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vertenzeambientali · 7 years
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EcoDem per la Conferenza programmatica
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Di seguito il documento degli Ecologisti Democratici in preparazione della “Italia 2020 - Conferenza programmatica del Partito Democratico” che si terrà a Napoli, al Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, da venerdì 27 a domenica 29 ottobre 2017.
UN PD ECOLOGISTA
Il Partito democratico in Italia ha rappresentato una reale processo d’innovazione, perché è nato non solo per unire partiti e culture politiche del ‘900 – socialiste, cattolico-progressiste, ambientaliste, liberaldemocratiche -  ma anche per costruire un soggetto politico nuovo, in grado di rispondere alle sfide della contemporaneità e guardare al futuro, nell’interesse delle future generazioni. Il PD è nato per dare voce al riformismo del 21° secolo: ma non c’è riformismo possibile, in questo nostro tempo, se non si accettano le sfide ambientali, della sostenibilità dello sviluppo, della conversione ecologica dell’economia. Noi ambientalisti, entrati nel PD come soggetto fondatore, abbiamo messo a disposizione idee, valori e conoscenze, aggiornandole ai tempi attraverso un nuovo modello di ambientalismo riformista, aperto, moderno, basato su innovazione e competenza.
Nonostante il PD non abbia ancora risposto in pieno alle aspettative iniziali, riteniamo che le ragioni che hanno portato alla sua nascita siano ancora vere e attualissime, e persino ancor più necessarie oggi. Proprio oggi che le vecchie culture politiche hanno dimostrato tutti i loro limiti, la loro inadeguatezza a rispondere in modo coerente e integrato alle sfide – del lavoro, sociali, ambientali - di un mondo sempre più complesso. Riteniamo inoltre che all’interno dell’area progressista democratica l’ambiente possa costituire un elemento di coesione, per poter sempre di più aggregare le diverse forze che vi appartengono verso un obiettivo comune.
Occuparsi di ambiente significa ragionare non solo di ecologia ma anche di economia, lavoro, cultura civica, innovazione tecnologica; significa intervenire sulla questione sociale, causa di molti conflitti globali. I cambiamenti climatici costituiscono una minaccia temibile, il consumo di risorse naturali cresce a ritmi insostenibili, l’inquinamento compromette gli equilibri della biosfera. Eppure, se sapremo costruire una risposta politica globale alle sfide ambientali – un green new deal che affianchi alla rivoluzione industriale della green economy un profondo mutamento culturale con nuovi stili di vita - sarà possibile evitare il peggio e lasciare alle future generazioni un pianeta ancora abitabile.
Termini come “riscaldamento globale” sono ormai entrati nel linguaggio comune, perché i suoi effetti sono già rilevanti sull’ambiente, sull’economia e sulla qualità della vita dei cittadini di tutto il mondo. Anche i grandi fenomeni migratori sono legati ai cambiamenti climatici e con questi dovremo fare i conti. I governi sono ormai consapevoli della gravità del problema, a parte i recenti ripensamenti del presidente USA, e la firma dell’Accordo di Parigi riveste un grande valore, perché impegna le nazioni a ridurre le emissioni di gas serra e a prendere misure di adattamento al nuovo scenario climatico. L’Europa è impegnata anche attraverso la sua “politica in materia di clima ed energia al 2030”, oggetto di aggiornamento, per venire incontro ai più ambiziosi obiettivi dell’Accordo di Parigi. Si tratta dunque di una sfida mondiale, che l’Italia e un grande partito come il PD devono affrontare con maggiore determinazione e coraggio, con una visione innovativa e strategica che vada al di là degli interessi a breve termine, guardando al futuro del nostro Paese.  Se sapremo far leva sulle energie di un paese che ha non solo una antica storia alle spalle ma anche grandi potenzialità per affrontare il futuro, l’Italia può farcela. L’ambiente e l’economia verde rappresentano una leva decisiva per uscire dalla crisi, una nuova frontiera per dare al nostro paese un ruolo in Europa e nel mondo. Ciò richiede forti, coerenti e adeguate politiche pubbliche, a partire da politiche economiche, industriali e fiscali in grado di accelerare la transizione ad uno sviluppo ecologicamente sostenibile.
LE NOSTRE PRIORITA’ E LE NOSTRE SFIDE
1.     L’Italia deve mettere a punto un rigoroso Piano Energetico nazionale, ove si rafforzi ulteriormente il ruolo delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica dell’intero sistema economico, dei processi produttivi e dei consumi, e procedere verso una riduzione dell’uso delle fonti fossili. Ciò può essere ottenuto da un lato attraverso la definizione di un quadro normativo stabile, semplice e certo, eliminando le complicazioni che limitano lo sviluppo delle rinnovabili, stabilizzando gli eco-bonus introdotti nell’ultima legge di bilancio, e favorendo gli investimenti in questo settore, strategico per l’Italia. Occorre istituire una carbon tax, già attiva in diversi paesi, da concertare a livello europeo; la diminuzione dei consumi di fonti fossili avrebbe anche vantaggi economici, in quanto quelle fonti pesano molto come import estero nella nostra bilancia commerciale.
2.     A questa sfida di natura globale, si associano questioni ambientali più specifiche del nostro territorio, quali l’inquinamento dell’aria, delle risorse idriche e il dissesto idro-geologico. L’Italia è bella ma è fragile, sia per la natura del suo territorio, sia a causa dell’uso dissennato che ne abbiamo fatto. L’abusivismo è oggi uno dei fenomeni più urgenti da contrastare. Anche per questo è opportuno proseguire nella politica di valorizzazione delle aree interne e montane come già si è iniziato a fare. Occorre pertanto investire per una accurata gestione del territorio e la messa in sicurezza delle aree a rischio sismico e idrogeologico e migliorare la conoscenza del territorio, delle criticità e dei bisogni anche attraverso il supporto di sistemi informativi geografici.  
3.     Lo sviluppo che ha caratterizzato il dopoguerra che ha dato tanto benessere mostra oggi un lato oscuro. Pensiamo alle ferite profonde dei siti contaminati che derivano sia da un’eredità industriale, sia da comportamenti illeciti delle imprese o per attività criminali. Quei siti vanno risanati, e messi in sicurezza. Oggi sempre di più dobbiamo far valere il principio di “chi inquina paga” e dunque bisogna investire per le bonifiche, per tutelare la salute pubblica e ripristinare la qualità ambientale. Sarebbe importante per i cosi detti “siti orfani” l’istituzione di un Fondo nazionale per le bonifiche, cofinanziato dalle imprese e sostenuto da una fiscalità mirata. E’ parimenti necessario una profonda riforma del sistema normativo al riguardo ancora scarsamente orientato al risanamento delle aree. Meno conferenze di servizio e più opere. Non va dimenticato che queste aree sono spesso strategiche per insediamenti produttivi
4.     Più di altri, L’Italia è il Paese che può puntare sull’economia “green” e sostenibile, che è già una realtà che produce il 13% del Pil – 190 miliardi di euro – oltre 3 milioni di posti di lavoro, grazie ai suoi punti di forza straordinari: biodiversità, patrimonio naturale e bellezza inestimabili, qualità della vita e cultura con pochi rivali, lo spirito creativo e la capacità di innovazione delle nostre imprese e del “saper fare” italiano, la qualità del made in Italy che conquista il mondo. Settori di eccellenza nazionali come la produzione di materiali per l’edilizia, l’arredamento, la meccatronica e la robotica hanno da tempo scelto la via dell’innovazione e della sostenibilità e queste filiere manifatturiere vanno sostenute attraverso politiche di promozione, formazione e incentivazione, in grado di migliorare la performance delle imprese e incrementare la competitività su un mercato internazionale fortemente dinamico.
