#il mio cuore in un miliardo di pezzi
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idettaglihere · 2 months ago
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queste foto del funerale di liam non le sto vivendo bene
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perchetuttohaunsenso · 1 year ago
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Rinascerò dalle mie ceneri
Ogni pezzetto di me
Ormai infranto
Consumato
Ridotto in polvere
Si trova ora sull’asfalto
Sparso
Io fragile
Indifesa
Sola
Sono stata uccisa da colui che diceva di amarmi
Ma l’amore non è questo
Ne sono certa
Amare significa volere il bene dell’altra persona
Ma tu mi hai fatto del male
Hai sfiorato la mia pelle nuda
Con tocco leggero
Mi hai fatto sentire il tuo calore
Mi hai accarezzato il volto
Potevo quasi definirti casa
Ma poi
La tua espressione è cambiata
Il tuo sguardo era intenso
Bramoso
I tuoi occhi erano diventati neri
Come catrame
Guardavo all’interno di essi
E vedevo solo buio
Nero
Vuoto
Non eri più tu
Hai preso il mio viso tra le tue grandi mani
Possenti
Potenti
Ti sei approfittato della mia fragilità
Ero indefesa
Non hai ascoltato le mie parole di dissenso
I miei “no”, per te erano “si”
I miei “lasciami”, per te erano “prendimi”
Le mie lacrime, per te erano sorrisi
Io
Impotente
Di fronte a te
Egoista
Mi hai costretta a fare ciò che non volevo
Mi hai stretta a te
In un abbraccio, che era tutto fuorché rassicurante
Mi sono dimenata
Ho provato a resistere alla tua presa
Ma io
Donna
Debole
Contro te
Uomo
Forte
Non avevo scampo
Il mio tremore
La paura che mi si leggeva negli occhi
Il cuore spezzato in mille pezzi
Il mio corpo ormai profanato
Il rispetto è così andato perduto
Proprio come l’amore
Che affermavi di provare
Conoscevi le mie fragilità
E le hai usate a tuo favore
Dopo una notte d’inferno
Che la mia mente ricorda perfettamente
E mai dimenticherà
Io ho deciso di lasciarti
Perché quando ti vedevo provavo disgusto
Paura
Terrore.
Tu
Ancora oggi
Affermi di amarmi
Tu
Che mi hai chiesto scusa un miliardo di volte almeno
Ma le parole, non guariscono ferite così profonde
Le parole non eliminano quanto accaduto
Le parole non mi faranno tornare ad essere felice.
Hai strappato il sorriso dal mio volto
Mi hai portato via il sonno
E ora mi sento impotente contro il mondo
Vivo di paure
Di pianto
Di dolore.
Come potrei mai perdonarti una cosa simile?
Come potrei mai far finta di nulla?
Come potrei mai tornare ad amarti?
Lasciami in pace
Lasciami sola
Lasciami tornare a vivere
Proverò a riacquistare la mia felicità
Ma sarà complicato
E questo solo a causa tua.
Dedico a voi uomini irrispettosi
Tutto il dolore del mondo
E molto altro
Perché anche le peggiori tribolazioni
Non sarebbero paragonabili al dolore che avete causato a noi donne con i vostri attacchi di egoismo e bramosia
La vostra sofferenza e pentimento
Non cancellerà dalle nostre menti quei ricordi infernali
Voi uomini così
Non meritate di essere definiti tali
Perché un vero uomo
Sa come si ama una donna
Sa rispettarla
Sa farla sentire al sicuro
E il suo unico scopo è quello di renderla ogni giorno più felice.
A voi donne
Vittime di violenza
Voglio solo dirvi
Che non siete sole
Mi sono unita a voi
Per mia sfortuna
E riesco a comprendervi
Il vostro dolore è diventato anche il mio dolore
Le vostre ferite sono divenute le mie
Fidarci di nuovo di un uomo sarà complicato
Farci sfiorare nuovamente da uno di loro sarà complicato
Sentirci al sicuro, amate e rispettate sarà complicato
Ma sono sicura che nel mondo dei veri uomini esistano ancora
Ed è per loro, che ho deciso di non perdere la speranza
Un giorno tornerò ad amare
Presto o tardi che sia
E mi verrà restituita la felicità che ho perso
Ne sono certa.
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mylifeisapennyroyaltea · 9 months ago
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Ho attraversato le notti piú buie
A guardare un soffitto che aveva i tuoi occhi
Ad ascoltare gli uccelli cantare in giardino
E ritrovarci i suoni della tua risata
Sdraiato sul pavimento a braccia aperte 
ho versato un milione di lacrime
Creando un lago di disperazione
In cui la mia anima é annegata per sempre
Non esiste alba in cui non apro gli occhi
sperando di ritrovarti di fianco nel letto
Non esiste sera in cui non pianga
Ricordando la dolcezza del tuo viso addormentato
É cosí patetico detestare l'idea che altre mani accarezzino il mio viso?
Che altre braccia mi avvolgano?
Che non avró piú la possibilità di respirare il tuo profumo?
Sono un uomo misero se il pensiero che qualcun'altro
Possa baciarti, abbracciarti, averti, ridere con te
Mi lacera il cuore in un miliardo di minuscoli pezzi?
Se cosí é... Io sono la persona piú misera e patetica sulla faccia della terra.
Non ti amavo perché avevo bisogno di te.
Avevo bisogno di te perché ti amavo
E nonostante ora mi sforzi di parlarne al passato
questo 
probabilmente
non cambierà mai.
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paginabiancasworld · 3 years ago
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Quando ci siamo rivisti io non cercavo più niente, avevo perso tutto, ero stata fatta a pezzi e avevo solo voglia di occuparmi delle mie ferite da sola.
