#il passato non passa
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yomersapiens · 2 months ago
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A Vienna piove ininterrottamente da giorni. È allarme in tutta l'Austria. C'è così tanta acqua dappertutto che non dovrei uscire di casa ma io esco lo stesso perché devo vedere con i miei occhi e documentare e ricordare. Il canale non troppo distante da dove abito è stato costruito a ridosso della metropolitana che ora è chiusa per rischio di esondazione. Sono passato a controllare e butta davvero male. Per anni ho guardato questo canale pensando "Ma a che diavolo serve una roba così se passa sempre un rivoletto deprimente di acqua". Adesso, a ondate, sta straripando. Mentre camminavo sotto la pioggia ero senza ombrello. Io già di mio ho problemi con gli ombrelli, non mi piacciono, sono solo una responsabilità, devi ricordarti sempre di averceli dietro e portarli con te e stare attento a non perderli. Penso la stessa cosa dei figli. Entrambe sono una responsabilità che non voglio sobbarcarmi. Camminare sotto la pioggia e senza ombrello vuol dire che devi fare una scelta: camminare in mezzo alla strada, dove diciamo ti becchi tutte le gocce possibili ma sono quelle piccole e standard della pioggia, oppure camminare rasente ai muri dei palazzi, che vuol dire evitare una buona percentuale di gocce standard ma incappare nei goccioni che cadono ogni tot metri quando le diverse grondaie dei tetti convergono. Sono quelle goccione pesanti, che si schiantano sul cappuccio del giubbotto facendo una bella esplosione rumorosa. Mentre cammino provo a contarle. Meglio un centinaio di gocce di dimensioni minori o una ventina di gocce di dimensioni maggiori? Provo a fare lo stesso calcolo con i baci, meglio dieci baci che non sanno di niente o uno che sa di tutto? Ecco questa è facile però. Meglio non confondere le cose, ché a essere dei finti romantici da tempo uggioso (o da catastrofe naturale) si finisce ad annegare in un mare che m'è dolce oh cazzo, l'ho fatto di nuovo.
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lady--vixen · 6 months ago
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Ieri ho passato una giornata di merda come non mi accadeva da tanto. Passato che non passa, dolori che tornano. Quella paura cieca e folle a ogni fitta strana, ogni bruciore. Come ciliegina sulla torta un silenzio spiegato bene. Il vuoto dal Salone. La fantasia che immagina. La razionalità che sa. Cose a cui non devo pensare per non ammalarmi ancora. Poi arriva una telefonata di chi ha un progetto nuovo e si sente come un bambino e ha l'entusiasmo contagioso. E tutto cambia. E poi via a piangere con Shakespeare tutte le lacrime degli ultimi anni. L'incanto delle luci, la magia della parole. Il pensiero: sono felice di essere ancora viva per vedere questa meraviglia. E i lampi e i tuoni e l'idea consolante: magari sto così per il tempo. Mica dicono che le cicatrici fanno male quando cambia il tempo? Ma qui il tempo non cambia. Non è mai primavera. E io ho bisogno di fiorie.
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fino-al-di-la-del-tutto · 7 months ago
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- Non ti ho vista per un po’, dove sei stata?
- In disparte, per conto mio.
- A fare?
- Calcoli. A contare tutte le cose che la vita non mi ha dato, quelle che ha finto di darmi, quelle che mi ha dato per poco, spacciandole per ciò che desideravo in quel momento, e poi rivelandole per le cianfrusaglie e presenze inconsistenti quali erano.
A contare quanto tempo é passato, quanto ne resta.
A guardare il Cielo di questo autunno pieno di enigmi,
a muovergli accuse, ringraziamenti, domande,
a strappargli promesse, a fissarlo in silenzio e versare qualche lacrima.
O un sorriso. O una speranza.
- Sembra una cosa molto molto triste. E come stai, adesso?
- Consapevole.
- Consapevole non é uno stato d’animo. Sembra davvero una cosa triste. Vuol dire triste?
- Vuol dire consapevole.
La tristezza é come la felicità, o come la vita stessa.
A un certo punto, passa. Arriva altro.
La consapevolezza, invece, resta. Se la eserciti, resta sempre.
