#gatti alla finestra
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💃 by Cecilia Araldi Via Flickr: nikon fm2 . nikkor 50mm 1:1.8 . kodak colorplus 200 sviluppata con tetenal
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I gatti seduti alla finestra
hanno la missione di ricordarci
che saranno sempre più saggi di noi.
Fabrizio Caramagna
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Mi vede in terrazza, occhi negli occhi per un breve istante, poi salta di qua ed entra da me.
Non ci vediamo da cinque giorni.
Inizia il rito silenzioso dell’accoglienza: resto accucciata, mi sfiora il polpaccio poi s’infila fra la gamba e il braccio per cercare carezze; ripete il giro due tre volte poi si lascia accarezzare completamente.
Testina, schiena, dietro alle orecchie, petto, poi ancora testina, mento in alto, occhi chiusi, nasino rosa vicino al mio e poi occhi aperti: vicinissime, piccole persone s’incontrano.
Finiti i grattini fa il giro delle sedie, tutte le gambe posteriori sono oggetto di struscio, poi il frigo e i mobili.
Resto ad osservarla come per entrare nel suo essere totale d’intenzionalità chiara e potente poi mi siedo sulla poltrona.
Finito lo struscio inizia la pulizia, prima in zona cibo poi davanti a me respirando l’aria fresca che entra dalla porta finestra.
Sto in silenzio: è una pulizia-danza, una ginnastica aerobica con leccata. Eleganza anche mentre si fa il bidet. Brevi istanti di pausa e poi via un nuovo avvitamento elegante e leggero.
Leggo.
All’improvviso è alle mie spalle: gioca con il tiragraffi, selvaggia, agguerrita, occhi sbarrati a tratti sfidanti, s’interrompe, mi guarda.
Le faccio sempre i complimenti, sembra chiedere approvazione.
A pancia in su, mostra la parte più delicata di sè, un manto bianco morbidissimo: mi tornano alla mente alcuni tratti di “Gatti molto speciali” “Il trucco più grazioso, del quale faceva sfoggio soprattutto per avere compagnia, consisteva nello sdraiarsi di schiena sotto un divano, e poi spingersi fuori da sola facendo leva sulle zampe, con scatti rapidi e bruschi, fermandosi per volgere l’elegante testina da un lato e dall���altro, gli occhi gialli semichiusi, in attesa dell’applauso”.
Fine dei giochi, oggi si è rotto l’elastico che tiene legata la pallina al tiragraffi, Micia è rimasta per un istante interdetta poi si è accontentata di mordere e sfilare l’elastico tenendosi con le zampe aggrappata al cilindro; qualche altro morso alla piuma e poi via, si porta di nuovo davanti alla finestra.
Respira l’aria fresca, osserva fuori possibili prede allungando il collo a destra e sinistra, resta immobile qualche istante poi si gira, mi guarda con quell’aria mista di dolcezza e voluttà.
È finita, intende dire, per ora è finita, gradirei uscire mia cara; se tu mi usassi la cortesia di alzare la zanzariera potrei tornare nel mondo dei vivi, grazie, non temere, quando ne avrò voglia tonerò a mostrarti cosa sono bellezza e libertà. Tornerò.
Alzo la zanzariera, passa sotto come fosse di gomma ma resta fuori ad osservarmi. Ad un certo punto miagola, è cosa strana perché solitamente lo fa solo quando vede il cibo.
Esco, in effetti fuori l’aria e molto più fresca e respirabile; ancora un po’ di grattini e di fusa, poi comincia a sbirciare fra le aste di finto legno della terrazza. Prede. Uccelli. Caccia. Istinto.
Salta sulla ringhiera. Non esisto più. Posizione aerodinamica, tutti i sensi accesi. Salta. È via.
Buona giornata.
A più tardi.
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Ultimamente il mio cervello è come il mare.
I miei pensieri come flutti arrivano a onde per infrangersi sugli scogli.
Tra un'onda e l'altra ci sono delle pause, dove i pensieri prendono forma.
Vorrei scrivere, esprimere qualcosa, ma sono molto stanco cerebralmente in questi ultimi tempi.
Mentre ricurvo sul computer cerco di sistemare quella che dovrebbe diventare una bozza di un contratto commerciale, un bagliore di luce attraversa la stanza, il tempo di alzare lo sguardo verso la finestra e sento chiaramente un tuono.
"Arriva un temporale" penso tra me e me.
Lo sguardo si sposta di pochi centimetri, guardo il trespolo per gatti che da qualche settimana vorrei portare in garage.
Del resto era stato acquistato per Alvin e da quando lui non c'è più è rimasto vuoto. Non vederlo più li dentro mi deprime sempre.
Il trespolo è troppo impegnativo per la gatta Milly, dall'alto dei sui quattordici anni e con le zampette claudicanti preferisce accucciarsi negli appositi lettini a terra.
La stanza è buia, ho una lampada da tavolo che illumina giusto la tastiera davanti al monitor, un secondo lampo che precede un tuono mi illumina meglio il trespolo. Rimango senza fiato.
Un miraggio? Mi alzo accendo la luce in sala e mi avvicino.
Quando Alvin arrivò a casa nostra aveva due mesi, oggi Leo compie due mesi e da solo per la prima volta è salito nel trespolo, trovando un luogo morbido dove poter dormire.
Dicono che l'unico modo per andare avanti sia di non guardare indietro.
Eppure può capitare che il tornare indietro ti faccia ripartire da dove eri rimasto, per poter dare un finale diverso da quello che fu.
Non posso non scattare una foto e affiancarla a una del passato, quattro anni di differenza tra i due scatti, eppure è come essere tornati indietro. Anche se in realtà il tempo non si è fermato e inesorabilmente è andato avanti, come da natura del resto.