Ammetto che rimanere della mia idea quando mi sei arrivato davanti con quegli occhi grandi, quei ricci ribelli, con quel sorriso e quelle risate, è stato a dir poco difficile.
Mi hai sorpresa con il tuo essere così te stesso, così diverso dagli altri.
In cinque minuti hai messo tutto in discussione.
Ma io non volevo niente, non cercavo attenzioni, baci, abbracci, messaggi del buongiorno e della buonanotte, non volevo bugie o strani giochetti.
Insomma, io non volevo una storia e non volevo che tu diventassi il centro del mio mondo.
Ho continuato a vederti, a scherzare e ridere con te, mi andava bene.
Mi andava bene anche avere il tuo sguardo addosso, ma non volevo che mi sfiorassi né a livello mentale né tantomeno a livello fisico.
Solo che più passavo del tempo con te, più ne volevo passare.
Mi piaceva vederti immerso nei tuoi pensieri, vedere il tuo sguardo diventare sempre più dolce, sentirti canticchiare in auto, avere i tuoi vestiti addosso, vederti confuso perché temevi di farmi del male e mi piaceva persino vederti arrabbiato, perché per me restavi bellissimo anche in quel momento.
Io guardavo da un'altra parte e tu correvi a prenderti cura di me.
Non ero pronta. Non di nuovo. Non ancora.
E sai che in realtà non lo sono neanche adesso, per questo non ci ho ancora dato una vera opportunità.
Ma il mio cuore insisteva e insiste ancora,senza stancarsi.
Io pensavo di scappare e lui mi portava e mi porta da te.
Io pensavo cento volte no,e lui però pensa un miliardo di volte sì.
Non ricordo nemmeno il giorno in cui non sono più riuscita a fare a meno di te, ma è arrivato, come un fulmine a ciel sereno.
E allora sì lo dico anch'io, aspettami che vengo a prenderti.
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complicelamusica · 4 years ago
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Da Wonderland a Nowhere: L’onirico labirinto esiste tra meraviglia e Magica Musica.
“Cerco in un labirinto di pensieri Quello che più ti fa star bene, Il tuo respiro più profondo Sfiora le note più leggere. Vorrei per sempre darti solo il meglio di me Che sei in ogni mio giorno l'umore che io cerco. Ed anche in un miliardo di persone ritroverei lo stesso te Perché sistemi tutto quanto ciò che di buono resta in me.”
Quando mi trovo a dover scegliere un’esperienza d’ascolto per questa rubrica, ho sempre più di un ascolto attivo, cercando di tenere a mente il tipo di esperienza musicale desidero offrire per dedicarci uno spazio non solo mentale ma soprattutto fisico. e imparare ad averne cura. Spesso perdo di vista il filo rosso che a volte subisce deviazioni a causa dei good vibes loop in cui rimani stanziale per settimane. Con Magica Musica, il debutto discografico di Venerus, ho trovato la mia isola felice, in senso metafisico ma soprattutto reale, perché essere consapevoli che esiste un luogo dove si torna sempre per ascoltare la musica è importante; ma quando questo Nowhere prende forma davanti a te esattamente come lo hai immaginato in ogni singolo dettaglio e sfumatura, in senso umorale e profondo allora la meraviglia esiste tanto quanto darci la possibilità di stare bene. La meraviglia da quando sono piccola se non addirittura da quando sono nata la percepisco come una peculiarità che mi appartiene come persona e come punto cardinale del mio spettro umorale ed emotivo. Magica musica è stata un’esperienza catartica, un viaggio emozionale ed emotivo in equilibrio tra l’amore sconfinato per la musica, e la possibilità di comprendere un noi anticonvenzionale che dona la fiducia al sentire nel silenzio di una notte solitaria e complice. Questo album è un mosaico che dona luce all’amore come motore di ogni cosa. Sedici tracce che sviscerano un universo di umori ed esperienze che rivelano un’identità musicale che si lascia ispirare da ciò che ama senza condizionamenti. “Non ti giudicare, abbi pazienza, sperimenta” questa frase di Venerus è stata per me fondamentale per approcciarmi alla sua musica che non chiede di essere raccontata ma chiede di essere semplicemente accolta, in una prospettiva dove La Natura e il senso cosmico, abbracciano l’intimità e il senso profondo. Ogni canzone racconta uno stato d’animo, l’unicità di un momento sperimentato in prima persona da chi scrive, che diversamente da quanto solitamente accade si sente maggiormente rappresentata dai suoni e delle atmosfere che dalle parole. Attraverso questo lavoro mi accorgo davvero di una cosa infinita, come recita la citazione sulla mia spalla sinistra, il suono se considerato come ibrida sperimentazione,  nel suo essere spettro ampio da rumore a suono, diviene davvero la chiave per rendere completi, solidi e autentici i nostri sogni, le nostre fragilità e l’oltre che ci appartiene; Ogni pensiero vola ne è un esempio magistrale e accessibile. La variabile nuova e magicamente sorprendente di questo viaggio musicale di cui rimarrà traccia indelebile nell’anima, è l’opportunità di poter scattare una fotografia nitida di un evento puro, una percezione, che ha portato in me qualcosa di rivoluzionario nella mia esistenza. Non era mai accaduto prima nel mio percorso di ascoltatrice. Venerus per ogni sua canzone ha scelto un oggetto, un simbolo che richiamasse l’origine della canzone, a me è successo lo stesso e ho scelto di condividere qualcuna di queste immagini.
