’amico, ha conosciuto sua moglie, ha scoperto le pietre e le ha forgiate. Solo alla fine, nelle ultime pagine del romanzo, ci getta un riferimento noto, facendoci capire che sta ponendo una base storica alle leggende di re Artù, che andrà poi a riraccontare nei romanzi successivi. Molto bello, intrigante, si fa leggere bene.
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Videogiochi e antica Roma: giocare col passato
Con la sua ricca storia, architettura grandiosa e intrighi politici, l'antica Roma ha fornito una fertile fonte di ispirazione per videogiochi ambientati in questo periodo. E', infatti, uno dei periodi più affascinanti della storia umana e continua ad esercitare un potente richiamo sull'immaginazione di molte persone. L'antica Roma: uno scenario perfetto per i videogiochi L'antica Roma è stata la culla di molte delle idee e delle istituzioni che hanno plasmato la civiltà occidentale. Questo periodo storico offre una varietà di elementi che rendono l'ambientazione perfetta per i videogiochi: - Architettura iconica: l'antica Roma è nota per la sua architettura grandiosa, con maestosi templi, anfiteatri e palazzi. Questi edifici iconici offrono scenari spettacolari per le avventure dei giocatori. - Intrighi politici: le lotte di potere tra imperatori, senatori e altre figure influenti forniscono trame ricche di intrighi e tradimenti. - Azione e combattimenti: le legioni romane e i gladiatori sono diventati simboli di forza e combattimento. I videogiochi basati sull'antica Roma offrono spesso intense sequenze di azione e combattimento. - Mitologia e religione: la mitologia romana e la religione pagana offrono un vasto mondo di creature mitiche e dei. Questi elementi possono essere utilizzati per creare storie avvincenti e avventurose. L'arte e l'architettura romana nei videogiochi Uno dei punti di forza dei videogiochi ambientati nell'antica Roma, infatti, è la fedeltà nella rappresentazione dell'arte e dell'architettura romana. I dettagli accurati di edifici come, per esempio, il Colosseo, il Foro Romano e il Pantheon offrono una prospettiva realistica e coinvolgente dell'antica Roma. I giocatori possono vagare tra queste meraviglie architettoniche e ammirarne la maestosità, il che contribuisce a creare un'esperienza immersiva. I videogiochi ambientati nell'antica Roma spesso presentano una serie di sfide e opportunità che i giocatori devono affrontare. Queste sfide possono includere la gestione di un impero, la pianificazione delle strategie militari, la navigazione delle complesse trame politiche dell'epoca e altro ancora. Ciò, dunque, offre un'opportunità unica di imparare di più sulla storia e la cultura romana mentre si gioca. La rappresentazione accurata dell'antica Roma è una parte essenziale di questi videogiochi. Gli sviluppatori di giochi dedicano tempo e risorse considerevoli per garantire che l'ambientazione storica sia il più fedele possibile. Pertanto questo impegno per l'accuratezza storica aiuta i giocatori a immergersi completamente nel periodo e ad apprezzare la ricchezza della cultura romana. I videogiochi a tema antica Roma più famosi Negli ultimi anni, diversi videogiochi hanno esplorato l'antica Roma con grande successo. Ecco alcuni esempi: - Ryse: Son of Rome: questo videogioco segue la storia di Marius Titus, un centurione romano, mentre cerca vendetta nell'antica Roma. Il gioco è noto per la sua grafica impressionante e l'intensa sequenza di combattimento. - Assassin's Creed: Brotherhood: parte della famosa serie di giochi "Assassin's Creed", questo titolo è ambientato a Roma durante il Rinascimento e offre ai giocatori la possibilità di esplorare la città in tutto il suo splendore storico. - Total War: Rome II: questo gioco di strategia permette ai giocatori di assumere il controllo di una delle grandi fazioni romane e di cercare di dominare il mondo antico attraverso la diplomazia e la guerra. - Gladiator: Sword of Vengeance: in questo videogioco, i giocatori assumono il ruolo di un gladiatore che cerca di liberarsi dall'arena e di vendicarsi contro i suoi oppressori. Il gioco offre combattimenti emozionanti e una storia coinvolgente. In copertina foto di Kelly Sikkema su Unsplash Read the full article
