#glianniintasca
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#GliAnniInTasca è stato selezionato attraverso "Infinity Life", progetto promosso dalla piattaforma di streaming on demand Infinity in collaborazione con "Produzioni dal basso", prima piattaforma di crowdfunding Italiana, che si propone di cofinanziare "docu-film", garantendo alla proposta migliore l'inserimento nel suo palinsesto. Da domani inizierà la campagna di finanziamento attraverso la quale, grazie soprattutto al vostro preziosissimo aiuto, cercheremo di arrivare al budget che ci serve per produrre il documentario e potremo darvi tutte le informazioni necessarie per aiutarvi ad aiutarci. (presso Piazza Re Di Roma)
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Gli anni in tasca #omaggioatruffaut #truffaut #françoistruffaut #glianniintasca #infanzia #childhood #giochi #games #shadow #ombra #altalena #summer #estate
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A Dublino Flavia sogna un’Italia ancora possibile
DUBLINO
Partire e lavorare all’estero. Un sogno che ho sempre coltivato fin dall’Università, quando studiavo Ingegneria Gestionale alla Sapienza. Un sogno che avevo tuttavia messo da parte per inseguire la folle convinzione che laureandomi in tempo sarei stata in grado di trovare un lavoro che potesse essere appassionante, stimolante, appagante.
Pazza idea, che si è immediatamente scontrata con la realtà lavorativa italiana, dove la crescita professionale è un puro e semplice miraggio e il merito viene costantemente surclassato dalla raccomandazione.
Stage e contratti a tempo determinato. E mentre noi laureati annaspiamo, alla ricerca incessante di un riconoscimento che non sembra arrivare mai, giovani rampanti spopolano in grandi aziende perché figli di importanti manager.
Ero stanca di tutto questo, stanca di vivere in un Paese che considera i lavoratori come un costo e non come una risorsa da valorizzare e sviluppare, in cui qualsiasi innovazione e creatività viene soffocata in nome della mediocrità e della sopravvivenza altrui. Mors tua, vita mea, la filosofia aziendale italiana che ho provato a combattere con tutte le mie forze nei miei primi anni lavorativi.
Poi la decisione di andar via, di tentare una strada diversa in Irlanda e di scegliere Dublino, una città in costante crescita soprattutto per chi desidera lavorare nel campo dell’Information Technology.
Ero quasi incredula e anche un po’ spaventata quando nell’aprile del 2015 ho ricevuto il pacco che conteneva il contratto di lavoro con una multinazionale americana di consulenza informatica.
Un semplice colloquio via Skype e avevo cambiato drasticamente la mia vita.
Lasciare Roma non è stato facile, avevo un lavoro a tempo indeterminato, gli amici, la famiglia e una casa tutta mia, ma il bisogno di trovare la mia dimensione e di sentirmi finalmente apprezzata era diventata la priorità numero uno.
Sono partita con l’incoscienza di non conoscere nessuno, di dover trovare casa e condividerla per la prima volta in 32 anni.
Chi dice che emigrare sia simile ad uno schiocchio di dita non lo ha mai vissuto in prima persona.
La lingua, la cultura, le abitudini, la mentalità sono sempre qualcosa a cui devi abituarti. E accade tutto in un lampo: ti ritrovi immersa in un mondo totalmente nuovo. Le agenzie per l’impiego funzionano realmente e sono i recruiters a contattarti per offrirti il lavoro che si adatta alla tue capacità, alle tue aspettative ed esperienze.Il mercato lavorativo di Dublino è fortemente dinamico e se vuoi cambiare lavoro, hai la possibilità di farlo.
Adesso lavoro a tempo indeterminato per una banca irlandese come Data Management Specialist. Le giornate lavorative sono di 7 ore e mezza con un’ora di pausa, le ferie possono essere richieste in qualsiasi periodo dell’anno, si può ottenere di lavorare da casa per necessita’ personali senza dover passare attraverso infiniti processi burocratici, gli straordinari vengono ripagati con giorni di ferie e il lavoratore è costantemente interrogato sulla sua soddisfazione professionale e sui suoi obiettivi a lungo termine.
La dignità prima di tutto insomma.
Esiste il salario minimo garantito e un tax credit annuale modulato secondo il proprio stato civile, che agevola il pagamento delle tasse e aumenta la liquidità in busta paga. Condizioni economiche e sociali che in Italia sembrano ancora lontanissime da raggiungere.