Brazil per me richiama una notte speciale in cui ho visto nascere questa rubrica immaginando che Ooneek fosse il luogo perfetto per regalare nuovo spazio alle parole che nella musica mi donano la speciale opportunità di perdermi e ritrovarmi. Le tre pietre di Fuori fuori fuori mi ricordano le notti viaggianti al ritorno dai concerti  con la testa appoggiata al finestrino e in testa pezzi di cuore mentre rievoco il valore del gesto artistico. Sei Acqua è per me la fortuna di poter provare ciò che provo per una persona. Una certa solitudine e Solo dove vai tu sono le due canzoni che descrivono il mio legame con la musica, che dedico ad Ooneek Studio,  il “mio” reale nowhere dove quasi ogni notte nel silenzio, prima di abbracciare i sogni, torno ad ascoltare l’ultima canzone immaginando la magia di quei labirinti custodita tra le parole quando questa casa non esisteva ancora. Eden e Namastè sono le due immagini che rappresentano il mio percorso musicale nella sua prospettiva più onirica e giocosa dove per qualche istante torno sull’altalena di casa dei miei con mio nonno che mi spinge talmente in alto che posso quasi toccare le nuvole e sorridere a mille denti mentre porto in tasca una foto di MV che indossa una gioia affine. Lacrima=piccolo mare e Canzone per un amico sono due canzoni complementari rievocano il ricordo di quei momenti in cui la paura pervade tutto, facendoti sentire che le presenze importanti restano in te oltre le tempeste emotive. Cosmic interlude e Luci sono racchiuse in una foto di SDS del 2012, dal titolo to sleep awake, sono io che vivo il sogno realizzato, stesa sul mio prato del cuore mentre Hanging scioglie e rivela quanto è prezioso lasciarsi andare facendo pace con il Mondo in un amore sospeso. Questi ultimi sono stati due momenti tra i più alti di questa lunga e sfavillante parentesi musicale ed esistenziale. Le foto che ho scelto di non raccontarvi sono comunque significative ma preferisco lasciare anche a voi la possibilità di viverle indossandole come meglio credete. Magica Musica è un elogio alla musica e al suo magico potere di custodire sentimenti preziosi, in ogni piega e sfumatura chiaroscura di questa avventura facendo crescere fiori dove per anni è stato deserto, come canta Venerus stesso. Gratitudine infinita a Venerus, Mace Enrico Gabrielli per aver fatto brillare tutto questo con misura e per  avermi permesso con questo lavoro di decodificare l’evoluzione di ciò che la musica è per me e la sua rappresentazione, nei silenzi e nel valore della paziente attesa dentro e oltre il cuore.
   Approfondimenti d’ascolto Intervista a Venerus  Unboxing di Magica Musica 
Sole di giugno (Lubjan)  Hanging (Lubjan) 
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olliedoeshawaii-blog · 6 years ago
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Tragicomico
Pubblicai un libro anni fa. Ero giovane e non restavo mai in uno stesso posto per più di una settimana. Conobbi tanta gente, ma davvero tanta, sbucava da ogni angolo. Non avete idea di quanta gente ci sia nel mondo. Nessun numero nessun miliardo ve lo faranno mai capire per davvero. E insomma, conobbi una miriade di vite diverse, alcune ridicolmente folli altre magnificamente ordinarie. Non sono uno di quelli che catalogano parole, aggettivi, descrizioni o poesie e compagnia bella. Il mio taccuino era la mia macchinetta fotografica. Facevo foto a chiunque mi raccontasse qualcosa: quelle storie erano la chiave di lettura necessaria per leggere il volto immortalato. In tutta onestà guardando una foto a caso non sarei capace di ricavarci nulla. Però se conosco il soggetto, ecco che intravedo tra le fossette il gelato alla fragola di cui va ghiotto, ecco sulla guancia il bacio che gli dava sempre il papà tornato da lavoro. E un po' più su sulla fronte mi pare proprio di intravedere una storia d'amore finita male.
Leggo le foto come una pagina di vita di inestimabile valore. Spesso mi facevo regalare dalla persona anche una scatto che sceglievano loro per un qualsiasi motivo: il loro gatto, la cameretta, il fiume dietro casa, il fratello. A lungo andare raccolsi abbastanza scatti per comporre una raccolta di fotobiografie ed ebbe anche un discreto successo. Il lettore (o meglio, lo spettatore) pagina dopo pagina si godeva un consorzio di umanità differenti. Andavo fiero di quel libro, mi sembrava un diario del mondo. Una volta andai alla conferenza di un grande fotografo che adoro dall'alba dei tempi ed ebbi la fortuna di parlarci faccia a faccia e regalargli il mio libro. Lui lo sfogliò e mi disse "E la tua fotobiografia?" Tac, mi cadde il mondo addosso. Quando gli dissi che non ne avevo mai fatta una per me mi restitutì il libro. Tac, mi cadde il mondo addosso. Da quel giorno lì non vissi più gli altri allo stesso modo. Ero tormentato da questa cosa. Ero arrabbiato marcio con lui, perchè aveva schifosamente ragione. Avevo dedicato tutta la mia vita agli altri e alle foto che raccontassero le loro storie, nulla di mio. Mi misi giù allora a fare la mia fotobiografia.
