#eco terroristi
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Distrutto il campo sperimentale di riso Tea, il meglio della nostra ricerca del settore.
Nella notte è stato gravemente danneggiato il progetto di coltivazione con tecniche di evoluzione assistita (Tea) dell’Università Statale di Milano. La gramigna dell'ignoranza ha sradicato le piantine della speranza.
Uno o più fanatici hanno dato nuovamente la prova di quanto alligna in questo paese, cioè il peggio del luddismo retrivo nascosto dietro una patina di verde per rendersi presentabile: il campo sperimentale di riso Tea, che dopo un faticoso iter autorizzativo aveva finalmente rappresentato la ripartenza del meglio della nostra ricerca del settore, è stato distrutto, dopo aver manomesso la telecamera di sicurezza e danneggiato le recinzioni metalliche di protezione.
Un mese fa, avevo scritto di come la ricerca finalmente mettesse radici anche nei campi italiani; ma questo è un paese dove una minoranza di perfetti idioti, accecati dall’ideologia e dal furore che questa scatena nelle menti più deboli, e allo stesso tempo non abbastanza coraggiosi da manifestarsi apertamente, pensa di cancellare con un vigliacco e violento gesto ciò che proprio per diminuire l’uso di agrofarmaci, per proteggere le nostre piante e i nostri campi e per salvaguardare una delle più importanti produzioni alimentari d’Europa si cerca di mettere a punto – piantine verdi che crescevano verso il futuro, e che una stupida e violenta zampata ha portato via.
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CATTIVI SCIENZIATI
Distrutto il campo sperimentale di riso Tea, il meglio della nostra ricerca del settore
ENRICO BUCCI 21 GIU 2024
Nella notte è stato gravemente danneggiato il progetto di coltivazione con tecniche di evoluzione assistita (Tea) dell’Università Statale di Milano. La gramigna dell'ignoranza ha sradicato le piantine della speranza
Uno o più fanatici hanno dato nuovamente la prova di quanto alligna in questo paese, cioè il peggio del luddismo retrivo nascosto dietro una patina di verde per rendersi presentabile: il campo sperimentale di riso Tea, che dopo un faticoso iter autorizzativo aveva finalmente rappresentato la ripartenza del meglio della nostra ricerca del settore, è stato distrutto, dopo aver manomesso la telecamera di sicurezza e danneggiato le recinzioni metalliche di protezione.
Un mese fa, avevo scritto di come la ricerca finalmente mettesse radici anche nei campi italiani; ma questo è un paese dove una minoranza di perfetti idioti, accecati dall’ideologia e dal furore che questa scatena nelle menti più deboli, e allo stesso tempo non abbastanza coraggiosi da manifestarsi apertamente, pensa di cancellare con un vigliacco e violento gesto ciò che proprio per diminuire l’uso di agrofarmaci, per proteggere le nostre piante e i nostri campi e per salvaguardare una delle più importanti produzioni alimentari d’Europa si cerca di mettere a punto – piantine verdi che crescevano verso il futuro, e che una stupida e violenta zampata ha portato via.
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La ricerca italiana mette radici
ENRICO BUCCI
A costoro auguro di poter presto sperimentare il prodotto della loro ignorante arroganza, nonché la punizione della giustizia, nella speranza che li raggiunga; ma in ogni caso, gli ignoranti che in questo paese vogliono affermare la propria prepotenza con simili gesti devono sapere che non otterranno altro risultato che l’evidenza di quanto sia finto e dannoso il loro ambientalismo vacuo, dannoso per l’ambiente, per l’agricoltura, per la ricerca e per il futuro.
La ricerca, invece, non si fermerà. La sperimentazione continuerà, e se non sarà in Italia, sarà altrove, perché la comunità scientifica per fortuna non conosce frontiere e bordi. Anche nel nostro paese si tornerà a piantare, si insisterà a spiegare, si continuerà a cercare di far capire e di dimostrare, a dispetto dei pochi farabutti che vandalizzano il lavoro degli altri e il futuro del paese.
Ai nostri ricercatori Vittoria Brambilla e Fabio Fornara e a tutto il loro gruppo di ricerca, ma anche al coraggioso imprenditore agricolo Federico Radice Fossati, a loro tutti va la solidarietà di tutti gli italiani che hanno ancora la capacità di attivare i propri neuroni. Sappiano quegli imbecilli, i quali non riescono altro che a distruggere, che i cittadini che apprezzano la nostra ricerca sono una larga, larghissima maggioranza, e non si lasceranno intimidire né da questo, né da altri atti terroristici che dovessero essere concepiti dalle loro menti malate.

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Distrutto il campo sperimentale di riso Tea, il meglio della nostra ricerca del settore
ENRICO BUCCI 21 GIU 2024
Nella notte è stato gravemente danneggiato il progetto di coltivazione con tecniche di evoluzione assistita (Tea) dell’Università Statale di Milano. La gramigna dell'ignoranza ha sradicato le piantine della speranza
Uno o più fanatici hanno dato nuovamente la prova di quanto alligna in questo paese, cioè il peggio del luddismo retrivo nascosto dietro una patina di verde per rendersi presentabile: il campo sperimentale di riso Tea, che dopo un faticoso iter autorizzativo aveva finalmente rappresentato la ripartenza del meglio della nostra ricerca del settore, è stato distrutto, dopo aver manomesso la telecamera di sicurezza e danneggiato le recinzioni metalliche di protezione.
