Tumgik
#gendarmeria argentina
elbidetdeivet-blog · 7 years
Text
El dolor en la injusticia.
Martes 24 de Octubre de 2017. Montevideo, Uruguay.
Hoy saliendo de la movilización se acercó un señor a preguntarme el motivo de la concentración de gente.  - Estamos pidiendo justicia por el asesinato de Santiago Maldonado. Me agradeció, le di una pitada al cigarro, caminé dos pasos y sentí como en esas palabras se encerraba todo el dolor que me supera hace días. Desde que conocí su historia, los meses difundiendo su foto, buscándolo desde acá. Ver a Mal Pasar el mes pasado y gritar a todo pulmón el pedido, la exigencia tantas veces repetida: 'DÓNDE ESTÁ SANTIAGO?'. El dolor del hallazgo. La pérdida total de esperanza en el reconocimiento. 'Cómo duele tener que decirlo así!' le dije a mamá, eterna compañera en todas mis luchas. Le tuve que explicar a qué me refería entre lagrimas, con la garganta cerrada. Hasta hace una semana lo buscábamos, sabiendo en el fondo que, recordando los antecedentes de impunidad del Estado, era utópico un final 'feliz'. Pero lo seguimos buscando. Llevamos su cara y su nombre a todo el mundo. Lo encontraron. O nos lo devolvieron. El desenlace más sórdido que podíamos imaginar se materializó. Pero la búsqueda sigue, ahora por respuestas. Vos, que estás leyendo esto ajeno a todo. Que vivís agobiado en tus problemas, centrado en tu entorno. Quiero que te acuerdes de los ojos de la foto, que te devuelven la mirada. Esos son los ojos de un ser pacífico, que no se sometió a la doctrina de pensar dentro de los límites que nos imponen. Un ser que decidió pedir por una causa noble y justa. Esos ojos son la esperanza. Porque somos pocos, en peligro de extinción, perseguidos, vapuleados. Pero todavía existen los soñadores, los que creen en el valor de defender las causas que merecen ser defendidas. Y no hay suficiente guita, poder, violencia o palabras que puedan terminarnos. Santiago es luz. Y el Estado lo mató.
Justicia. El Estado es el encargado de velar por nuestros derechos, Gendarmeria Argentina un órgano de éste, destinado a la SEGURIDAD. La negligencia es enorme, la falta de respeto inconmensurable. Pero no van a salir impunes. Porque hasta no obtener respuestas, esta mirada los va a seguir a cada segundo. 
Ni olvido ni perdón.
Tumblr media
4 notes · View notes
peritodraw · 6 years
Photo
Tumblr media
5 notes · View notes
Photo
Tumblr media
#manual de #supervivencia #escrito por el #comandante (R) de #gendarmeria #argentina Walter Martínez @club.sniper #prepper #preppersinfronteras https://www.instagram.com/p/BsQt7ISB6vy/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=rt57zis3hx92
0 notes
goodbearblind · 5 years
Text
Tumblr media
IL 18 OTTOBRE 2017, SOLO DUE ANNI FA VENIVA RINVENUTO IL CADAVERE DI SANTIAGO MALDONADO, GIOVANE ARGENTINO IMPEGNATO NELLE LOTTE PER LA TERRA DEL POPOLO MAPUCHE CONTRO LE GRANDI MULTINAZIONALI
Sotto le terre tra Argentina e Cile ci sono risorse preziose, petrolio, acqua, gas. Sopra le terre tra Argentina e Cile ci sono popolazioni che, così come le risorse che gli passano sotto i piedi, non guardano con troppo interesse ai confini decisi dagli stati-nazione. Sulle terre tra Argentina e Cile ci sono i Mapuche, che da secoli lottano per rimanere, liberi, su quelle terre che hanno abitato da quando chiunque possa averne memoria. Ci sono i padroni, su quelle terre, che come gli spagnoli di cinquecento anni fa spesso arrivano da lontano, con nomi ben precisi e volti puliti. E poi ci sono, sopra quelle terre, alcuni sotto, non si sa bene dove, migliaia di corpi, migliaia di teste e migliaia di bocche che in vita pensavano e urlavano allo scempio che i padroni stavano compiendo. Migliaia di desaparecidos, anche dopo la fine delle dittature militari, anche dopo che tutti hanno tirato un sospiro di sollievo perché i cattivi avevano perso. Tra queste migliaia c’è Santiago Maldonado, il cui corpo, purtroppo o per fortuna, è stato trovato, e ora sappiamo bene dov’è, anche se non sappiamo, ufficialmente, perché.
El Brujo aveva 28 anni nel 2017, e nemmeno a lui interessavano troppo i confini, le lotte di chi viene oppresso erano le sue, anche se non era un Mapuche. Era lì, quel 1 agosto, a Chubut, insieme ad altri manifestanti, per chiedere il rilascio di Facundo Huala, che proprio lì aveva realizzato insieme ad altri Mapuche un presidio contro lo sfruttamento indiscriminato delle terre da parte delle grandi compagnie ormai azioniste di maggioranza del territorio e della politica argentina; la manifestazione fu repressa dalla Gendarmeria, e Santiago pensò di scappare attraversando il fiume. E da lì scompare. La sua scomparsa dura per più di 70 giorni, fino al 18 ottobre, quando il suo cadavere viene ritrovato in un pozzo. Le incongruenze con una morte accidentale e non violenta, sostenuta da chi investiga sul caso e dai membri della Gendarmeria coinvolti, sono tante, e la famiglia di Santiago lotta da ormai due anni per sapere la verità.
Intanto chi vuole proteggere le popolazioni e la natura oppresse dalle stesse mani continua a sparire, mentre i volti dei responsabili ancora restano troppo puliti.
Cannibali e Re
Cronache Ribelli
10 notes · View notes
paoloxl · 6 years
Link
Moira Millán è una pluripremiata sceneggiatrice, autrice e attivista argentina di fama internazionale. È una delle leader del movimento mapuche, che si batte per recuperare le terre ancestrali del suo popolo, è inoltre fondatrice e ideologa del Movimento delle donne indigene per “Buen Vivir”, che sostiene uno stile di vita in armonia con la natura. Nel suo ruolo di weychafe (guardiano tradizionale, difensore), ha sostenuto le vittime di un’incursione della polizia nella comunità mapuche di Vuelta del Río, in una protesta pacifica presso il palazzo di giustizia nella vicina Esquel. Il 26 giugno 2018, è stata accusata di “doppia coercizione aggravata” per la protesta di Esquel. Il processo si è tenuto il 21 febbraio(QUINDI COSA HANNO DELIBERATO?? non ho trovato info). Se la giudicheranno colpevole potrebbe prendere dai due ai quattro anni di prigione.