Da dove ho cominciato? Dalla persona più importante della mia vita, mia madre. Cercai ovunque una sua foto in ogni cassetto in ogni mensola in ogni album ma nulla. Cominciai anche a dubitare che fosse esistita davvero. Magari ero orfano e la mia mente aveva creato memorie con una persona mai esistita. Ero disperato, non avrebbe avuto senso omettere mia madre dalla mia storia sarebbe stata una menzogna bella e buona. Ero così disperato che andai alla ricerca del suo volto anche tra i negativi. E mi ritrovai di fronte un negativo mostruoso, quasi che sembrava un fotomontaggio. Era chiaramente un viso, e aveva parzialmente i tratti di mia madre ma, Gesù poteva essere? Ad un tratto ricordai. Io avevo 23 anni, mia madre aveva il cancro. Dall'ospedale mi chiamarono per dirmi che non aveva ripreso coscienza da una settimana e che avrei potuto portarla a casa nel frattempo, perchè era inguaribile. Decisi di portarla da mio fratello Carlos. Per due giorni lei se n'è stata sul divano. Carlos fumava uno spinello in camera sua, io uno in camera mia. A un certo punto mia madre si alzò e come nulla fosse andò in cucina a fare il caffè. Sentii dei rumori, apro la porta e vedo la sua figura esile, fragile, pallida che mi da le spalle e cammina. La prima cosa è il terrore, la seconda è  "devo smettere di fumare". Eppure era così reale. Sudando freddo, col cuore a mille prendo in mano la macchina fotografica e mi dirigo in cucina senza quasi respirare. Sto nell'uscio della porta lei è lì nel lavandino a fare il caffè. Sto per scattare, quando lei si gira sospira e sorride un poco dice "Sei sempre il solito" io immobile, gola secca lei si avvicina alla finestra e cerca di sistemarsi quei quattro ciuffi bianchi che le sono stati risparmiati dalle chemio intensive -mia madre era una vanitosa cronica- cerca di mettersi in posa e ripete "sei sempre il solito" e senza pensarci troppo io scatto. E' una foto orribile, tremenda, mostruosa, lei è orribile, tremenda, mostruosa ma per me è bella, inestimabilmente bella. E' l'ultima foto che le fu scattata. Successivamente provai a pensare a cosa si riferisse con quel "Sei sempre il solito" e mi ricordai che per un curioso e buffo gioco di qualche burattinaio divino, ero stato sempre io a scattarle la sua prima foto -che era anche la prima foto in assoluto che io scattai- e sempre io a farle l'ultima.
Risiedeva tutto in quel "Sei sempre il solito". Da bambino avevo delle piccole parti come attore di telenovelas. Dover andare a farmi fare foto significava che avevo bisogno di curriculum da distribuire in giro. Brutto segno, il dovere andarsi a fare delle foto. Era avvilente per me. In più ogni volta mia madre era lì a dare direttive su direttive al fotografo su come fotografarmi. Allora mio padre per la festa della mamma, mi disse che le aveva comprato una macchinetta fotografica, così che a me avrebbe risparmiato l'agonia di andare dal fotografo a loro avrebbero risparmiato i soldi per non pagare il fotografo e mia madre si sarebbe finalmente messa nei panni di un vero fotografo. Mi presentai in cucina che lei stava tagliando delle patate nel lavandino, in grembiule e bigodini le dissi "Mamma ti abbiamo regalato una macchinetta" ma lei era scettica non le importava in realtà tagliava le patate e disse "è impossibile usarla" e io le dico "ma no guarda è semplice devi solo fare.." in quel momento lei si gira e urla forte "non ti azzardare a scattarmi una fo.." e tac, ho scattato la sua faccia aggressiva e il coltello nella mano. E' una foto orribile anche quella, povera mamma. Mio padre ne andava pazzo, lo faceva ridere fino al mal di testa ogni volta. L'ho dovuta ristampare più e più volte perchè lei si ostinava a farla in mille pezzi. Fanatica come nessuna, ma amorevole, dura, seria e zelante. La persona più importante della mia vita fotografata due volte e per due volte in modo spaventoso. Mamma, se mi senti sappi che ti ho dedicato la copertina del mio libro.
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lopsicodrammadellessere · 7 years ago
Note
Ciao Vale! Ho una domanda che mi frulla in testa: per quale motivo, secondo te, alcune persone riescono ad avere tanti amici mentre altre fanno un milione di fatica per trovarne uno e senza neanche riuscirci? Io ho cambiato vita, città ma non riesco ad instaurare uno straccio di rapporto. Si, sono un po' timida ma possibile che la colpa sia sempre e solo della timidezza? Possibile che bisogna essere per forza svegli e socievoli per trovare un'amica?
A volte si crede di avercambiato vita senza aver del tutto voltato pagina.Si cambia città, si prova a cambiareabitudini rimanendo ancorati al proprio comportamento di sempre e ciòsarebbe pure giusto, un tratto di noi decisamente troppo radicato nel tempo nonpuò cessare di esistere, anche ad un miliardo di chilometri lontano dal suolonatio.Non credo che le persone cambino e ciò è buffo pensando al mio percorso distudi.Il fatto è che il cambiamento che tanto vado sbandierando in certi postriguarda la plasticità cerebrale: pensa, dopo un trauma cranico potrestitrovare pazienti con una ripresa cognitiva eccezionale!Oppure potresti trovare pazienti con disordini linguistici che imparano acomunicare in un modo compensatorio, ma ineccepibile.C'è pure chi riesce ad evitare gli ostacoli, nonostante riferisca di nonvederli nemmeno.Il cervello si adatta ai danni che noi (o la genetica) gli causiamo.Meraviglioso.Però non sempre il nostro carattere è così versatile, perché vi sono variabilipsicologiche che entrano in gioco, la prima fra tutte credo proprio che sia lapaura di noi stessi.Che tu abbia portato con te la paura di te stessa nel tuo viaggio?Io ti consiglio un'azione.Prendi una scatolina.Prendi dei fogli di carta e una penna.Scrivi ciò di cui hai paura.Scrivi lati di te che non sopporti.Metti il tutto nella scatolina e gettala via: scegli tu il modo!Buttala dal cucuzzolo di una montagna, dalle fuoco, falla a pezzi, calpestalacon i piedi urlando: prendi la rivincita sulla tua paura!Tu non sei semplicemente quelle parole.Non sei semplicemente quella timidezza che ti fa da scudo.Non occorre essere svegli e socievoli per trovare un'amica...che poi dipendedalla definizione, soprattutto di "svegli", perché si potrebbe aprireun mondo di repliche (anche piuttosto sconnesse).Sii semplicemente te stessa.Esplora il territorio, frequenta posti che ti incuriosiscono, prova nuove cose,ma non tentare mai di cambiare ciò che sei per piacere.Ostinati a stare dalla tua parte, non porti troppe domande sul tuo modo diporti, non pensare ai giudizi altrui con paranoia: sii te stessa.Impara a sentirti, impara a conoscere altro di te, oltre alla tua timidezza:una volta compresa fino in fondo la tua persona, potrai avvicinarti agli altricon occhi diversi...seppur i tuoi stessi occhi di sempre.E non importa avere un gruppo numeroso di persone che dicono di volerti bene,dato che ne basta anche una sola per scaldarti il cuore (e magari questapersona potrebbe già esserci, nonostante il pessimismo che aleggia sopra la tuatesta e che non ti permette di vedere altro).