Un mese fa, avevo scritto di come la ricerca finalmente mettesse radici anche nei campi italiani; ma questo è un paese dove una minoranza di perfetti idioti, accecati dall’ideologia e dal furore che questa scatena nelle menti più deboli, e allo stesso tempo non abbastanza coraggiosi da manifestarsi apertamente, pensa di cancellare con un vigliacco e violento gesto ciò che proprio per diminuire l’uso di agrofarmaci, per proteggere le nostre piante e i nostri campi e per salvaguardare una delle più importanti produzioni alimentari d’Europa si cerca di mettere a punto – piantine verdi che crescevano verso il futuro, e che una stupida e violenta zampata ha portato via.
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ENRICO BUCCI
A costoro auguro di poter presto sperimentare il prodotto della loro ignorante arroganza, nonché la punizione della giustizia, nella speranza che li raggiunga; ma in ogni caso, gli ignoranti che in questo paese vogliono affermare la propria prepotenza con simili gesti devono sapere che non otterranno altro risultato che l’evidenza di quanto sia finto e dannoso il loro ambientalismo vacuo, dannoso per l’ambiente, per l’agricoltura, per la ricerca e per il futuro.
La ricerca, invece, non si fermerà. La sperimentazione continuerà, e se non sarà in Italia, sarà altrove, perché la comunità scientifica per fortuna non conosce frontiere e bordi. Anche nel nostro paese si tornerà a piantare, si insisterà a spiegare, si continuerà a cercare di far capire e di dimostrare, a dispetto dei pochi farabutti che vandalizzano il lavoro degli altri e il futuro del paese.
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Ecoscemi da ecosmaltire
Non Silverstone dove si correva in moto (e dove se si avvicinavano li avrebbero manganellati per bene, per salvarli dai motociclisti appassionati), i talebani verdi han bloccato per un'ora i ciclisti. Ottima scelta autoinculante.
Lasciateli fare, poi usate la loro stessa arma merdosa vittimista: indignadevi contro di loro, per poi vedere di nascosto l'effetto che fa. i gretini segnano solo autogol.
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Un giardiniere, originario di Treviso, residente nel veneziano che in una pausa lavorativa stava visitando la mostra di Palazza Zabarella. Giovane ma non per questo attivista politico o militante di Ultima Generazione. Nella vicenda che ha portato al fermo e alla denuncia di sette persone ritenute in procinto di compiere un'azione per sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo la crisi climatica, c'è finito pure lui oltre ad Edoardo Fioretto, il giovane giornalista de Il Mattino portato in Questura insieme agli altri sei.
La notizia ha avuto una certa eco visto che non è, non per fortuna ma perché sancito dalla Costituzione, normale che un giornalista venga caricato su una volante solo per essere lì a fare il suo lavoro. E se il dubbio è che qualcuno lo avesse avvertito, a Fioretto, per esssere lì al posto e al momento giusto, per la stessa logica non si può dire lo stesso di chi ha fermato i 7 giovani? A meno che la Digos non abbia un infiltrato nell'organizzazione Ultima Generazione, fatto che sarebbe altresì curioso se non clamoroso, in qualche modo anche loro lo avranno pure saputo visto che anche loro erano lì, a Palazzo Zabarella. Ognuno fa il suo lavoro.
Detto questo, rimane la questione del sesto uomo. Se gli attivisti di Ultima Generazione arrivano ad autodenunciarsi, perché trattenere un giovane che tutti assicurano non c'entrare per nulla con quanto stava accadendo. Si trovava in un luogo pubblico, a una mostra per la quale c'è la fila ogni giorno, ha comprato il biglietto ed è entrato. Nulla di misterioso insomma. Una vicenda che poteva essere gestita un po' meglio a meno che l'intenzione sia quella di intimidire, anche la stampa in questo caso. Dopotutto è così dalla notte dei tempi, quando la politica non si prende in carico certe vertenze, inevitabilmente tutto diventa ordine pubblico. Ma così non dovrebbe essere in una democrazia matura. Di quanto accaduto se ne parlerà ancora visto che, come abbiamo già raccontato, la vicenda di Palazzo Zabarella sarà sottoposta all'attenzione del ministro Piantedosi sottoforma di interrogazione parlamentare.