5.     Ma anche altri settori economici e produttivi vanno orientati nel senso della sostenibilità, promuovendo – tra gli altri - l’economia circolare, l’agricoltura biologica, a minor impatto e a chilometro zero; la chimica verde. Proprio l’economia circolare è una sfida importante che l’Italia sta affrontando con determinazione. Non è solo questione di aumentare la percentuale di raccolta differenziata – cresciuta ovunque, e in molte zone del paese all’altezza dei migliori standard europei – bensì di promuovere il riciclo, il riuso di rifiuti e delle acque reflue, la diminuzione stessa dei rifiuti e degli imballaggi, l’allungamento del ciclo di vita dei prodotti. Finalmente si può pensare ai rifiuti non più come un problema ma come risorsa, anche in linea con il pacchetto ambizioso che sta varando in questi mesi l’Europa. Siamo di fronte a un cambiamento epocale nel modello di produzione e di consumo, che riguarda tutti, dalla politica alle imprese ai singoli cittadini. Un cambiamento che va sostenuto attraverso politiche di indirizzo, ad esempio in direzione degli “acquisti verdi”, e di incentivazione alla realizzazione di impianti per il recupero di materia ed energia, con modalità e tecnologie innovative. E’ di primaria importanza ribadire che qualsiasi sistema industriale, anche il più innovativo, necessita di un’impiantistica adeguata. Da troppi anni nel nostro Paese non si riesce ad affrontare una discussione che preveda la costruzione di infrastrutture importanti.
6.     Il nuovo modello di sviluppo che vogliamo proporre per il paese, dovrà avere i suoi effetti più evidenti nelle città. E’ fondamentale approvare una buona legge che arresti il consumo di suolo. Norma indispensabile, che contribuirà a far diventare le città luoghi di innovazione, di risanamento ambientale, di riqualificazione e rigenerazione urbana, di riuso degli spazi. Le città devono diventare spazi di convivenza, di incontro e confronto, luoghi vivibili e puliti, dove ci sia meno spazio occupato dalle auto e più per le persone, dotate di servizi avanzati che supportino i cittadini nelle loro attività, “smart city” dove reti tecnologiche, infrastrutture di trasporto e di comunicazione dolce e a basso impatto, servono per garantire una migliore qualità della vita alle persone. Vanno promosse le infrastrutture verdi, che migliorano la sostenibilità dell’ambiente cittadino, gli orti urbani, la piantumazione di alberi, la realizzazione di boschi urbani, di tetti verdi (con piante che aumentano l’efficienza termica e assorbono anidride carbonica), la ri-naturalizzazione di suolo artificiale e asfaltato, per migliorare la permeabilità dei suoli e rendere le città più resilienti agli eventi meteorologici estremi.
7.     Bisogna definire un Piano nazionale per la Mobilità Sostenibile a partire dalle le principali città del Paese. In una situazione di costante crescita del traffico e dei suoi effetti ambientali e sociali, serve predisporre un quadro organico di azioni per razionalizzare e governare la domanda di mobilità, finalizzate alla disincentivazione del trasporto privato, alla promozione dell'utilizzo dei carburanti a basso impatto ambientale e al miglioramento e alla diversificazione del trasporto collettivo. L'idea di mobilita sostenibile non può significare soltanto spostare traffico o sostituire il parco auto più vetusto con mezzi a basso impatto ambientale, ma prevedere un nuovo equilibrio di mobilita attiva con obiettivi qualificanti da raggiungere, che affianchino quelli della riduzione delle emissioni, nell'uso della bicicletta, del trasporto pubblico e condiviso, degli spostamenti a piedi. E' fondamentale dotare il nostro Paese di una infrastruttura per i combustibili alternativi, nel rispetto del principio di neutralità tecnologica rispetto ai vari tipi di combustibili, e le prime azioni intraprese in questa direzione vanno accelerate e implementate. Servono scelte chiare di tipo normativo, economico e fiscale di sostegno per accelerare l'evoluzione della mobilità verso le tecnologie più innovative, condivise, senza penalizzare le famiglie economicamente più svantaggiate. Vanno fissati indirizzi politici con obiettivi di riduzione progressiva del tasso di motorizzazione nel Paese, di rinnovo del parco veicoli privato e pubblico, di aumento della mobilità su due ruote e pedonale, scegliendo come hanno fatto altri Paesi europei di stabilire il divieto di commercializzazione di motoveicoli e autoveicoli alimentati a diesel e benzina a partire dal 2040. Da ultimo in questo solco, entro la fine della legislatura il Parlamento può compiere alcune scelte importanti come: l'approvazione della legge nazionale sulla percorribilità ciclistica; l'incremento delle reti e dei servizi per il TPL attraverso un aumento progressivo delle risorse già previste fino al 2033; la revisione dell'entità della tassa automobilistica in misura progressivamente proporzionale all'inquinamento generato dal veicolo, senza penalizzare le famiglie economicamente più svantaggiate.
8.     Anche i piccoli comuni, che sono il cuore pulsante della nostra Italia, potranno diventare luoghi dove l’innovazione tecnologica, il futuro, conviveranno con la tradizione. La banda ultra-larga ad di comunicazione mobile Internet consentirà di attivare anche nei centri montani servizi avanzati nell'artigianato, nel turismo e nella sanità, ad esempio consentendo visite mediche specialistiche in telemedicina, che prima richiedevano lo spostamento fisico delle persone nelle città. L'istituzione di un piano per l'istruzione destinato alle aree rurali e montane e il fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale sono misure decisive per ridurre lo spopolamento di queste zone. Garantendo un adeguato finanziamento, già dalla legge di bilancio 2018, oltre ai 100 milioni già previsti saremo in grado di realizzare un presidio reale sui territori, con vantaggi sia di coesione sociale sia sulla qualità ambientale.
9.     Tema fondamentale del programma politico del Partito democratico deve essere la gestione e la tutela della principale risorsa naturale, bene comune per eccellenza: l’acqua. L’acqua è una risorsa naturale fondamentale per la vita dell’uomo e degli ecosistemi; dalla sua tutela discende anche la salvaguardia dell’approvvigionamento alimentare.  Gli investimenti nel settore idrico sono una precondizione non solo per la qualità della vita e dell’ambiente, ma anche per la crescita economica, in direzione di uno sviluppo sostenibile. Su questo settore bisogna dunque investire con più determinazione e coraggio, puntando: sul risparmio idrico, sulla riduzione delle perdite, sul miglioramento della qualità del bene, su una maggiore manutenzione dei corpi idrici, ed efficientamento dei servizi idrici integrati. Dal trattamento dei reflui, che vanno riutilizzati secondo i principi dell’economia circolare, si possono recuperare sostanze utili per produrre energia, con relativo vantaggio economico. Sarà importante mettere in campo incentivi e disincentivi, ossia delle premialità per chi gestisce meglio la risorsa idrica, e penalizzazioni per chi invece si rivela non in linea con questi principi fondamentali. È ormai prioritario, anche per rispondere alle norme nazionali ed europee, migliorare la qualità dei corpi idrici – fiumi, laghi, aree marino-costiere – che hanno subito impatti e inquinamento da espansione urbana, attività agricole e sviluppo industriale incontrollati. Strumenti di gestione partecipata possono contribuire a rendere più efficace la governance dei corpi idrici, favorendo il coinvolgimento diretto di cittadini e stakeholders. Ciò favorisce anche il partenariato pubblico-privato, fondamentale per una gestione moderna ed efficace di una risorsa fondamentale qual è l’acqua.
10.                       Conoscenza e controlli ambientali: dopo aver approvato la legge sugli ecoreati, quella del sistema delle agenzie ambientali e aver costruito un unico corpo di polizia ambientale con la fusione tra carabinieri e forestali diventa indispensabile rendere operative queste importanti riforme. Più semplificazione per le imprese innovative e controlli efficienti ed efficaci per combattere ed estromettere dal mercato quelle malavitose. Un buon sistema dei controlli, che garantisca legalità, è condizione indispensabile per l’affermarsi della green economy a tutti i livelli. E’ necessario promuovere una battaglia culturale facendo capire che dei buoni ed efficienti controlli sono la garanzia per le imprese innovative di rimanere competitivi sul mercato eliminando le aziende che fanno dell’illegalità il loro “core business”.
“ Le questioni poste dalle sfide contemporanee sono di importanza storica, strategiche, e richiedono risposte politiche forti e di lungo respiro alla politica mondiale. In Italia, il Partito democratico, che si candida a governare il paese anche nella prossima legislatura, ha il dovere di mettere in campo le sue forze migliori, le competenze e le idee più innovative per fornire risposte efficaci alle questioni poste. Puntare sulla qualità ambientale, vista non più come freno, ma come fattore formidabile di sviluppo, è un punto cruciale del programma politico. Ciò a maggior ragione in un paese come l’Italia, che attraverso una “conversione ecologica” può valorizzare le sue straordinarie potenzialità, e migliorare la qualità della vita per i suoi cittadini.”