Gabriela Pannia
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orotrasparente · 17 days ago
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oggi vado a lavoro più tardi e ho approfittato per fare quello che avrei dovuto fare un anno fa subito dopo essermi laureato, ossia buttare via tutto il materiale didattico, forse non me la sentivo perché toccare quelle cose avrebbe voluto dire accettare che non sono più un ragazzino, che sono passati, oggi, 6 anni da quando entrai per la prima volta in facoltà, ma quest’anno sto imparando ad accettare che il tempo passa e più che focalizzarmi sui ricordi o sul futuro devo stare coi piedi per terra e godermi il presente, per quanto non sempre possa piacermi, però la cosa che mi fa sorridere è che, mentre mettevo via tutto sto schifo di roba in 3 bustone enormi, è caduto da uno dei fascicoletti un biglietto della metro di roma di quando l’ho presa con te e ti dirò, a primo impatto mi ha fatto riaffiorare determinati ricordi, però poi l’ho preso da terra e buttato insieme a tutto il resto perché, come quelle cose, tu appartieni al passato di una vita che non mi appartiene più
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stella24fm · 4 months ago
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C’è un tempo per partire è uno per tornare. C’è un tempo per sbagliare è uno per rimediare. C’è un tempo per tergiversare e uno per decidere. C’è il tempo passato, il tempo che verrà, il tempo perso. E poi c’è il tempo più importante: il tempo di ORA. Vivilo, perché il tempo non aspetta tempo e il tempo passa, senza aspettare i tuoi tempi…
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arreton · 3 months ago
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Sto rivalutando il mio aspetto. Se prima mi sentivo ai minimi storici della mia bellezza – che diventerebbe appunto bruttezza, se non lo fosse già stata da sempre – adesso, con questo nuovo taglio e questo nuovo colore mi sento invece all'inizio della creazione di una nuova immagine di me: ho un certo carattere ed un certo “stile” anche vestendomi in maniera abbastanza anonima e senza un filo di trucco, la mia figura inizia ad acquisire dei bordi. Da qui, allora, mi sembra che io possa iniziare a modellare quegli aspetti che vorrei cambiare di me o meglio, mi sembra che possa iniziare a lavorare sulla mia immagine senza necessariamente apparire “bellina”. Il viso dolce e gli occhi buoni non mi appartengono, ma non significa che non possa averli e riservarli a pochi eletti. Il viso fresco e puro di chi cerca disperatamente di farsi amare e accettare non mi appartiene, ma voglio imparare a guardare senza pregiudizio nella maniera più spietata – ovvero reale – possibile chi e ciò che mi circonda per accettarlo per quello che è. Ho l'impressione che mi sia passata la necessità di badare ossessivamente a quello che mi circonda, del giudizio delle persone. Voglio vedere solo ciò che mi interessa e che mi eleva. Faccio mia la frase della parrucchiera, mia coetanea, “per me sono questi gli anni migliori”. Ed in un certo senso lo sono anche per me. Sono appena iniziati gli anni migliori, dove finalmente sono arrivata ad un punto in cui mi sto scrollando di dosso il giudizio degli altri, l'ansia da prestazione, le esperienze passate che mi hanno segnata. O almeno l'obiettivo è questo, e cioè non continuare a vivere nel passato. Ed è per questo che sono tornata in Sicilia: per chiudere i conti con questa terra maledetta, per chiudere i conti con l'educazione fallimentare ricevuta dalla mia famiglia. Passati i trent'anni ormai non posso nemmeno far finta di essere una ragazzina con i daddy issues ma non significa che non possa acquisire una bellezza tutta mia che non passa necessariamente dalle mancanze del passato, da figure e situazioni mancate, e soprattutto sto vivendo in maniera quasi più spensierata adesso che quando avevo vent'anni ed ero un cumulo di paure ambulante. Adesso ho ancora paura, ma alla fine chi se ne fotte.
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gabryellamoon · 4 months ago
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- Non ti ho vista per un po’, dove sei stata?
- In disparte, per conto mio.
- A fare?
- Calcoli. A contare tutte le cose che la vita non mi ha dato, quelle che ha finto di darmi, quelle che mi ha dato per poco, spacciandole per ciò che desideravo in quel momento, e poi rivelandole per le cianfrusaglie e presenze inconsistenti quali erano. A contare quanto tempo é passato, quanto ne resta. A guardare il Cielo di questo autunno pieno di enigmi, a muovergli accuse, ringraziamenti, domande, a strappargli promesse, a fissarlo in silenzio e versare qualche lacrima. O un sorriso. O una speranza.