E' chiaro che la Digos era al corrente delle intenzioni degli attivisti, altrimenti non si sarebbero trovati lì. Non stiamo parlando di una pericolosa organizzazione, anzi nel loro spirito è insito il concetto di resistenza passiva tanto che anche questa volta i cinque si sono autodenunciati. Più vicini a un gruppo di boy scout che a eco terroristi, per intenderci. Eppure è chiaro che le questure di tutta Italia sono impegnate molto seriamente su questo fronte. C'è un certo impegno nel cercare di fermare questa rete di attivisti. Ma al netto dei giudizi e tornando ai fatti di due giorni fa, è passato sotto traccia il fermo di questo che chiameremo, per semplicità, il sesto ragazzo. Assolutamente estraneo all'organizzazione eppure è stato portato lo stesso in Questura dove c'è rimasto oltre 4 ore, visto che quando il giornalista che è stato trattenuto per quel tempo, quando gli è stato finalmente permesso dì andarsene lo ha visto ancora lì. Foto segnaletiche, impronte digitali, un avvocato d'ufficio, solo per essere evidentemente stato nel posto sbagliato al momento sbagliato, al contrario di Fioretto che invece si trovava nel posto giusto, dove succedono le cose.
Questa vicenda, che è un mix pasticciato di buone intenzioni, non può non portare a fare una riflessione sui giovani. Se non partecipano e non si interessano alla politica, vengono classificati come menefreghisti, se lo fanno, è un attimo che vengano assimilati a pericolosi terroristi. Lo stesso discorso vale per la stampa. Se un giovane giornalista sta al suo posto, che è poi esattamente dove non dovrebbe stare, tutto bene. Appena si cominciano a prendere iniziative, che poi è insito sia nell'essere giovane che nel fare questa professione, cominciano i problemi. Qualche contraddizione da risolvere non ci pare tanto azzardato affermare che ci sia, evidentemente.
[...]
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(...) io accuso i terroristi di Hamas di atti genocidari contro la popolazione palestinese a Gaza e precisamente di uccisioni e torture sugli omosessuali e sugli oppositori politici; di gravi attentati all’integrità fisica e mentale dei Gazawi, quando utilizzano la popolazione, donne e bambini, come scudi umani, così come le scuole, le università, gli ospedali e le ambulanze a fini terroristici; di sottomissione intenzionale dei Gazawi a condizioni di esistenza che comportano la loro parziale distruzione, stornando gli aiuti internazionali a favore di sviluppo di armamenti e di finanziamento del terrorismo, confiscando gli aiuti umanitari ai civili e tenendo in ostaggio la popolazione nonostante i preavvisi israeliani di bombardamento; di misure che pregiudicano le nascite, privando le donne palestinesi di Gaza di cure di qualità, negli ospedali largamente usati come depositi di armi.
Io accuso Hamas di attacchi incessanti, tesi a minacciare la sicurezza territoriale israeliana, e di crimini di guerra e presa di ostaggi che hanno condotto lo Stato di Israele ad avviare una risposta militare di legittima difesa.
Io accuso Hamas di essere il solo responsabile della drammatica situazione dei Palestinesi a Gaza, fin dalla sua presa di potere nella Striscia, e della guerra che vi è condotta da Israele.
Io accuso Hamas, Hezbollah, gli Houti e l’Iran di intenzioni genocide contro la comunità ebraica, Israele, gli Stati Uniti e le nazioni occidentali
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di farsi portavoce di Hamas e della sua propaganda di fronte alle più alte istanze mondiali. Io li accuso di colpevole silenzio quando era necessario condannare la Siria, l’Afghanistan, lo Yemen, il Sudan, l’Iraq e l’Iran per genocidio contro le loro popolazioni e per crimini di guerra.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di rifiutarsi di prevenire e punire i propositi genocidari rivendicati direttamente e pubblicamente contro Israele.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di tacere sui massacri del 7 ottobre, che essi non considerano nel quadro della risposta israeliana
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori, per le ragioni sopra esposte, di portare di fronte alla Corte internazionale di Giustizia una causa infondata, politicamente motivata dal rifiuto del diritto dello Stato di Israele di esistere e di godere di una salda sicurezza territoriale.
Io accuso Jean-Luc Mélenchon e Jeremy Corbyn di essere gli intermediari politici dell’antisionismo propugnato da Hamas, rifiutando di riconoscere l’organizzazione come terrorista e attribuendogli attività di resistenza.
Io accuso l’Onu di mancanza di imparzialità nei confronti di Israele, fatta oggetto di diciassette risoluzioni di condanna nel 2020 contro sette per il resto del mondo (delle quali una contro l’Iran e una contro la Siria).
Io accuso l’Onu di un’incomprensibile cecità, fino all’8 gennaio 2024, di fronte agli stupri e alle mutilazioni sessuali inflitti il 7 ottobre 2023 in Israele.
Io accuso l’Onu di mancanza di obiettività di fronte alle informazioni diffuse da Hamas, concernenti le morti e gli attacchi attribuiti agli Israeliani. La penosa eco data dall’Onu alle false informazioni di Hamas sull’Ospedale Al-Shifa avrebbe dovuto metterci sull’avviso.
Io accuso l’UNRWA di complicità con i terroristi di Hamas a danno della popolazione civile. Condanno con la più grande fermezza il dirottamento da parte di Hamas dei fondi europei e internazionali verso il finanziamento di libri scolastici antisemiti, di armi e di infrastrutture belliche e il controllo del gruppo terrorista sul razionamento alimentare.