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ultimenotiziepuglia · 4 years
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paoloxl · 7 years
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Trecentododici persone in 27 paesi. Tanti sono i morti assassinati nel 2017 per difendere l’ambiente e i diritti umani, per denunciare la scia di morte lasciata dal capitalismo estrattivo. Come ogni anno Front Line Defenders, organizzazione volta alla protezione dei difensori dei diritti umani, ha pubblicato un report sui diritti umani e sui rischi per gli attivisti, riferiti all’anno 2017. Il report si apre con la lista delle trecentododici vittime della guerra ai “custodi della terra” e con l’invito a non dimenticare il loro sacrificio. A loro è dedicato il report. Scorrendo i dati, si nota che il 67% delle vittime sono difensori dell’ambiente e dei diritti indigeni, assassinati perché ostacolavano con il loro attivismo grandi opere o industrie di vario genere. È il caso, ad esempio, di Santiago Maldonado, ucciso prima e fatto sparire poi, perché solidarizzava con la lotta mapuche, simbolo di una resistenza tenace alle politiche estrattiviste e che vedono l’impero Benetton in prima fila nell’occupazione e nel saccheggio delle terre indigene con il consenso e l’appoggio del governo neoliberista di Macri. Uno dei dati più terribili del report riguarda l’impunità: solo nel 12% dei casi denunciati sono stati arrestati dei sospetti, dimostrando quindi lo stretto legame esistente tra governi, neoliberali e non, e corporation. Sempre rimanendo in ambito dei difensori dell’ambiente, nell’84% dei casi, il crimine era stato preannunciato da minacce di morte. Il continente più colpito è quello latinoamericano, dove si sono registrati e denunciati 173 decessi come conseguenza dall’attivismo delle vittime. A guidare questa ignobile classifica, ci sono tre tra i paesi considerati tra i più democratici del continente. La Colombia del presidente Santos, Nobel per la pace, detiene questo triste primato; la pace con le FARC e la successiva trasformazione della guerriglia in partito politico hanno lasciato campo libero ai paramilitari nei territori prima controllati dai guerriglieri, che ha provocato un aumento dei conflitti e degli omicidi. A seguire, il Brasile del corrotto Temer e il Messico di Peña Nieto e della guerra al narco. In Brasile la crisi politica ha esacerbato la situazione e gli omicidi si sono verificati non solo nelle aree rurali, dove storicamente i conflitti hanno sempre prodotto tragedie, ma anche in contesti urbani e di genere, legati ai diritti LGBT. In Messico, la spirale di violenza prodotta dalla narcoguerra di Calderon e Peña Nieto sembra inarrestabile: il 2017 è terminato con la cifra record di oltre 26 mila morti violente. Giornalisti e difensori dei diritti umani si ritrovano quindi a rischiare la vita in un clima di guerra civile non dichiarata ma quanto mai reale. È doveroso ricordare Isidro Baldenegro Lopez, leader della comunità indigena tarahumara, ucciso giusto un anno fa il 15 gennaio, che come Berta Caceres era stato insignito nel 2005 del prestigioso Goldman Prize, il nobel degli ecologisti. Molto spesso la violenza verso gli attivisti ha dimensione di genere, infatti, numerosi sono i casi che raccontano di violenze sessuali e omicidi ai danni di attiviste, commesse tra l’altro anche dalle forze di polizia. Inoltre, a subire minacce sono anche i figli degli attivisti, si legge sempre nel report. Il ruolo delle istituzioni in molti casi è passivo, non rispondono cioè alle minacce, alle aggressioni, alle violenze subite dagli attivisti. Spesso sono le stesse forze statali a essere protagoniste in negativo delle violenze e degli omicidi o costruendo artificialmente attorno agli attivisti una campagna di calunnie con lo scopo di criminalizzarli e isolarli. Come abbiamo visto recentemente in Honduras, uno dei momenti più complicati è il periodo elettorale. Il report pone particolare attenzione su questo tema, in quanto il 2018 sarà un anno denso di appuntamenti elettorali in particolare proprio in quei paesi, Colombia, Brasile e Messico, in cui ci sono stati più omicidi nell’anno appena concluso. Il contesto politico globale, che vede il presidente americano Trump sostenere i governi che utilizzano la sistematica violazione dei diritti umani nel loro operato, come quello del presidente filippino Duterte o del presidente hondureño Hernandez, ha messo i difensori dei diritti umani in una situazione di rischio altissima. L’Unione Europea, un tempo capace di influenzare i paesi terzi al rispetto dei diritti umani, ha perso questa capacità, distratta dalla Brexit e dall’incapacità di gestire l’accoglienza dei migranti; contemporaneamente all’interno della stessa Unione Europea si è aperta una preoccupante fase di regressione dei diritti come nel caso di Polonia e Ungheria. Inoltre, paesi come Egitto e Turchia sono sprofondati nel più completo autoritarismo. Non saranno dunque solo quelli elettorali i periodi più pericolosi: le campagne d’odio e repressione contro i popoli originari, il rafforzamento delle politiche estrattiviste nei territori, l’arretramento nel campo dei diritti, fanno temere una nuova escalation di violenza e morte per l’anno appena iniziato.  Qui il link per scaricare il report in inglese pic Credit: Ricardo Levins Morales 
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PORCELLUM: dieci anni di illegittimita’ dello Stato italiano
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PORCELLUM: dieci anni di illegittimita’ dello Stato italiano
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PORCELLUM: dieci anni di illegittimita’ dello Stato italiano
PREMESSE
La pronuncia della Corte Costituzionale
Il 4 Dicembre 2013, con una nota su una propria sentenza sulla Legge Calderoli:
« La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali ‘bloccate’, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza. »
Note
 Legge elettorale,bocciato il Porcellum. Consulta: “Ora tocca al Parlamento” in TGcom24, 4 dicembre 2013. URL consultato il 5 dicembre 2013 (archiviato il 5 dicembre 2013).
 Eva Bosco, L.elettorale: Porcellum addio, torna proporzionale in ANSA, 5 dicembre 2013. URL consultato il 5 dicembre 2013(archiviato il 5 dicembre 2013).
 a b Sentenza 1/2014 Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, dal Sito ufficiale della Corte Costituzionale dellaRepubblica italiana.
Calderoli: “La legge elettorale? – L’ho scritta io, ma è una porcata”, 15 marzo 2006. URL consultato il 26 febbraio 2013.
Giovanni Sartori, Il «porcellum» da eliminare in Corriere della Sera, 1 novembre 2006. URL consultato il 3 dicembre 2013(archiviato il 3 dicembre 2013).
La Consulta: «Il Porcellum è incostituzionale» in Corriere della Sera, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013(archiviato il 4 dicembre 2013).
 La Corte Costituzionale boccia il ‘Porcellum’. Illegittimi premio di maggioranza e liste in ANSA, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013).
Angelo Mina, Legge elettorale: bocciato Porcellum, rinasce proporzionale (per ora) in ASCA, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013).
Marco Brunazzo, Gli avvenimenti del 2005, in: Grant Amyot / Luca Verzichelli, Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, edizione 2006, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 34.
La riforma fu approvata dapprima il 13 ottobre 2005 alla Camera e in via definitiva il 14 dicembre 2005 al Senato. Gruppi parlamentari e partiti favorevoli alla Camera: Forza Italia, Alleanza Nazionale, Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, Lega Nord Federazione Padania, Fiamma Tricolore e gruppi misti Ecologisti Democratici, Liberal-Democratici-Repubblicani-Nuovo PSI. Gruppi parlamentari che non parteciparono al voto per protesta alla Camera: Democratici di sinistra-L’Ulivo, Margherita-DL-L’Ulivo, Rifondazione Comunista e i gruppi misti Popolari, Comunisti Italiani, SDI-Unità Socialista, Verdi-L’Unione. Astensione del gruppo misto Minoranze linguistiche (Südtiroler Volkspartei). Vedi: STitolo16%2062 Dichiarazioni di voto finale, Titolo23%2092 Dichiarazione di voto finale Fiamma Tricolore e STitolo19%2091 Votazione finale ed approvazione alla Camera.
Scheda dell’atto su normattiva.it.
L. elettorale, Cassazione invia atti a Consulta:”Premio maggioranza altera equilibri”, la Repubblica, 17 maggio 2013. URL consultato il 17 maggio 2013.