- Sembra una cosa molto molto triste. E come stai, adesso?
- Consapevole.
- Consapevole non é uno stato d’animo. Sembra davvero una cosa triste. Vuol dire triste?
- Vuol dire consapevole. La tristezza é come la felicità, o come la vita stessa. A un certo punto, passa. Arriva altro. La consapevolezza, invece, resta. Se la eserciti, resta sempre.
Gabriela Pannia .
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ma-pi-ma · 5 months ago
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Dov'è
la poesia? La domanda è posta
ovunque. E la poesia
va all'angolo a comprare i giornali.
Gli scienziati smembrano Puškin e Baudelaire.
Gli esegeti smontano la macchina del linguaggio.
La poesia ride.
Viene emanata un'ordinanza: è vietato
mischiare la poesia con Ipanema.
Il poeta testimonia all'inchiesta:
la mia poesia è pura, un fiore
senza stelo, lo giuro!
Non ha passato né futuro.
Non sa di fiele né di miele:
è di carta.
Non è come il
giglio effimero che
passa.
E non è soggetta alle tarme
poiché ha protezione insetticida.
Credimi,
la mia poesia è immune alla vita.
Ferreira Gullar, da Nella notte rapida, 1975
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fiorenellanotte · 7 months ago
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“Ti diranno che tutto passa. Ti diranno che tutto passa ma non ti diranno dove. Passerà nelle vene, nelle ossa, tra i contorni del tuo viso, in ogni muscolo, in ogni goccia di sangue, tra i tuoi sorrisi, nelle tue lacrime, attraverso quel vuoto che scaverà nello stomaco. E passerà senza pietà, senza chiederti il permesso. E passerà, e ti cambierà. E resisterai, e passerà. Avrai nuovo inizio, un’altra vita. Ma nelle giornate no, in un momento di crisi, in un attimo di debolezza… beh, solo una cosa ti tornerà alla mente. Un segno sul cuore, una cicatrice rimarginata ma mai guarita. Il desiderio più grande, una stella cadente, la monetina lanciata nella fontana, le striature bianche nel cielo. Un nome e un paio d’occhi. Perché, ragazzo mio, alcune cose finiscono. Ma altre, semplicemente… finiscono di meno. E saranno l’eco assordante del silenzio con cui fingerai non ne sia mai valsa la pena. Vedrai la tua stessa casa bruciare, senza poter far nulla per salvarla. Ti sentirai stupido quando ascolterai le stesse vecchie canzoni, quando avrai paura del buio e ancora di più della luce, quando piangerai in mezzo alla gente con gli occhi asciutti. Ma proprio in quelle giornate no, in quei momenti di crisi, in quegli attimi di debolezza… quando vivere non ti basterà più, allora ricorderai. E scaverai nel tuo passato, e ti farai del male. Lo farai. Dovrai. Perché dimenticare è impossibile. E ricordare è il solo modo che esiste per imparare a non farlo più.”
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canesenzafissadimora · 15 days ago
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- Non ti ho vista per un po’, dove sei stata?
- In disparte, per conto mio.
- A fare?
- Calcoli. A contare tutte le cose che la vita non mi ha dato, quelle che ha finto di darmi, quelle che mi ha dato per poco, spacciandole per ciò che desideravo in quel momento, e poi rivelandole per le cianfrusaglie e presenze inconsistenti quali erano. A contare quanto tempo é passato, quanto ne resta. A guardare il Cielo di questo autunno pieno di enigmi, a muovergli accuse, ringraziamenti, domande, a strappargli promesse, a fissarlo in silenzio e versare qualche lacrima. O un sorriso. O una speranza.
- Sembra una cosa molto molto triste. E come stai, adesso?
- Consapevole.
- Consapevole non é uno stato d’animo. Sembra davvero una cosa triste. Vuol dire triste?
- Vuol dire consapevole. La tristezza é come la felicità, o come la vita stessa. A un certo punto, passa. Arriva altro. La consapevolezza, invece, resta. Se la eserciti, resta sempre.
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Gabriela Pannia
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vento-del-nord · 8 months ago
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- Non ti ho vista per un po’, dove sei stata?
- In disparte, per conto mio.
- A fare?
