Tumgik
#ha fatto una gran paraculata
giulia-liddell · 8 months
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no, Ramazzotti
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yesiamdrowning · 8 years
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l’alzheimer che non t’aspetti.
Che mi piaccia o no, sto invecchiando. In realtà lo stiamo facendo tutti ma, parlandoci chiaro, io lo sto facendo apparentemente più in fretta di voi. Perché dopo i trenta-trentacinque anni è veramente difficile continuar a immagazzinare dati nel proprio cervello come quando si è giovani. Ne parlavo tra amici qualche sera fa e notavamo come durante il periodo del liceo riuscivamo a sommare formazioni su formazioni, cambi di line-up, titoli di dischi, eccetera. Io stesso ricordavo quando in una fase di vinil-nerdismo conclamato, intorno ai diciotto anni, al posto delle solite pecore, prendevo a elencare i nomi dei componenti dei gruppi finché il sonno non sopraggiungeva. Lo so, fa paura solo a scriverlo adesso, ma a suo tempo mi faceva assopire con una malcelata convinzione di essere perfino uno “tosto” – che cazzata. Se non lo avete mai fatto, provateci. Dead Kennedys del 1978: Geoffry Lyall, “Jello Biafra”, Raymond Pepparell e Bruce Slesinger. Deep Purple del 197O: Ian Gillan, Ian Paice, Roger Glover,  John Lord e Ritchie Blackmore. Cannibal Corpse del 1991: Chris Barnes, Jack Owen, Bob Rusay, Paul Mazurkiewicz e Alex Webster. Insomma, se rimanete infognati più di cinque minuti sulla pronuncia del quarto senza addormentarvi, potete fondare il Fight Club. Un'ammissione, questa, che non è per forza marchio d'infamia. Un ricordo se non altro interessante. Quanto meno per cercare di comprendere in paragrafi ciò che è accaduto ieri l’altro al di là del deterioramento dei miei neuroni, ormai tragicamente inattuali. Come mai, andando oltre il deperimento cognitivo tipico dell'età che avanza, ho letto un intero articolo sui Red House Pantiers di Mark Kozelek, pensando ai Red Temple Spirits di William Faircloth. Certo, occorre una certa dose di ottimismo o una qual si voglia coscienza ascetica per non ridurre il tutto al (mio) rincoglionimento che avanza. E' necessaria una certa sospensione dell'incredulità per credere che questa cosa (chiamiamola così) accada spesso tra molti addetti ai lavori con voli pindarici e capriole di senso che manco fossimo al circo Togni (mentre si pensa spesso a noi come una sorta d'enciclopedia ambulante). Invece oramai la confusione regna sovrana: molti colleghi cercano di continuo un confronto con Google per non incappare in strafalcioni degni di Paperino – che comunque accadono e con una certa frequenza. (Se avete un minimo di cognizione di ciò di cui stiamo parlando, il fatto che si tratti di due band a 5 km di distanza, San Francisco la prima, Los Angeles la seconda, nate tra il 1987 e il 1989, giocherà come attenuante rispetto a chi se ne va affanculo per conto suo senza passare dal via – è storia recente quella di tale Fabian Wolff del Die Zeit che ha recensito tutto un disco di Jim James parlandone come se fosse il nuovo Jens Lekman.)