Roma mi manca moltissimo, lo ammetto. Le sue piazze,le sue strade, i vicoli in cui perdersi, i bar all’aperto dove chiacchierare e bere vino con gli amici. Perché la qualità della vita italiana resta comunque la migliore al mondo.
Una qualità della vita che si sta lentamente spegnendo sotto il peso della precarietà, della disoccupazione, dell’insoddisfazione professionale e del ricatto senza via di uscita.
Vorrei ritornarne un giorno, perché credo fermamente che in Italia un’altra via sia ancora possibile.
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Antonietta: una terrona testona da Bari a Londra
LONDRA
Ventotto anni. Laurea in Ingegneria Edile - Architettura (che solo il nome ti fa venire il mal di testa). Centodieci e Lode. Premio nazionale per la tesi di laurea (chi l’avrebbe mai detto). Inizio a “lavorare” in uno studio di architettura piuttosto affermato (���il più affermato” della città, dicono). Collaborazioni con professionisti di tutta Italia (e non solo). Partecipazione alla stesura del piano urbanistico della città (addirittura?). Cinquanta ore di lavoro alla settimana (in media). Cinquecento euro al mese (quando al capo gli avanzano, quei cinquecento euro).
Risultato a tre anni dalla corona di alloro: non ho messo da parte un euro bucato, e soprattutto la mia crescita professionale è meno di zero.
Io ero una quelli che da Bari non se ne voleva andare. Una di quelli che al pesce crudo e alla focaccia “in gann’al mare” non ci avrebbero rinunciato per nulla al mondo. Una di quelli che a cui non interessava avere il lavoro più figo del mondo, ci bastava avere UN Lavoro, una di quelle attività in cui tu produci qualcosa per il quale ti viene riconosciuto un compenso. Una di quelli che si dicevano “Dai, vai avanti, la gavetta va fatta, all’inizio è la crescita la vera ricompensa”. Una di quelli che si dicevano “Se se ne vanno tutti da qui, chi lo sostiene questo paese?”. E così la Lady Oscar che è in te ti dà forza per andare avanti e ti ripete che devi impegnarti anche tu per migliorare le cose.
Ma, dopo tre anni in cui hai puntato i piedi, ti sei ripetuta tutti i giorni che il lavoro prima o poi paga, che il merito viene riconosciuto e che il tuo impegno servirà a qualcosa, a un certo punto arriva un momento in cui non ne puoi più.
Non ne puoi più del lavoro/volontariato, della mancanza di fiducia e di crescita, della superficialità con cui si lavora anche ad “alti” livelli.
E allora inizi a guardarti intorno, e vedi che chi è andato via è anni luce più avanti di te, anche se è partito in ritardo o se alle spalle non aveva né lodi, né premi, né riconoscimenti, e non è tanto più avanti in termini di carriera, quanto in fatto di competenze e di professionalità. E allora la testa ti si riempie di domande, e inizi a renderti conto che l’età va avanti, che tre anni sono preziosi e se ne passano altri tre così, raggiungerai i trenta con un pugno di mosche in mano.
Inizi a sentire che a trent’anni all’estero si è già Associate Director, mentre qui i tuoi colleghi di quaranta sono ancora ad elemosinare una paga regolare e un briciolo di rispetto professionale. E allora è troppo, e il rispetto per te stessa inizia a prevalere sull’amore per il tuo paese, e inizi a pensare che le cose devono cambiare, non perché vuoi stare meglio, non perché “meriti di più” come a volte ti hanno detto quando tu continuavi a dire di voler restare; ma perché ti sembra che lo schiaffo lo stai dando non tanto a quelle “qualità” che a volte ti sono state riconosciute, quanto a tutto il lavoro che non solo tu hai fatto per arrivare ad avercele, quelle qualità.
E quindi parti. Ventotto anni, una laurea in ingegneria e tre anni di esperienza.
Parti e ricominci da zero, con un master in “Progettazione Sostenibile” (ma le fanno davvero queste cose altrove?), sperando che possa esserti da trampolino di lancio per un mercato del lavoro al quale non hai niente da vendere.
Parti, e arrivi in una città fredda, dove i pomodori hanno il sapore del detersivo alla menta e dove una stanza di sei metri quadri a cinquanta minuti dall’università costa quanto un loft in centro a Milano. Certo, l’inglese lo parli bene, hai anche un certificato con un bel “Proficient” stampato su, ma poi ti rendi conto che i tuoi professori e i tuoi colleghi hanno un ventaglio di accenti diversi e incomprensibili grazie ai quali non riesci a seguire né il filo logico di una lezione né le battute e le risate tra amici.