- Calcoli. A contare tutte le cose che la vita non mi ha dato, quelle che ha finto di darmi, quelle che mi ha dato per poco, spacciandole per ciò che desideravo in quel momento, e poi rivelandole per le cianfrusaglie e presenze inconsistenti quali erano. A contare quanto tempo é passato, quanto ne resta. A guardare il Cielo …, a muovergli accuse, ringraziamenti, domande, a strappargli promesse, a fissarlo in silenzio e versare qualche lacrima. O un sorriso. O una speranza.
- Sembra una cosa molto molto triste. E come stai, adesso?
- Consapevole.
- Consapevole non é uno stato d’animo. Sembra davvero una cosa triste. Vuol dire triste?
- Vuol dire consapevole. La tristezza é come la felicità, o come la vita stessa. A un certo punto, passa. Arriva altro. La consapevolezza, invece, resta. Se la eserciti, resta sempre.
~ Gabriela Pannia
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viendiletto · 10 months ago
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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fuoridalcloro · 5 months ago
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Blue jeans
Vorrei essere in un altro tempo In cui se sbagli riparti da capo Ma il futuro che io avevo in mente Sembra già far parte del passato
Le parole sono un mondo a parte E non servono che a complicare Che da solo mi sento di troppo E il giorno passa senza salutare
E non so come son finito qui È come fossi entrato già a metà del film Io avevo addosso gli stessi blue jeans E tu avevi in bocca le stesse bugie
Quante volte ci abbiamo provato Dando voce anche al fiato sprecato E i ricordi già prendono il largo Verso un mare lontano da qui Ma forse va bene così
Oggi me ne sto da solo e sto per conto mio Forse era un po' meglio prima, ero un po' meglio anch'io Vago in strade senza meta come un senza Dio Quel sorriso a mezza bocca sapeva di addio
Ma pensa te, è tutto qua Una réclame che vola via E questa pioggia si stancherà E il tempo corre sui fili del tram
Siamo ombre tra le ombre, ai piedi del tramonto Orme tra le orme, lungo un binario morto Siamo onde tra le onde che fanno il mare mosso Storie tra le storie, ma nessuno sta in ascolto
E delle volte per vederci chiaro serve stare al buio E per essere davvero sicuri occorre avere un dubbio Ed un fiore che si schiude al freddo poi appassisce a luglio E quello che resta sembra di cartapesta
E non so come son finito qui È come fossi entrato già a metà del film Io avevo addosso gli stessi blue jeans E tu avevi in bocca le stesse bugie
Quante volte ci abbiamo provato Dando voce anche al fiato sprecato E i ricordi già prendono il largo Verso un mare lontano da qui Ma forse va bene così
Oggi me ne sto da solo e sto per conto mio Forse era un po' meglio prima, ero un po' meglio anch'io Vago in strade senza meta come un senza Dio Quel sorriso a mezza bocca sapeva di addio
Ma pensa te è tutto qua Una réclame che vola via E questa pioggia si stancherà E il tempo corre sui fili del tram
-Franco 126 feat. Calcutta-
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ideeperscrittori · 1 year ago
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LUI
Stavo pensando a una cosa. Prima del femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo seguito sui giornali il caso di Giulia Tramontano.
Ho fatto uno sforzo per richiamare alla mente quella vicenda. Ho scritto qui il nome della donna uccisa, ma devo confessare che non lo ricordavo. Mi è servita una ricerca su Google per farlo riemergere dalla nebbia. Eppure è passato poco tempo. Eppure per qualche giorno quel nome era rimasto impresso nella mia mente. Ma l'avevo dimenticato.
Invece ricordavo perfettamente il nome di lui. Ma perché la memoria mi ha fatto questo scherzo?
Forse perché dopo il delitto si parla della vittima all'inizio, ma poi il vero protagonista diventa lui. C'è un racconto mediatico a più voci che sommerge ogni cosa e mette lui al centro dell'inquadratura: cos'ha fatto, cos'ha detto, come si comporta, le sue giustificazioni, le sue ricerche su Google, la sua vita, le sue azioni, la sua freddezza, le strategia difensiva, le dichiarazioni dell'accusa, l'intervista al vicino, il collega di lavoro che non ha notato niente di particolare, la ricerca di qualcosa di strano nella sua vita (perché qualcosa di strano deve pur esserci), la nostra rabbia nei suoi confronti, la gente che chiede la pena di morte, le lettere che lui riceve, i giornalisti che intervistano sua madre, la madre che lo perdona, la madre che non lo perdona.