Legge elettorale, Cassazione boccia il premio di maggioranza del Porcellum, il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2013. URL consultato il 17 maggio 2013.
Legge elettorale, decisione rinviata al 2014 in Rai News, 3 dicembre 2013. URL consultato il 3 dicembre 2013 (archiviato il 3 dicembre 2013).
Slitta a gennaio la decisione della consulta sul Porcellum in Internazionale, 3 dicembre 2013. URL consultato il 3 dicembre 2013(archiviato il 3 dicembre 2013).
Legge elettorale, la Consulta rinvia decisione su Porcellum al 14 gennaio in il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2013. URL consultato il 3 dicembre 2013 (archiviato il 3 dicembre 2013).
Legge elettorale, la Consulta accelera. Da domani mattina la Camera di consiglio in la Repubblica, 3 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013). «[…] Domani mattina, alle 9,30, inizierà la discussione della Corte Costituzionale sulla questione di costituzionalità sollevata sulla legge elettorale. E’ quanto ha stabilito il presidente della Corte, Gaetano Silvestri. […]».
Porcellum, oggi l’esame della Consulta in La Stampa, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013).
Emilia Patta, Porcellum: la Consulta verso l’ammissibilità del ricorso in Il Sole 24 ORE, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013).
Legge elettorale, la Consulta boccia il porcellu in la Repubblica, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013).
Porcellum bocciato dalla Consulta, accolto il ricorso dei cittadini in il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2013. URL consultato il 4 dicembre 2013 (archiviato il 4 dicembre 2013).
Legge elettorale: Calderoli, Porcellum nato per ricatto Casini
Calderoli: “Sempre detto che era anticostituzionale il Porcellum”
Obbligo imposto dall’art. 57, comma 1 della Costituzione italiana.
Lombardia, l’Ohio d’Italia
Per una maggiore chiarezza espositiva, sono state omesse alcune clausole minori presenti nella legge, ma il cui verificarsi è da considerarsi molto improbabile.
15º Censimento generale della popolazione
Le norme per le elezioni politiche, pag.39
Sentenze delle corte Costituzionale nn. 15, 16, e 17 del 2008. Vedi: Testo della sentenza 15/2008, Testo della sentenza 16/2008 e Testo della sentenza 17/2008.
Atti parlamentari, XVI legislatura, Senato della Repubblica, Giunte e commissioni, riassunto dei lavori della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, 20 maggio 2009, intervento del senatore Mercatali, in ((http://www.fainotizia.it/2009/05/21/effetto-stocastico-della-legge-elettorale-denunciato-alla-corte-costituzionale)).
Ordinanza interlocutoria n. 12060 del 17 maggio 2013. URL consultato il 13 giugno 2013.
Incostituzionalità della Legge elettorale n. 270/2005 (PDF), Ufficio Stampa ― Corte Costituzionale, 4 dicembre 2013. URL consultato il 5 dicembre 2013 (archiviato il 5 dicembre 2013).
Voci correlate
Candidature multiple
Legge Mattarella
Collegamenti esterni
Legge 30 marzo 1957, n. 361, in materia di “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera del deputati, come modificato dalla legge Calderoli“
Legge 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, come modificato dalla legge Calderoli“
Legge 21 dicembre 2005, n. 270, in materia di “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica“
Partisan self-interest and electoral reform: The new Italian electoral law of 2005, by Alan Renwick, Chris Hanretty, David Hine, Electoral Studies, 2009, 1-11
The electoral law which will be used in the 2013 Italian elections is radically different from any other electoral system in Europe, by Matteo Garavoglia, LSE EUROPP, 12 febbraio 2013
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2013/12/03/Legge-elettorale-cominciata-udienza-Consulta_9717777.html
Napolitano: le Camere sono legittime
COMMENTO
Il commento di Napolitano e’ di parte ed anche lui ha ricevuto una nomina illegittima, in quanto nominato da elettori illegittimi.
I Governi Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi sono anch’essi illegittimi.
Molti menbri della Corte Costituzionale, della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione sono illegittimi.
Tutti i manager di Stato (Moretti e compagni) hanno ricevuto nomine illegittime.
APPELLO
Loscrivente invita pertanto l’Unione Europea a commissariare lo Stato della Repubblica italiana e tutti i suoi organi costitzionali usurpatori di un potere che loro non spetta di diritto, invitando al contempo tutti i lettori premurosi della salvezza della legalita’ in Italia ad inviare appello personale o collettivo alla Commissione europea per il commissariamento.
Il Commissario provvedera’ a formulare una legge elettorale che permetta immediatamente di tornare alle urne con norme democratiche che non permettano manipolazioni del consenso o acquisto di voti di scambio tramite organizzazioni criminali.
Enrico Furia
15 gennaio 2015
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jamariyanews · 7 years
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Sei anni dopo: Libia – campo di battaglia tra occidente ed Eurasia
Alessandro Lattanzio, 25/3/2011 
Il ruolo dell’islamismo radical-coloniale e della sinistra brezinskiana occidentale Quella che si sta svolgendo nel mondo arabo, in questi mesi, è senza dubbio frutto di una lunga e ben pianificata campagna di disgregazione del processo di formazione del Continentalblock Eurasiatico. Il culmine, al momento, di questa operazione, è senza dubbio l’aggressione armata alla Libia da parte della NATO. L’operazione sembra essere, e probabilmente è, un parto degli strateghi brzezinskiani. Non va dimenticato che Brzezinski è il mentore ideologico-culturale di Barack Hussein Obama. E probabilmente l’elezione di Obama stesso rientra in questa operazione; Obama forse non è neanche cittadino statunitense, su ciò aleggiano più che fondati sospetti, e forse è anche collegato a quell’ambito ideologico-religioso arabo mobilitato, in questi mesi, per avviare i cosiddetti processi di ‘democratizzazione’ nel Mondo Arabo. Ma tutto ciò non ha impedito la sua elezione alla presidenza USA. Una figura liberale, come lui appare, era necessaria per attirare i voti della popolazione statunitense delusa dalla politica criminale della fazione neocon-ultrasionista della banda Cheney-Rumsfeld-Perle. Il liberalismo di sinistra ed ecologico, propagandato da Obama, serviva anche a raccogliere intorno alla futura, e oggi attuata, nuova politica interventista armata statunitense, il consenso della ‘sinistra’ occidentale, pro-occidentale e occidentalizzante: socialdemocratici ed ecologisti europei, progressisti nordamericani, asiatici ed arabi, e financo folkloristici residui ‘comunistoidi’, sono la nuova base popolare, di massa, che Washington ha ammassato e sui cui ha posto l’artiglieria massmediatica guerrafondaia (ma camuffata dai soliti infingimenti umanitari) col cui rombo coprire quello dei cacciabombardieri e dei Tomahwak che straziano la Libia oggi. Già il golpe orchestrato contro l’Honduras, e quello fallito contro l’Ecuador, dimostrano che Obama e il suo entourage non hanno altro scopo che portare avanti, con accenti rinnovati, la stessa vecchia politica di dominio ed espansione imperialista degli USA.
Nel caso delle presunte ‘rivoluzioni arabe’ di questi mesi, in effetti, sia sostenitori che soprattutto i critici di esse, si sono soffermati fin troppo sulle operazioni di propaganda e infiltrazione delle agenzie di destabilizzazione strategica anglo-statunitensi, e occidentali in generale, ritenendo e pensando che la leva rivoluzionaria araba fosse rappresentata dalla esigua società civile occidentalizzante dell’Arabia. Il fatto è che soprattutto per i padroni e i manovratori dei ‘rivoluzionari democratici‘, questi elementi borghesi arabofoni, acquistati con donazioni e viaggi premio a Washington, non costituiscono alcuna garanzia per la vittoria e le presa del controllo dei poteri nei paesi obiettivi delle sovversioni. Serviva e serve ben altro per poter contare su un solido controllo sugli stati e le società ‘liberate’ e liberalizzate del mondo arabo, dell’Arabia. Questa forza è da sempre collegata strettamente con due realtà politiche, geopolitiche e geoeconomiche determinate: il colonialismo francese e soprattutto inglese, cioè Londra, e il servile complice dell’imperialismo e del colonialismo occidentale, l’entità statale basata sulla rendita petrolifera gestita dalla famiglia compradora dei Saud, e l’apparato poliziesco-propagandistico parassitario che sempre tale famiglia controlla. L’Arabia Saudita è un alleato fondamentale, grazie al controllo che esercita sulle varie filiazioni islamiste che Riyad finanzia abbondantemente ed addestra meticolosamente da decenni. Lo scontro inter-arabo e intra-arabo è un colossale regolamento di conti tra la parte feudale del mondo islamico, dei regimi islamici più arretrati, e l’eredità storico-politica del Nasserismo, del Baathismo, del Socialismo e del Marxismo che il Mondo Arabo ha avuto in lascito nel corso degli ultimi sessant’annni.