Il giorno in cui Alvin uscì dalla mia vita mi dissi che mai più avrei rivoluto un gatto, rosso per giunta. Avrei rischiato di paragonarlo sempre ad Alvin, ingiustamente, arrivando magari a non apprezzarlo perché "non come lui".
Invece la vita a volte sa come stupirti. Il piccolo Leo sta ripercorrendo nei modi e negli atteggiamenti la vita del micio rosso suo predecessore, senza nessuna forzatura.
Questo fatto mi ha letteralmente destabilizzato, a tal punto che spesso chiamo Leo "Alvin". Bloccandomi inebetito quando ciò accade.
È come se, prepotentemente, Alvin sia voluto tornare perché il suo "lavoro" con me non era finito. Aveva ancora molte cose da fare. "Maledetta emorragia interna, non l'avrai vinta, io ci torno da lui".
Mi piace pensare che lo abbia detto lui, in gattese ovviamente.
Tutti vogliono andare avanti, io invece sto magnificamente vivendo un pezzetto di vita a ritroso. Avrà tempo Leo per riempire quella tana con la sua presenza fisica, per ora anche se più piccolo sta riempiendo tantissimo il mio cuore.
Se si è felici si può guardare al passato, poiché lo faremmo con sguardo benevolo e magari di rivincita. Diversamente il nostro sarebbe uno sguardo di rimpianto. E i rimpianti pesano molto.
Guardo fuori dalla finestra la pioggia, che da giorni è quasi incessante. Eppure è anche grazie alla pioggia che in giardino sono sbocciati fiori meravigliosi, come le lacrime posso far sbocciare nuovi momenti di vita meravigliosi. Per ricominciare da dove si credeva tutto fosse finito.
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"Ieri sera sono andato a sentire Bifo (gli ho anche stretto la mano, cosa che ancora stamattina, a ripensarci, mi riempie di soddisfazione).
Adesso però mi sto ridicendo in testa tutte le cose che mi sono venute in mente ascoltandolo (come sempre mi succede, perché sono un polemico di merda e sviluppo pensieri solo in maniera parassitaria, quando qualcuno dice qualcosa a me viene in mente qualcosa di opposto o di diverso o di derivativo). Una la scrivo, perché c’entra col mio lavoro di insegnante e con le cose che vedo tutti i giorni.
L’incontro era pieno di vecchi (vecchi forse è troppo sprezzante come parola, diciamo anziani, o vegliardi, o senescenti, anche perché era un ottimo uditorio, composto da persone di buone letture, dal pensiero attivo) nonostante quella di Bifo fosse fondamentalmente un’invettiva contro il pensiero senile, il potere senile, la mentalità del novecento (paradosso denunciato da lui medesimo durante l’incontro: un uomo di 75anni che inveisce contro altri uomini di 75 anni, un europeista che inveisce contro l’europa, un militane che invita alla diserzione, un sostenitore di una lista politica che si augura che la sua lista politica non entri in parlamento ecc, il pensiero paradossale è una delle cose tante cose belle del pensiero di Bifo e ieri è stata una goduria).
Comunque torniamo al fatto che Bifo si rivolgeva alla gioventù, e in effetti l’incontro era stato organizzato da giovani di venti-trent’anni, e alcuni erano in sala ad ascoltare (credo più che altro l’entourage dell’organizzazione, diciamo che su 100 persone ce ne saranno state una trentina sotto i 40, e siccome quelli di questa età non facevano altro che muoversi per la stanza con telecamere, macchine fotografiche, telefoni, treppiedi ecc, ne ho dedotto che molti avessero a che fare con l’organizzazione) e ad annuire o sorridere sornioni a ogni imbeccata dell’oratore.
Gli interventi post-orazione, invece, come c’era da aspettarsi, sono stati monopolizzati da 60-70enni che replicavano al nichilismo di Bifo obiettando con le solite argomentazioni degli attivisti, di chi ha fatto la contestazione, ha vissuto gli anni 70, la speranza, la rivoluzione/il riformismo ecc ecc (nobilissime idee, dico “solite” tanto per spicciarci).
A un certo punto si alza finalmente un ragazzo e sembra la pubblicità delle Vigorsol quando finalmente arriva il fresco e l’aria si muove e suona la sveglia oppure si apre una finestra e una balena si schianta sulla scrivania, e insomma il ragazzo riconduce tutti al centro della riflessione di Bifo, o se non altro alla parte della sua riflessione che era stata negletta dall’uditorio e dagli interventi spontanei: “Siamo di fronte a una generazione [quella dei ventenni] che ha imparato più parole da una macchina che dalla propria madre”. Da questo postulato, a cascata, una serie di corollari: sono “socialmente anaffettivi”, “incapaci di solidarietà” (un po’ come i gatti: imparano a fare le fusa solo se non li togli troppo presto dalla cucciolata), “sono depressi di una depressione non patologica, ma anzi sana, essendo questa il sintomo della consapevolezza: se non fossero depressi sarebbero deficienti”.
Ora, vabbe’, il ragazzo che è intervenuto parlava con vigore e con chiarezza (per me è stato illuminante e allo stesso tempo avvilente accorgermi che anche per parlare serve il vigore della gioventù, anche per dire con la voce le cose in modo semplice ed efficace ci vuole l’energia di un corpo giovane, e che la mente tiene dietro al corpo e viceversa) e anche a me è venuto da applaudirlo fortissimo: finalmente uno che ci riporta al nocciolo della questione.
Bifo, visibilmente soddisfatto dell’intervento, che rimproverava la scarsa presenza dei giovani in sala e motivava il fatto che questi non prendessero parola proprio per conformità con quanto esposto dall’oratore stesso (i ragazzi hanno compreso che disertare è l’unica via, e si astengono, rinunciano consapevolmente, anche a esprimersi, specie in un consesso senile con il quale non condividono più nessun orizzonte), ha rafforzato questo pensiero e si è congedato.