Lui riempie lo schermo e oscura tutto. Non c'è spazio per la vittima e neppure per analisi sociologiche. E ho la sensazione che nell'interesse per lui ci sia il desiderio di guardarlo in faccia per cercare quell'anomalia psichica (o addirittura fisica, sulla scia di Lombroso) capace di farlo apparire come una creatura completamente diversa dalle altre. Ci piace l'idea di un difetto di fabbrica a cui si può porre rimedio eliminando il prodotto difettoso.
Per una curiosa coincidenza (che coincidenza forse non è), in molte affermazioni che respingono riflessioni sul patriarcato troviamo proprio questo concetto, chiaro e tondo, espresso alla luce del sole. Ci dicono che non bisogna parlare di questioni sociali e mentalità da combattere, perché non è quello il problema: il problema è lui, solo lui.
Ci dicono: non parliamo della condizione femminile, parliamo di lui.
Ci dicono: non diamo spazio alle dichiarazioni di Elena Cecchettin, parliamo di lui.
Voltare pagina è una preoccupazione diffusa. Si cerca di preparare il terreno per dimenticare tutto e parlare d'altro, prima che a qualcuno venga la tentazione di guardare oltre la finestra (o addirittura dentro di sé) e notare cose che non vanno per il verso giusto.
Dicono che non c'è nessun problema, a parte lui. Ma ora lui è in gabbia. Tutto risolto. La palla passa ai collegi giudicanti. Perché lui è l'eccezione, è l'anomalia.
L'idea che trasforma lui nella rara aberrazione di un sistema quasi perfetto è stranamente rassicurante, ti rimbocca le coperte prima di dormire sonni tranquilli. Lui non è come il nostro vicino. Non ha niente in comune con noi. I problemi sociali non esistono. Esiste lui, ma a questo si può porre rimedio. Non dobbiamo farci domande. Non dobbiamo cercare di cambiare.
Ecco ciò che tanta gente vuole sentirsi dire.
[L'Ideota]
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sistemabibliotecariomilano · 4 months ago
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Perfetti per l'estate
Come di consueto, proponiamo agli affezionati lettori delle biblioteche milanesi la nostra rubrica di consigli di lettura, perfetti per l’estate!
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Fonte: Pexels
La recente ristampa de Al paradiso delle signore di Zola è una ghiotta occasione per leggere un romanzo avvincente, tomo XI del ciclo dei Rougon-Macquart: un feuilleton di gran classe per gli appassionati di moda, scritto da un maestro nell’arte della descrizione (il tema è simile a quello de Il ventre di Parigi, ma concentrato sull’abbigliamento), “che esplora lucidamente l’universo femminile”, spaziando per tutti gli strati sociali della Parigi di metà Ottocento. Una lettura che analizza la nascita di un fenomeno moderno tuttora in espansione: il grande magazzino, oggi diventato centro commerciale (come in Il denaro si descriveva la bolla finanziaria del 1860, profetica di quelle dei nostri tempi). Non erano necessarie le parole di Gide (e di molti altri critici citati nella preziosa prefazione di Mario Lunetta) per rivalutare questo capolavoro. Iperbolico, lussureggiante, immaginifico.
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A questo romanzo è vagamente ispirata la serie televisiva italiana trasmessa da Rai 1 dal 2015, ora diventata una vera e propria soap, ma ambientata tra gli anni cinquanta e sessanta a Milano, dove esistette davvero un negozio chiamato “Paradiso delle signore”.
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Ironico (di un’ironia antifrastica), divertente, scorrevolissimo, Di chi è la colpa? fu pubblicato nel 1947 ed è l’unico romanzo dello scrittore russo Aleksandr Ivanoviĉ Herzen. Dimenticatevi Tolstoj e Dostoevskij, il suo stile ricorda piuttosto il Gogol’ fantasioso e stravagante dei racconti. Citiamo dalla prefazione di questa recente ristampa: «È strano che questo straordinario scrittore, in vita celebre personalità europea, stimato amico di Michelet, Mazzini, Garibaldi e Victor Hugo, a lungo venerato nel suo paese non solo come rivoluzionario, ma come uno dei più grandi uomini di lettere, sia tuttora poco più di un nome in Occidente. Il piacere che si ricava dalla sua lettura … rende ciò una strana e ingiustificata perdita». Sottoscriviamo in pieno.