Ovviamente le realtà più oscurantiste e arretrate del mondo colonizzato, sono sempre state fedeli alleate dell’egemonismo politico-miliatre e tecnico-industriale dell’Occidente. Il wahhabismo, la fratellanza mussulmana e le altre realtà islamiste sunnite hanno sempre avuto la possibilità di pesare sulle società del mondo arabo, grazie ai loro pesanti legami con le centrali imperialiste metropolitane. Soprattutto con Londra, base operativa degli islamisti rimessi in sella a Tunisi e a Bengasi, per esempio. Oppure base operativa dei network tv come al-Arabiya e al-Jazeera, dei micidiali centri di disinformazione strategica e di propaganda islamoliberista e reazionaria. Stanno svolgendo a pieno le azioni operative ad esse assegnate, non svolgendo solo campagne mediatiche a favore delle ‘rivoluzioni colorate’, e non solo plasmando un ‘modus pensandi’ che favorisce e appoggia le azioni e le interferenze di Londra, Washington e Parigi nell’Arabia, ma operando effettivamente come vere e proprie agenzie d’intelligence e ricognizione integrate nelle operazioni belliche USA/NATO, come avviene in Libia in questi giorni. Lo Yemen ha compreso questo ruolo, e alla fine, dopo che Riyad ha deciso di abbandonare Sanaa, probabilmente in accordo con le potenze occidentali, il presidente yemenita decide di espellere dal paese al-Jazeera, agente attivo nelle rivolte antigovernative, dimostrando così, in modo indiretto, la connessione esistente tra la moderna e liberale agenzia televisiva panaraba e il regime oscurantista della famiglia dei Saud. Ad esempio, il ruolo del TG3 è emblematico, non è un caso che queste vera e propria dependance, se non dell’ambasciata USA a Roma, del NED e del partito democratico USA porta avanti, da almeno un paio di anni, una forsennata campagna di aggressione mediatica e di banditismo ideologico contro la Libia. Una campagna bellica vera e propria, che è riuscita ad arruolare in pratica tutta l’amorfa e moribonda sinistra fu marxista italiana. Dal partito della sinistra apertamente ultramericana, PD, che acclama acriticamente le guerre condotte dalle amministrazioni democratiche, da Clinton a Obama, alle sinistre cripto-brezinskiane. Che si tratti di Vendola o di Ferrero, della maggioranza dei trotskisti o dei maoisti, o perfino dell’armata folkloristica degli antimperialisti pro-alQaida, nulla cambia per i decisori e gli strateghi dell’assalto finale, e disperato, al mondo arabo, o quella parte del mondo arabo, che aveva iniziato la marcia di avvicinamento all’asse economico-strategico Mosca-Beijing.  
Non è un caso che si aggrediscano, con tali sommosse teleguidate, realtà che si oppongono od ostacolano l’egemonia regionale anglostatunitense: Libia, Siria, Sudan, Yemen (alleato con l’Eritrea). Oltre al processo di frantumazione nazionale, che a quanto pare non è ritenuto sufficiente dalle centrali strategiche occidentali, viene avviato un immenso processo di revanscismo islamista, protesa a creare il tanto mitizzato emirato islamico, ideologia aggregante per le forze arabofone antinazionali più arretrate e oscurantiste, permettendone la mobilitazione anche in realtà statuali più consolidate, come la Siria. Tutto ciò amalgamato con il disegno dell’asse Washington-Londra-Parigi di affidare questo fantomatico emirato islamista alla decadente famiglia compradora dei Saud. Scopo ultimo, impedire lo sviluppo tecnico-sociale-economico regionale, grazie all’imposizione di un ordine parassitario e anti-sviluppista e anti-progressista (che tanto piace alle anime belle razziste d’occidente, afflitte da una sorta di orientalismo impegnato), che impedirebbe i piani strategici industriali ed economici di collaborazione con le potenze asiatiche ed eurasiatiche. Tale blocco e arretramento economico-industriale verrebbe volto a favore delle potenze occidentali, che potranno sottrarre le risorse energetiche e idriche regionali, che rimarrebbero inutilizzabili con l’inattuazione della modernizzazione tecnico-economcio-sociale degli stati arabi colpiti dalla sovversione islamo-colonialista camuffata da ‘rivolte democratiche civili’. Inoltre, non solo tale sabotaggio strategico regionale colpirebbe lo sviluppo regionale, ma attenterebbe pesantemente al progetto eurasiatico basato sull’aggregazione e il riavvicinamento tra potenze come Russia, Cina, Turchia, Pakistan e Iran. E inoltre il fantomatico emirato islamocolonialista che verrebbe creato, fattualmente o ideologicamente che sia, diverrebbe una potente piattaforma per avviare la destabilizzazione della Federazione Russa, della Repubblica Popolare di Cina e l’Unione Indiana, nonché uno strumento sia per colpire in modo devastante l’Iran e la Turchia, che per distruggere realtà statali come il Pakistan e le repubbliche caucasiche e centrasiatiche. La mano brezinskiana e il tocco tipicamente londinese del divide et impera colonialista, sono ben visibili per chiunque voglia guardare in faccia la realtà dei fatti internazionali che oggi si osservano. Alla luce della mossa del cavallo all’ONU, attuata dall’asse atlantista e dalla cerchia brezinskiana-rhodesiana, Mosca e Beijing stanno iniziando a comprendere che non c’è più tempo da perdere, in danze diplomatiche e salamelecchi bipartizan, con entità che vogliono soltanto aggredirle e rovinarle. 