Insomma, per un anno la tua vita è una somma di battaglie che combatti per la prima volta: combatti contro la lingua, combatti contro le deadlines, combatti contro il ritmo frenetico della città, combatti contro la fretta di iniziare a mandare curriculum e fare colpo su quel mondo del lavoro che sembra il paese dei balocchi, combatti contro la voglia di lasciar perdere tutto e tornare ad abbracciare i tuoi.
Per un anno riesci a vedere, e a vivere, solo gli aspetti negativi del cambiamento.
Vedi il cibo che fa schifo e il clima freddo e umido, ma non hai tempo di girare per ristoranti etnici e di passare una giornata al parco. Vedi la freddezza degli inglesi a lavoro e la loro falsa cortesia, ma non hai modo di esplorare la Shoreditch piena di colori e di culture. Non hai tempo di uscire, figurati se riesci a prendere uno dei mille voli che partono ogni giorno dai quattro aeroporti della città. Solo dovere, niente piacere, perché sai che un investimento così (e non solo di soldi) deve essere sfruttato fino all’ultima goccia. Per fortuna iniziano a spuntare i primi alleati: per esempio nascono nuove famiglie, come quella che mi sono ritrovata intorno dopo pochi mesi, e grazie alla quale la battaglia sembra meno invincibile.
E alla fine arriva la luce. Ancora prima di iniziare la tesi, una delle quattordici aziende che hai contattato ti risponde, e cavolo! È anche bella grossa! E ti dicono che ti offrono un contratto a tempo indeterminato DA SUBITO (siamo pazzi?), e che capiscono che hai la tesi da portare avanti per cui puoi lavorare part-time per i primi tre mesi (ma davvero??), e che capiscono anche che ambientarsi in questa città è difficile, soprattutto a livello economico, per cui prima ancora che inizi a lavorare ti offrono anche quattromila sterline di benvenuto (no, qui stiamo delirando!). E quindi dai il tutto per tutto per lo sprint finale: per tre mesi lavori e studi per finire la tesi, prendi informazioni dal lavoro e li trasferisci alla tesi, prendi informazioni dalla tesi e le applichi sul lavoro, esci ancora meno e sogni il mare, ed evochi tutti gli antenati dei tuoi amici di Bari che ti inondano di foto di aperitivi in spiaggia al tramonto. Lavori come una formica impazzita fino alla consegna, e lì, finalmente, ti sembra che si aprano le porte della gabbia e possa finalmente correre verso la libertà.
E all’improvviso è proprio così che ti senti. Libera.
Libera di gestire il tuo tempo. Libera di gestire il tuo denaro. Libera di passare del tempo libero (libero??) con i tuoi amici. E libera di lavorare producendo qualcosa di utile e di significativo. Ti senti parte di una rete in cui davvero il lavoro premia, in cui puoi orientare la tua crescita professionale nella direzione che preferisci e in cui la collaborazione a tutti i livelli porta davvero a risultati di qualità. Ti rendi conto che il tuo capo ha trentotto anni ed è Associate Director, ha una moglie, due figli, una casa di proprietà. E poi ti rendi conto che nell’azienda sono tutti come lui! Non è un’eccezione! E allora inizi a capire che ti bastano pochi anni e neanche troppo impegno per raggiungere gli stessi traguardi, e inizi a pensare che quella sia addirittura la normalità da queste parti!
Pian piano inizi a vedere cos’altro c’è, oltre ai “Can I help you?” di plastica e ai pomodori acerbi. Inizi a capire che ogni sera puoi provare un ristorante etnico diverso. Che i weekend non ti bastano per fare tutte le mille cose che vuoi e che puoi fare a Londra. Che non hai abbastanza cene e pranzi liberi per incontrare tutte le persone che hai conosciuto nell’ultimo mese. E ti rendi conto che questa parte di vita merita davvero di essere vissuta per un periodo della tua esistenza.
Ecco, per un periodo. Perché, del resto, lo so che non ce la voglio passare tutta, la vita, in questa città.
Perché per ogni cosa che amo qui, ce ne saranno sempre dieci che amo della mia città e del mio paese, e perché in fondo il mio desiderio è sempre quello di tornare e portare con me quello che di bello e di importante ho potuto imparare.