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È già in testa a tutte le classifiche la nuova avventura, attesa da ben sei anni dopo Il morso della reclusa, dell’ispettore Adamsberg, creato dall’abile penna della scrittrice francese Fred Vargas, questa volta in trasferta nella selvaggia Bretagna, il regno di Asterix e dei menhir. Sulla pietra è il decimo resoconto della serie dell’improbabile ispettore e le profonde conoscenze storiche dell’autrice si dispiegano felicemente in questo noir ricco di misteri e di legami con il passato.
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Appena ripubblicato da Edizioni Capricorno nella collana Capolavori Ritrovati, L’altare del passato di Guido Gozzano ci consente di scoprire, se ancora non l’abbiamo fatto, la prosa del poeta di “Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state”. In questi undici racconti “riaffiorano tutti i temi cari al poeta - la malinconia, il rimpianto per il tempo che passa, i ricordi ingialliti, l’esitazione amorosa, l’indulgenza verso gli oggetti inutili”.
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A cento anni dalla nascita dell’autore (New Orleans 1924 - Bel Air 1984) Garzanti ha appena ripubblicato Bare intagliate a mano: cronaca vera di un delitto americano (presente anche nella raccolta Musica per camaleonti), sorta di reportage esposto in forma narrativa di Truman Capote. Non potevamo aspettarci niente di meno dallo scrittore che, dieci anni prima della pubblicazione di questo giallo, in Sangue freddo (da cui nel 2005 è stato tratto un film con la strepitosa partecipazione di Philip Seymour Hoffman) aveva romanzato un fatto di cronaca che nell’America del 1959 aveva destato grande scalpore: lo sterminio di un’intera famiglia per un bottino di pochi dollari.
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Anche questo thriller, per quanto incredibile possa sembrare la sua progettazione (e poi realizzazione), si ispira alla realtà, raccontata in forma di dialogo tra l’autore e l’investigatore incaricato delle indagini. Uno stile assolutamente inimitabile.
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Ambientato in una Milano semideserta di metà agosto (il cadavere di una donna annegata viene recuperato nel Lambro) Le conseguenze del male di Gian Andrea Cerone è ormai un best seller. Avevamo già proposto questo autore nel post natalizio (I libri della renna) per un racconto contenuto nell’antologia Un lungo capodanno in noir, la cui protagonista, Marisa Bonacina, era la moglie del commissario Mandelli, che invece campeggia in questo thriller estivo da leggere tutto d’un fiato. Il numero di donne trovate annegate è decisamente troppo alto perché si tratti sempre di suicidi e, contestualmente, il commissario, costretto a interrompere le ferie, si trova a fare i conti con il passato. Un duplice percorso di indagine guidato da una scrittura che attanaglia l’attenzione del lettore per non abbandonarla più.
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Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta dei racconti di un autore ingiustamente dimenticato, Guido Morselli, intitolata Gli ultimi eroi. “Gli ultimi eroi raccoglie per la prima volta tutti i racconti di Guido Morselli, narrazioni in cui, come solo nelle sue opere più alte, la sua invenzione si libera, dando vita a realtà alternative e a commoventi ritratti umani: da un Mussolini che si trasforma per amore in leader democratico all’incontro fra Pio XII e uno Stalin che vuole sostituirlo con un sosia; dall’ultima grottesca resistenza di un gruppo di soldati nazisti fuggiti da un manicomio a un comico tentativo di far finanziare agli americani l’Unità d’Italia. Fantasmagorie proiettate sul muro da una lanterna magica, la cui luce ci permette di osservare per una volta, una volta ancora, l’abbacinante talento di un maestro nascosto”. Da non perdere.
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Se ancora non l’avete letto, vi consigliamo Zipper e suo padre, uno dei migliori romanzi di Joseph Roth. Ambientato durante gli anni della Grande guerra e della repubblica di Weimar, è incentrato sul tema universale dei rapporti familiari e questo ne fa un’opera sempre attuale. Dal padre frustrato che maltratta e umilia la moglie e il figlio primogenito, al protagonista (amico del narratore, rappresentato dallo scrittore stesso) Arnold che, dopo la partecipazione al conflitto, si isola diventando angolista, neologismo che indica la sua volontà di stare in disparte in qualsiasi circostanza sociale, la famiglia Zipper rappresenta il simbolo dei danni provocati dalla guerra. Il risultato è la formazione di una generazione di indifferenti (per citare le parole dell’autore), proprio come li descriveranno Gramsci, nell’articolo Odio gli indifferenti, e Moravia, nel suo capolavoro. Si gusta ogni singola pagina.