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giancarlonicoli · 5 years ago
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12 FEB 2020 16:021. "LA PARTITA PIÙ TOSTA DELLA MIA VITA? CONTRO IL TUMORE AL COLON" - BOMBASTICA INTERVISTA DI DOTTO A SEBINO NELA: "LA MORTE? CI HO PENSATO UN MILIARDO DI VOLTE. E SAI CHE TI DICO, ‘STI CAZZI. IL SUICIDIO COME DI BARTOLOMEI? NON HO AVUTO IL CORAGGIO. ORA DEVO FARE LA QUARTA OPERAZIONE, NON CE LA FACCIO PIU’. HO DETTO A VIALLI CHE..." 2. LA BORDATA A FALCAO, LA ROTTURA CON LA MADRE E CON LA SORELLA, LA STORIA DIFFICILE CON LA PRIMA MOGLIE (“GIRAVO CON UNA PISTOLA IN TASCA”), IL SESSO, L’OMOSESSUALITA’ NEL CALCIO MASCHILE E FEMMINILE - E POI RIVELA IL SUO SOGNO… - VIDEO
Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Diciamo che si fa notare. Un vero, vulnerabilissimo macho, che avanza deciso sula fascia, che sia una tavola amica o un nemico fetente, alla faccia dei tumori che ti attaccano e del tempo che precipita. E del freddo di febbraio che inclina al gelo (“Mi fa il solletico, noi siamo abituati alla tramontana di Genova”). Il cardigan grigio di lana sul torace nudo in bella mostra, sotto la giacca di lana. Devi fare un bell’atto di fede per credere alla sua malattia, per pensare a lui come a un uomo che viene da due anni e mezzo di chemio e chissà quante notti da incubo. I capelli, tutti. I celebri bicipiti femorali, intatti.
Uomini come Sebino Nela, con la scusa di essere Sebino Nela, vogliono solo una cosa, una più di ogni altra, passare un paio d’ore a tavola con qualcuno che li aiuti ad essere Sebino e a dimenticare Nela. Il personaggio, la star del calcio, come sta documentato nelle pagine di Wikipedia, dell’album Panini, nei poster in posa da Hulk e negli occhi adoranti dei tifosi. Sebino è uno strano impasto di uomo, gentile e selvaggio allo stesso tempo e nella stessa pelle.
Si presta a fare foto (gli autografi non li vuole più nessuno) con chiunque. Sorride a tutti, ma il coltello a serramanico è lì, sempre pronto a scattare. Smanioso di fidarsi e l’istinto che lo spinge a diffidare. Quasi tre ore, il ratto del Sebino. Insieme a tavola. Uno di fronte all’altro. Lui è quello che è. Veste come vive. In conflitto permanente tra il suo cardigan di lana e il torace in mostra. Tra la voglia di mostrarsi nudo e quella di proteggersi. Di abbandonarsi alla persona che lo racconterà e minacciarla per come lo racconterà, scherzosamente dice lui, ma non si sa mai (“Attento a quello che scrivi, ti vengo a cercare”).
Gli anni sono quasi sessanta, Sebino ha visto e vede la morte negli occhi, se ne frega dei convenevoli. Bastano poche cose per avviare i motori. Una bottiglia di rosso molisano, due fette di pizza con la mortadella al pistacchio e piatti che vanno e vengono. Il rosso aiuta a calarsi nel pozzo. In fondo al quale sta scritto chi è Sebino, un mistero per lo stesso Sabino. Dal tavolo di un ammiratore, un trasteverino da manuale, arriva un assaggio di stracciatella con whisky e pepe. Micidiale per chiunque. Roba per uomini veri. Per uno come Sebino, che picchia più di quanto viene picchiato. È la sua natura, il suo sangue misto sardo e ligure. Dinamite pura. La “partita più tosta, più ignorante della mia vita? Contro il tumore al colon, un nemico sconosciuto”.
”Godereccio” come si definisce lui, spirituale come non lo definisce nessuno, perché nessuno, pochi lo conoscono. “Questi anni che vivo mi piacciono tanto. Sono padre di due ragazze meravigliose, la mia testa funziona, posso sedermi in qualunque tavolo di un’osteria o di una casa altolocata e parlare di tutto”. Sebino il duro racconta di quante lacrime ha versato e risponde a chi domanda: “Il lusso della vita? Uno solo, la salute”.
La salute innanzi tutto.
“Con quello che ho passato, diciamo che sto bene. Devo fare un’altra operazione a breve. Più breve tempo possibile. Sarà la quarta. Non ce la faccio più…”.
Che operazione?