A più di cento giorni dal più grande pogrom subito da Israele e dal tentativo genocidario che si è trovato a combattere, io condanno l’indegna chiamata di Israele a rispondere all’accusa di atti genocidari, e porto il mio sostegno alla democrazia israeliana in questa insopportabile guerra politica di cui essa è bersaglio. Mi unisco agli israeliani che piangono i loro morti e condivido il loro terrore nel sapere che nel momento in cui Israele è giudicato per genocidio, 120 Israeliani sono ancora ostaggi dei gruppi terroristi nella Striscia di Gaza, vittime delle sevizie di cui quei gruppi sappiamo essere capaci.
Mi aspetto da parte della Francia lo stesso impegno della Germania a fianco degli Israeliani, un impegno chiaro e totale, e una condanna inequivocabile dell’iniziativa del Sudafrica.
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Ma che muti... sono tutti qua a fare eco alla propaganda dell'IDF (o dell'AIAD).
E noi qua in Italia sembra abbiamo i peggiori.
Nemmeno appunto in Israele o in US i media sono così schierati.
Che differenza c'è se in Ungheria hai un Orban che censura i media e qua hai dei media a pecora?
Però guai se fai notare che, se succedono queste cose in Israele o in Iraq, un po' è anche colpa nostra che abbiamo appunto una democrazia posticcia costruita sulle balle, allora sei un pacifinto nemico dell'occidente.
Quando i peggiori nemici dell'occidente sono loro che giorno dopo giorno inamidano una società costruita sulle balle, dove anche i giornali di "sinistra" rilanciano per settimane la notizia del commercialista diventato felicemente rider o della cameriera che fonda un franchising di poke, ma dove non c'è più mobilità sociale e quelli che parlano di meritocrazia sono Renzi e Calenda (srly?).
E alla fine... chi ti ritrovi al governo... un cognato o un Pillon... che parla né più né meno come un fondamentalista islamico... o appunto un Netanyahu e finisce che la colpa è tua... perchè non sei stato abbastanza "moderato", amico della NATO, non hai tifato abbastanza l'imPRENDITORIA patria.
E finirà che se non riescono più a nascondere bene il merdaio che stanno difendendo... al limite sarà colpa di Netanyahu, come se questa serpe non l'avessero allevata loro, così come si sono allevati un Orban o a suo tempo i Talebani.
E io pago. E uno pagherebbe volentieri se servisse a qualche cosa, così come non trovavo disdicevole che secchiate di soldi europei andassero ai paesi dell'ex patto di Varsavia... ma mentre si diceva che ci andavano per la democrazia, appunto ci siamo allevati gli Orban [*].
E oggi dobbiamo portare la democrazia nella striscia e eliminare Hamas... come se appunto non fosse stato proprio Bibi a sponsorizzare la presa di potere di Hamas nella striscia.
E io pago, ma sono pacifinto e nemico dell'occidente.
E poi trovi la gente che dice... "dov'erano le femministe quando...". Eh signora mia... ma io le tasse le pago qua, mica in Iran e se proprio vogliamo andare a vedere... sono stati i miei genitori a pagare le tasse per far si che la rivoluzione iraniana fosse indirizzata verso una teocrazia anzichè il socialismo e prima ancora a mettere il potere nelle mani dello Shah.
Quindi no... non è che le femministe erano distratte... ma a te che ti riempi la bocca di "pacifinto" amico dei terroristi, di sicuro non si può dare in gestione l'esportazione della democrazia, tanto meno dell'emancipazione femminile o delle pari opportunità. E sono 30 anni che predichi una cosa ma i risultati sono l'esatto opposto.
[*] e finchè si doveva sbandierare il fallimento del socialismo reale a favore del capitalismo finanziato a sbafo con i soldi europei, allora potevamo prendere lezioni di austerity pure dall'Ungheria... ma poi...
e chiaramente... la colpa è di Orban... non del fatto che all'imPRENDITORIA europea andava bene così. Rimodernare l'est europa a spese dei cittadini europei per poter accedere a un mercato del lavoro molto più economico.
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Soltanto chi ha a cuore il principio del rispetto della natura un giorno ringrazierà chi sta frenando questa “moda” dei concerti che sta già allargandosi ad altri eventi. Poi un giorno si dovrà chiedere scusa a chi è stato insultato da Jovanotti che ha apostrofato i critici Eco-Nazisti (lesa maestà), dai sindaci di sinistra (Menna di Vasto: “Eco-terroristi”, o di Viareggio che ora tace però Giorgio Del Ghingaro dopo l’obbligo imposto delle transenne perché un ricercatore e professore universitario aveva carta alla mano mostrato l’habitat naturale che si distrugge con le ruspe), sindaci di questa povera sinistra che fa il verso a Salvini e ai miei colleghi di destra e di sinistra perfino quelli che promettono di fare inchieste. Dipende.
Una carovana di “amici” del Jova che però si presenta dopo (e non prima) la spianata con le ruspe ai suoi concerti con al collo un pass VIP da 300 euro (costo sobriamente popolare più Madre Intesa che Teresa), tutta gente che crede a Jovanotti e ai suoi sponsor (certo milionari), tutta gente che ha voluto ridicolizzare perfino chi protegge il “fratino”, un uccello che nidifica sulle spiagge e che ha sempre meno spiagge anche a causa di questa moda. Non è diverso dall’aquila reale e come questa specie è a rischio di estinzione. Un indicatore ambientale, ma che importa vero?