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Il fallimento del lancio del razzo italiano Vega, frutto di un sabotaggio. L'arresto della spia russa a Napoli potrebbe chiarire il retroscena
Italia tra Mosca e Pechino, alla base un lancio di un vettore spaziale fallito, razzo prodotto in Italia dall'Avio (gruppo Leonardo) di Colleferro (Roma). A riferirlo come riporta Il Messaggero, fonti di primo spicco dei servizi segreti italiani. #Avio, potrebbe essere stata vittima di un sabotaggio per via degli intrighi che l'intelligence ha messo in relazione tra il manager Aleksandr Korshunov e l'ex dipendente dell'Avio Aero (gruppo General Electrics) finito sotto indagine, Maurizio Paolo Bianchi. Il fallimento del lancio del razzo ha provocato il crollo in Borsa della società italiana con forti ripercussioni sulla reputazione della stessa. L'arresto di Aleksandr Korshunov potrebbe meglio chiarire quanto accaduto appena due mesi fa a quasi 8mila chilometri di distanza dall'Italia. Il 10 luglio scorso l'Esa, l'Agenzia Spaziale Europea, aveva programmato il lancio di un satellite dalla Guyana francese. L'obiettivo era mandare in orbita il Falcon Eye 1, un satellite militare di osservazione terrestre ad alta risoluzione per le forze armate degli Emirati Arabi Uniti. Il missile, il Vega 15, che trasportava il satellite era stato prodotto negli stabilimenti di Colleferro dell'Avio. Dopo due minuti dal lancio razzo e carico finirono in mare dopo un'anomalia. È il primo fallimento dell'azienda italiana, giudicato sin da subito molto anomalo, dopo ben 14 missioni riuscite. Vega, acronimo di Vettore europeo di generazione avanzata, è un vettore operativo in uso alla Arianespace, sviluppato in collaborazione dall'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e l'Agenzia Spaziale Europea (Esa) per il lancio in orbita di piccoli satelliti. L'Esa avviò subito una commissione d'inchiesta che ha concluso i suoi lavori appena giovedì scorso. "Sulla base delle osservazioni relative ai pochi millisecondi attorno all'anomalia hanno scritto gli analisti europei - la Commissione ha identificato come la causa più probabile un guasto termostrutturale nell'area della cupola anteriore del motore Z23. Altre possibili cause, come l'attivazione involontaria del sistema di neutralizzazione, sono state ritenute improbabili". Inoltre non sono state trovate prove di un atto doloso. Fin qui le analisi della commissione incaricata dall'Esa, ma in Italia la relazione, pur ritenuta attendibile, non ha convinto del tutto perché al puzzle ricostruito dalla commissione potrebbero mancare alcuni pezzi fondamentali che ora potrebbero fornire le indagini avviate con l'arresto del manager russo a Napoli. Per chiarire la vicenda vi fu subito la mobilitazione dei nostri Servizi con due delegati militari che avviarono un'istruttoria altamente riservata. Le conclusioni italiane non sono state rese ancora note e ad alimentare i sospetti non ci sarebbe solo il razzo, ma il carico che stava trasportando: quel Falcon Eye, il primo satellite spia degli Emirati Arabi. Avio e General Electric Avio ha rapporti molto intensi con General Electric a cui ha ceduto Avio Aereo per 3,3 miliardi di euro, la società che, secondo l'Fbi, è al centro degli interessi del manager russo. Dietro questi movimenti russi si sospetta possano esserci altri tecnici infedeli, magari corrotti economicamente dai russi, che hanno causato il fallimento della missione Vega. Il risultato del probabile sabotaggio è comunque "dirompente": ostacolate le mire degli Emirati Arabi Uniti e messo in ginocchio un fiore all'occhiello dell'industria spaziale italiana. Read the full article
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DOPO I FATTI PROVATI I FILI I MOVENTI E LA MATRICE
DOPO I FATTI PROVATI I FILI I MOVENTI E LA MATRICE
“OIL FOR DRUGS e di più OPERATION PUERTO ITALIANA e il CASO PAOLO FERRARO. U.S.A. servizi militari e il primato statunitense nel ciclismo: un libro del 2013 e un film del 2015 che sveleranno intrighi e trame profonde.”