“Ho il retto addominale aperto, le viscere spingono, mi esce sempre questo bozzo non bellissimo da vedere. Devo fare pulizia di un po’ di schifezza e mettere una rete di protezione. Dopo di che, continuerò i miei controlli ogni sei mesi”.
L’umore?
“Va e viene. Leggere o sentire ogni volta di persone che conosco che se ne vanno da un giorno all’altro mi spegne un poco”.
Vialli e Mihajlovic dopo di te, il tuo stesso male.
“Mi ha turbato molto saperlo. A Sinisa mando messaggi attraverso il nostro amico comune Vincenzo Cantatore. Con Gianluca eravamo in camera insieme al mondiale di Messico ’86. L’ho incontrato poche settimane fa, a Roma-Juventus. Ci siamo abbracciati. “Guarda che non si molla un cazzo”, gli ho detto. “Nemmeno di un millimetro”.
La tua guerra.
“Due anni e mezzo di chemio non sono uno scherzo. Ti guarisce una cosa e te ne peggiora un’altra. Ho avuto degli attacchi ischemici. Ma la pressione è a posto, prendo tre pasticche al giorno e faccio la mia vita normalissima”.
Il tumore sembra cosa lontana…
“La cosa brutta di questo male è che gioisci, dici ho vinto, e poi scopri che a distanza di sei, sette, otto anni ritorna. Il cancro quando arriva non ti lascia più. Torna come realtà o come minaccia. Sta sempre lì”.
Hai visto la morte in faccia.
“Ho metabolizzato questa cosa. Non so quante volte mi sono ritrovato di notte a piangere nel letto. Ci ho pensato un miliardo di volte. E sai che ti dico, se domani dovesse succedere, ‘sti cazzi…”.
Come ci arrivi a questa conclusione?
“Ti parte un film di tutto quello che hai fatto, il bene e il male. Alla fine, sono soddisfatto della persona che sono. Non ho rimpianti, posso morire anche domani”.
Parliamo di vita e di appetiti primari. A tavola mi sembri okay. Calici e piatti svuotati alla grande. Fai ancora sesso?
“Quando la fatica supera il piacere è l’ora di smettere. Scherzo? Mica tanto. Se il concetto lo sposti dal sesso al calcio è perfetto. Se ci pensi, un giocatore smette quando si alza la mattina e gli fa fatica andare al campo”.
L’immagine di Sebino Nela è quella del guerriero. Ti corrisponde?
“La gente che ne sa? Conosce la superficie, il calciatore. Non conoscono il Sebino privato, il suo carattere, le sue emozioni”.
Se devo raccontare Sebino Nela per come lo conosco non inizio dal macho guerriero ma dalla sua ipersensibilità quasi femminea.
“Sono d’accordo con te. Penso alle tante volte che avrei potuto fare scelte diverse, avere una vita diversa, ma mi sono lasciato deviare dalle emozioni”.
Quanti soldi hai messo da parte con il calcio?
“Che cazzo di domanda?! Non si fa una domanda del genere a un genovese. Posso solo dirti che ho messo in sicurezza la famiglia”.
Parliamo di Roma e del tuo incarico oggi in società.
“Prima mi alzo e vado a farmi una sigaretta che sto impiccato…(al cameriere) Fausto, fammi due costolette d’abbacchio da sgranocchiare…Dopo voglio parlare di politica”.
(torna dalla sigaretta)
Da che parte stai in politica?
“Sono un democratico di destra. Sono per la patria, la tradizione, l’ordine e la disciplina”.
La vita è disordine e caos.
“Proprio per questo c’è bisogno delle regole”.
Voti Salvini?
“No, a me piace molto la Meloni. La stimo come donna e come politica. La trovo una bella persona. Ha portato il suo partito dall’uno per cento a quasi il dieci”.
Diciassette anni da calciatore, tra Genoa, Roma, Napoli e Nazionale. Il compagno del cuore?
“Nessuno. Solo frequentazioni superficiali. Per molti anni ho dormito in camera da solo. La luce accesa e la finestra aperta, cose che possono dare fastidio a un compagno”.
Non posso credere che in tanti anni non hai messo da parte un rapporto che vale.
“Con Rudi Voeller sembrava una cosa importante. L’ho aiutato i primi tempi a Roma nelle sue cose private. Ci frequentavamo molto, anche con le famiglie. Per anni siamo andati a Leverkusen da lui in agosto”.
E poi?
“Mi ha deluso e ho voluto interrompere il rapporto”.
Racconta.
“Fui chiamato da un calciatore della Roma per convincerlo ad accettare la panchina giallorossa. C’era da superare la resistenza della moglie. Normale a quel punto aspettarmi d’essere coinvolto. Lui di quella Roma sapeva poco e niente”.
E invece?
“Non mi ha nemmeno cercato. Sono rimasto amareggiato”.
Non ti lasci scivolare niente addosso.
“Posso dirti che anche con mia madre e mia sorella ho chiuso da anni. Ho sangue sardo nelle vene, forse la parte di cui sono più fiero. Quando mi sento ferito, quando mi fanno del male, dico basta e non torno indietro…Dimmi una cosa, tu verrai al mio funerale?”.
Magari vieni tu al mio…
“Ci puoi contare. Io vado ai funerali. Ci credo. Mi piace dare l’ultimo saluto alle persone che ho stimato. L’ultimo? Giovannone Bertini”.
Anche lui vittima dalla Sla come tanti altri ex Fiorentina.
“Se vai a leggere su internet diventi matto…Fai fatica a pensare che siano tutte coincidenze”.
Neanche con il tuo conterraneo bomber Pruzzo hai stretto un’amicizia profonda?
“No. Siamo due caratteri completamente diversi. Lui è veramente orso. Tanti anni a Roma non lo hanno modificato. Io mi sono romanizzato, lui è rimasto quello che era. Un fortino inespugnabile. Bravo ragazzo, di una sensibilità unica. Noi l’abbiamo visto piangere, anche poco tempo fa”.