Gente che si è attaccata alle giustificazioni imbarazzanti della foglia di fico di una associazione come il WWF Italia che quelle spiagge dovrebbe moltiplicarle e non “spianarle e poi rinaturalizzarle”,
parole che suona più ridicola e che scientificamente non ha senso se non dopo eventi naturali, non dopo le ruspe. Quella bella foglia di fico che ha permesso insulti e tutto il resto. Perfino facilitare il compito delle amministrazione comunali che
Regalano uno spazio pubblico (bel risparmio per Jova), un habitat seppure antropizzato è un habitat, per farlo calpestare da migliaia di persone anziché preservarlo. Non solo: hanno spesso anche usato soldi pubblici per aiutare la povera Trident che fatturerà milioni. Proprio così, i sindaci hanno pure speso, e vedremo se interverrà la Corte dei conti. Andiamo quindi tutti nel parco ora di Jovanotti, a Cortona, spianiamo il suo giardino, facciamo entrare migliaia di zoccoli che bevono e mangiano ali di pollo fritto anche se Jovanotti è vegetariano ma evidentemente lui è tollerante (non incoerente), entriamo nelle aree verdi intorno così belle, anche quelle già antropizzate, della ridente Toscana tanto si rinaturalizza. Tanto la TRIDENT toglierà tutta la plastica e pulira’ benissimo. Un giorno forse... ringrazierete chi ha guadagnato solo insulti per avere difeso una cosa di tutti e non gli interessi privati di Jovanotti, della Trident. Un giorno sperando non sia tardi, ma una cosa è certa: chi oggi vorrà seguire la moda del menestrello di sinistra ormai amato dalla destra, si troverà davanti i veri ambientalisti. Pochi ma buoni e forse neppure pochi visto che la coscienza collettiva è molto più critica che... spianata.
L'articolo de Domani sulla trasformazione in icona di destra di Raffaele Alberto Ventura https://www.editorialedomani.it/fatti/lincredibile-trasformazione-di-jovanotti-in-icona-della-destra-xo0sf59z
Sabrina Giannini
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Maria Soledad Rosas (Sole) raggiunge l’Italia nel giugno 1997, a ventitre anni. Ben presto si unisce ai movimenti anarchici e squatter attivi in Val di Susa all’interno dei quali conosce il suo futuro compagno Edoardo Massari (Baleno).
Il 5 marzo 1998 Sole e Baleno vengono arrestati insieme ad un altro militante, Silvano Pellissero, con le accuse di banda armata e associazione eversiva (art. 270 bis). Come spesso accade, i media enfatizzano i toni già cupi dell’iter giudiziario – guidato dai pm Laudi e Tatangelo – declamando il fantomatico ritrovamento di prove inesistenti mai comparse in sede processuale (sull’esito giuridico cfr https://www.infoaut.org/storia-di-classe/11-luglio-1998-muore-maria-soledad-rosas)
Come ricorda il brano There Will Be Trouble In Town (ci saranno guai) (composto dal cantautore Andrea Sigona: https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=33933&lang=it) il 28 marzo, dopo nemmeno un mese di carcere, Edoardo Massari viene trovato impiccato alla sua branda nel carcere torinese delle Vallette. Dal giorno successivo fino al 7 aprile Torino e molte altre città italiane vedono un susseguirsi di cortei organizzati per dimostrare solidarietà a Sole e a Silvano – entrambi ancora in carcere – che hanno immediatamente messo in atto uno sciopero della fame.
L’11 luglio Sole decide di togliersi la vita. In una lettera – ormai molto nota – Sole racconta di sé e del carcere, un’istituzione da cui – parafrasando un verso della canzone Solitudine, Hermana composta da Alessio Lega (https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=44115) – continua ancora a sgorgare troppo sangue.
Per abbracciare Sole, Baleno e tutt* coloro che in questi due giovani anarchici possono rispecchiare la propria esperienza carceraria, riportiamo di seguito quella lettera famosa che non sarà mai letta abbastanza:
«Compagni
la rabbia mi domina in questo momento. Io ho sempre pensato che ognuno è responsabile di quello che fa, però questa volta ci sono dei colpevoli e voglio dire a voce molto alta chi sono stati quelli che hanno ucciso Edo: lo Stato, i giudici, i magistrati, il giornalismo, il T.A.V., la Polizia, il carcere, tutte le leggi, le regole e tutta quella società serva che accetta questo sistema.
Noi abbiamo lottato sempre contro queste imposizioni e’ per questo che siamo finiti in galera.
La galera e’ un posto di tortura fisica e psichica, qua non si dispone di assolutamente niente, non si può decidere a che ora alzarsi, che cosa mangiare, con chi parlare, chi incontrare, a che ora vedere il sole. Per tutto bisogna fare una “domandina”, anche per leggere un libro. Rumore di chiavi, di cancelli che si aprono e si chiudono, voci che non dicono niente, voci che fanno eco in questi corridoi freddi, scarpe di gomma per non fare rumore ed essere spiati nei momenti meno pensati, la luce di una pila che alla sera controlla il tuo sonno, posta controllata, parole vietate.