Le operazioni clandestine sul terreno  
A fine marzo 2011 era oramai chiaro che la ‘rivolta popolare’ o meglio, la rivoluzione colorata con cui si è tentato di rivestire il golpe con cui abbattere la Jamahiriya, era fallita. Il piano era in preparazione almeno dal 20 ottobre 2010, quando il governo francese aveva invitato a Tunisi Nuri Mismari, capo del protocollo del governo Libico, e il giorno successivo giungeva a Parigi, dove in pratica restava ad organizzare il golpe. “Sicuramente ai primi di novembre (2010) sono visti entrare all’Hotel Concorde Lafayette di Parigi, dove Mismari soggiorna, alcuni stretti collaboratori del presidente francese Sarkozy. Il 16 novembre c’e’ una fila di auto blu fuori dall’hotel. Nella suite di Mismari si svolge una lunga e fitta riunione. Due giorni dopo parte per Bengasi una strana e fitta delegazione commerciale francese. Ci sono funzionari del ministero dell’Agricoltura, dirigenti della France Export Cereales e della France Agrimer e manager della Soufflet, della Louis Dreyfus, della Glencore, della Cani Cereales, della Cargill e della Conagra”. Una missione commerciale che servì a coprire un gruppo di militari e di agenti dell’intelligence che a Bengasi incontrarono il colonnello dell’aeronautica libica Abdallah Gahani, disposto a disertare e che aveva contatti con dei dissidenti tunisini. Il 28 novembre, a seguito delle indagini del controspionaggio libico, Tripoli emetteva un mandato di cattura internazionale nei confronti di Mismari, trasmesso anche alla Francia. Gli uomini di Sarkozy inscenarono un finto arresto, che si tramutò in una confortevole permanenza parigina per il complottatore bengasino. Mismari, dopo aver chiesto ufficialmente alla Francia asilo politico svelò i segreti della difesa militare e delle alleanze diplomatiche e finanziarie della Libia, descrivendo il quadro dei possibili dissidenti disposti a passare con le forze nemiche di Tripoli. Dopo aver respinto i successivi tentativi di contatto del governo libico, Mismari, il 23 dicembre 2010 incontrò i transfughi politici Farj Sharant, Fathi Buqris e Ali Yunis Mansouri, che diverranno i dirigenti della presunta rivolta popolare di Bengasi. I tre erano accompagnati da funzionari dell’Eliseo e da dirigenti del servizio segreto francese (DGSE). Nel gennaio 2011 la Francia era pronta ad avviare il golpe contro il governo Libico. Il 22 gennaio il comandante del controspionaggio in Cirenaica, il Generale Aud Sayti, fece arrestare il colonnello Gahani, collegamento occulto dei servizi francesi con la rete dei prossimi rivoltosi. Rivolta che esplose egualmente il 15 febbraio a Bengasi. Da subito, furono gli israeliani ad indicare la presenza di elementi esterni e stranieri dietro la ‘rivolta popolare’. Decine, e poi centinaia, di ‘consiglieri’ militari ed agenti dei servizi segreti statunitensi, inglesi e francesi, sbarcavano a Bengasi, almeno fin dal 2 febbraio 2011, per creare e alimentare la rivolta. Lo scopo della loro missione era triplice: aiutare i comitati rivoluzionari a stabilire infrastrutture governative; organizzare i rivoltosi in unità paramilitari, addestrandoli all’uso delle armi; preparare l’arrivo di altre unità militari straniere, qatariote e turche, oltre a reparti di ex-guerriglieri in Afghanistan, gli ‘afgansy’, collegati con l’universo islamista egiziano e saudita. Di fatti erano giunti a Bengasi cannoni anticarro da 106 millimetri di provenienza NATO, con munizionamento inglese, e armi antiaeree, il tutto camuffato da aiuti umanitari alla popolazione civile; da ciò si può ben comprendere quale sia, in realtà, il vero scopo delle ONG umanitarie che reclamano fin dall’inizio delle ostilità, l’istituzione di ‘corridoi umanitari’ per la popolazione civile (nome in codice per indicare i mercenari e la guerriglia anti-Jamahiriya). Camuffate da aiuti umanitari le armi, camuffati da volontari umanitari gli istruttori militari occidentali che, appena sbarcati, iniziarono l’addestramento dei rivoltosi; mentre commandos di incursori iniziavano a compiere operazioni clandestine di sabotaggio e provocazione. Tutto ciò, secondo le fonti interne francesi, avvenne da ben prima della risoluzione 1973, adottata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 17 marzo, che chiedeva “un immediato cessate il fuoco” e autorizzò la comunità internazionale ad istituire una no-fly zone in Libia e ad utilizzare tutti i mezzi necessari per “proteggere i civili”. Lo stesso ministro degli Interni francese, Claude Guéant, aveva parlato di “crociata” riferendosi all’operato di Sarkozy.  
L’insieme delle operazioni clandestine anglo-francesi rientrava dell’ambito dell’operazione South Mistral. La cui versione ufficiale, ovvero le operazioni di bombardamento sotto mandato ONU; erano denominate Harmattan, in francese, o Ellamy, in inglese, che a loro volta rientrano nell’operazione Odissey Dawn, voluta dal salotto dirittumanitarista di sinistra di Washington, che aveva le sue massime espressioni nella segretaria di stato USA Hillary Rodham Clinton, nell’ambasciatrice USA all’ONU Susan Rice e nell’intellettuale-gangster Samantha Power, notoria cantrice dell’interventismo armato umanitario internazionale degli USA. Gli screzi non mancarono, comunque, all’interno del disomogeneo fronte anti-Jamahiriya, formato rappattumando svariati gruppi e clan spinti alla rivolta con motivazioni e per interessi differenti. Ai primi di marzo, due agenti dell’MI6 e sei incursori delle SAS inglesi, mentre stavano scortando un diplomatico inglese, appena scesi dall’elicottero che li aveva trasportati nella loro zona operativa, a Bengasi, furono catturati dai guardiani di una fattoria e consegnati alla fazione ribelle gestita dai francesi o dagli egiziani, e non dagli inglesi. Interrogati, non avevano svelato nulla ed erano stati poi esfiltrati e fatti rientrare con la fregata HMS Cumberland. Secondo The Times, la presenza inaspettata di questa unità “avrebbe irritato gli esponenti dell’opposizione libica, che trasferirono i soldati in una base militare“. In effetti, questi elementi erano aggregati ai circa 200 militari dello Scottish Royal Regiment, reparto inglese rientrato dall’Afghanistan nel 2009, che partecipò alle operazioni militari coperte da azioni umanitarie e sgombero. Il ministro della Difesa inglese aveva ammesso che questi militari operavano nel bengasino da almeno tre settimane: ufficialmente per assistere piloti abbattuti. Lo scopo di tale tipo di operazioni, di questo dispiegamento sul campo di reparti speciali, era anche approfittare del caos a Tunisi e Cairo per consentire l’ingresso dai due paesi confinanti con la Libia di mercenari, volontari islamisti e almeno un centinaio di membri dell’Unità 777, le forze speciali egiziane, tutti inviati per fornire sostegno tecnico, nuovi armamenti e appoggio tattico alla presunta spontanea ‘rivolta popolare libica’.
Gli uomini qui ripresi caricano una cassa di munizioni speciali, si tratta di proiettili da 106mm per dei cannoni senza rinculo M40A1 di fabbricazione statunitense. Tale arma non è in dotazione alle forze armate libiche; inoltre la scritta HESH-T, ovvero Proiettile ad Alto Esplosivo a Testata Dirompente – Tracciante, dimostra che i proiettili sono di fabbricazione inglese, poiché questo tipo di proiettili sono chiamati così solo nel Regno Unito, mentre nel resto del mondo vengono denominati HEP-T (Proiettile ad Alto Esplosivo al Plastico – Tracciante). Inoltre l’esplosivo HESH-T/HEP-T è impiegato solo dai paesi membri della NATO, Israele, India e Svezia. Non possono che avere origine esterna alla Libia, non sono stati prelevati dagli arsenali delle forze armate libiche.
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ultimenotiziepuglia · 6 years
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jamariyanews · 8 years
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ISIS E ANTI-TRUMP: STESSO MANDATO STESSI MANDANTI – Mentre utili idioti e amici del giaguaro marciano contro Trump, Obama avvelena i pozzi in Siria
30/1/2017
“Molte delle celebrità che dicono di non andare (all’insediamento) non erano mai state invitate. Non voglio le celebrità, voglio il popolo, è lì che abbiamo le più grandi celebrità”. (Donald Trump)
 “E’ stupefacente e anche un po’ disgustoso vedere quanti cagnetti profumati da salotto si sono messi con il branco di rottweiler a sbranare un botolo che aveva appena cominciato ad abbaiare”. (Ernesto bassotto)
 Mercenari professionisti
Titolo spiazzante, anzi scandaloso? Vediamo. A cosa vengono impegnati i jihadisti delle varie formazioni mercenarie impiegate in Medioriente (ora anche in Asia e Africa e individuati come attentatori in Occidente)? A mantenere e allargare il dominio, a fini di controllo e sfruttamento, su zone del mondo ricche di risorse, e/o di importanza strategica, e/o la cui sovranità e autodeterminazione costituiscono ostacolo alla globalizzazione Usa, UE e Israele e rispettivi clienti, a volte collusi a volte collidenti, perché ne spuntano gli strumenti armati e/o economici. E, a parte la logica del cui prodest, a chi riconducono, con mille documenti, prove, ammissioni, queste formazioni? Le hanno pagate e rifornite sauditi, turchi, qatarioti, giordani; le hanno armate turchi, israeliani, Usa e Stati Nato; le hanno rastrellate in giro per il mondo i servizi di intelligence e le Forze Speciali di queste entità. Senza questo retroterra e i cordoni ombelicali ad esso connessi per vitto, mezzi, armamenti, soldo, la Jihad non durerebbe e non si espanderebbe dal 2011, ma si sarebbe estinta nel giro di settimane. Ve lo dicono Von Klausewitz e Sun Tsu.
 Mo’ chi ha pensato, elaborato, spinto ed esasperato tutto questo a partire dall’11 settembre 2001? Chi, da un lato, aveva stabilito in piani ufficiali (Oded Yinon, Israele 1981) che, per il Grande Israele, occorreva frantumare in bantustan etnocentrici e settari gli Stati-Nazione arabi. E chi, dall’altro, ma in consonanza, nel cammino verso un dominio mondiale unipolare, di Stati-Nazione progettava di farne fuori tutti, tranne il suo e quello dei più stretti parenti. Si chiama, dai tempi di Lenin, imperialismo, fase suprema del capitalismo. Ma di mezzo c’erano Russia e Cina, ammazzate che schiacciamento di minchia.