Mi ha raccontato la sua depressione.
“Non lo vedevo in quel periodo, ma mi riportavano tutto. Dopo cinquant’anni scopri cose meravigliose di una persona, le sue fragilità. Da calciatore vivi solo rapporti superficiali”
Persone fondamentali della tua vita senza le quali non ce la faresti.
“Convivo con i miei problemi, sono autosufficiente. Non mi devo aggrappare a niente”.
Un amico?
“Se sto toccando il fondo faccio uno squillo a qualcuno, ma senza far capire che sto a pezzi”.
Hai legato poco, eufemismo, con Paulo Roberto Falcao. Antipatia congenita?
“Non mi sta antipatico. Lui a Roma faceva vita a sé. Noi, io, Pruzzo, Ramon Turone, Chierico, stavamo magari da “Pierluigi”, il ristorante, a giocare a tressette fino alle quattro di mattina, lui se ne stava a casa, non usciva mai”.
Magari non sa giocare a tressette.
“Per me far parte di un gruppo significa spirito di appartenenza. Lui aveva la sua vita, lo vedevamo solo in allenamento e alla partita”.
Era il cocco di Liedholm.
“Gli permetteva tutto. Decideva lui come e quando allenarsi. La domenica, prima della partita, noi tutti insieme per il pranzo delle 11, lui da solo a mangiare in camera”.
C’è poi la storia del rigore non tirato.
“A Roma c’è tutt’ora un’adorazione per Falcao. Anche per questo lui quel rigore doveva tirarlo. Tu pensi che il Totti di turno, Del Piero o Baggio si sarebbero scansati in una finale mondiale?”.
Lui dice che stava male, che l’effetto delle infiltrazioni era finito. Che quella partita nemmeno doveva giocarla.
“Non esiste che tu non tiri il rigore in una finale di Coppa Campioni davanti ai tuoi tifosi. Tu, Falcao, devi essere l’esempio. Potevi stare pure zoppo, ma lo tiri, non me ne frega un cazzo. E lui zoppo non era. Ha sbagliato, mi dispiace”.
“Tornando indietro, lo tirerei, se avessi solo immaginato il casino”, mi ha detto.
“Lo devi tirare non per evitare il casino, ma perchè sei il giocatore più importante di questa squadra. Lo sbagli? Fa nulla. Saresti comunque rimasto l’ottavo re di Roma”,
Bruno Conti lo ha sbagliato e al suo addio c’era tutta la città giallorossa.
“Ci mancherebbe altro. Come se in guerra, alla battaglia finale, chi ti comanda scappa, diserta. Non te lo aspetti. Da quella sera ho dubitato di lui”.
Sei stato l’unico a prenderla così male?
“Non sono stato l’unico, ma sono l’unico a dirlo, così, a cuore aperto. Degli altri non me ne può fregare di meno. Se un giorno viene Paulo a Roma e c’invita tutti, probabile riceva un no da me. Io sono fatto così e non dico che sono fatto bene”.
Lo spogliatoio dopo quella finale?
“Non parlava nessuno. Sono uscite mille stronzate, di litigi, parolacce. Falso. Eravamo tutti annichiliti. Io dovevo prendere mio padre e mia madre che stavano allo stadio, me ne sono dimenticato. Sono andato dritto a casa
La delusione più grossa: Liverpool o Lecce?
“Il Lecce. In una finale con uno dei Liverpool più forti di sempre non vai in campo convinto di fare una passeggiata, anche se perderla ai rigori ti rode”.
Quanto un calciatore si porta in campo i suoi problemi privati?
“Non era il mio caso. Io sono diverso. Allenarmi era uno sfogo liberatorio. Ho visto compagni travolti dai problemi personali. È umano”.
Non sei umano?
“Probabile. I pochissimi che sapevano della mia storia mi hanno fatto i complimenti per come l’ho affrontata”.
La storia molto difficile con la tua prima moglie.
“È stata durissima. Ti dico solo che in quel periodo giravo con una pistola in tasca e una volta ho dovuto anche usarla contro il cattivo di turno, che si è guardato bene dal denunciarmi. Per proteggere una persona cara sono disposto a tutto, non mi ferma nessuno. Vedi questo bicchiere? Se m’innamoro di lui e me lo vogliono rubare divento un animale”.
Il calcio è una bella e redditizia illusione. Poi c’è la vita reale.
“Auguro ai milionari di oggi, per il loro bene, di frequentare sempre tifosi che li facciano restare nella loro illusione anche quando smettono. Moriranno senza sapere cos’è la vita reale”.
Non è il caso tuo…
“Non sono mai stato il prototipo del calciatore. Non ho potuto studiare, ho la terza media, ma, da autodidatta, mi sono fatto la mia piccola cultura. Sono curioso, leggo e m’informo di tutto”.
Perché Agostino Di Bartolomei si è ucciso?
“Lo stimavo immensamente. Un capitano vero. Come devono essere i capitani. Era malato dentro, nell’anima. Ci ho pensato anch’io, spesso, negli anni duri della malattia, ma non ho mai trovato il coraggio”.
Tentazione di fare l’allenatore?
“Tre anni di corso a Coverciano. Ma lasciare la televisione per andare in un club minore e farmi cacciare da un presidente che non capisce un cazzo di calcio, non mi allettava. Mi sarebbe piaciuto fare il secondo a uno bravo. Non c’è stata l’opportunità”.
Fonseca ti convince?
“Ha dovuto lavorare tra mille difficoltà. Ho bisogno di un altro campionato per capire bene cosa sia. Per ora, giudizio sospeso. Mi piacerebbe vederlo incidere di più sulle scelte di mercato”.