Tutto un caos, tutto un inferno, tutto la morte.
Così ti ammazzano tutti i giorni, piano piano per farti sentire più dolore, invece Edo ha voluto finire subito con questo male infernale. Almeno lui si e’ permesso di avere un ultimo gesto di minima libertà, di decidere lui quando finirla con questa tortura.
Intanto mi castigano e mi mettono in isolamento, questo non solo vuol dire non vedere nessuno, questo vuol dire non essere informata di niente, non avere nulla neanche una coperta, hanno paura che io mi uccida, secondo loro il mio e’ un isolamento cautelare, lo fanno per “salvaguardarmi” e così deresponsabilizzarsi se anche io decido di finire con questa tortura. Non mi lasciano piangere in pace, non mi lasciano avere un ultimo incontro con il mio Baleno.
Ho per 24 ore al giorno, un’agente di custodia a non più di 5 metri di distanza.
Dopo quello che e’ successo sono venuti i politici dei Verdi a farmi le condoglianze e per tranquillizzarmi non hanno avuto idea migliore che dirmi: “adesso sicuramente tutto si risolverà più in fretta, dopo l’accaduto tutti staranno dietro al processo con maggiore attenzione, magari ti daranno anche gli arresti domiciliari”. Dopo questo discorso io ero senza parole, stupita, però ho potuto rispondere se c’è bisogno della morte di una persona per commuovere un pezzo di merda, in questo caso il giudice.
Insisto, in carcere hanno ammazzato altre persone e oggi hanno ucciso Edo, questi terroristi che hanno la licenza di ammazzare.
Io cercherò la forza da qualche parte, non lo so, sinceramente non ho più voglia, però devo continuare, lo farò per la mia dignità�� e in nome di Edo.
L��unica cosa che mi tranquillizza sapere e’ che Edo non soffre più. Protesto, protesto con tanta rabbia e dolore.
Sole
P.S. Se mettermi in carcere vuol dire castigare una persona, mi hanno già castigata con la morte o meglio con l’assassinio di Edo. Oggi ho iniziato lo sciopero della fame, chiedendo la mia libertà e la distruzione di tutta l’istituzione carceraria. La condanna la pagherò tutti i giorni della mia vita.» (fonte: http://ita.anarchopedia.org/Sole,_Baleno_e_Pelissero#Il_suicidio_di_Soledad)
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22 nov 2020 18:30
INTELLETTUALI E TERRORISMO – GALLI DELLA LOGGIA: ‘’COME GIÀ ACCADDE DOPO LA FINE DEL FASCISMO, ANCHE QUESTA VOLTA È STATA RIMOSSA UNA FASE CRUCIALE DELLA STORIA DEL PAESE: LA COLLUSIONE DELLE ÉLITE INTELLETTUALI CON BRIGATE ROSSE, LOTTA CONTINUA, POTERE OPERAIO – E VITTORIO FELTRI RICORDA L’IGNOBILE MANIFESTO FIRMATO DA 800 INTELLETTUALI PUBBLICATO DALL’ESPRESSO NEL 1971 CONTRO IL COMMISSARIO CALABRESI, “UNA SPECIE DI SENTENZA CAPITALE CHE POI QUALCUNO PROVVIDE AD ESEGUIRE” – FRA I NOMI DEI FIRMATARI SI TROVANO SCALFARI, PAOLO MIELI, BERNARDO VALLI, FURIO COLOMBO, UMBERTO ECO, DACIA MARAINI. OLIVIERO TOSCANI, DARIO FO, INGE FELTRINELLI, ALBERTO MORAVIA, PIER PAOLO PASOLINI E TIZIANO TERZANI…
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QUELLA RIMOZIONE SUI TERRORISTI ROSSI
Ernesto Galli Della Loggia per il “Corriere della Sera”
Che cosa fu il terrorismo italiano? Che cosa accadde davvero nell'Italia negli «anni di piombo»? Sono queste le domande che pone il libro di Mario Calabresi sull'assassinio di Carlo Saronio Quello che non ti dicono con la discussione che ne è nata anche in seguito a un' intervista con Aldo Cazzullo. Domande allora e poi rimaste almeno in certo senso senza risposta.
In verità di terrorismi, come si sa, in quegli anni ce ne furono due, uno nero e uno rosso. Ma del primo - tranne i suoi rapporti in parte tuttora oscuri con apparati deviati dei servizi di sicurezza, ciò che vale anche per l' altro - ormai sappiamo tutto quello quel che importa di sapere.
È vero, su alcuni episodi anche gravissimi come l' attentato alla stazione di Bologna restano dei dubbi soprattutto circa eventuali collegamenti internazionali, ma in generale conosciamo i fatti e i nomi dei responsabili e dei loro referenti. Il terrorismo nero fu opera di gruppi di giovani militanti delle organizzazioni neofasciste e neonaziste e di alcuni loro capi, ma fatto salvo quanto ho detto sopra, dietro di esso socialmente c' era il nulla ed esso non ha lasciato nulla.