Io invece mi rigiravo in testa il pensiero che per quanto energicamente espresse e teoreticamente ben motivate, avevo ascoltato idee che adesso mi lasciavano un sacco di perplessità che adesso mi dovevo risolvere da solo (lo so che lo scopo di ogni buona orazione è questo, però OGNI TANTO potreste anche prevedere che esistiamo NOI PIGRI).
Voglio leggere il libro di Bifo, perché di sicuro mi chiarirà questi dubbi, il primo dei quali riguarda proprio la proposizione -assioma: “Una generazione che ha imparato più parole da una macchina che dalla propria madre”.
Quando l’avevo sentita dire a Bifo, mi aveva confuso: ero convinto che parlasse della MIA generazione.
Io ho 50 anni, ho imparato più parole da una macchina (la tv) che da mia madre.
Se la mia generazione avesse imparato più parole dalla famiglia che dalla tv probabilmente avrebbe parlato prevalentemente il dialetto siciliano.
Sono anche abbastanza certo che eravamo esposti alla tv (e nella primissima infanzia alle favole ascoltate dai mangianastri, e intorno agli otto anni ai videogiochi, e alle vhs, e poi ai dvd, ecc) per tempi molto simili, se non più lunghi, di quelli cui i ventenni di oggi sono stati esposti al cellulare. Allora come oggi, le famiglie progressiste più avvertite si affannavano a disciplinare il consumo di televisione e videoregistratore e consolle di videogiochi (e poi computer) esattamente come è accaduto alle famiglie degli attuali ventenni con l’uso dei telefoni, dei tablet ecc.
Allora come oggi, il segno distintivo del progressismo di sinistra erano affermazioni come: mio figlio non ha la tv, o guarda la tv al massimo per un’ora al giorno e sotto la mia supervisione, stessa frase che ho sentito e sento dire ai genitori dei miei studenti riguardo ai cellulari, i tablet ecc.
Quindi sì, non dubito affatto che questa generazione di venti-trentenni abbia imparato più parole da una macchina che dalla madre, però dubito seriamente che sia la prima a cui sia accaduto, e dubito anche che sia quella a cui è accaduto in misura maggiore (molti della mia generazione e delle generazioni limitrofe alla mia sono stati letteralmente ALLEVATI dalla televisione).
Certo, può darsi che io stia cogliendo solo la lettera di quanto hanno sostenuto Bifo e il 20enne che ha parlato ieri sera, però appunto, se in questa affermazione c’è uno spirito che va oltre la lettera, lo scoprirò grazie al libro. Questa idea di novità assoluta (la prima generazione che ha imparato più parole da una macchina che dalla madre) ieri ha fatto ha fatto raggiungere al il ragazzo che ha fatto l’intervento una punta di lirismo. Non so se la ricordo bene, ma era una cosa tipo: io non posso nemmeno più guardare il sole come lo guardava mio padre. Qualcosa di simile, insomma, che credo sottintendesse cose come: il mio sguardo è inficiato dalla macchina anche quando mi trovo di fronte a un panorama naturale commovente, struggente, ecc, lo vedo e penso a fotografarlo o a riguardarlo in video ecc.
Ok, verissimo, ma pure questo, boh: è una novità? La mia generazione ha commentato miliardi di panorami e fenomeni naturali con la frase: sembra un film, o sembra Tomb Rider, o sembra finto, intendendole come dei grandissimi complimenti o comunque prendendole per quello che esattamente erano: la prima analogia che ci veniva in mente.
Nemmeno io ho potuto guardare il sole come lo guardava mio padre, e mio padre non l’ha guardato come lo guardava mio nonno.
Aggiungo anche che pure io sono stato depresso, e pure mio padre e pure mio nonno probabilmente lo sono stati, e che nella depressione mondiale e simultanea dei ventenni di oggi forse una novità c’è davvero: la facilità di diagnosi e di ricorso a cure o sostegno mai sperimentata prima nella storia dell’umanità.
Dopo Mark Fisher, l’ipotesi di essere depressi a causa del realismo capitalista si è diffusa tantissimo, però forse è plausibile solo in parte: come in ogni epoca, il capitalismo è di sicuro una delle concause della depressione, la macroeconomia c’entra sempre (e quindi un po’ non c’entra neanche nulla, almeno per chi poi deve curare il disagio, visto che bisogna curare l’individuo, ed è difficilotto guarire il pianeta dal capitalismo spinto).
Quindi non so, vedo ragazzi ogni giorno, e a me non sembrano depressi e nemmeno disperati (vorrei tanto che lo fossero, nel bel senso che ha dato ieri alla parola Bifo) e non mi pare nemmeno che i loro problemi possano derivare dall’avere imparato più parole da una macchina che dalla madre (in un certo numero di casi, I me contro te parlano meglio delle madri, conosco famiglie intere che per esprimersi usano un unico fonema: OHU!, il cui senso e significato dipendono unicamente da intonazione e volume ).
Forse invece vedremo presto una cosa davvero nuova (o almeno “più nuova”) in classe. Provo a dire quale.
Io e i ragazzi che finora ho avuto in classe abbiamo imparato parole da una macchina vecchio tipo. Io e loro abbiamo imparato parole da una macchina dentro la quale c’erano degli esseri umani che parlavano.
I prossimi impareranno parole da una macchina dentro la quale ci sarà UN’ALTRA MACCHINA CHE PARLA.