Squadra di scarsa personalità o di scarso talento?
“La maglia della Roma pesa non so quanti chili. Roma è la squadra del popolo e il tifoso non è stupido. Non chiede lo scudetto, ma sa riconoscere chi dà tutto per la causa. Hanno amato giocatori come Piacentini e Oddi. Due piedi quadrati, ma ci mettevano il cuore”.
Zaniolo. Può essere lui la nuova identificazione del tifoso romanista?
“Non so cosa sente nella testa. Lui piace a tutti di suo, la corsa facile, la fisicità, i capelli. Dico solo, portatelo un giorno a Trastevere, dentro una macelleria di Testaccio, fategli respirare le viscere di Roma”.
Il giocatore che più ha incarnato le viscere di Roma?
“Daniele De Rossi.  Una volta lo vidi piangere in tivù, mi colpì e gli mandai un messaggio. Daniele l’ho visto crescere da bambino, allo Sporting a Ostia”.
Tu hai pianto per la Roma?
“Scherzi? Mille volte…Liverpool, Lecce, il Roma-Pisa quando morì il presidente Viola. Una settimana dopo a Bari, io che faccio il gol decisivo dell’1 a 0. Ho pianto a Roma-Bayern Monaco. Piangi pure dal nervoso a volte. Il bomber Pruzzo, prima della partita, giocava con la Juve o l’Ascoli, dava sempre di stomaco”.
Piangi in privato o anche in pubblico?
“Anche in pubblico. Non mi vergogno di piangere. Meglio che lanciare una bottiglia contro il muro. Piangere e fumare una sigaretta subito dopo. Che c’è di più bello?”.
Il disastro al ginocchio. Venditti ti dedicò “Correndo correndo”.
“Non ti nascondo che l’ascolto ancora oggi quasi tutti i giorni  e ancora mi commuovo. Mi piace girare in macchina da solo e commuovermi con la musica. Tornare indietro nel tempo. Quasi un anno fermo. Oggi, bastano sei mesi”.
Da due anni dirigente dell’As Roma femminile.
“Sono felice di questo incarico. Con le ragazze ho un bellissimo rapporto. Avere due figlie, una di 27, l’altra di 25, aiuta. Cosa mi ha sorpreso? La grandissima preparazione, l’enorme applicazione. Sono dilettanti come statuto, ma professioniste nella testa”.
Difficoltà?
“Sono umorali. Troppo. Un giorno ridono, scherzano, il giorno dopo meglio se non ti avvicini. Sono molto sensibili. Parlano spesso con le psicologhe che la società mette a disposizione. Non è una realtà semplice la loro”.
Il calcio maschile è molto omertoso sul tema dell’omosessualità.
“Se ci sono, sono bravissimi a nascondersi. Quando vivi il calcio femminile devi inevitabilmente confrontarti con questo tema”,
Elena Linari, giocatrice della Nazionale, è stata molto libera nel fare coming out.
“Loro non devono vergognarsi di niente, devono vivere liberamente la loro sessualità. Noto un po’ di resistenza a farlo”.
Come lo spieghi?
“C’è paura dei contraccolpi nel movimento. Dire al mondo che il calcio femminile è fortemente connotato di omosessualità non spinge i genitori a portare le loro bambine alle scuole di calcio. Se questo succede, il movimento non cresce”.
Omosessuali ed etero convivono armoniosamente?
“Il nostro è un gruppo di ragazze meravigliose. Poi ci sono le dinamiche di questo che è un mondo a sé. Mi raccontano di alcune che entrano etero e diventano omo o che provano l’esperienza omosessuale”.
Perché non ti si vede più in tivù?
“Scelte aziendali. Probabilmente ho fatto il mio tempo. Avanzano le nuove leve. Siamo anziani, caro mio”.
Funzionavi come seconda voce.
“Non piacevo a molti. Mi rimproverano di essere troppo distaccato. Ma a me piace così. Non amo chi strilla. E non sopporto tutta questa tattica. Sono telecronache autoreferenziali. Mi devi spiegare il gesto tecnico. Voglio capire perché sbagli un gol fatto a un metro dalla porta o ne fai uno da venticinque”.  
Il calcio che ti piace.
“L’Atalanta, il Verona. Mi piace il Sassuolo di De Zerbi. Il Lecce di Liverani.
Sta crescendo una generazione di allenatori che non hanno paura di osare. Se la giocano con tutti”.
Un allenatore sopravvalutato.
“Per l’esperienza che ho avuto io, Vujadin Boskov. Da lui non ho imparato niente. Né a livello tattico, nè gestionale. Ma, grazie a Dio, io sono stato un calciatore fortunato”.
La tua fortuna?
“Ho lavorato con allenatori come Nils Liedholm e Sven Goran Eriksson, gente di un altro pianeta”.
Li metti sullo stesso piano?
“Due modi diversi di vedere calcio, ma avanti entrambi anni luce. Tutte le mie conoscenze calcistiche collettive e individuali le devo al Barone. Senza di lui sarei rimasto una zappa di calciatore”.
Alla vigilia dei sessant’anni…
“Da tempo sto pensando alla mia dipartita e sono sereno. Dovesse capitare non è un cruccio. Non ho rimpianti, nè sensi di colpa”.
Lo dici con questa leggerezza?
“L’unica cosa che vorrei chiedere, non so a chi, se a Lucifero, è di accompagnare all’altare le mie due figlie, Ludovica e Virginia, il giorno che si sposano”.
Sono vicine a farlo?
“Macché, stanno troppo bene a casa”.
Hai confidenza con le tue figlie?
“Non tanto. Ci basta guardarci negli occhi…”.
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