Cosa ben diversa fu il terrorismo rosso. Perché dietro il terrorismo rosso ci fu un ambiente. Ci furono infatuazioni intellettuali diffuse, collusioni personali in buon numero, e un frequente voltarsi di molte «persone normali» da un'altra parte per poter dire di non aver visto né sentito. Tutto si svolse come in un crescendo.
Prima degli atti terroristici veri e propri, infatti, e a lungo intrecciata con essi, ci fu una vasta e dura violenza di strada. Auspicata, preparata ed esaltata dai gruppi dirigenti extraparlamentari di Potere operaio, Lotta continua, Avanguardia operaia, il Movimento studentesco.
La violenza dei cortei con le spranghe, con i caschi e i passamontagna, con le molotov; la violenza del ritornello «basco nero, basco nero, il tuo posto è al cimitero» gridato contro i carabinieri. Rapidamente nei luoghi sociali più inaspettati la legalità sembrò divenuta un optional.
Tutto ciò che appariva contestazione, rottura delle regole, eversione iconoclasta, venne divulgato dai cataloghi delle migliori case editrici, approvato da stuoli d'intellettuali influenti, predicato da cattedre autorevoli. La rivoluzione insomma assurse a fatto di moda, e come si sa una rivoluzione senza almeno un po' di violenza non s' è mai vista.
Fu questo clima che preparò la successiva omertà nei confronti del terrorismo che ci sarebbe stata per tutti gli anni a venire. La quale è stata sì, anche un' omertà generazionale, come ha scritto Giampiero Mughini, ma assai di più, mi pare, è stata un' omertà sociale e culturale.
Un' omertà che ha visto protagonisti specialmente ambienti significativi di borghesia democratica laica e cattolica di alcune città simbolo del nostro Paese - Milano, Roma, Firenze, Torino - , la quale, direttamente o per il tramite dei propri figli, si trovò in varia misura a costeggiare fatti o protagonisti dell'eversione rossa.
E anche a condividerne il retroterra ideologico; talvolta non sapendo né vedere né capire; più spesso, invece, vedendo e capendo benissimo ma restando zitta perché incapace di dirsi contro o perché percorsa dal pericoloso brivido della complicità.
È a causa dell'atteggiamento di questi settori della classe dirigente - incaricata assai spesso di importanti ruoli di direzione culturale e intellettuale - che ha preso piede un meccanismo di rimozione di questo passato. E così, come già accadde dopo la fine del fascismo, anche questa volta è stata rimossa una fase cruciale della storia del Paese.
È stato rimosso il deposito di suggestioni e di modi di pensare che negli anni 60 e 70 numerose élite intellettuali e molti esponenti di una certa borghesia colta fecero propri sotto l' influenza della sinistra di orientamento marxista.
E insieme è stata rimossa tutta una serie di comportamenti conseguenti, vale a dire i molti casi di una condotta compiacente o benevolmente accomodante, quando non concretamente collusa, con la violenza e con lo stesso terrorismo, con le giustificazioni e gli attori dell' uno e dell' altro.
Ma la rimozione evidentemente non poteva che valere per tutti.
Per chi stava negli studi professionali, nelle aule universitarie o nei salotti, come per chi invece frequentava da militante le strade e le piazze. Nessuna meraviglia dunque se - come si legge nelle parole del figlio del commissario Calabresi che ha rifiutato di stringere la mano ad alcuni di loro incontrati casualmente - nessuna meraviglia, dicevo, se da molto tempo ci troviamo in mezzo a noi capi e sottocapi dei gruppi extraparlamentari i quali a suo tempo si fecero banditori di violenza o in vario modo non si tirarono indietro neppure davanti al terrorismo.
Non solo indisturbati e magari con ruoli importanti in questo o quel settore (di preferenza giornalistico-culturale), ma magari anche pronti a farci lezioni di moralità e di civismo, a spiegarci le regole della democrazia.
Naturalmente senza essere stati mai costretti a ricordare nulla, senza aver mai ammesso nulla, senza aver chiesto mai scusa di nulla. Fiduciosi per l'appunto nella generale rimozione scesa dall'alto sul passato della Repubblica. Un passato che tuttavia chi ha buona memoria e conserva in casa qualche libro e qualche giornale ricorda ancora benissimo.
OGNI TERRORISTA E’ FINITO AL ROTARY
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
Mario Calabresi, già direttore de La Stampa e de la Repubblica, recentemente ha dichiarato di non aver stretto la mano a tre signori che in qualche modo avrebbero collaborato a uccidere suo padre, il famoso commissario vittima di un attentato terroristico ordito dai militanti di Lotta Continua negli anni Settanta.
Ha ragione il nostro illustre collega, che delle proprie faccende familiari ne sa più di noi e ha il diritto di discuterne pubblicamente, manifestando sentimenti e perfino rancori. Il mio babbo morì giovane nel letto di un ospedale e non ho motivo di prendermela con alcuno, il destino è insindacabile, mentre gli assassini non possono essere dimenticati, tantomeno perdonati.