Per oltre 400 anni, il mio popolo, insieme agli altri popoli indigeni dell’Argentina, ha affrontato e combattuto un’importante lotta per l’autodeterminazione. Ancora oggi, persiste nella memoria dei nostri ül, canzoni, nüxam e racconti, il coraggio dei nostri antenati che hanno sconfitto il più grande impero dell’epoca. Dopo la sconfitta, la corona spagnola firmò un trattato con i mapuche nel primo parlamento di Quillín, riconoscendo la sovranità della nostra nazione (Mapuche).
Il nostro Wallmapu, territorio Mapuche, si estende dall’Oceano Pacifico all’Oceano Atlantico, in quella che ora è la Repubblica del Cile, il cui nome in Mapudugun (ossia in lingua Mapuche) sarebbe: Ngulumapu (Terre d’Oriente). Mentre l’attuale Argentina è denominata Puelmapu (Terre d’Occidente). Il nostro territorio comprende quasi la metà di quella che ora è l’Argentina: dal sud della provincia di Mendoza a ovest, al centro sud della provincia di Buenos Aires a est, fino alla provincia di Santa Cruz a sud. Si stima che che la presenza del popolo mapuche in queste terre risalga a circa 12 mila anni fa, in base a scoperte archeologiche e studi linguistici.
È stato il primo grande tentativo di sterminio – quello che abbiamo subito sulla nostre pelle; i mapuche subirono un’enorme perdita di terreni, oltre ad un elevatissimo numero di vittime a fronte di un processo di colonizzazione che era appena iniziato.
Dopo la nostra sconfitta, lo stato argentino ha imprigionato migliaia di famiglie Mapuche e li ha messi all’asta nella piazza pubblica, dividendo per sempre le famiglie. Nel suo libro “La Historia de la Crueldad Argentina”, lo storico argentino Osvaldo Bayer racconta come lo Stato abbia messo all’asta migliaia di famiglie Mapuche che furono imprigionate durante l’occupazione di Puelmapu. Venne pubblicato anche un annuncio ufficiale sul quotidiano El Nacional, che affermava: «Oggi si consegneranno alle famiglie benestanti che lo richiedono degli indios, un uomo indios come bracciante, una giovane come domestica e un ragazzino come fattorino».
Il termine “china” probabilmente è riferito alla Cina, nel senso che, credo, venivano chiamati cinesi come insulto. quindi come lo mettiamo? o omettiamo?
L’Argentina ha anche istituito dei collegi come parte di un piano di assimilazione che è stato inserito nella Costituzione del 1853. Come gli istituti stanziati in Canada e negli Stati Uniti, i convitti in Argentina sono stati progettati come un’arma di eliminazione culturale e disintegrazione della famiglia. Ai bambini mapuche era proibito parlare la loro lingua, il mapudungun; furono costretti ad assumere una nuova identità imposta, quella argentina; e sono stati sottoposti a numerosi abusi e violazioni. A seguito di ciò, a partire dal 1960, le comunità mapuche hanno cominciato a richiedere la costruzione di scuole nei loro territori, per non mandare i loro figli nei collegi.
Questa situazione è durata fino al 1994 quando l’Argentina ha sostituito la sua politica di assimilazione indigena con una legge che riconosceva “la preesistenza etnica e culturale delle popolazioni indigene”, così come “la proprietà della comunità e la proprietà delle terre che tradizionalmente occupano”.
La riforma costituzionale è stato un passo nella giusta direzione, tuttavia, lo stato argentino ha una lunga strada da percorrere prima di potersi separare dalla sua crudele eredità.
«La mia gente sta lottando per trainare l’Argentina verso la giusta direzione», ricorda Moira
In un momento in cui sta emergendo in Argentina un grande movimento di lotta delle donne, spero di riuscire ad avvicinarle a questa complessa situazione politica che vede come protagoniste le donne madri, vittime di molteplici e oppressive situazioni.
Milioni di compagne femministe rivendicano i loro diritti come donne nella lotta parallela a quella di una nazione per la sua autodeterminazione. Ma devo chiedere qual è il ruolo delle donne mapuche in questo processo? C’è sorellanza verso le donne mapuche? Il nostro diritto alla maternità secondo la nostra visione del mondo è schiacciato nel nostro territorio.
L’oppressione multipla a cui sono sottoposte le donne indigene, inizia a essere vociferata, raccontata e ascoltata da piccole ridotte risacche che lottano contro la società egemonica; tuttavia, il mondo sa ancora poco o niente di noi.
Ecco perché, in tempi di così tanta persecuzione e morte, è necessario raccontare, spiegare e districare i vari dubbi. Vi invito ad entrare nelle umili rukas, nelle case, e ascoltare donne che tessono la ribellione in questi luoghi nel sud del mondo.
Tre generazioni, la stessa attesa
In questo contesto, ho incontrato Segunda Huenchuano, una pillankushe, o autorità spirituale della Lof Mapuche Vuelta del Río, che confina con il ranch Benetton, nel dipartimento di Cushamen, provincia di Chubut. Il Lof, o comunità, è attraversato dal fiume Chubut, in un paesaggio semi-arido.
*** Foto Segundo Huenchuano, un pillankushe, o autorità spirituale della Lof Mapuche Vuelta del Río, con sua nipote, Antu.
Segunda Huenchuano, di circa 70 anni, mi riceve tenendo per mano sua nipote, con un ampio sorriso che mi invita ad andare nella sua casa di fango e pietra, spaziosa e minimalista, quasi senza mobili. Prepara alcuni mate per noi, mentre alimenta il fuoco in cucina con legna secca, e estrae quanto segue dal baule dei suoi ricordi. «Negli anni ’60, a Vuelta del Río e in altre comunità mapuche decisero di non voler più mandare i propri figli nei collegi finanziati dal governo». E continua «ricordo che la scuola è stata chiesta nel ’62 o ’63, in quegli anni c’erano circa 30 ragazzi, una decisione presa dai nonni di quei giovani, si sono messi insieme, hanno discusso, di come poter costruire un luogo dove farli studiare.
*** Foto Segunda Huenchuano, a sinistra, con sua figlia, Inés Huilinao, e la nipote, Antu.
Segunda fa una pausa e beve dalla cannuccia il suo mate, continua: «Andarono a fare i mattoni, mescolarono erba e fango e tagliarono più di tre mila mattoni. Con questi mattoni costruirono la casa vicino alla sponda del Rio. Dato che in quel periodo tutti avevano animali, vendettero gli animali, li barattarono con lastre di metallo e pali, portarono la legna per il tetto. Una volta terminato l’edificio, hanno richiesto un insegnante al governo, che però non è mai arrivato».
L’attesa è durata talmente tanto fino a che i muri sono crollati. Sono poi tornati a internare i loro figli.
Le giovani coppie che non volevano mandare i loro figli nei collegi furono costrette a trasferirsi nelle città più vicine per assicurargli almeno l’istruzione di base. Alla fine, le madri decisero di convocare l’assemblea del Lof e proposero di provare ancora una volta a costruire una scuola nel Lof.
L’iniziativa è stata accolta, hanno raccolto fondi per i materiali e nel 2016 hanno costruito un bellissimo edificio scolastico, ottenendo il supporto dei professionisti educativi Mapuche, che hanno redatto una proposta di educazione culturale bilingue.