[ http://www.film.it/news/televisione/dettaglio/art/stasera-in-tv-26-luglio-the-program-il-film-biografico-sulla-parabola-discendente-di-lance-armstro/ ]
Prima la scoperta delle…
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Area 51. La verità, senza censure Un'indagine avvincente e meticolosa sul luogo più discusso e concupito da ricercatori, curiosi, fan del cospirazionismo e cronisti: l'Area 51, nel deserto del Nevada, cuore di mille intrighi e segreti, in cui si intrecciano storia, politica, spionaggio, test nucleari, esperimenti militari inconfessabili, e perfino gli Ufo.
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Il lupo perde il pelo ma non il vizio, la politica francese in Libia, secondo il Generale Pasquale Preziosa
Vi riportiamo l'intervista fatta al nostro Presidente dal Direttore di Difesa Oline, Andrea Cucco, sulla Libia e le pressanti ingerenti francesi. ________________________ Il generale Pasquale Preziosa, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare fino al 2016 e oggi presidente di PRP Channel - prpchannel.com - fa una dettagliata analisi della questione della crisi libica e della politica estera “d’assalto” francese. Con una disamina della situazione attuale e storica (specchio di una realtà forse non proprio nota a tutti), suggerisce l’unità delle forze politiche italiane. Generale Preziosa, la Francia ha sempre tramato contro il nostro Paese? Nulla che non fosse prevedibile, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il comportamento francese verso l’Italia va analizzato con gli occhi della geopolitica. I recenti fatti accaduti nei rapporti tra i 2 paesi, che sembravano idilliaci, anche ricordando gli incontri a “Ventotene”, possono essere sintetizzati in pochi passaggi. Macron vince le elezioni in Francia e l’Italia esulta per aver “trovato” un alleato che dovrebbe condividere le medesime convinzioni per riformare l’Eurozona e meglio resistere contro la pressione tedesca per il problema del deficit e del debito: abbiamo esultato troppo presto. Purtroppo, il primo segnale negativo è pervenuto con la richiesta fatta dall’Italia di aiuto per il problema migratorio in atto e con il rifiuto francese. Successivamente Francia e Spagna hanno rigettato anche la possibilità che alcune navi cariche di migranti potessero attraccare nei porti spagnoli e francesi. Per non farsi mancare nulla, la Francia ha organizzato l’incontro a Parigi tra Serraj e il gen. Haftar, per strappare la leadership sul dossier Libia prima assegnato all’Italia. L’Italia ha risposto, su richiesta, con un piano per mandare qualche nave nelle acque territoriali libiche per aiutare la Guardia costiera libica per combattere la migrazione illegale. Parliamo solo di Libia? Recentemente la Francia ha annunciato di voler nazionalizzare i cantieri navali francesi Stx, di recente acquisiti da Fincantieri con l’accordo con il precedente presidente francese. La preoccupazione italiana è che la nuova amministrazione francese abbia fortemente riorientato le sue relazioni con la Germania indebolendo quelle con l’Italia, e la scelta franco-tedesca di cooperare per un nuovo velivolo caccia, escludendo a prescindere l’Italia, ne è la chiara testimonianza, già in precedenza la Francia aveva unito i suoi destini sui velivoli a pilotaggio remoto da combattimento con la Gran Bretagna, escludendo sempre il nostro Paese. E noi? L’Italia è preoccupata che la sua debolezza politica corrente possa ulteriormente ridursi dopo le elezioni tedesche del prossimo settembre. Per la Francia, la situazione interna, al di fuori delle apparenze, risulta essere anche complessa perché in Francia esiste un sud legato al Mediterraneo e disgiunto dal nord legato alle logiche nord europee. Il nostro Paese, su molti problemi della riforma dell’Eurozona, condivide le stesse preoccupazioni ma per l’Italia presumere che la Francia mediterranea avrebbe potuto prevalere nella nuova politica di Macron è stato, quanto meno, azzardato. La Francia vede la Germania legata a Parigi attraverso due canali: l’Unione europea