Se vogliamo guardare ancora più avanti, dentro questa macchina con dentro una macchina che parla, per un certo periodo di tempo ci sarà una macchina che parla attingendo parole dal repertorio umano, ma poi, a un certo punto, ci sarà una macchina che attingerà parole dal repertorio delle macchine.
Personalmente, credo che nemmeno a questo punto potremo dichiarare finita l’umanità, e che nemmeno a questo punto un ventenne potrà lagnarsi del fatto che ha diritto a essere depresso, anzi fa bene, perché se non lo fosse significherebbe che è deficiente. Anche se perfino sulla lagna sospendo il giudizio.
Il ragazzo di ieri sera si è lagnato bene, e per me se ti lagni bene, se ti lagni come Leopardi o come Nietzsche ti puoi lagnare quanto ti pare, anzi: lagnati per favore, che mi fai godere molto con le tue lagne. Se invece ti lagni come Giorgia Soleri, ecco, secondo me è più piacevole per tutti se non ti lagni."
Mario Filloley
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Gli stop alle macchine adottano il medesimo meccanismo del green pass. Vengono dalla UE. Riguardano una minoranza. La minoranza è toccata nel vivo quindi reagisce. Però è minoranza. La maggioranza non toccata dai divieti è così divisa: - Favorevoli (inquinano, cazzo vogliono?). Sono la maggior parte, tutto il PD, tutti i conformisti, tutti i farisei che non mancano mai. - Indifferenti (cazzomene, io c'ho il Porsche benzina, cazzomene, io manco ho la patente ecc. ecc.) Sono appena inferiori come numero alla prima categoria: qui troviamo i molto ricchi, i molto poveri, i molto indaffarati... - Contrari (eh però queste limitazioni non sono giuste, i crediti cinesi, la finestra di Overton) Quattro gatti: intellettuali controcorrente, ribelli, gente che ha capito il gioco, ecc. ecc... Rimane quindi la minoranza dei toccati dal provvedimento più quattro gatti idealisti fra cui io (ho una (...) euro 6, potrei tranquillamente essere nella categoria dei cazzomene). Scene già viste. Risultato? Il solito: il piddino mette i limiti prima di tutti (Beppe Sala, area B, 2018) e nessuno fiata, anzi lo rieleggono di corsa. Il centrodestra si divide in entusiasti (la maggioranza dei miei cittadini lo vuole!!!) e prudenti. I prudenti traccheggiano finché non arrivano le sentenze, allora cedono. Cedendo perdono voti perché la minoranza impattata dai divieti di sente tradita. Alle elezioni dopo vince il PD e mette le limitazioni triple. Quindi suggerimento mio alle amministrazioni locali prudenti: la prudenza non vi salverà, o vi omologate e sperate che il vostro elettorato vi consideri un piddino ma un po' meglio del piddino doc salvandovi (succede raramente ma succede) o prendete eroicamente posizione contro tutte le limitazioni e provate a vedere se sposare una battaglia giusta se pur minoritaria vi porterà bene, pur sapendo che le conseguenze, anche giudiziarie, non tarderanno ad arrivare. Tutto qui.
sintesi perfetta di Claudio Borghi: il problema è SISTEMICO, sta nell'esser provinciali dentro (non per caso il Piemont è il primo, dopo Milan ovviamente), via https://twitter.com/borghi_claudio/status/1694131481940013153
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Due
«Fermo lì!» abbaia Hutch. Assottiglia le palpebre. «Ohi! Tu non sei mica un animale» si sorprende, fissando la figura in ombra che, per quanto scura, ha comunque la forma di un essere umano, uno di piccola taglia. «Allora? Chi diavolo sei, eh?» sbotta, piuttosto irritato all’idea di non poterselo mangiare com’era originariamente nei suoi progetti iniziali.
Purtroppo per lui e per le sue futili speranze, la sua preda non apre bocca, si limita a fissarlo di rimando. Li vede, i suoi occhietti che brillano nel buio come quelli dei gatti. Solo che quello lì non è un gatto, è una persona. Un qualcuno che gli ha scroccato le provviste delle ultime due settimane, mannaggia a lui!
«Si può sapere perché sei sempre in casa mia? La dispensa non è la tua, sai. Non puoi mangiarti le provviste anche degli altri, ogni tanto?» lamenta.
Di nuovo non ottiene uno straccio di risposta. Il ladro di cibo si limita a tenerlo sotto tiro con lo sguardo, senza muovere un muscolo. Hutch, stufo di quel tira e molla, fa un passo avanti, e allora sì che il ladro si muove, balzando indietro e facendo venire un soprassalto di sorpresa al padrone di casa.
«Ah, ma allora sei vivo, eh? Perché non dici niente? Troppa fifa?» lo punzecchia, sperando di prenderlo in fallo.
Così non è, per sua somma disperazione, allora prova un altro passo avanti. Magari lo può spaventare quel tanto da convincerlo a non tornare più nella sua cucina. Invece l’ombra dagli occhi brillanti fa un improvviso scatto laterale verso la finestra e, prima di scavalcarla e filar via come una saetta, una scheggia di luce acuminata raggiunge Hutch, il quale grida di dolore afferrandosi il braccio destro e lanciando una sequela di barbari improperi al dannato ladro.
A tentoni, una volta certo che l’ombra di forma umana se la sia svignata, Hutch recupera la lampada dalla credenza e fa un poco di luce, quel tanto sufficiente a dare un’occhiata al danno. Quella specie di demonio gli ha piantato un coltello nel braccio! Ma che diavolo! Non ci sono più i ladri normali che ti sparano addosso e fuggono con la refurtiva? Oh, giusto: sì che ci sono, c’è il maledetto gran capo Sant’Antonio, che si fa un punto d’onore nel non lasciare vivo nemmeno un topolino.