** foto Segunda Huenchuano e sua figlia e nipote, di fronte alla scuola costruita dai membri della Lof Vuelta del Río.
Hanno presentato il progetto allo stato provinciale. Per essere ascoltati, hanno dovuto occupare le strutture del ministero dell’educazione della provincia. Nonostante tutta questa battaglia, non hanno ottenuto risposta; al contrario, lo stato argentino finanziò la costruzione e avviò una scuola elementare, dentro la estancia di Benetton, non solo, il governo si accollò tutte le spese, avvantaggiando la grossa multinazionale, che non ebbe alcun costo, in cambio dell’assistenza e dell’istruzione gratuita ai figli dei braccianti. Questo pretesto si utilizzò come strumento di propaganda a favore di Benetton.
«Provarono ad indottrinare i nostri figli, coltivando un sentimento di gratitudine e amore verso il padrone», ha detto Segunda.
Ines Huilinao, la figlia più giovane di Segunda, si unisce alla conversazione. Ha dovuto sopportare il doloroso sradicamento dalle sue origini per andare a scuola in un collegio. Ora è la madre di una bambina di cinque anni e mi dice che per mandare la sua bambina a scuola, ha dovuto lasciare la sua casa e trasferirsi in una stanza del pronto soccorso, che si trova sulla strada d’ingresso alla comunità, ed è l’unico posto a cui può accedere al Trafic, un piccolo scuolabus che viene a prendere tutti i bambini che vanno a scuola.
Quando ho chiesto a Inés Huilinao, perché il governo non abilita la scuola costruita dalla comunità, ha risposto, «secondo me i Benetton vogliono allontanarci dal nostro territorio con ogni mezzo perché lo ritengono loro dal momento che ci hanno recintati».
Per Inés Huilinao, non solo è un disagio trasferirsi dal lunedì al venerdì nella stanza del pronto soccorso per mandare la figlia a scuola, ma aggiunge che per un’ora sua figlia e altri bambini sono esposti al pericolo, e che la gendarmeria e la polizia provinciale hanno militarizzato il posto, commettendo in totale impunità abusi e violenze contro i membri della comunità.
Il rischio che la violenza istituzionale venga dispiegata contro i bambini è latente. Molti genitori hanno preferito non educare i propri figli, poiché non sono disposti a lasciare la comunità, né a esporli a rischi o disordini non necessari.
Ines racconta cosa è successo il 17 settembre 2017, quando il giudice Guido Otranto ha ordinato la perquisizione di diverse case nella comunità, un apparente tentativo di localizzare il giovane artigiano Santiago Maldonado, che era scomparso, dopo essere stato inseguito dalla gendarmeria durante una protesta mapuche, nelle vicinanze del territorio del Lof Resistencia di Cushamen.
«Ricordo che era mattino presto, in primavera», ha detto Inés. «Eravamo tutti a letto, non era ancora chiaro. Abbiamo iniziato a vedere aerei, elicotteri, luci e rumori che volavano su tutto. Eravamo tutti e tre a letto. Ho detto alla mia bambina di non alzarsi, che non è successo niente, ma si è accorta che c’era qualcosa di strano, c’erano luci ovunque che illuminavano le nostre case».
Gli elicotteri atterrarono e scesero dozzine di gendarmi, i quali, dando calci alle porte precarie delle case, trascinarono fuori i loro occupanti, senza permettere loro di vestirsi o di scaldarsi, tenendo presente che le temperature qui sono sotto lo zero.
In quei giorni di violenze dispiegate contro la comunità, una famiglia che abitava vicino a Ines fu vittima del rogo della loro casa. Ci sono testimoni che affermano che la gendarmeria la bruciò. La vicina è Veronica Fermin; suo marito, Marcelo Callfupan, è il werkén o portavoce della comunità. Hanno tre figli di 8, 10 e 12 anni, che non erano all’interno della casa perché tutta la famiglia stava tornando dalla città di Esquel, da una protesta. Avrebbero potuto morire arsi vivi, dato che la casa era stata bruciata nel tardo pomeriggio. Dopo questo episodio, la famiglia si è trasferita nella città di El Maitén.
Stati feudali post moderni
A prima vista, Benetton può sembrare un benefattore involontario della generosità dell’Argentina. Tuttavia, la compagnia di moda globale ha un ruolo chiaro da recitare nel futuro della regione ricca di risorse della Patagonia, vale a dire del territorio mapuche. Benetton è il più grande proprietario terriero in Argentina e ha trascorso decenni a contrastare i diritti mapuche nelle loro terre.
Negli ultimi decenni, la Patagonia è stata anche popolata da altri vicini miliardari, tra cui Joe Lewis, con oltre 11.000 ettari; l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim Bin Hamad Al Thani, con 28.000 ettari; e Ted Turner con 36.942 ettari. Questo gruppo di élite ricche ha creato qui una sorta di stato feudale postmoderno, in cui il loro potere decide sulla sopravvivenza o meno dei mapuche.
Benetton, tuttavia, è in una classe a parte. La compagnia non incide solo sull’amministrazione della giustizia, come dimostra il caso di Santiago Maldonado. Anche come ci racconta Segunda Huenchunao e sua figlia Ines Huilinao, impone la politica educativa che vuole. Hanno influenzato l’Argentina in modo tale che di fronte ai loro possedimenti è stato costruito un commissariato, con una struttura sofisticata di comunicazione e sicurezza. Lo stato argentino mette le sue forze al servizio della sorveglianza privata della multinazionale. Il comune di El Maitén, una città circondata dai fili spinati di Benetton, protegge anche gli interessi dell’azienda.
Il potere della compagnia è sentito in tutte le proprietà. Nonostante ciò, il Lof mapuche di Vuelta del Rio resiste, specialmente le donne, che non si lasciano sottomettere. A 35 km da lì, c’è il Lof mapuche di Cañio. Sebbene la Comunità di Cañio non sia una vicina di Benetton, ha subito persecuzioni e discriminazioni da parte dei settori del potere che sostengono la multinazionale della moda. Dal momento che questa comunità è sempre stata solidale con i membri delle comunità colpite dalle politiche persecutoria dello stato argentino, che appoggiano le “proprietà di Benetton”.
Mentre mi avvicino al Lof Cañio, la steppa si affievolisce, l’ocra gialla dell’erba scompare e mi ritrovo avvolta in una rigogliosa vegetazione verde. Sono arrivata quasi all’imbrunire, mi avvicino alla casa della famiglia Cañio, dalla cima della collina ho visto come gli ultimi bagliori del giorno hanno tinto il cielo di arancio e colori rossastri. Lì mi hanno accolto con affetto e intorno al tavolo le donne della famiglia mi hanno raccontato la loro storia.
Questa famiglia subisce la persecuzione del governo municipale di El Maitén, che cerca di installare un centro sciistico sulle loro terre. Ciò significherebbe radere le montagne, danneggiare la foresta e gli spazi sacri spirituali della comunità.