Ma cerchiamo di non essere prevenuti, vedendo solo il dito e non la luna. E la luna, in questo caso, è il gioco all'accumulo che si sta tramutando in gioco al massacro. Anche con una buona dose di plausibile contestazione nei confronti di una critica sempre più insipida e stolta, quando andiamo a tirare le somme, a volere essere eclettici come Wilson o a voler fare i tuttologi tipo Scaruffi non ci si capisce più un tubo; e allora o vado di massicce dosi di fosforo (ne vendono anche in farmacia a prezzi piuttosto economici) o vivo con il rischio concreto di combinare, appunto, pasticci degni di Paperino (un John Greenwood al posto di Duke Garwood là, un AESOP al posto di A$AP di qua, o viceversa di lì). Nel nuovo corso della musica, oltre la crisi che inesorabilmente avanza, c'è anche questo guazzabuglio di nomi conformi, simili e assonanti a complicare le cose. E allora viene il sospetto – o l'illuminazione (si fa per dire) – che questo non sia null'altro che lo spin-off del capitolo sulla mancanza di idee nel postmoderno del quale si è già parlato in lungo e in largo, il cui traguardo finisce come sempre in terra ostile per noi critici del “Come faccio per farmi notare”. Non ha molta importanza ai fini dell'analisi se questo puzzi di giramento di frittata, perché non si vuole stabilire cosa fa cagare e cosa no, ma tentare di capire il fenomeno da un punto di vista logico e, se vogliamo, “storico” visto che i suoi effetti minano la credibilità di chi scrive e lo scambio di informazioni tra pari – quanto è frustrante accorgersi di parlare tra amici di due cose diverse? Ma non cincischiamo. Va riconosciuto che il sottotesto comunicativo è almeno affascinante: al contempo summa e antitesi dell'attuale spasmodica voglia di visibilità in qualsiasi social media. Se infatti negli 6O′s gli Earth di Brirmingham, autori di uno blues rock dalle tinte plumbee, ben se ne guardarono di essere confusi con gli americani Rare Earth autori di soul vagamente psichedelico accasati da poco nella monolitica Mowtown e cambiavano così il loro nome in Black Sabbath, adesso accade l'esatto contrario. Almeno sembra a guardarsi attorno, se tra gli Iceage e gli Ice Age c’è solo uno spazio in mezzo a dividerli. La ricerca sembra volta a un nome che sia, per così dire, confondibile con altri. La ricerca di un nome rintracciabile, anche solo per puro caso, nel girovagare in rete. La ricerca di un nome consono al proprio sound ma con una certa dose di paraculata di cui un tempo forse ci si sarebbe vergognati (Chet Faker un tempo non l'avrebbe scelto nemmeno una spoof band). La ricerca di un nome che vuole colpire le masse, ma che nella realtà non si turba nemmeno di somigliare a quello di altre cinque (Dear Hunter gemelli diversi di Deerhunter che somigliano ai Deer Hoof che rimandano ai Deaf Hoof chiudendo il cerchio coi Deaf Hunter). Il nome ambiguo. Il nome subdolo. Politicamente scorretto e smargiasso -  con o senza buona fede. Dai, che diamine, sfido chiunque a non fare confusione tra i Royal Blood e i Royal Baths o Dead Letter Circus e Dead Letter Chorus (se già non vi è successo).
La trovata poi dell'inversione di lettere è un gioco di prestigio da applausi, “Io parlavo degli Otep, non degli Opeth!” sentito sul serio dire in giro, ma quello che non mi torna è altro. Passi per le similitudini (diciamo) contenutistiche (tra Everytime I Die e As I Lay Dying stiamo lì insomma), le versioni ridotte (King Gizzard & The Lizard Wizard e i Lizzard Wizzard, oppure i Rage Against The Machine e i Rage, band tedesca e nomignolo dato alla band di Freedom), il vecchio gioco della dissacrazione (The Rutles nei confronti dei The Beatles ha fatto storia) e il grottesco (che Ryan Adams non sapesse dell'esistenza di un Bryan Adams prima di scegliere il suo secondo nome come d'arte, al posto del ben più innocuo David Adams, non ci crede nemmeno sua madre).  Scusa, mi stavi parlando di Crystal Stilts  o Crystal Castles? Ma come mai mi/ci capita di non riuscire a fissare a memoria questo o quell'altro nome, inteso sia come insieme di persone che suonano che come nome e basta? Forse è colpa dell'aumento esponenziale delle band in giro. Forse non siamo più in grado di gestire lucidamente questo groviglio di realtà. Forse non c’è più la consapevolezza o, meglio, c’è una consapevolezza complice che il nome non solo non conta più di tanto (se i Joy Division si fossero chiamati Giovanni & Gli Epilettici non ne avremmo comunque percepito lo spessore?) ma non conta proprio più nulla (gli X o gli XX o anche gli XXX, anchesticazzi) come gran parte del suono che producono (e se per voi XX e Joy Division giocano sullo stesso piano non è affare mio). Oppure forse il mondo della musica si è metabolizzato e trasformato in altro mentre noi stiamo ancora fermi ai dirci quanto erano fighi i Fugazi. Certo è che il divertimento del gioco delle somiglianze va scemando in fretta e, soprattutto, non vale la candela. Fino a divenire irritante quanto basta da decidere anche di abbandonare la nave, come fanno tutti quei miei colleghi che non segnano un nome nuovo dal debutto degli  Arctic Monkeys nel 2OO5 o giù di lì e che gli altri si fottano pure. Oltretutto col passare degli anni riuscire sommare nuovi dati per districarsi in questa matassa risulta sempre più difficile, molto più difficile. E' risaputo che rimangono più impressi nella memoria  i ricordi dei primi anni di vita, mentre gli altri diventano più incerti, aperti e imprevedibili. Mia madre si ricorda cosa ascoltava in macchina con mio padre nella strada tra Ragusa e Monterosso Almo (In The Air Tonight di Phil Collins e L’Appuntamento di Ornella Vanoni) da neo-assunta ma non chi era l’ospite di Fabio Fazio la settimana scorsa. Per ricordarsi tutto bisognerebbe affidarsi a un miracolo (o essere autistici) e neanche così è detto che basti.