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libero-de-mente · 2 months ago
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Conoscete la storia del "tempo che passa", vero?
Già. L'avrete sentito dire a tantissime persone, anche voi l'avrete detto molte volte.
Il tempo passa, anzi scorre fra le nostre dita e spesso non ce ne accorgiamo. Impegnati a vivere gli attimi della vita che, se sommati, formano il tempo.
Vivere, già... bisogna avere anche una buona dose di fortuna per vivere; diversamente si sopravvive.
"Il tempo passa" e lo sappiamo tutti, ma arrivano dei momenti nella vita in cui effettivamente ce ne accorgiamo. Ci rendiamo conto che il tempo è passato, come se tutto d'un tratto ci svegliassimo da un torpore. Come se ci fossimo assopiti sul treno, durante un viaggio, svegliandoci di soprassalto al sentire un voce gracchiante da un altoparlante di una stazione.
In questi giorni intensi ho avuto delle concrete prese di coscienza del tempo che passa.
Figli. Questo mese di settembre sono riprese le scuole, ho visto i ragazzi per le vie della città con i loro zainetti e cartellette avviarsi in lunghe file verso le proprie scuole. Ho visto genitori accompagnare i bambini con i loro piccoli zainetti verso le scuole dell'infanzia o di primo grado.
Così mentre li osservavo ho pensato ai miei figli. All'autonomia che hanno i ragazzi universitari.
Non hanno più bisogno di me, dei passaggi o dei trasporti. Dei colloqui con i docenti e delle presenze nello studio.
Santo cielo, sono uomini che si organizzano e hanno appuntamenti di studio e corsi, e lezioni.
Di pranzi o cene con gli amici, di viaggi nel fine settimana e di discussioni e pensieri. Hanno sempre fretta, come se avessero un cronometro messo nel cervello.
Vorrei dire ogni tanto a ognuno di loro: "Riposati"; poi penso a quando li esortavo a studiare e non "perdere tempo".
Ma il tempo non si perde, esso scorre. Sta a noi decidere se viverlo appieno o lasciarlo scivolare inerti.
Madre. Che la tua ragione sta sfumando, non averne a male se ti ho portato in un posto dove ti aiuteranno. Spero di riportarti presto a casa, per vederti ancora tra i tuoi ricordi e le cose a te care. Sistemo casa tua e vedo le foto in bianco e nero o con quei colori anni ottanta. Quante volte le ho viste, ma con la tua presenza andavano in secondo piano. Ora nel silenzio dell'assenza pesano come pietre miliari, segnando la strada del tempo passato.
Il tempo passa. Venticinque anni sono passati dalla sepoltura di mio padre. In questi giorni è stato riesumato.
Mio padre, non ha mai mollato nella vita. Testa bassa e lavoro, fino allo stremo.
Solo un cancro lo ha sconfitto prematuramente.
Così ho assistito alla sua esumazione, pensavano di trovare ossa i necrofori. Ma lo avevano assicurato per la loro esperienza nel settore: "Deve sapere che dopo venticinque anni saranno solo ossa"; mi hanno detto.
Mio padre invece non si è consumato, ha resistito.
Ho avuto pietà per quei resti umani, ho avuto pietà per me che sono restato umano.
Ho sussurrato "Scusa", a quei resti. Perché di scuse ne avevo tante da porgere a mio padre, usando la mia bocca. Perché di scuse me ne doveva anche lui, con la sua bocca.
Così in questi giorni mi sono svegliato a una stazione, a bordo di un vagone, per via di una voce gracchiante dal profondo della mia anima. Sono risvegli duri, che ti lasciano un po' stordito, con quel malessere diffuso.
Il tempo passa e lo sa solo il cielo di quanto ne ho sprecato.
Mi domando se riuscirò, per quanto mi rimarrà di vivere, di sentirmi completato. Ma poi penso al fatto che, ognuno di noi, ha più tempo che vita.
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