Gli ecosistemi della catena delle Ande sono fragili dinanzi all’avvampato avamposto del capitalismo. Ma sono rimasti forti e fermi nella difesa del Mapu, la Terra.
Questo naturalmente non è gradito ai governanti o agli imprenditori. Come risultato degli eventi che hanno avuto luogo nelle terre in conflitto con la Compagnia Benetton, l’intendente e gli uomini d’affari approfittano del conflitto per accusare Javier Cañio, un giovane membro della comunità, come presunto aggressore e rapitore di un dipendente Benetton. Gladys Millane, sua madre, con gli occhi bagnati e lucidi di lacrime che arrivano e non riesce a trattenere, racconta quello che è successo il giorno in cui la polizia è arrivata a casa loro in cerca di Javier.
*** foto Famiglia Cañio: Gladys Millane, Monica e Marilyn Cañio con Virginio Cañio e Nahuel, il bambino di tre anni.
«Eravamo sole io e Marilyn, mia figlia e mio nipote. Arrivarono dicendo che dovevano portare Javier in ospedale per fargli un prelievo di sangue. Successe che un bracciante di Benetton, che aveva subito il rapimento, riuscì a tagliare uno dei rapitori con il suo coltello, e volevano vedere se mio figlio aveva un taglio sul suo corpo per incastrarlo. Avevo paura che lo prendessero e lo ferissero o scomparisse. Sono sempre angosciata, se uno dei miei figli è in ritardo, sono già preoccupata pensando che le sia successo qualcosa di brutto, non ho più pace, ho paura per i miei figli».
Marilyn, la figlia più piccola, interviene nella conversazione per aggiungere: «Mi chiedo se a quei tempi mio fratello si fosse fatto del male o si fosse tagliato, lavorando sul campo, lo avrebbero incolpato lo stesso di un crimine che non aveva commesso? Perché lavorando nei campi sei sempre a rischio di farti male, fortunatamente – quella volta – stava bene, e non aveva cicatrici o ferite».
Mónica Cañio, sua sorella maggiore, denuncia che ha portato il figlio di tre anni dal dottore all’ospedale di El Maitén e, dandole il suo cognome, si sono rifiutati di aiutarlo. È molto preoccupata per la salute di suo figlio. È molto importante per lei crescere nel suo territorio senza perdere la sua identità, ma lei teme per la sicurezza e la vita del bambino e del resto della famiglia, dal momento che gli assassinii del governo contro il popolo Mapuche sono rimasti impuniti.
Infanzia svalutata
Il 23 novembre 2017, di fronte al Lago Mascardi, il Lof Lafken Winkul Mapu ha subito una sanguinosa repressione da parte di membri della polizia federale che hanno arrestato diverse donne Mapuche con i loro bambini.
Questa comunità mapuche, composta da circa quattro famiglie, si stabilì in una proprietà territoriale che è sotto il controllo dello stato argentino, attraverso i parchi nazionali. I funzionari denunciano i membri della comunità come usurpatori, dando così inizio a un caso giudiziario ancora in corso e che ha tentato due volte di sfrattarli con la forza per ordine del tribunale. Gli eccessi e gli abusi associati al caso hanno raggiunto un livello di insolita violenza, che ha portato all’omicidio di Rafael Nahuel, un giovane mapuche di 22 anni, tra i diversi crimini.
Mariel Bleger, antropologa e insegnante di scuola elementare, arrivata quel giorno per esprimere solidarietà, mi testimonia, anche lei con gli occhi inumiditi dalle lacrime, cosa è successo. Mariel è la madre di un bambino di cinque anni ed era incinta del suo secondo figlio. Ha accompagnato le giovani madri mapuche che hanno preso parte alla decisione di riprendersi le loro terre, recuperando questo appezzamento di terra sotto il controllo dei parchi nazionali argentini.
Mariel andò nell’area della comunità e lì, dopo circa cinque posti di blocco lungo il percorso, trovò uno spiegamento di polizia molto grande. C’erano almeno otto furgoni e più di sei auto della polizia all’ingresso del territorio, dove all’epoca c’erano circa cinque donne e due uomini con alcuni ragazzi e ragazze.
«Ho riconosciuto rapidamente sulla strada giocattoli e vestiti dei ragazzi e delle ragazze con cui ho lavorato a scuola per diversi anni», ha detto Mariel. «C’erano due scatole di frutta e verdura calpestate e buttate sulla strada».
«Ho chiesto immediatamente dei bambini. Nessuno degli ufficiali che erano lì voleva darmi informazioni su dove si trovassero loro o le loro madri. Uno dei furgoncini più lontani accese le sirene e percorse la distanza che la separava dal cordone della polizia. Ho visto che c’era uno dei bambini che conoscevo e stavo cercando».
Mariel mi dice che, senza rendersi conto del pericolo, indignata e angosciata dal destino dei bambini, salì in macchina e seguì il furgone della polizia, tenendosi in contatto con varie organizzazioni per i diritti umani e sindacati. I bambini sono stati arrestati e portati alla polizia federale, situata nelle strade di Tiscornia e Morales nella città di San Carlos de Bariloche.
Mariel continua la sua storia, ricordando a uno a uno i dettagli di quella dolorosa giornata: «Ho chiesto di entrare per vedere come stavano i bambini, mi sono presentata come la loro insegnante. Mi è stato permesso, ho trovato cinque donne arrestate e cinque minori. I bambini erano ancora sotto shock a causa della terribile situazione che stavano vivendo. Alcuni di loro erano in età di allattamento, altri vagavano per quella stanza e molte delle donne erano ferite dalle percosse della polizia. Ho chiesto loro se avessero dato loro acqua o cibo. Niente di tutto ciò era successo. Era da più di sei ore che non avevano notizie o avessero ricevuto alcuna informazione, incapaci di comunicare con un avvocato, senza neppure avere il permesso che i bambini andassero in bagno o mangiassero qualcosa».
Mariel ha chiesto il permesso di uscire e comprare cibo e acqua. Ci sono volute più di due ore per consegnargli le cose che aveva recuperato per loro.
Solo verso tarda sera, alle 11 circa, sera partirono i bambini e le loro madri. In nessun momento i bambini hanno ricevuto un’attenzione particolare perché erano minorenni, infatti, erano costantemente molestati e limitati nella mobilità all’interno del recinto.
Nonostante le numerose lamentele che, da parte delle organizzazioni per i diritti umani, delle scuole e dell’unione degli insegnanti della città di San Carlos de Bariloche, sono sorte per chiedere spiegazioni su un tremendo atto di illegalità e violazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti non hanno avuto risposta.
«Due giorni dopo questo evento, le forze di sicurezza sono tornate nel territorio selvaggiamente bonificato, commettendo l’omicidio del giovane Rafael Nahuel, che come molti di noi stava aspettando il rilascio di donne e bambini detenuti illegalmente».