E tutte le volte che torno a Bari, per un weekend, per Natale o per l’estate, c’è sempre una malinconia ed un malessere, a cui ormai sto cercando di abituarmi ma che credo di non poter sconfiggere: perché ogni volta che torni, il desiderio di restare torna a farsi sentire, e ripensi a tutte le volte che un tuo amico inglese ti ha chiesto “Ah, ma vieni dalla Puglia??Ma è bellissima! Perché sei venuta qui?!” e tu non sai bene che rispondergli. O meglio, lo sai, ma un po’ ti vergogni a dirglielo, che il vero motivo è che nella tua città non ti hanno permesso di diventare adulta e di vivere la tua vita in maniera autonoma. Perché è un po’ come dire ai tuoi amici delle medie che non puoi uscire da sola perché papà e mamma non vogliono. Perché è solo questo ciò di cui una ragazza a trent’anni non può fare a meno: l’autonomia. La libertà di poter vivere la propria vita con indipendenza e con dignità, senza dovere niente a nessuno.
E tutte le volte che torno la mia testa è sempre un po’ da un’altra parte, lassù, a scervellarsi su come e quando potrò riconquistarmela qui, per essere adulta anche in Italia. A pensare ad altre possibilità. A cercare esempi da seguire e idee da concretizzare. A provare a inventarmi un modo per essere adulta anche qui, dove ormai essere adulti sembra addirittura un privilegio.
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Alessio: in Irlanda alla ricerca di se stesso e della felicità
DUBLINO
“Ci siamo”, pensai, mentre salivo l’ultimo scalino dell’aereo. Mi giro per un ultimo sguardo, come se avessi dimenticato qualcosa alle mie spalle. Invece è solo la voglia di dare un’ultima occhiata a quello che mi lascio dietro e poi si tratta di iniziare a sorridere a cominciare da quella hostess che mi attende.
Quando si parla di ragazzi che se ne vanno all’estero spesso si parla principalmente di “cervelli in fuga”, ma esiste una categoria di persone che lo fanno perché in un certo ambiente, a certe condizioni, non si trovano più a proprio agio. L’unica cosa da fare allora è prendere e partire alla ricerca di se stessi e della felicità.
Un anno fa ho messo una parte del mio piccolo mondo in una valigia, ho rinunciato ad un lavoro a tempo indeterminato (anche se in un’azienda in crisi), a una casa di proprietà, a tante comodità e modi di fare, per cominciare tutto da zero. Direzione? Dublino, Irlanda.
Non ho mai studiato inglese, non ho mai fatto un singolo giorno d’università e di conseguenza nessun Erasmus. Il mio inglese si è formato tra videogiochi, serie tv e canzoni ma ho sempre amato l’avventura, il viaggio, la scoperta, sono open-mind e mi piace relazionarmi con il prossimo. Mi sono sentito sempre un cittadino del mondo e non solamente un cittadino italiano.
Non è stato certo facile, soprattutto all’inizio: devi abituarti a quelle nuove vie da percorrere, ai nuovi volti, ai nuovi modi di fare; devi cambiare il tuo modo di pensare: dalla traduzione simultanea all’“english only”.
Poi lentamente ho cominciato ad apprezzare gli sforzi compiuti. Quando ricevi decine di telefonate che arrivano per lavoro, quando ti accorgi che nessuno vuole vedere il tuo viso o la tua data di nascita, perché l’unica cosa che conta sono le tue capacità, il tuo modo di essere e la tua esperienza. Ho lasciato un mondo che assume al massimo dei ventinovenni per non pagare contributi nei primi 3 anni, per trovare un mondo nuovo, finalmente mio.
In Irlanda la paga minima è uguale per tutti, indistintamente dal lavoro svolto, perché la dignità nel lavoro e il tempo libero sono principi imprescindibili. e seguono pedissequamente e religiosamente il principio 8-8-8: 8 ore di lavoro, 8 per divertirsi ed 8 per riposarsi. Tranne rare occasioni non posso che confermare questo principio.
Ho cercato lavoro in ufficio, ma per aumentare la mia capacità linguistica ho iniziato come commesso in una multinazionale circondato da colleghi delle più svariate nazionalità. In questa azienda, al contrario delle rivali italiane, è garantita la crescita aziendale, una crescita di salario costante nel tempo e non legata ad accordi sindacali; mensa interna a prezzi stracciati, scelta arbitraria delle ferie senza vincoli, cambi turno o richiesta giorni di riposo senza ricevere nessun tipo di pressione da parte del management. E cosa riceve in cambio l’azienda? Dedizione quasi totale, numeri in costante crescita, soddisfazione totale dei clienti; come recita la pubblicità di una nota marca di caffè: “What else?”