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goodbearblind · 7 years
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Il 20 maggio 2017, Michela Vittoria Brambilla si appropria indegnamente della parola movimento e della parola animalista (in un periodo in cui tutt@ si chiedono se esiste ancora un movimento animalista) e la trasforma nell’ennesimo mostro elettorale, propagandistico, mediatico e inverosimile di Berlusconi, riscopertosi appunto “animalista” grazie ad –udite udite- un cane. Il lancio è stato preceduto da un video intitolato “Berlusconi salva 5 agnelli” che dovrebbe far capire immediatamente, dopo la visione del suddetto video, della paraculata assurda e della falsità della cosa anche solo per il fatto che in verità gli agnelli sono 3 ma nessuno sembra essere in grado di contarli (sarà colpa degli psicofarmaci che il sistema ci obbliga a prendere per riuscire a prendere sonno, grazie ai quali la gente ha smesso di contare le pecore per addormentarsi serena). Lanciato questo video è partita la rincorsa all’agnello da parte di politici vari (sia per fare la figura dei salvatori sia per farselo al forno) e dei relativi sondaggi. Il qualunquismo imperante ha decretato il Beeerlusca degno rappresentante di una nuova lotta per i diritti animali e ha permesso a lui e alla Bramby il lancio di questo partito di cui Silvio si dichiara socio fondatore annunciando fiero che “il neonato Movimento animalista avrà l’appoggio di Forza Italia”. Questa è la prova che dal qualunquismo sono sempre i soliti ad emergere, o resuscitare in questo caso, con l’aggravante della presa di culo. Ossia le dichiarazioni di come sia “un partito che nasce dal basso” oppure “un partito trasversale perché riunisce tutti gli amanti degli animali” quando non solo parte da uno dei più grandi e noti imprenditori/politici/intrattenitori del paese ma è pure schierato in maniera inequivocabile verso una ben chiara direzione. Ma d’altraparte la Bramby è nota per essere particolarmente abile ad infiltrarsi dove altri hanno già fatto la maggior parte del “lavoro” agendo davvero dal basso. Il programma infarcito di proposte trite e ritrite, ovvie, welfariste e applicabili solo a certe specie come al solito. Una tra tutte, troviamo la proposta di regolamentazione e maggior controllo dell’allevamento intensivo di Innocenziano profumo e come nel caso della giornalista, che in una intervista ammette che il consumatore di carne dovrebbe essere il primo animalista (sputtanando ancora una volta questo povero termine), non viene fatto nessun riferimento alla questione fondamentalmente alla base della lotta allo specismo ossia… gli animali muoiono precocemente per soddisfare certe nostre esigenzeviziabitudini. E qui si arriverebbe ad un nodo cruciale ossia più precisamente alla differenza tra animalismo e antispecismo. Perché una differenza c’è ed è ora di ammetterlo.