e la NATO. Purtuttavia, la Francia sta iniziando a pensare a se stessa utilizzando tutti i mezzi diplomatici e non, per mantenere lo status di grande potenza nello scenario internazionale. Sta cercando di essere percepita come indispensabile a Berlino per il controllo dell’Europa. È una sfida difficoltosa, ma la Francia ha anni di esperienza e di intrighi diplomatici alle spalle: Machiavelli “docet”. Possiamo sperare un cambio di politica positivo per il futuro? Dalla Francia, l’Italia non si potrà aspettare niente di buono che non sia servente agli interessi d’oltralpe. Per gli aspetti interni alla Libia, la Francia, attraverso i suoi emissari nel Paese, è stata sempre presente sul terreno, uno dei tanti è un pilota di Mirage libico del periodo di Gheddafi che è stato anche addetto militare in Francia: i nomi sono noti a chi li deve sapere. Con lui la difesa francese manteneva i forti collegamenti con la tribù di Zintan e con il gen. Haftar. La dichiarazione di Parigi sottoscritta da Serraj e Haftar è da ritenersi di basso profilo e portata politica, finalizzato ad ottenere una amnistia nazionale per tutte le fazioni libiche in lotta, che possa cancellare il reato di sollevazione commesso da una parte dell’esercito libico contro Gheddafi per i fatti del 2011 e cita un possibile periodo per le possibili prossime elezioni in Libia. Quale Paese promosse la sollevazione contro Gheddafi? Certamente non l’Italia che aveva rapporti privilegiati con la Libia e un grande accordo di cooperazione, il rapporto con l’Italia non era possibile attaccarlo diplomaticamente o politicamente. Per gli aspetti, invece, di politica estera ed energetica è chiaro che l’accordo Berlusconi Gheddafi per l’ENI non era gradito ai francesi. Be' questo è oramai di pubblico dominio. Cosa non sanno gli italiani? La Francia aveva e ha i pozzi di petrolio in esaurimento in Algeria, mentre quelli libici erano e sono ancora da sfruttare, sono rimasti intatti dall’Iran libyan sanction act. Anche la Gran Bretagna con la British Petroleum non è rimasta indifferente. Nel passato, come fulmine a ciel sereno, la Gran Bretagna rilasciò l’attentatore di Lockerbie (Libico) con qualche protesta da parte degli Stati Uniti, ma come si vede gli affari sono affari. Con il greggio a 50 dollari al barile, tutti hanno ora la necessità di poter pompare petrolio senza utilizzo di sofisticate tecnologie: anche i russi. Questa è la partita oggi in Libia, la grande sfida che l’Italia tutta unita deve fronteggiare, anche se a fine legislatura e con un futuro politico da costruire, perchè gli sviluppi di questo confronto, nazionale, europeo e internazionale, saranno l’eredità di coloro che subentreranno. Da cosa deriva questa competizione con la Francia? Per capire il comportamento francese è necessario esaminare pochi antefatti geopolitici. Sotto il profilo storico, uno degli effetti collaterali della rivoluzione francese fu il concetto del nazionalismo: la popolazione con comuni origini, medesima stirpe e lingua comune, condivide lo stesso destino, questa diventerà, storicamente, la base dello stato nazione. Un altro punto importante, sempre sotto il profilo geopolitico, è che anche dopo la fine della Guerra fredda, la Francia non ha ancora chiuso il capitolo con la Germania e sta cercando il modo di poter convivere con questo Paese alla luce dei grandi cambiamenti mondiali in atto, riunificazione della Germania, PIL tedesco che pone la Germania come prima potenza economica europea e richiesta di aumento delle spese militari al 2% da parte degli USA. Ricordiamo che nel 1940 la Francia stava combattendo per la sua esistenza contro il pericolo Tedesco e fu sconfitta (deglutita), in breve tempo, dall’esercito germanico. Nel 1945 con la protezione nucleare americana le cose cambiarono in Europa: la fallace nuova linea Maginot, per la Francia fu rappresentata dalla Germania Ovest, la Francia rifiorì con una forte tendenza al nazionalismo, UK iniziò la ricostruzione del proprio Paese distrutto dal duro confronto, la Spagna fu sotto il dominio di