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Gli anni (chiusi) in tasca
ROMA
Gli anni (chiusi) in tasca o per gli amici del web #GliAnniInTasca è il web doc della 25 Ora Production con il quale raccontiamo le storie di alcuni giovani under 35 che hanno lasciato l’Italia in cerca di condizioni lavorative migliori. Le loro mete? Londra, Berlino e Parigi, le tre città che in questo periodo offrono migliori opportunità per sfruttare il merito, le capacità e la tenacia di una generazione che in Italia non riesce a trovare né un’adeguata collocazione, né il giusto riconoscimento.
Raccontando le motivazioni, il vissuto dietro ciascuna storia e le esperienze di vita quotidiana dei protagonisti, il web doc racconta anche le città che sono protagoniste di queste svolte di vita. Per dare spunti di riflessione e di crescita, soprattutto qui in Italia.
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GLI ANNI (CHIUSI) IN TASCA
L’Italia attraversa una profonda crisi, economica e sociale, che si riflette in maniera particolarmente grave negli strati più deboli della comunità.. I giovani italiani hanno subito le conseguenze di un sistema sociale e lavorativo nel quale non riescono a trovare una collocazione e, nel migliore dei casi, un adeguato compenso (economico e/o di ambizioni) che permetta loro di sfruttare le conoscenze acquisite negli anni di studio o di perfezionamento, senza poter offrire sbocchi per costruire il futuro di cui hanno bisogno.
Ma alcuni giovani, snervati da tale condizione e aiutati dall’età, hanno preso una decisione coraggiosa, per certi versi simile a quella di molti italiani emigranti nella metà del XIX Secolo e dei primi anni del secolo scorso. Fare i bagagli e lasciare il Paese per sfruttare le proprie capacità all’estero. Le mete europee preferite sono Londra, Berlino e Parigi, città dove è ancora possibile provare a costruire un futuro basato sul merito e non sul clientelismo che affligge da anni l’Italia.
Ma come vivono questi giovani? Quali difficoltà hanno dovuto affrontare per ambientarsi nei nuovi Paesi d’elezione? Cosa fanno esattamente? Perché si trovano meglio all’estero che in Italia? Dove vogliono arrivare? Dove vogliono costruire il loro futuro? E come sono le città che hanno scelto, perché sono differenti da Roma o Milano?
A tutte queste domande “Gli anni (chiusi) in tasca” darà alcune risposte, raccontando personaggi, motivazioni e fornendo alcuni spunti interessanti che possono diventare esempio per costruire anche in Italia un ambiente che attiri i giovani e non li lasci sfuggire. Perché i giovani sono il presente e il futuro di un Paese che altrimenti è condannato a divenire un ‘Paese per vecchi’ e quindi a diventare sempre meno competitivo con il resto del mondo.
WEB DOC
Il web-doc #GliAnniInTasca si snoda su tre città europee scelte tra le più importanti da un punto di vista di insediamenti italiani e di effettive opportunità lavorative. Video e racconti, foto e testimonianze, che si intersecano in un vero e proprio ‘pedinamento’ dei protagonisti, mostrando la loro vita quotidiana nel nuovo ambiente e raccontando le proprie esperienze personali.
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La vita è ciò che facciamo di essa / I viaggi sono i viaggiatori / Ciò che vediamo non è ciò che vediamo / ma ciò che siamo • Fernando Pessoa • #GliAnniInTasca coming soon. (presso Roma Termini)
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Sulla storia di Sabina Berretta, che abbiamo condiviso stamattina qui: https://goo.gl/Mvj7Ci, quelli di Spinoza.it ci scherzano su (per fortuna). Il web doc della #25Ora #GliAnniInTasca raccoglie e racconta le storie di italiani all'estero. Scriveteci: [email protected] (presso Piazza Re Di Roma)
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La storia di Sabina Berretta, catanese, che dopo la laurea ha provato a entrare in università come custode pur di star vicino al suo laboratorio. Sfumata l’assunzione da bidella, a 29 anni ha vinto una borsa di studio per il Mit di Boston e non è più tornata indietro. #GliAnniInTasca racconta le storie di italiani all’estero, per lavoro, per necessità, per dignità. Scriveteci: [email protected]
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Eleonora: l’Italia è un Paese meraviglioso. Sì, ma solo per pensionati e vacanzieri
BERLINO
Mi chiamo Eleonora, sono nata ad Ascoli Piceno e sono una ricercatrice, una ricercatrice all’estero. Vivo a Berlino, studio alla Università di Marburgo e ogni tanto soggiorno nella città di Wolfenbüttel.