L’elenco di tragedie e abusi sembra continuare senza fine. Poco dopo la sanguinosa repressione dispiegata su Mapuche Wof Maf Lafken, le autorità hanno arrestato e rinchiuso i bambini, Awkan Colhuan di un anno, Kalfu Ray Colhwan Rosas, due anni, Calfulikan Colwan Jaramillo, 3 anni, e Daiana Antimilla 10 anni. Tutti i bambini sono stati rinchiusi in una cella per almeno sei ore.
Giovedì 23 novembre 2017, l’Associazione degli avvocati della Repubblica argentina ha presentato un esposto al procuratore della provincia di Rìo Nero per chiedere dei chiarimenti sulla vicenda che, come in altre situazioni, ha cercato di spezzare la volontà di un popolo alla ricerca della sua libertà, ma che solo ha mostrato la ferocia e il razzismo senz’anima del potere.
Sfortunatamente, le massicce mobilitazioni scatenate per sostenere il giovane argentino Santiago Maldonado non sono state ripetute per il giovane Rafael Nahuel, né per nessuna delle donne e dei giovani mapuche costretti a subire così tanti abusi da parte del governo e dei loro compari.
Ma non tutto è perduto. Nel sud del mondo, noi donne mapuche, stiamo scoprendo noi stessi come esseri radicati nel nostro Ñuke Mapu (Madre Terra), e nutriti dal suo potere. Il processo di decolonizzazione ci vede rimuovere le recinzioni non solo del territorio usurpato, ma anche delle nostre menti, delle nostre coscienze, in particolare della coscienza della maternità mapuche. Abbiamo soppesato l’efficacia della medicina ancestrale, prefigurando un’educazione all’identità e una dieta naturale e sovrana.
È solo una questione di tempo prima che lo stato riconosca che aumentando i diritti, si amplificano i mondi.
Fino a quel giorno, resisteremo.
Testo e foto di Moira Millán
4 notes · View notes
oipolinternacional · 5 years
Text
#OIPOL INSTITUCIONAL ARGENTINA
Emocionante versión del #HimnoNacionalArgentino 🇦🇷realizada en Reserva Laguna del Diamante Villa San Carlos.
Banda Militar Chepoyá.
Participaron Regimiento 15 Campo Los Andes, Gendarmeria Nacional, Guardaparques de la Dirección de Recursos Naturales, Municipio de San Carlos.
Campo Yaucha
De fondo el Cordón del Carrizalito Nevado, Confín Sur del Cordón Frontal y frontera natural con la Meseta Patagonica.
1 note · View note
carmenvicinanza · 2 years
Text
Moira Millán
https://www.unadonnalgiorno.it/moira-millan/
Tumblr media
Mi è toccato essere donna indigena nel peggiore dei paesi dell’indo America. In Argentina abbiamo l’omissione totale e assoluta dell’eredità indigena. Credo che bisognerebbe creare un nome specifico per questo tipo di violenza che è la negazione stessa della vita. È drammatico dover continuare a lottare per affermare la tua esistenza mentre tutto quello che ti circonda, istituzionalmente parlando, lo nega. Nella narrazione statale ci hanno letteralmente sterminato e, quindi, non esistiamo.
Moira Millán, indigena mapuche argentina, attivista e femminista, lotta da una vita per la difesa delle donne, della terra e della sua popolazione.
È una delle leader del movimento di recupero delle terre ancestrali indigene, in particolare quelle occupate dal Gruppo Benetton, diritto riconosciuto dall’emendamento del 1994 della Costituzione dell’Argentina. Fa parte del movimento femminista Ni una menos. È molto attiva contro i femminicidi e le violenze sulle donne indigene.
È nata a El Maitén, provincia di Chubut, nell’agosto 1970. È cresciuta in una famiglia di cinque fratelli. Nel 1971, per il lavoro del padre, si sono trasferiti a Bahía Blanca in una villa miseria abitata principalmente da popolazioni indigene.
Impiegata come domestica da quando aveva dodici anni, ha subito molestie sessuali dai suoi datori di lavoro. Successivamente si è trasferita in Brasile per diffondere attivamente il suo credo evangelico e dove ha fatto parte attiva del Partito dei Lavoratori.
Nel 1988, ha deciso di recuperare le sue radici ed è tornata nelle terre da cui la sua famiglia proveniva, nella provincia di Rio Negro.
Nel 1992 è entrata a far parte dell’Organizzazione Mapuche Tehuelche October. Nel 1999 si è trasferita con la famiglia in un territorio ancestrale Mapuche di 150 ettari, sulle rive del fiume Palena, dove ha fondato la comunità Pïllan Mahuiza a Chubut che, si oppone al progetto di costruire in quell’area una grande diga, che allagherebbe completamente i loro terreni.
È stata co-autrice e protagonista del documentario Pupila de mujer, mirada de la tierra, presentato nel 2012 sulle televisioni pubbliche di diversi paesi sudamericani e che affronta in una prospettiva di genere il problema dell’identità e la lotta per il territorio dei popoli indigeni.
È stata tra le organizzatrici della prima Marcia delle Donne Native per il Buon Vivere nel 2015, in rappresentanza di 36 nazioni.
Nel 2018 ha contribuito a fondare il Movimento delle donne indigene per il buon vivere, di cui è coordinatrice e referente.
Nel 2018, nell’ambito del 33° Incontro Nazionale delle Donne, ha coordinato un workshop dal titolo “Le donne e l’autodeterminazione dei popoli”, in cui è stato proposto l’uso del termine plurinazionale per spiegare la presenza e partecipazione delle donne indigene.
Nel 2018 è stata accusata di coercizione aggravata per aver partecipato alle proteste contro la scomparsa e l’omicidio di Santiago Maldonado, attivista argentino scomparso il 1° agosto 2017, dopo che la Gendarmeria nazionale ha disperso una manifestazione contro le attività del Gruppo Benetton. È stata assolta dalla Corte federale di giustizia di Comodoro Rivadavia, nel 2019.
Ha scritto il libro El tren del olvido.
Moira Millán si auto definisce una weichafe che letteralmente si traduce come guerriera, ma nella sua lingua ha il significato di donna che difende il proprio popolo e proprio territorio.
Con questo spirito, a 18 anni, ha assunto la sua missione in difesa della sua terra, concetto ampio e olistico che rimanda a un ecosistema tangibile e uno percettibile.
Denuncia da anni il meccanismo di violenza contro l’identità della sua popolazione, processo che obbliga alla clandestinità per esercitare la propria spiritualità, parlare la propria lingua, curarsi in modo naturale, partorire secondo le pratiche ancestrali.
La negazione non implica solo escluderci dalla narrativa storica, la negazione significa non riconoscere che siamo qui, togliendoci il diritto all’esistenza: è una vera e propria prassi genocida e un epistemidicio.
Una guerriera forte e determinata che ha ben chiaro cosa vuole e per cosa lotta e non si piega nemmeno davanti alle tante minacce contro la sua vita e quella delle sue figlie.