L’animalismo vuole leggi e diritti in difesa “dei più deboli tra i deboli” e “i senza voce”, l’antispecismo, almeno a modesto parere dello scrivente, è la lotta per chi e a fianco di, chiunque sia, è sottoposto a discriminazioni, sfruttamento e schiavitù. Una delle azioni di lotta allo specismo è il non consumare derivati animali di alcun tipo, cosa che non necessariamente vale anche per l’animalismo. Ma quando il “mangiare vegan” diviene di pubblico dominio e viene dato in pasto ai mass media, la questione politica viene fatta mettere in disparte dalla partitica (come nel caso del Movimento animalista) snaturando, istituzionalizzando e deridendo un concetto così anarchico e rivoluzionario come la Liberazione animale, ed ecco che il veganismo diventa un concetto aleatorio, redditizio e fine a se stesso. Lo dimostra il fatto che a presentare la nascita dell’azzurro partito animalista c’era nientepopodimenoche il network Veganok. Per chi non sapesse Veganok è un ente di autocertificazione a pagamento di recente pure “sposato” con Bioagricert che appone bollini su prodotti vegani. Sarebbe molto utile se servisse ad identificare i prodotti vegani creati da aziende vegane condotte da persone vegane (come in parte anche fa). Perde però di credibilità quando consente anche ad aziende non vegan l’adesione al disciplinare facendo si che possiamo trovare prodotti Vok distribuiti e prodotti da industrie e aziende che producono e commerciano anche carne e derivati animali vari. Creando imbarazzanti malintesi tipo un bollino che finisce sull’etichetta del cioccolato al latte anziché in quella del fondente. Errori comunque imputabili all’azienda stessa e non all’ente per carità… l’ente però dovrebbe vigilare un po’ più spesso… oppure considerare che non avrebbe di questi problemi se l’azienda fosse vegan e basta. Dovunque finirebbe il bollino, sarebbe comunque nel giusto contesto. Tornando alla vigilanza o alla sua voluta o non voluta assenza, la brama di distribuire bollini ha consentito la certificazione anche ad aziende a dir poco imbarazzanti… citiamo 2 esempi che abbiamo avuto modo di trovare a caso tra le centinaia di aziende certificate: la Tenuta San Jacopo (vino certificato Vok) e Pieve a Salti bio (cereali e legumi certificati Vok). La prima appunto vende vino, hanno stanze per vacanze, organizzano eventi… insomma è un gran bel posto. Camere meravigliose, menù suntuosi (e già il primo naso storto… menù non vegani….), immersa nella natura delle colline toscane offre ai suoi ospiti una serie di attività divertenti e rilassanti. Due tra tutte: la pesca sportiva alle trote e le battute di caccia al cinghiale insieme alle squadre locali. Per gli appassionati di pesca in acque dolci Fly fishing: accompagnati come guida da un esperto pescatore, rinomato anche come rod maker, è possibile trascorrere – a pagamento – una giornata di pesca sulla tile water-Alto Tevere e sul fiume Nera utilizzando attrezzature tradizionale e in bamboo, con la possibilità di catturare trote e temoli. Per la giornata completa , compreso trasporto e attrezzatura, il costo è di 250 euro per una persona e di 350 euro per due persone (i prezzi comprendono anche permessi e licenza). Per gli appassionati di caccia: è possibile praticare la caccia al cinghiale aggregandosi come ospiti alle squadre autorizzate nei terreni circostanti la fattoria. È necessario essere in possesso delle autorizzazioni di legge. Basta andare nel loro sito e guardare la sezione “attività”… c’è pure un bellissimo cinghialone nelle foto di testa. L’altra simpatica e bucolica azienda agricola vende farro, grano, ceci, lenticchie insomma cereali e legumi di produzione propria certificati ed è anche agriturismo. Nel loro sito nella sezione “produzione” la prima vocina che esce nel menù a tendina però è “allevamento”. “Nel periodo primaverile è già possibile vedere le nostre limuosine libere pascolare nei prati accanto ai cavalli del nostro maneggio. La mandria è composta mediamente da 30/35 femmine fattrici (vacche) ed un toro maschio. I bovini pascolano per un periodo che va dai 6 agli 8 mesi a seconda delle zone dedicate al pascolo ed alle condizioni climatiche. La mandria viene lasciata al