Sono arrivata in Germania, quasi nove anni fa, un po’ per amore un po’ per incoscienza. Senza parlare tedesco, ma con la passione per i filosofi d’oltralpe. Tante volte sono tornata, altrettante sono fuggita. “L’Italia è un Paese meraviglioso” ci sentiamo ripetere. Sì, ma solo per pensionati e vacanzieri.
Come ogni espatriato, vivo con il cuore in patria e i piedi ben saldi in terra straniera. Cerca un lavoro, trovalo e magari fatti retribuire. Ho svolto tutti i lavori del buon studente universitario e mi hanno persino pagato, in nero. Ma un laureato, è troppo, impossibile assumerlo. Se vuole diventare insegnante, si dedichi a corsi e ricorsi. Se sogna la carriera accademica, dimentichi la ricerca e diventi portaborse. Un mondo in cui le cose vanno a rovescio: si premia la mediocrità e si espelle il merito. Un mondo in cui al riconoscimento professionale segue ineluttabile la condanna all’esilio. Un mondo in cui anche andarsene è un privilegio per pochi, benestanti e ben istruiti.
La possibilità di vivere all’estero non capita per caso, si ottiene con molti sacrifici, propri e di chi ti sta accanto. In Germania ho avuto l’opportunità di fare un Erasmus cosmopolita, di lavorare per start-up internazionali, di proseguire i miei studi. Una società che sostiene l’istruzione pubblica, accorda fiducia ai giovani, e concede massima libertà ai ricercatori. Nessuna illusione: senza una eccellente formazione, la conoscenza di lingue straniere e il sostegno familiare, varcare i confini è duro. Si pensi solo alla burocrazia, alla difficoltà di procurarsi un tetto e una assicurazione sanitaria.
Insomma, non è facile espatriare. Chi giunge a Berlino senza motivazione e idee chiare presto si perde, e alle prime difficoltà torna indietro. Anche per me non è stato facile partire: intanto sono molto pigra, poi ho una tremenda paura di volare, e poi il mio sogno era quello di insegnare in Italia.
Tornare? Non so dirlo, è una domanda che scava nella anima di ogni emigrato. Il tempo scorre, e si mettono radici altrove. Certo è che sull’aereo di ritorno dalle vacanze in famiglia, dopo grandi mangiate, chiacchierate e litigate, la nostalgia si fa sentire. E non nascondo che continuo ancora a chiedermi, se sia giusto andare così lontano per poter realizzare i propri sogni.
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#GliAnniInTasca #webdoc della #25Ora con il quale raccontiamo le storie di alcuni giovani under 35 che hanno lasciato l’Italia in cerca di condizioni lavorative migliori. Leggi tutte le info nel blog in bio. (presso Piazza Re Di Roma)
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If I was young, I'd flee this town I'd bury my dreams underground.
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#GliAnniInTasca raccoglie le vostre storie. Cervelli in fuga scriveteci! Alice, 32 anni, toscana, in Spagna ha avuto la possibilità di realizzare il suo sogno. All’Huffington Post ha voluto raccontare la sua gioia, “perché vorrei che contagiasse chi in questo momento ha smesso di credere in se stesso. Non bisogna svendersi mai, e bisogna provare a non accontentarsi, lottando per i propri sogni”: https://goo.gl/VicC0k
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Andare via o restare? “Secondo me i giovani devono partire, devono andare via, ma per curiosità, non per disperazione. E poi tornare. Devono andare per capire com’è il resto del mondo, e anche per un altro motivo, ancora più importante: per capire se stessi”. Così Renzo Piano, ospite di Vieni Via con me. Era il 22 novembre 2010. In questi anni sono aumentate considerevolmente le partenze “per disperazione” di giovani e giovanissimi. Che difficilmente torneranno. “Tornare? Per fare cosa?” Questa è la risposta. #GliAnniInTasca coming soon.
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Partire, tornare. Restare. #GliAnniInTasca coming soon. #25Ora (presso Torino Porta Susa railway station)
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