1 note · View note
imagenprimero · 7 years
Link
Luego de que se “haya confirmado” que Nisman fue asesinado de un tiro en la cabeza y que luego se “limpió” la escena del crimen para simular un suicidio, Gendarmería salió a desmentir el hecho desde su cuenta de Twitter: GENDARMERÍA NACIONAL INFORMA #Comunicado #Nisman http://pic.twitter.com/NUH8cGQW1O — Gendarmería Nacional (@gendarmeria) 14 de septiembre de 2017 […]
0 notes
lucesdecordillera · 4 years
Photo
Tumblr media
GENDARMERIA EL BOLSON Equipo de Gendarmería de El Bolsón. Jugadores: Elvio Cárdenas, “Gringo” Pratti, Frete, Hicho Meza, Oscar “Tucumano”, Báez, Héctor “Chueco” Honores, Pildain, Arens, Giménez, Mario Coronel, Oscar, “Chato” Alcides Hermosilla. . . . #recuerdosfutboleros #gendarmeria #futbolcomarcal #fanaticosenred (en El Bolson Patagonia Argentina) https://www.instagram.com/p/CBWmuS4AIFI/?igshid=1aofiovf0ys56
0 notes
giancarlonicoli · 4 years
Link
8 giu 2020 16:14
DAL CARDINALE ''RAMBO'' ALL'OBOLO DI SAN PIETRO: LA GUERRA NEI SACRI PALAZZI SCOPERCHIA LA TERZA COLONNA ''SEGRETA'' DEI PATRIMONI VATICANI, QUEI 600 MILIONI DI EURO MIMETIZZATI TRA DEPOSITI, FONDI, FONDAZIONI, RISERVE NON CONTABILIZZATE - è IN QUESTO MARE CHE SI MUOVONO SQUALI CHE BERGOGLIO, PIANO PIANO LEMME LEMME, STA INFILZANDO UNO A UNO. DOPO LO IOR E L'APSA, ADESSO TOCCA A…
-
Gianluigi Nuzzi per “la Stampa”
«Gli italiani celano i soldi delle offerte in tanti cassetti nascosti, noi dobbiamo trovarli. Subito». Eravamo nel novembre del 2014, a Santa Marta, Francesco rileggeva il resoconto riservato dei fondi paralleli finora trovati: 600 milioni di euro mimetizzati tra depositi, fondi, fondazioni, riserve non contabilizzate.
Un magma nero di potere e denaro, dilatatosi all’ombra di san Pietro dai tempi di Paolo VI, fortificatosi con Wojtyla prima e ancor più con Ratzinger poi. Bergoglio non si sorprese né scompose. Ne aveva già viste tante in Argentina. Da cardinale a capo dei gesuiti accertò che metà dei loro depositi in banca erano investiti nientemeno che in aziende produttrici di armi E questo lo aveva raccontato ai signori della curia, a chi in questo magma nero affondava mani predatorie o vizi inconfessabili.
Già nel primo incontro, in sala Bologna il 3 luglio 2013 Francesco chiese fatture e appalti trasparenti a degli attoniti monsignori e cardinali dall’anello d’oro lucido, lucidissimo. Rimasero senza parole a sentir un papa parlare di denaro e trasparenza, il primo era affar loro, il secondo era una parola utile al massimo per qualche titolo rincuorante sui giornali. Insomma, non gli credettero. Alcuni di loro, ritenevano di impagliare la sua riforma, svuotare tutti i nuovi organismi creati per dare nuova luce alle finanze, impallinare i delfini che lo avrebbero sostenuto.
Ma sbagliavano. Il gesuita è lento ma inesorabile. Prima ha tracciato i confini di queste strutture parallele, individuando ruoli e responsabilità. E allontanando da subito figure controverse, come quel monsignor Jessica che in pochi giorni sparì dal balcone di piazza san Pietro, dove dai tempi di Giovanni Paolo II era solito assistere il pontefice di turno. O Paolo Mennini, incredibilmente figlio del braccio destro di Paul Casimir Marcinkus e che ancora occupava ruoli di rilievo nella banca centrale.
Al tempo stesso ha avviato le riforme, iniziato a colpire le seconde file delle strutture curiali più compromesse e poi sempre più su fino all’allontanamento del numero uno dell’Apsa, (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica) la banca centrale, il plenipotenziario Domenico Calcagno, soprannominato cardinale Rambo per l’arsenale di armi - anche da guerra - che amava collezionare. I tempi sono lenti, lentissimi, biblici appunto ma quello che si assiste oggi è l’ultima puntata di una guerra sotterranea, lontana dai riflettori dei media e che coagula particolarità senza precedenti.
Bergoglio dopo aver utilizzato strumenti convenzionali (allontanamenti, ridimensionamenti), passa a quelli più incisivi. Infatti è la prima volta che in Vaticano si arresta qualcuno per reati finanziari. Il precedente è Marcinkus per il crac dell’Ambrosiano di Calvi ma era la magistratura milanese a chiedere l’arresto che venne invalidato. È un segno importante di autonomia e di progressivo allineamento della giustizia del piccolo Stato – invero finora abbastanza narcolettica – al volere di Bergoglio. Grazie all’innesto di figure nuove – come il magistrato Giuseppe Pignatone, il generale Saverio Capolupo – e al progressivo miglioramento delle competenze della gendarmeria.
L’emersione nell’inchiesta di figure come monsignor Alberto Perlasca indicano ancora la profondità di questa inchiesta che va a colpire nel cuore del piccolo Stato figure non note al grande pubblico ma di elevato potere. Perlasca è di certo uno di questi. Nato a Como nel 1960, due lauree, è stato protagonista di un’ascesa incredibile da Delebio, piccolo paese arroccato con tremila anime in provincia di Sondrio, al terzo istituto di credito del Vaticano. Sì perché non tutti forse sanno che oltre allo Ior degli scandali e all’Apsa del cardinale Rambo, c’è appunto un’altra sorta di banca in segreteria di Stato.
Ed è questo forse lo snodo nevralgico di tutta la rete di potere, di quel magma nero che produceva fino a 600 milioni di fondi fuori la contabilità ordinaria. Perlasca dal 2009 è l’indiscusso capo della sezione amministrativa della segreteria di Stato. È nella sua memoria la ragnatela di conti, depositi, fondi d’investimento, operazioni immobiliari. È lui che si prende come collaboratore quel cavaliere Fabrizio Tirabassi che oggi troviamo negli atti del promotore di giustizia.
Ma è lui soprattutto che gestisce l’Obolo di san Pietro, la più poderosa raccolta di denaro in contanti che avviene una volta l’anno in ogni angolo del mondo. Soldi raccolti per le opere di bene del Papa – almeno così si incentiva la donazione – ma che vede ormai il 90% di questi finire a sanare i conti in rosso della curia romana. Non è quindi solo una storia di compravendite di palazzi a Londra, di ipotizzate estorsioni, stecche e truffe. Prova ne è della chiamata in causa del cardinale Angelo Becciu, una delle menti politiche più attente oltre le mura.