La “guerra al terrorismo”, che si apre con l’innesco delle Torri Gemelle fatte saltare dall’interno e dal Pentagono bucato con un missile, ha una miccia lunga che parte dalla fine del secolo precedente. Quando una cabala di psicopatici, in massima parte talmudisti all’orecchio di Israele, formula il PNAC, il Progetto per un Nuovo Secolo Americano. Sono la squadra messa insieme dalla Cupola dell’1% perché faccia dell’ “eccezionalismo”” eugenetico nordamericano la Weltanschaung e del suo apparato militare da un trilione di dollari lo strumento materiale per la conquista del pianeta e la rimozione dki tutto ciò che vi si frappone o contrappone. La Russia, passata dal “tana liberi tutti” di Eltsin a essere l’antagonista globale con Putin, entra nel centro del mirino PNAC. Tanto più quando si intromette in Medioriente e fa volare le scartoffie neocoloniali e nella marca imperiale Europa, rapita e stuprata dal padre Zeus a stelle e strisce fin da quando l’aveva proclamata “liberata” nel 1945, la Russia diventa partner strategico per l’energia e non solo.
 Repubblicani e Democratici per Ia Cupola pari son
In preparazione alla resa dei conti sul campo di battaglia, i neocon, la cui strategia la Cupola fa attuare via via, indifferentemente, dai presunti antagonisti repubblicani (Bush) e democratici (Obama), vero Giano bifronte scolpito dalla Cupola, vengono messi in pratica iniziative e strumenti propedeutici. Difensivi in Europa, dove si tratta di impedire lo smantellamento dell’omologa costruzione vassalla UE per mano di chi, tra le macerie economiche, sociali ed antidemocratiche di questa struttura corrottissima e criptocoloniale, sviluppa nostalgie “populiste” per la propria sovranità fondata sulle costituzioni democratiche sorte dalla lotta antifascista. Offensivi, dove lo Stato-Nazione c’è e alberga anticorpi robusti allo sgretolamento. Ed è il caso di paesi come quelli emancipati latinoamericani, l’Afghanistan, l’Iran, l’Ucraina, l’Egitto, l’Algeria, Nigeria, Brasile, e tanti altri, tutti quelli su cui sarebbe prematuro, inopportuno, disagevole, intervenire militarmente, ma dove è necessario e urgente destabilizzare. Tanto più urgente quanto più, nei tempi recenti e di fronte all’aggressività USraeliana, tutte queste realtà statuali, sotto la spinta dei rispettivi popoli, si orientano sempre più via dall’Occidente e in direzione Russia e Cina, aumentando le criticità dei progetti PNAC e Oded Yinon.
  Ci sono spie tra noi
Dove non è utilizzabile lo strumento terrorista siamo alle rivoluzioni colorate, a insostenibili immigrazioni di massa, a colpi di Stato parlamentari, a sanzioni e sabotaggi economici. Vengono creati e messi in campo strumenti di grande potenza finanziaria e capacità mimetica. Alle vecchie fondazioni Ford, Rand, Rockefelleer, ai Think Tank come il Council of Foreign Affairs, gli Istituti Repubblicano e Democratico, si aggiungono vetrine umanitariste a direzione occulta Cia come USAID, National Endowment for Democracy, Amnesty International, Human Rights Watch, Save the Children, Medici e Reporter Senza Frontiere, Avaaz…. Più dinamico e scaltro di tutti, un criminale della speculazione finanziaria ai danni di paesi da spolpare (Italia dal 1992), l’ebreo ungherese-statunitense George Soros, con la sua Open Society Foundation mirata a gabbare, con mille succursali locali, giovani ansiosi di carriera. Soros si potrebbe dire la piovra globale, da cui tentacoli si sviluppano tanti polipi e polpetti sotto forma di scuole, università, centri studi, ONG dei diritti umani, organizzazioni mediche, gruppi mmediatici, associazioni dei diritti civili, ecologisti, pacifisti, soccoritori di migranti, PR e giornalisti infestanti come l’edera nei boschi abbandonati, o i pidocchi alle elementari di qualche tempo fa. Nel Kosovo sulla via della secessione costruisce università, nel golpe di Kiev finanzia nazisti, in Siria, a Sarajevo, o in Irlanda del Nord, s’inventa “costruttori di pace” che minino la lotta di liberazione.
 Collaborazionisti “dilettanti”
E dunque torniamo al titolo così scandaloso. A cosa puntano in questi giorni, e con quali mandanti e strumenti, coloro che in piazza si agitano, negli Usa a livelli autenticamente eversivi, in Europa in rete, in Germania con marce e marcette (una addirittura, fuori tempo massimo e già arenata, da Berlino ad Aleppo “da salvare”) contro l’insediamento del presidente eletto statunitense? Si intravvedono i tentacoli della nota piovra, sono spuntati i soliti polipi e calamari? Insomma, sono gli stessi del PNAC, dell’11/9, delle varie primavere inventate (Siria, Libia, Serbia), o contaminate e pervertite (Egitto, Tunisia)? Anziché di petto, ti devono prendere alle spalle. Sono la versione soft dei terroristi deti islamici. Supporlo, sospettarlo, arrivare ad affermarlo? Anatema! A me pare invece che lo si debba supporre ed affermare. Li ritrovi oggi in rete a sparare a palle incatenate contro Trump, senza alzare un ciglio sui trascorsi di Hillary e Obama, li ritrovi in piazza a Berlino a gettare il cuore oltre l’ostacolo della trumpizzazione universale, promettono di diventare milioni contro la Casa Bianca per mandare all’aria l’insediamento e, magari, lo stesso Trump.
 E scopri che sono gli stessi che da edicole e schermi, in assemblee e convegni, in marce e presidi si manifestano per il martire Giulio Regeni (alla faccia del suo provato lavoro al servizio di una manica di rinomati assassini e spioni angloamericani); contro i serbi e ungheresi infami che fanno gelare gli afghani alle porte delle città (l’Ungheria ha il più alto tasso di rifugiati rispetto alla popolazione di tutta Europa; la Serbia non ha che gli occhi per piangere dopo il passaggio del rullo Nato); che invitano migranti a milionate, ma non sognano di mobilitarsi contro coloro che li cacciano di casa. Per la maggiore gioia di datori di lavoro sottocosto e di quelli cui interessa tenere l’Europa sotto schiaffo; che, trasudando diritti umani, dall’alto della loro civiltà superiore, spappagallano di dittatori e tirannie in paesi di cui nulla sanno e i cui popoli disprezzano; per i quali, cittadini di paesi governati da ladri, mafiosi, corrotti, guerrafondai bombaroli, con primati di femminicidi, servilismo mediatico, Putin è omofobo, misogeno, sessista, autocrate, zar; che, all’ombra di belve umane come Thatcher, Hillary, Condy Rice, Madeleine Albright, Samantha Powers e loro capisala come Mogherini, Pinotti, Bonino, distolgono dallo scontro di classe e lacerano la comunità giurando sulla “matrice virile della violenza” e che sessismo, razzismo, nazionalismo, guerra, stermini di interi popoli, devastazioni e stupri non esisterebbero senza i maschi: guerra tra i generi che ha lo stesso scopo della guerra tra poveri.
Sono sempre gli stessi che su Aleppo Est invasa e occupata da tagliagole di Al Qaida e Isis, guidati e coordinati dai servizi di Nato, Israele, Turchia e Golfo, hanno per mesi guaito sulle fandonie dei 250.000 bambini sotto le bombe (Save the Children), su un numero incredibile di ospedali distrutti, su un genocidio in atto con bombe a grappolo e bombe-barili, dimenticando che Aleppo libera veniva colpita indiscriminatamente da razzi, mortai e cecchini, che chi fuggiva da Aleppo Est veniva mitragliato, che i corridoi per i soccorsi allestiti dai russi venivano bloccati. E ignorando di come la città interamente liberata sia tornata a vivere nella gioia della libertà, a essere ricostruita, a vedere il rientro dei rifugiati. Soprattutto ignorando chi di questa immane tragedia, diabolicamente inflitta per sei anni ad Aleppo e a tutto un popolo, porta la responsabilità.