pascolo nel periodo primaverile e rientra in stalla ai primi freddi autunnali. Manze e vitelli rimangono con le fattrici fino all’età di 6/7 mesi dopo di chè le femmine vengono separate fino all’età di 18/20 mesi per poi tornare in mandria per il rinnovo. I Vitelli maschi vengono ingrassati e le loro carni utilizzate all’interno dell’agriturismo. Credo che questo sia abbastanza eloquente e credo che, alla luce di quanto scritto da loro stessi, il dubbio sulle coltivazioni concimate con il letame di queste povere mucchine passi quasi in secondo piano. Direi che quindi l’idea che hanno Berlusca e Brambilla dell’animalismo e del veganismo ben si sposa con la filosofia aziendale di Veganok. Hai voglia poi di andare a fare i corsi di etica ai produttori… Ci sarebbero altre aziende che hanno la certificazione per vino o pasta o verdure e che accanto al pesto di rucola Vok hanno quello di fagiano proveniente dal proprio allevamento avicolo, giusto per citare un altro esempio. La cosa che rode è che tanti produttori davvero seri e che magari davvero lo fanno per etica, per morale, per questione politica insomma, non per questioni meramente pubblicitarie si accostano a questo sistema venendo ridicolizzati, evitati e boicottati. Non capendo che nel momento in cui capitalizzi e monetizzi la liberazione, stai perdendo tu stesso la libertà e la forza della tua lotta per la liberazione stessa. E tutto questo comunque non viene a casaccio… Si sta creando apposta un’esasperazione mediatica atta a screditare e fagocitare questa lotta. Basti vedere cos’è capitato al “povero cristo” che ha fatto il materasso vegano e ha avuto la geniale idea di farselo pure bollinare… manifesti strappati, pubblica gogna e pure sollevazioni popolari bipartisan, dai non vegani e dai vegani stessi. Perché? Perché ha davvero senso bollinare un materasso? Perché non era più utile pubblicizzarlo per quello che è, ossia un materasso senza derivati animali (tipo la lana nel lato invernale) invece di aggiungere “ingredienti” ridicoli tipo alghe e soia e farselo bollinare? Perché è davvero essenziale fare tutto sto casino per un materasso vegano?
Tutto questo è solo un sintomo di una denigrazione che va avanti da tempo grazie a gente che casca nelle trappole di chi brandisce un salame e prende uno stipendio a seconda di quanti lo ascoltano. Gente che va nella tv di stato a fare la figura dell’animalista che prima impartisce direttive per un presidio rispettoso, dai toni pacati, per fare informazione e poi sbraita in faccia al trasportatoreallevatoreimpellicciatocacciatore di turno vomitando tutti i luoghi comuni che hanno portato alle definizioni “nazianimalista” e “nazivegano”, pulendosi la faccia poi facendosi vedere in compagnia di persone dichiaratamente antispeciste, giusto per rimescolare ancora un po’ le carte e creare ulteriore confusione e ambiguità. E all’antispecismo che rimane? All’antispecismo rimane l’imbarazzo di non poter cacciare via gente a pedate da un presidio, rimane l’imbarazzo di vedere quello stesso bollino appiccicato ad un rifugio per animali da reddito, rimane l’imbarazzo di veder nascere la fotocopia della Società Scienza Nutrizione Vegetariana e di vedere tutto buttato sul piano salutista, rimane l’imbarazzo di dover sottostare a questo sistema continuando a partecipare a festival svuotati di ogni contenuto per provare a portare invano un po’ di suoni di liberazione arrivando ad un autolesionismo cosmico, l’imbarazzo di accettare eventi benefit per gli animali anche sapendo che il 75% va “benefit” al ristorante, rimane l’imbarazzo di dover fare la spesa e prendere per forza qualcosa con il bollino perché altro non c’è o costa un botto oppure l’imbarazzo di vedere quante e quali associazioni appoggiano queste 2 realtà: il Movimento della Bramby e il Veganok e l’imbarazzo di non sapere più in che piazza scendere per non confondersi con queste realtà. Rimane l’imbarazzo di vedere presidi antifascisti con troppo poche bandiere verdenero e viceversa. Ma le cose cambieranno perché dell’imbarazzo, dei politici e dei marchietti ci siamo un po’ stancati.
Melanzano s.p.a. (stanchi però arrabbiati)
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