Hutch si fissa il braccio, desolato, già immaginando il male cane che farà levarsi quella cavolo di lama dalla sua povera carne martoriata. E pensare che se lo voleva mangiare, il ladro da strapazzo. Invece per poco non è stato il ladro a farlo a fettine. Sbuffa, abbastanza contrariato, e lancia un’occhiata alla credenza. Socchiusa! Il maledetto gli ha pure fregato il cibo! Non c’è più rispetto per le provviste altrui. Dove finirà il mondo di questo passo?
Torna in camera da letto e recupera della stoffa pulita dal cassetto. Fruga nello stipetto accanto al letto e mette sottobraccio una bottiglia di tequila ancora mezza piena. Torna nella sala principale, si siede al tavolo, vi posa sopra quel che ha recuperato in camera e di nuovo fissa mesto il suo braccio disgraziato. Sospira, e infine si rassegna all’inevitabile: sfila via la lama con uno strattone deciso, urla per la fitta di pungente dolore che gli attraversa il braccio fino alla spalla e lancia una nuova e molto sentita sequela di maledizioni al ladro. Poi, un po’ piagnucolando e un po’ borbottando, versa sopra il taglio abbondante distillato, caccia un altro grido straziante e ingolla un sorso di tequila per dimenticare, almeno in minima parte, quella notte sciagurata.
«Maledetto. Stramaledetto» brontola all’indirizzo di quel… di quel… maledetto! Accidenti.
Oh, ma lo troverà un modo per fargli scontare quell’affronto. Altroché. Che si sappia che Hutch Bessy non si lascia derubare dei suoi averi senza conseguenze! Per la miseria, non voleva nemmeno ammazzarlo, alla fin fine. Voleva solo scoprire chi diamine si prendeva il disturbo di infilarsi tutto il tempo in casa sua per fregarsi le provviste. Sospira di nuovo, per l’ennesima volta. Rimugina su quanto accaduto, su quel che può aver visto. Poco o nulla in verità: giusto il brillio dei suoi occhi e un’ombra minuta. Piega la testa, pensando. Forse si tratta di una ragazza? Forse il figlio di qualche peone in disgrazia? O magari un piccolo Tarahumara a corto di prede migliori? Vai a saperlo. Ha il presentimento che dovrà scoprirlo a sue spese, e l’idea non lo rallegra affatto.
╬╬
«Hutch, il capo ti cerca» lo avvisa Iaco dalla finestra.
E ti pareva. Sempre nei momenti meno indicati lo cerca quello lì.
«Sì, sì, arrivo» taglia corto con uno sventolio irritato della mano (sinistra, perché quella destra è attaccata al braccio fasciato e non ha voglia di maltrattarla più del dovuto).
«Ehi, che hai fatto al braccio?» si informa Iaco.
«Sono anche cavoli miei, sai. Perché non pensi ai tuoi denti, piuttosto» ringhia seccato.
«Ma i miei denti stanno bene» protesta interdetto.
«Non per molto, se continui a seccarmi» minaccia fosco.
Il collega coglie al volo l’invito e decide che non è il caso di irritarlo oltre. Il resto del tragitto verso il nascondiglio del gran capo lo trascorrono in silenzio.
«Bene, bene. Guarda un po’ chi ci degna della sua preziosissima presenza. Benvenuto, mio caro amico» lo accoglie Sant’Antonio.
Hutch storce il naso e trattiene a stento un sospiro irritato. «Sono venuto proprio perché mi hai cercato» fa presente in un tono più neutro possibile, onde evitare spiacevolezze.
Non che si possano davvero prevedere le conseguenze dello stare in presenza di Bill Sant’Antonio, in realtà. Però si può evitare di offrirgli troppa corda. Ed è esattamente quel che cerca di fare Hutch quando il gran capo necessità di avercelo intorno.
«Mi fa un immenso piacere che tu ti senta in dovere di accorrere al mio richiamo. Proprio come un bravo cagnolino devoto al padrone, non è vero?» puntualizza Bill.
«Proprio» conviene Hutch, senza minimamente dar retta alle sciocchezze che escono dalla sua bocca marcia.
«Meraviglioso! Ho un incarico per te» taglia corto.
“Sì, assolutamente meraviglioso” pensa Hutch con abbondante dose di sarcasmo, rimanendo comunque zitto ad ascoltare quel che ha da offrire Sant'Antonio.
«Mi devi portare una persona. Mi serve viva, capisci? Devo parlarci, con questa persona, quindi oltre a essere viva deve anche capire quel che gli domanderò. Intendi bene quel che ti sto dicendo?»
«Perfettamente. La persona in questione ti serve che respiri e pensi, ma che non se la squagli alla prima buona occasione» suppone Hutch.
«Assolutamente corretto, mio buon segugio! Amo quando la gente segue i miei ragionamenti senza dover fare troppa fatica. Ora, mio carissimo, parliamo di questa persona di cui ho necessariamente bisogno.»
Hutch sta per fare spallucce, si trattiene all’ultimo secondo e si limita a fissare la bocca di Sant’Antonio. Gli occhi è meglio evitare di fissarli, se non strettamente necessario. La prima e unica volta che lo ha fatto ha avuto la netta impressione di finire in un gorgo nero senza uscita. No, grazie. Va bene la sua stupida bocca; c’è di peggio. Per esempio, c’è la sua dannata lingua biforcuta, quella che a breve gli toccherà di seguire per capire chi è il prossimo disgraziato che finirà sotto terra.
Tra l’altro pare si tratti di uno che non conosce per nulla. Ma il gran capo si è premurato di istruirlo adeguatamente per far sì che Hutch lo possa reperire senza doversi fermare strada facendo a chiedere informazioni, cosa che avrebbe con buona probabilità minato la sua ricerca sul nascere. Avvisare la vittima di un rapimento dell’arrivo del rapitore non è esattamente un’idea geniale, giusto?