Franco, mentre Italia, Austria con la Germania finirono sotto il controllo delle forze di occupazione. Abbiamo perso. Per la Germania e per l’Italia la cooperazione europea è stato il solo modo per rientrare nella comunità internazionale. Per la Francia il progetto dell’Unione europea era dibattuto tra il sentimento della paura e quello dell’ambizione: paura per evitare che la Germania non fosse che alleata solo della Francia e ambizione per diventare una Potenza globale non dovendo preoccuparsi di difendersi dalla Germania. Durante la Guerra fredda la Francia non ha sempre avuto una politica filo americana e i suoi buoni rapporti con l’Unione Sovietica erano noti. La Francia ha messo a punto una propria deterrenza nucleare indipendente dalla NATO, nella quale poi è rientrata solo politicamente (non militarmente), pretendendo grandi riconoscenze, poi concesse, per incarichi NATO di alto livello. Inoltre ha sviluppato largamente le sue relazioni con il Secondo e il Terzo mondo. La fine della Guerra Fredda fu celebrata in tutto il mondo ma non in Francia che non percepiva grande minaccia da parte dell’Unione Sovietica. La riunificazione della Germania, è stato un altro elemento, che non ha fatto gioire molti francesi, per la preoccupazione derivante dai fatti successi nella seconda Guerra mondiale. Difatti, la Francia ha cercato in tutti i modi che la Germania potesse rimanere ancorata alle istituzioni europee, e quando vi è stata la riunificazione ha molto supportato il Trattato di Maastricht affinché i due paesi fossero legati da una comune moneta. Per ingraziarsi i tedeschi, i francesi hanno condiviso la politica della Banca centrale tedesca di far mantenere alla BCE i livelli di inflazione bassi. Le regole europee oggi certamente non sfavoriscono i tedeschi, anzi, nel caso queste regole dovessero decadere i due paesi si troverebbero su posizioni ben opposte. I tedeschi hanno una loro agenda e oggi sono il Paese dell’Unione europea con la più forte economia, per contro la Francia non ha mantenuto la stessa leadership rispetto ai periodi della Guerra Fredda. La supposta co-leadership dell’Unione europea tra i due paesi risulta essere sbilanciata a favore della Germania. Uno dei dati significativi è il rateo di disoccupazione tra i due paesi: 10% circa per la Francia, bel al di sopra della media europea che è dell’8%, 4% circa per la Germania. Un altro dato significativo, è che la Francia ha avuto un deficit commerciale ad iniziare dagli anni 2000 con l’introduzione dell’euro, il settore pubblico impiega un quarto della forza lavoro francese, con alti prezzi, alte tasse e con seguentemente alto debito pubblico. La demografia francese è cambiata di molto negli ultimi anni, con la formazione in molte comunità municipali, di “quartieri” di immigrati musulmani e del Nord Africa, epicentri di risse, criminalità e talvolta di radicalizzazione, con difficoltà di integrazione nel tessuto sociale. La stagnazione economica e le tensioni sociali hanno prodotto un grande malcontento in Francia: le forze politiche - socialisti e conservatori - sono state di recente affiancate da forze fortemente nazionaliste, anti europeiste mettendo in pericolo la supposta continuità dei rapporti franco tedeschi. Durante il periodo coloniale, il principale obiettivo della Francia è stato quello di complicare la vita nelle colonie alle altre potenze europee, all’Italia in primis, ma anche alle colonie inglesi del sud est dell’Asia e del nord America, ricordiamo la Fayette che capeggiò l’indipendenza degli USA dalla Gran Bretagna. Non era importante la profittabilità delle colonie quanto la possibilità di complicare la vita agli altri, ai supposti nemici. La stessa strategia è continuata durante il periodo della Guerra Fredda impiegando alcuni leader del Terzo Mondo per complicare la vita agli USA, ai britannici, all’Unione Sovietica e alla Germania. La storia è piena di queste alleanze di comodo da parte dei francesi pur di ottenere una influenza globale. Click to Post
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