 Lo sconfitto e la sua banda avvelenano i pozzi prima di andarsene.: mattanza obamiana a Deir Ez Zor
 Sono ancora gli stessi che, manifestando e marciando contro le futuribili ipotetiche cattive azioni di Trump, tengono la testa sotto la sabbia di fronte all’ultimo massacro del regno di Obama che si sta verificando a Der Ez Zor, nell’est della Siria, dove una guarnigione di alcune migliaia di soldati siriani e centomila civili resistono da tre anni all’assedio dei terroristi. Terroristi Isis ora rinforzati dall’afflusso dei jihadisti in fuga da Mosul, reso possibile dalla collaborazione dei lanzichenecchi curdi al servizio degli Usa e dai bombardamenti Usa sulle difese di Deir Ez Zor e sul suo aeroporto. Aeroporto reso impraticabile e dal quale il governo non riesce più a far arrivare rifornimenti alla città. La centrale elettrica è stata distrutta dalle bombe della coalizione a guida Usa, la gente sta al buio, gli ospedali sono fermi. L’esercito siriano sta a 100km di distanza, impegnato a Palmira e non potrà impedire che Deir Ez Zor cada nelle prossime ore in mano a chi compierà l’ennesima mattanza di donne, uomini, bambini, “sospettati di aver collaborato col regime” e, naturalmente, non si priverà delle consuete atrocità sui soldati.
Collaborazionisti a voucher
Nel momento in cui l’Europa è attraversata da ordigni e apparati di guerra in direzione Russia, come non si erano mai visti dal 1945, l’associazione tedesca “No-to-Nato”, una coalizione di gruppi antiguerra, indice per il 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Trump, una grande manifestazione a Berlino contro Trump, “per lo svuotamento della democrazia a vantaggio delle multinazionali, contro la violenza del nazionalismo (anti-UE), la violenza sui rifugiati, i cultori delle frontiere, la diseguaglianza sociale, la corruzione, gli indifferenti al cambio climatico e quelli del profitto sopra tutto”. Tutte cosacce attribuite a Trump, prima ancora che abbia messo piede nella Casa Bianca. Si dicono No-to-Nato, ma di Obama, che ha potenziato, esteso e armato la Nato come mai prima, che ha autorizzato il fracking inquinante e sismagenico, che ha fatto 7 guerre e con droni e sanzioni ha ammazzato più gente di tutti i suoi predecessori, che provoca la Russia fino alla catastrofe per mettere i ceppi all’autodeterminazione degli europei, che ha espulso più migranti di ogni presidente Usa, non dicono niente.
 Negli stessi giorni dell’insediamento del “mostro partorito da Putin”, 20 e 21 gennaio, a Washington è indetta la manifestazione di 1 milione di anti-Trump e la consanguinea marcia di 200mila donne (con pronta adesione anche di Italia, Grecia e altri paesi devastati da Obama e subalterni) contro sessismo, misogenia, xenofobia, razzismo e ogni altra nefandezza di cui il neopresidente trasuda. La convocazione, le parole d’ordine, la piattaforma, gli strumenti organizzativi per queste iniziative sono diretta emanazione del “American Friends Service Committee”, gruppo direttamente finanziato da George Soros. Il cui vessillo di vecchio corruttore di ingenui dirittoumanisti e di Grande Vecchio dei marpioni del globalismo, svetta su diritti civili, femminismo, LGBTQ e gay nell’esercito, abolizione delle frontiere, accoglienza di rifugiati, denuncia del traffico d’armi, abbattimento di dittatori, democrazia da espandere. Valori degni in sé, chi non li riconoscerebbe, ma ridotti in moneta falsa con la quale ottenere il silenzio, l’oblio, su guerre, sanzioni, genocidi, devastazioni di società e relativi carichi e oneri sulle donne, distruzione di nazioni.
Così predicano i media trovatisi nudi senza padrone e così raccomanda Soros alle sue star e starlet dello spettacolo e dall’abissale ignoranza, Trump e Putin sono due cavalieri dell’Apocalisse di cui gli europei faranno bene a non fidarsi, visto che vorrebbero mettersi d’accordo a detrimento irrimediabile per gli europei, vivi e democratici solo con Obama, Hillary e l’ombrello Usa-Nato. E difatti le chiassate europee di tutta questa brava gente di pace e diritto umano coincidono con quelle indette simultaneamente a Washington e in tutti gli Usa dalla bella compagnia che unisce Obama, Hillary, la Cia, il complesso militar-securitario-industriale, Wall Street, la lobby talmudista globale, e tutto l’apparato delle 16 agenzie di intelligence che con Bush e Obama si sono potuti dare alla politica e spadroneggiarvi democraticamente.
 Una bilancia per Trump
Immaginiamo due piatti della vecchia bilancia da fruttarolo. Su un piatto, diciamo quello di destra, mettiamo le sparate di Trump sui migranti, sul muro messicano, sulle donne da palpare, sui musulmani da bloccare, i suoi generaloni in pensione, i suoi petrolieri che negano l’effetto serra, i suoi reduci da Goldman Sachs, le promesse a Israele, le minacce all’Iran e alla Cina.
 Sull’altro, quello buono, di sinistra, mettiamo, le pedate ai giornalisti comprati e venduti del New York Times e affini, la mano offerta alla Russia anche per combattere insieme, anziché il legittimo governo siriano, i terroristi che Trump sa essere stati inventati e diffusi da quelli dell’11 settembre, l’elogio al sacrosanto Brexit e ai cittadini europei che si risvegliano, e che qualcuno, odiando i popoli, chiama populisti, i livore talmudista, i pernacchi ai capisala imperiali Merkel e Hollande, il marchio di obsoleta alla Nato, la cancellazione di TTIP; TTP, CESA, TISA, la gogna e i dazi ai delocalizzatori verso lavoro schiavistico. Indi il disprezzo per gli sguatteri UE dei globalisti Usa che si prostrano a chi li sta facendo invadere e sconquassare da milioni di più o meno disperati, sradicati da guerre, fame e sistemati al gelo e al fondo marino anche dai dirittoumanisti, complici dei globalisti, che gli promettono buona sorte via da casa loro. Per chiudere con la livorosa frustrazione di tutto il cucuzzaro anti-Trump, messo fuorigioco ed espropriato della cabina di comando che pilotava le più grave sciagure inflitte al pianeta dal giorno del meteorite dell’estinzione di massa. Quanto più furibonda è la collera di tutti questi, tanto maggiori sono i meriti di Trump.
 Da quale parte penderà la bilancia lo vedremo. Intanto ognuno a suo gusto valuterà quel che trova sui piatti
S’è messo in marcia, in nome di Cia, Pentagono, padrini del terrorismo, lobby talmudista, mondialisti maltusiani, mafie e massonerie, stampa cortigiana, Stato Profondo, il Grande Pifferaio di Hamelin (“Der Rattenfaenger von Hameln”) George Soros. Attratti dal tappeto di sangue, ossa e pelle su cui procede, gli corrono appresso i ratti sbucati dalle fogne dell’ipocrisia e del raggiro, delle armi di distrazione di massa, del buonismo e del politically correct (vedi elenco tentacoli di Soros, per il momento senza le decine di italiani: http://ift.tt/1562nW8 ). Ma lo seguono, ahinoi, anche i bambini di Hamelin, che non annusano il fetore, ma percepiscono il profumo di miele che piove sulle loro coscienze dalla solidarietà con i migranti ghiacciati a Belgrado, con i LGBTQ discriminati, con i rifugiati da assimilare nell’universo globale del meticciato, lontano dalle loro patrie, con le donne che se fossero al comando sarebbero solo sorrisi e coccole, con tutti quelli che sono partiti in quarta a lanciare braccia e cuori contro il l’orrendo sovvertitore del nostro sereno e felice assetto planetario.
 Ragazzi che immane, che inaudito sconvolgimento di senso, di ragione, di verità! E non dateci dei trumpisti. Avremo modo, presto, di misurarci anche con The Donald, il suo parrucchiere, i suoi generali e banchieri, tutta la famigliola. Sappiamo bene che dalla Casa Bianca non è mai sceso nessuno Spirito Santo a ingravidarci.
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