Ed è così che Hutch si rassegna a perdere per lo meno una buona mezza giornata per giustificare le spese e l’alloggio gentilmente offerti e rimborsati da Bill Dannato Sant’Antonio.
#Hutch “Earp” Bessy#Cat “Doc” Stevens#Bill Sant'Antonio#Dio perdona... io no!#fanfiction#Primo Incontro#avventura#R_Roiben_R
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*in quella notte fonda, dall'ufficio costetici, il capo mi chiamò dicendomi di recarmi subito lì che c'era un problema... una chiamata con inganno, andai, avevo detto che la crema della gioventù era una falsa, in realtà ti rovinava la pelle e cosi decisi di dirlo. La pioggia cadeva a dirotto con fulmini, dentro dalle finestre della azienda rispecchiava una figura mi girai di scatto, ma fui gettata fuori dalla finestra dalla parte del retro dell'edificio... vidi solo lampi e la pioggia che cadeva fortemente su di me; con tuoni possenti nell'aria. Toccai il suolo... quasi all'alba vidi attorno a me dei gatti. Non capivo, ero in uno stato confusionario, tornai a casa versai da bere al gatto e iniziai a bere pure io il latte. Ero davanti allo specchio per pulirmi e curandomi le ferite strazianti dal dolore. Sentivo i vocali sul nastro di registrazione del telefono, mentre bevevo dalla bottiglia il latte. Quella notte era cambiato qualcosa in me ero diversa e sete di vendetta. Facevo fatica a stare in piedi e con l'ultimo sorso mi buttai sul letto, rovistando i ricordi. Ma nel silenzio le mie orecchie percepivono ogni piccolo rumore che l'uomo non sentiva. Mi alzai e buttai via tutto, mi ritrovai davanti alla macchina da cucire facendomi la mia veste da gatta. E fu così che a Gotham City ci fu una eroina in più*
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Destruens
sono in anticipo o sono in ritardo?
due canguri che guardano la tv
o fanno pugilato, squali in cantina
scimmie senzienti sul tetto
tutto gira per il verso giusto
dimidiare le posate sul tavolo
con Adamo che diventa Eva
spersuadiamo i negletti poliglotti
glorifichiamo l'imbrunire
accendiamo le luci di casa
ma facendo attenzione a non fare rumore
perché l'aria immota beve la polvere
il volto di un estraneo protruso dalla finestra
aperta sull'incombere di un oggetto non identificato
il sole è uno pneumatico di fuoco
neri mostri verticali le nubi
laggiù nello spazio l'ordine diaccio del vuoto
uno squilibrio interiore mi punge i precordi
mani e gambe che non stanno ferme
mentre io sebbene io
mangi torte e faccia capriole
nel recinto le puzzole puzzano
le galline nitriscono
le oche ancheggiano alla notte incipiente
specie esotiche razzolano e uggiolano
sotto il letto indisturbate
il lenzuolo di gomma
le piume al vento
dall'orizzonte della porta spalancata
sordi fischi di sirene
legato e imbavagliato il contatore della luce
emette un sordo ronzio di minaccia
ma non può più nuocere a chicchessia
la cachessia mi induce a prendere la vitamina c
e un tiro di cavalli si appropinqua extra muros
abbozzi umani e altri scarti di carne deambulano
lungo linee rette di pura sofferenza
intonando carmi e giaculatorie
piovono cani e gatti dalla doccia
e gli ombrelli sono esauriti
i soprabiti pieni di buchi
d'improvviso una botola s'apre
e inghiotte i porcospini sotto ipnosi
l'abisso degli elefanti ciechi
(che tutti fanno finta di non vedere)
io rrefluo veterotestamentario bolla di sapone
gioco a mosca cieca ma tutti sono bendati tranne
uno che ride a crepapelle e intona l'inno nazionale
ha una candela accesa infilata nell'ano e un cappellino
di carta tricolore
il mio coccodrillo al guinzaglio adora i libri di vespa
io pur sempre io dopotutto vado a dormire
contando le pecore che stanno appese sul soffitto e belano canzoni d'amore.
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La Luna, che è il capriccio stesso, guardò dalla finestra mentre tu dormivi nella tua culla e pensò: “Questa bambina mi piace”. E scese morbidamente la sua scala di nuvole, e passò senza rumore attraverso i vetri. Poi si stese su di te con la tenerezza flessuosa di una madre e depose i suoi colori sulla tua faccia. Le tue pupille ne rimasero verdi, e le tue guance straordinariamente pallide. Appunto contemplando quella visitatrice i tuoi occhi s’amplificarono in modo tanto bizzarro; ed ella ti serrò tanto affettuosamente alla gole, che te ne restò per sempre la voglia di piangere. Frattanto, nell’espansione della sua gioia, la Luna empiva tutta la camera come un’atmosfera fosforica, come un veleno luminoso; e tutta quella luce viva pensava e diceva: “Subirai eternamente l’influsso del mio bacio. Sarai bella a modo mio. Amerai ciò che amo io e ciò che mi ama: l’acqua, le nubi, il silenzio e la notte; il mare immenso e verde; l’acqua informe e multiforme; il luogo ove non sarai; l’amante che non conoscerai; i fiori mostruosi; i profumi che fanno delirare; i gatti che rabbrividiscono di voluttà sui pianoforti e che gemono come le donne con una voce roca e dolce”. “E sarai amata dai miei amanti,corteggiata dai miei cortigiani. Sarai la regina degli uomini dagli occhi verdi, ai quali pure serrai la gola nelle mie carezze notturne; di quelli che amano il mare, il mare immenso, tumultuoso e verde, l’acqua informe e mutliforme, il luogo ove non sono, la donna che non conoscono, i fiori sinistri che sembrano gl’incensieri di una religione ignota, i profumi che turbano la volontà, e gli animali selvatici e voluttuosi che sono emblemi della loro follia”. Ed è per questo, o maledetta ma cara bimba viziata, che io sono ora ai tuoi piedi, e cerco in tutta la tua persona il riflesso della formidabile Divinità, della fatidica madrina, della nutrice avvelenatrice di tutti i lunatici.