Sardo di Pattada, il paese famoso in tutto il mondo per gli affilati coltelli, Becciu oggi si occupa di santi e beati ma nell’era Ratzinger faceva parte del triumvirato Bertone-Becciu-Balestrero che avevano il controllo assoluto dello stato. Bertone è chiuso nel suo attico. Balestrero si sta difendendo da un’accusa di riciclaggio internazionale.
Rimane Becciu che in queste ore di tensione pone i dovuti e attesi distinguo per sfilarsi da un’inchiesta, che, seppur non lo vede indagato, rischia di metterlo fuori gioco per sempre. È l’ultimo atto di una guerra che si consuma dentro e fuori il Vaticano. Perché il Papa è ben consapevole della tenaglia che stanno mettendo in atto gli ambienti più conservatori americani.
0 notes
jgbonggio · 4 years
Text
PONETE AL DIA CON LAS CUENTAS!!!
PRESTAMOS ONLINE RAPIDO Y SEGURO! Y EN FINANCIERA LIBRA TE AYUDAMOS A LOGRARLO!!!! PRESTAMOS PARA TODOS!!! NO BUSQUES MAS! TE PRESTAMOS DE $10.000 HASTA $500.000 CON MINIMOS REQUISITOS.
CON O SIN VERAZ - EMPLEADOS PRIVADOS
- FF AA - GENDARMERIA - PREFECTURA - POL. FED.
- DOCENTES - SALUD
- MUNICIPALES
- POLICÍA DE LA PROVINCIA
- SER. PEN. PROV Y FED.
- JUBILADOS ANSES Y COD 40
- JUBILADOS IPS.
PARA MAS INFORMACIÓN COMUNICARSE AL TELÉFONO: 1121628824.
#mardeltuyu #mardelaspampas #mardelplataarg #marchiquita #mardeajo #buenosairescity #buenosaires #argentina🇦🇷 #emprendedoresdigitales #empresariosjovenes #empresários #emprendimiento #empresas #instagood #instagram #insta #sabado #quédateencasa #yomequedoencasa🏠 #cuarentenatotal
Tumblr media
0 notes
paoloxl · 6 years
Text
Quel 1 agosto del 2017, Santiago è stato inseguito dai gendarmi argentini, è stato visto caricato su una camionetta bianca della Gendarmeria. Santiago è affogato da solo, “per una sommatoria di coincidenze” pochi metri a monte del luogo dove sarebbe caduto in acqua. Santiago è stato ritrovato 78 giorni dopo la sua scomparsa e nonostante sei perlustrazioni ufficiali con centinaia di gendarmi a scandagliare ogni singolo metro. 
Per il giudice Gustavo Lleral, “i fatti presentati nel presente caso, non costituiscono reato”. Nessun colpevole dunque, solo una banale “sommatoria di coincidenze”: il ragazzo scappava, è inciampato, è caduto in acqua ed è affogato perché non sapeva nuotare e perché aveva tanti vestiti addosso che l’hanno appesantito. É la versione ufficiale dell’accaduto: «La disperazione, l’adrenalina e l’eccitazione naturalmente provocate dalla fuga; la profondità dell’acqua, i rami spessi e le radici incrociate sul fondo; l’acqua fredda e ghiacciata che ha inumidito i suoi vestiti e le sue calzature fino a raggiungere il suo corpo. Questa somma di incidenti ha contribuito all’affogamento e a far si che non riuscisse ad emergere e a prendere qualche boccata di ossigeno. Dall’insieme di tutte queste realtà semplici e naturali, inevitabili in quel momento preciso e fatidico di solitudine, le sue funzioni vitali si sono paralizzate» precisa un frammento della sentenza. «La verdad es esa» ha detto il giudice Lleral. 
Tutti assolti, assolto il gendarme Emmanuel Echazú con la faccia sporca di sangue, unico imputato. Assolti i suoi compari che prima dell’azione si scambiavano battute come «tutte le case devono essere bruciate» oppure «devono essere presi tutti a calci, la missione è questa» (Video). Assolti, nemmeno a dirlo, tutti i vertici di governo che avevano ordinato la spedizione repressiva in terra mapuche, dal ministro Bullrich al suo vice Noceti. Assolto il gruppo Benetton, usurpatore di territori mapuche, per i cui interessi è scattata l’operazione repressiva. Nessuno è penalmente responsabile della morte di Santiago, è scritto nella sentenza di 263 pagine appena presentata.
La famiglia Maldonado è venuta a conoscenza della sentenza dallo stesso giudice Lleral che in mattinata ha chiamato la madre e il fratello Sergio. I familiari di Santiago hanno poi diramato un comunicato in cui pubblicano la conversazione avuta col giudice di cui proponiamo un piccolo stralcio tradotto: 
«La chiamo per prima in modo che non veniate a scoprirlo dai media», «sono stato intimidito», «hanno fatto pressioni a me e alla mia squadra per chiudere la causa», «ecco perché devo fare questo», «non sa quanto abbiamo lavorato io e il mio team», «i fatti non costituiscono reato»; «spero ora possiate elaborare il lutto in pace». 
Estela ha chiesto: «c'è qualcuno in prigione per la morte di Santiago?»
Il giudice ha risposto «non al momento». 
Estela gli ha ribattuto: «io non piangerò tranquillamente, aspetterò la giustizia».
(QUI il comunicato completo della famiglia).
Se per la giustizia il caso è chiuso, per la famiglia e la società civile questa non è che un ulteriore ostacolo da dover superare per arrivare alla verità e alla giustizia. Durante tutta l’istruttoria gli avvocati della famiglia sono stati ostacolati in tutti i modi, le perizie sono state eseguite in modo superficiale e mirato a confermare l’ipotesi già prestabilita. Tutto questo, unito alle calunnie verso la famiglia Maldonado lasciate trapelare attraverso organi di stampa compiacenti ci mostrano l’esigenza di chiudere il caso il prima possibile, senza lasciare spazio ad altre interpretazioni, senza far emergere tutte le irregolarità che un regolare processo avrebbe senz’altro fatto conoscere e per dare agli investitori un segnale preciso della potenza dell’istituzione.
Per il governo di Macri, alle prese con il vertice G20 e con una grossa crisi economica che l’ha costretto a scendere a patti col FMI e a dover fronteggiare le oceaniche manifestazioni di protesta, è senz’altro una preoccupazione in meno. Il ministro della sicurezza Bullrich ha twittato esultante «la verità ha sconfitto il racconto», ma forse è più corretto leggere l’impunità ha sconfitto la giustizia. 
La battaglia della famiglia Maldonado non finisce qui. Affiancati dalla solidarietà della società civile e dei movimenti argentini continueranno a lottare per ottenere giustizia e per dimostrare che la sparizione forzata seguita a morte di Santiago è stata responsabilità dello stato. Citando il comunicato della famiglia, ci uniamo a loro: «Oggi più che mai gridiamo Verità e Giustizia per Santiago Maldonado».