|| Charles Baudelaire
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Pensieri e Parole ... Cartoline di ieri.... Gatti alla finestra
Avete mai avuto tra le mani una cartolina di quelle di una volta? Hanno un sapore retrò che vi porta indietro nella memoria e nel tempo… Questa mi fa ricordare quando fuori la neve era così alta che sprofondavi ad ogni passo e per giocare si era talmente vestiti che se cadevi ribalzavi per terra… Ma se, per caso, eri ammalato… non ti rimaneva che stare alla finestra con il tuo gatto a…
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Non capisco se sia il cambio stagione o io che sono depressa, ma alzarmi la mattina è diventato un'impresa. Fino a sei mesi fa mi alzavo alle 5 e cazzeggiavo allegramente in quella finestra di tempo tutta mia (e dei gatti); ora sono le otto e ho bisogno di due caffè, la colazione e un'imposizione mentale che non sempre riesco a porre per lasciare sto letto. Mia madre mi ha comprato gli integratori, uno di quei fantastici "magnesio, potassio, papaya". Tutte le volte che lo bevo mi viene da ridere a pensare alla papaya, quale sarebbe il suo nome sulla tavola periodica? Py?
Sento di avere zero energie, che ogni cosa che faccio sia uno sforzo titanico e mi chiedo se ne valga la pena. Mi riempio le orecchie di Gazzelle e sto meglio. E anche oggi pomeriggio indosserò la mia maschera e farò il clown, e loro rideranno e mi cercheranno non sapendo che sono un impostore e una sfigata.
È solo la stagione.
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Ruth Orkin, una nuova scoperta
Fino al 16 luglio le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la grande mostra antologica su Ruth Orkin (Boston 1921 – New York 1985), fotoreporter, fotografa e regista statunitense, tra le più rilevanti del XX secolo. L’esposizione, curata da Anne Morin, organizzata da Chroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, vede 156 fotografie, la maggior parte originali, che ripercorrono la vita di una delle personalità più importanti della fotografia del XX secolo, in particolare tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso alcune opere come VE-Day, Jimmy racconta una storia, American Girl in Italy, uno dei suoi scatti più iconici, i ritratti di personalità quali Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Lauren Bacall, Vittorio De Sica, Woody Allen e altri. Affascinata dal cinema, Ruth Orkin sognava di diventare una regista, grazie anche all’influenza della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portò a frequentare le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento. Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, per una donna la strada per intraprendere questa carriera era disseminata di ostacoli, così Ruth dovette rinunciare al sogno di diventare cineasta e, quando le venne regalate la sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi, si avvicinò alla fotografia, ma senza mai trascurare il fascino del cinema. Attraverso un’analisi molto specifica dell’opera di Orkin, la rassegna permette di capire i meccanismi messi in atto per evocare il fantasma del cinema nel suo lavoro, come nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversò in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York. In quell’occasione, Ruth Orkin tenne un reportage che raccontava questo viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva la progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato. Il percorso propone inoltre lavori come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia, del 1947, in cui Ruth Orkin usa la macchina fotografica per fissare dei momenti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena, ma anche le immagini del film Little fugitive (1953), candidato al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica e vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, su un bambino di sette anni di nome Joey (Richie Andrusco) in fuga a Coney Island dopo essere stato indotto con l’inganno a credere di aver ucciso suo fratello maggiore Lennie, e che François Truffaut riteneva di fondamentale importanza per la nascita della Nouvelle vague. Nei primi anni Quaranta, Ruth Orkin si trasferì a New York, dove fu membro della Photo League, cooperativa di fotografi newyorkesi, ed ebbe prestigiose collaborazioni con importanti riviste, tanto da diventare una delle firme del momento. Con Dall’alto, lavoro di quegli anni, Orkin catturò perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo alcune persone del tutto ignare di essere oggetto del suo sguardo, come un gruppo di signore che danno da mangiare ai gatti di strada; un padre che, acquistata una fetta di anguria, la porge alla figlia davanti al chiosco del venditore ambulante; due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada; due bambine che giocano a farsi volteggiare l’un l’altra; un gruppo di marinai che incedono speditamente e che divengono riconoscibili per i loro cappelli che si stagliano come dischi bianchi sul fondale grigio dell’asfalto. La mostra racconta anche il reportage per la rivista Life, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e del viaggio compiuto in Italia, visitando Venezia, Roma e Firenze, dove Ruth conobbe Nina Lee Craig, una studentessa americana, alla quale chiese di farle da modella per un servizio sull’esperienza di una donna che viaggia da sola in un paese straniero e che fu il soggetto di American Girl in Italy, una delle sue fotografie più iconiche. Read the full article
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Napoli
Come si fa a spiegare cosa significa quando una città ti chiama con tutte le sue contraddizioni.
Hai un nodo in gola che si scioglie e rifà di salita in salita,
di quartiere in quartiere.
Ci sono le foto dei morti nelle teche assieme ai santi.
Spazio di terrazze rubate al porfido e piastrelle azzurre. Ho la terrazza in strada ho la vita esposta.
Sembra il passato di una città di mare: la donna è sulla sedia di plastica bianca a fare un bagno di sole fra i palazzi.
Sorride, affianco a lei steso sulla finestra l’amico suo, il cane.
Palazzi abbandonati, moto abbandonate, immondizie, sporcizia, profumo di bucato, musica dalle finestre, se non piango mi scoppia il cuore.
Mi aggrappo alla letteratura ma la vita è un’altra cosa, gratta, scava, chiede di più, forse di capire.
E poi un gatto che non scappa e la sua cuccia in strada, sulla salita, mi guarda: non si muove.
Le chiese fra le case, i santi abbandonati sotto la polvere fra l’immondizia, i più fortunati sono ridipinti e spolverati, hanno i fiori finti a fargli compagnia.
Gatti in terrazza, nei vasi di fiori miagolano fra i panni stesi.
Profumo e tenerezza.
Il clacson, gli aerei e le donne che tornano dal mercato, gli scooter spuntano da ogni vicolo: scende un signore in folle con il barboncino in braccio.
Sale il paniere al terzo piano, è un settembre caldo, anno di lodi e di dolori, se hai una spina nel fianco massaggialo, vedrai che ne verrà fuori.
Case, botteghe, chiese palazzi poi capisci che significa l’arte dei pazzi.
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Ieri si è svolto per gli artisti rumeni in residenza l’ultimo incontro con la comunità di Mondaino prima dell’apertura pubblica di domenica 5 marzo alle 18. Selma e Alexandra, con il supporto di tutto il team di Catinca, hanno accolto in teatro i bambini e le bambine della scuola primaria di Mondaino che da anni partecipa al nostro progetto La scuola elementare del teatro e della danza.
Le tre classi, accompagnate dalle maestre, sono arrivate in teatro di prima mattina e subito sono state coinvolte dalle artiste in un laboratorio fisico per poi approcciarsi lentamente alla tematica che il gruppo creativo sta attraversando in questi giorni di residenza, che è Right to the future.
Dopo aver danzato trasformandosi in gatti, pesci, pecore e dinosauri, sono entrati in una macchina del tempo che li ha catapultati nel futuro.
Sbarcati nel 3050 si affacciano alla finestra e, guardando fuori, trovano: auto che volano, No more war, gatti e dogs che volano.
“Tutto vola nel futuro!”
Poi aprono la porta di casa, escono e vedono una grande intelligenza artificiale che fa i gelati, l’arcobaleno è sempre presente, le case volano e cambiano colore, ci sono nuovi sistemi energetici green che sfruttano le stelle e i pianeti...
All’improvviso arrivano delle nubi dense e nere che coprono le stelle e non arriva più energia; le case non volano più, progressivamente iniziano a finire le scorte di cibo e l’intelligenza artificiale non fa più gelati, il cibo scarseggerà e tutti gli adulti diventano avidi, nascondono il cibo, chiudono le porte e non condividono più nulla.
Un giorno da un razzo scende una donna, è alta con i denti verdi, metà robot e metà umana: sarà lei a riportare insieme ai bambini e alle bambine l’amicizia e la condivisione e la felicità. Davanti a una zuppa odorosa si farà festa prima di tornare a casa nel passato.
Le artiste costruiscono i pezzi di questa storia insieme ai bambini e alle bambine prendendo da loro dei suggerimenti per arricchire e sviluppare il racconto.
Ora è tempo di tornare indietro, nel 2023, e prima di lasciare il futuro scrivono una cartolina per descrivere ai genitori e agli amici cosa hanno trovato nel futuro e come si immaginano nel mondo che verrà:
un mondo senza guerra pace creare una famiglia gentile avere una macchina diventare un calciatore famoso soldi e gentilezza avere molti amici essere affettuoso
Questi e altri pensieri accompagnati dai loro disegni saranno esposti nel foyer del teatro in occasione dell’incontro pubblico con la compagnia che avverrà domani pomeriggio.
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Yesterday was held for the Romanian artists-in-residence the last meeting with the community of Mondaino before the public opening on Sunday, March 5, at 6 p.m. Selma and Alexandra, with the support of the Catinca’s team, welcomed to the theater the kids of the elementary school of Mondaino, which has participated for years in our project The Elementary School of Theater and Dance.
The three classes, accompanied by their teachers, arrived at the theater early in the morning and were immediately involved by the artists in a physical workshop and then slowly approached the theme that the creative group is going through in these days of residency, which is Right to the future.
After dancing around transforming into cats, fish, sheep and dinosaurs, they entered a time machine that catapulted them into the future.
They landed in 3050 and looked out the window and found: flying cars, No more war, flying cats and dogs.
"Everything flies into the future!"
Then they open their front door, step outside and see a large artificial intelligence making ice cream, rainbows are ever-present, houses fly and change colors, there are new green energy systems harnessing stars and planets...
Suddenly dense black clouds come and cover the stars and no more energy comes; houses no longer fly, gradually food supplies start to run out and artificial intelligence no longer makes ice cream, food will become scarce and all the adults become greedy, hide food, close doors and no longer share anything.
One day a woman comes down from a rocket, she is tall with green teeth, half robot and half human: she will be the one to bring back friendship and sharing and happiness together with the boys and girls. In front of a fragrant soup they will have a party before returning home to the past.
The artists build the pieces of this story together with the boys and girls, taking suggestions from them to enrich and develop the tale.
Now it is time to go back to 2023, and before they leave the future they write a postcard to describe to their parents and friends what they found in the future and how they imagine themselves in the world to come:
a world without war peace creating a kind family having a car becoming a famous soccer player money and kindness have many friends be affectionate
These and other thoughts accompanied by their drawings will be displayed in the theater foyer at the public meeting with the company tomorrow afternoon.
#residenze 2023#catinca draganescu#stronger peripheries#la scuola elementare del teatro e della danza#scuole elementari#performing arts#right to the future
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