4 notes · View notes
goodbearblind · 7 years
Photo
Tumblr media
Santiago Dipinto a mano su muro con spray in Moldes e Tamburini,Villa Urquiza, Buenos Aires,Argentina vai qui per vederlo in alta definizione: https://www.flickr.com/photos/141216117@N08/23828647408/in/dateposted-public/ Santiago é un ragazzo argentino di Buenos Aires; artigiano con la passione per i Tattoo e i murales, impegnato nei diritti civili delle comunità indigene. Santiago è sparito il primo agosto a El Bolsón, mentre con il popolo Mapuche, un’etnia indigena che da tempo rivendica il diritto a riappropriarsi delle proprie terre,stava bloccando una strada per protesta. E' intervenuta la gendarmeria e Santiago è scomparso. Il popolo Argentino chiede con forza la riapparizione in vita di Santiago. La paura è di dover aggiungere Santiago alla lista delle 30mila persone scomparse durante la dittatura militare (1976-1983). Il ricordo è ancora vivo e le ferite aperte;gli arresti indiscriminati, gli interrogatori, le torture, le ricerche disperate di amici e parenti,le persone caricate su aerei ed elicotteri e poi gettate nel vuoto ancora vive. RIAPPARIZIONE IN VITA DI SANTIAGO #Graffiti #TribuUmana #LottaPerLaTribu Grazie a La Cámpora -Jorit-
3 notes · View notes
carmenvicinanza · 3 years
Text
Moira Millán
https://www.unadonnalgiorno.it/moira-millan/
Tumblr media
Mi è toccato essere donna indigena nel peggiore dei paesi dell’indo America. In Argentina abbiamo l’omissione totale e assoluta dell’eredità indigena. Credo che bisognerebbe creare un nome specifico per questo tipo di violenza che è la negazione stessa della tua esistenza. È drammatico dover continuare a lottare per affermare la tua esistenza mentre tutto quello che ti circonda, istituzionalmente parlando, lo nega. Nella narrazione statale ci hanno letteralmente sterminato e perciò non esistiamo.
Moira Millán, indigena mapuche argentina, attivista e femminista, lotta da una vita per la difesa delle donne, della terra e della sua popolazione.
È una delle leader del movimento di recupero delle terre ancestrali indigene, in particolare quelle occupate dal Gruppo Benetton, diritto riconosciuto dall’emendamento del 1994 della Costituzione dell’Argentina. Fa parte del movimento femminista Ni una menos. È molto attiva contro i femminicidi e le violenze sulle donne indigene.
È nata a El Maitén, provincia di Chubut, nell’agosto 1970. È cresciuta in una famiglia di cinque fratelli. Nel 1971, per il lavoro del padre, si sono trasferiti a Bahía Blanca in una villa miseria abitata principalmente da popolazioni indigene.
Impiegata come domestica da quando aveva dodici anni, ha subito molestie sessuali dai suoi datori di lavoro. Successivamente si è trasferita in Brasile per diffondere attivamente il suo credo evangelico e dove ha fatto parte attiva del Partito dei Lavoratori.
Nel 1988, ha deciso di recuperare le sue radici ed è tornata nelle terre da cui la sua famiglia proveniva, nella provincia di Rio Negro.
Nel 1992 è entrata a far parte dell’Organizzazione Mapuche Tehuelche October. Nel 1999 si è trasferita con la famiglia in un territorio ancestrale Mapuche di 150 ettari, sulle rive del fiume Palena, dove ha fondato la comunità Pïllan Mahuiza a Chubut che, si oppone al progetto di costruire in quell’area una grande diga, che allagherebbe completamente i loro terreni.
È stata co-autrice e protagonista del documentario Pupila de mujer, mirada de la tierra, presentato nel 2012 sulle televisioni pubbliche di diversi paesi sudamericani e che affronta in una prospettiva di genere il problema dell’identità e la lotta per il territorio dei popoli indigeni.
È stata tra le organizzatrici della prima Marcia delle Donne Native per il Buon Vivere nel 2015, in rappresentanza di 36 nazioni. Nel 2018 ha contribuito a fondare il Movimento delle donne indigene per il buon vivere, di cui è coordinatrice e referente.
Nel 2018, nell’ambito del 33° Incontro Nazionale delle Donne, ha coordinato un workshop dal titolo “Le donne e l’autodeterminazione dei popoli”, in cui è stato proposto l’uso del termine plurinazionale per spiegare la presenza e partecipazione delle donne indigene.
Nel 2018 è stata accusata di coercizione aggravata per aver partecipato alle proteste contro la scomparsa e l’omicidio di Santiago Maldonado, attivista argentino scomparso il 1° agosto 2017, dopo che la Gendarmeria nazionale ha disperso una manifestazione contro le attività del Gruppo Benetton. È stata assolta dalla Corte federale di giustizia di Comodoro Rivadavia, nel 2019.
Ua scritto un libro, El tren del olvido.
Moira Millán si auto definisce una weichafe che letteralmente si traduce come guerriera, ma nella sua lingua ha il significato di donna che difende il proprio popolo e proprio territorio.
Con questo spirito, a 18 anni, ha assunto la sua missione in difesa della sua terra, concetto ampio e olistico che rimanda a un ecosistema tangibile e uno percettibile.
Denuncia da anni il meccanismo di violenza contro l’identità della sua popolazione, processo che obbliga alla clandestinità per esercitare la propria spiritualità, parlare la propria lingua, curarsi in modo naturale, partorire secondo le pratiche ancestrali, per vivere.
La negazione non implica solo escluderci dalla narrativa storica, la negazione significa non riconoscere che siamo qui, togliendoci il diritto all’esistenza: è una vera e propria prassi genocida e un epistemidicio.
Una guerriera forte e determinata che ha ben chiaro cosa vuole e per cosa lotta e non si piega nemmeno davanti alle tante minacce contro la sua vita e quella delle sue figlie.
0 notes
federicoclemente · 5 years
Link
El Gobierno de Mauricio Macri cedió el Complejo Turístico Chapadmalal, frente al mar bonaerense, a la fuerza de seguridad. Había sido creado en 1947 para que vacacionaran niños de bajos recursos y jubilados.
0 notes
imagenprimero · 8 years
Photo
Tumblr media
Imagen Primero | Gendarmería Nacional en conferencia: 'Consta que esta organización traficó unas 15 toneladas de droga' >> https://goo.gl/xTuOQu
Esta mañana Gendarmería Nacional ofreció una conferencia de prensa a cargo del Comandante Raúl Contreras, en la que se explicaron los detalles del resultado positivo que arrojaron los 49 allanamientos realizados ayer en la localidad de Itatí, los que derivaron en la detención de 25 personas, entre las cuales están el intendente y el vice, además de que se secuestrarán 44 vehículos,19 motos, dos cuatriciclos, dos camiones, tres lanchas, armas de fuego de diferentes calibres, dinero en efectivo, estupefacientes y una importante cantidad de documentación.
0 notes