Al posto di Calabresi sarei ancora più arrabbiato di lui, e oltre ai tre farabutti a cui giustamente ha rifiutato un saluto tradizionale, ce l'avrei anche con tutti coloro, numerosi, che all'epoca firmarono un documento ostile a suo papà, una specie di sentenza capitale che poi qualcuno provvide ad eseguire.
Si trattava di intellettuali veri o presunti, ovviamente di sinistra spinta, i quali erano persuasi che l'onesto agente fosse responsabile del suicidio di Pinelli, un anarchico sospettato della strage di piazza Fontana, gettatosi, o gettato, dalla finestra della questura. Ovvio che il poliziotto non fosse colpevole, tuttavia a quel tempo le accuse alle forze dell' ordine si dispensavano un tanto al chilo, evitando con cura di dimostrarle.
Cosicché Calabresi passò, complici giornali e giornalisti, per malvivente quando invece aveva la coscienza linda. E dopo un po', sulla spinta delle maldicenze che lo colpirono, fu ammazzato all'uscita di casa. Vabbè, transeat.
Ora conviene rammentare che i firmatari del citato documento contro il commissario dovrebbero vergognarsi, invece continuano a concionare badando bene di non rievocare che sull'omicidio del funzionario pesarono i loro giudizi sommari.
Ciò che va segnalato è il fatto menzionato ieri sul Corriere da Galli della Loggia, e cioè che i mandanti morali del delitto ancora oggi sono sulla cresta dell' onda, gente che ha saltato il fosso transitando dal filoterrorismo al Rotary, che occupa posti importanti nel settore della comunicazione e in quello politico, seguitando a predicare. Naturalmente non faccio nomi, però chi volesse approfondire il tema è in grado di recuperare su Internet il verdetto sottoscritto dalla banda filocomunista per additare al pubblico ludibrio l'eroico uomo dello Stato. Al cui figlio, rispettosamente, consiglio di allargare la cerchia dei brutti ceffi a cui non stringere la mano.
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Vantaggi e svantaggi di internet
L’approccio che ciascuno di noi ha nei confronti di Internet ci riporta alla antica dicotomia coniata da Umberto Eco, che vede gli “ apocalittici ” e gli “ integrati ” ovvero coloro che ne vedono solo i lati negativi e quelli che ne considerano solo i vantaggi. Come in tutte le cose, la verità sta nel mezzo: la rete ha le sue potenzialità e i suoi pericoli. Sin dalla metà degli anni ’90, anni in cui la rete si è sviluppata al grande pubblico, Internet si è caratterizzata come una rete fondamentalmente “ anarchica ” cioè priva di regolamentazione effettiva. Per altri invece, la rete rappresenta un esempio di libertà di espressione e democrazia globale che va quindi tutelata.
In questo post elencherò in breve le tesi dell'accusa e della difesa di questo processo immaginario.
fonte: google immagini
Aspetti positivi
L’elenco delle migliorie apportate dal web nel mondo potrebbe essere davvero infinito. Internet ha abbattuto i confini geografici e culturali tra i popoli. E’ diventato un forte strumento divulgativo: tutti possono, con un click, accedere o divulgare ogni tipo di informazione, attraverso video, blog, siti web, e-mail, chatting, ecc., rendendola una rete fondamentalmente “ultrademocratica”. Molti servizi tradizionali sono disponibili on line: pagare bollette, prenotare un volo o una vacanza, eseguire operazioni di home banking; acquistare beni e servizi sono ormai operazioni velocissime e sicure h24 7 giorni su 7. La rete si è affermata come canale pubblicitario, promozionale e commerciale. Inoltre oggi è possibile lavorare da casa, tramite reti VPN con le quali ci si connette all’interno di reti aziendali lavorando sugli stessi software e documenti presenti nella rete delle aziende, con un minore utilizzo dei mezzi di trasporto e con grande beneficio per l’ambiente oltre che per la tranquillità dei lavoratori che evitano così lo stress degli spostamenti e del traffico. Tutte le forme di intrattenimento si sono sviluppate via internet. I film li guardiamo in streaming, le lezioni a cui non si è potuto assistere in presenza, a scuola o all’università, le seguiamo dai video dei professori, montiamo i nostri mobili e cuciniamo i nostri piatti preferiti guardando i tutorial. Ritroviamo i nostri amici e parliamo con loro in qualunque parte del mondo si trovino. Internet quindi facilita l’apprendimento attraverso le infinite pagine educative di cui è composto, consentendo di esplorare altre culture e ideologie che altrimenti sarebbero state impossibili. Come pure ci consente di condividere conoscenze e pensieri su questioni globali (altri aspetti positivi sono meglio evidenziati e analizzati nel post precedente).
Aspetti negativi
fonte: https://www.oldwildweb.com/gli-svantaggi-di-internet.html
Internet ha decisamente impattato sulle nostre esistenze, in modi che in alcuni casi si sono rivelati con il tempo deleteri. Un esempio è quello della mancanza di privacy . Internet fa sì che tutto ciò che facciamo al suo interno sia monitorato e noto a soggetti di cui spesso non abbiamo una totale consapevolezza. Dalle nostre navigazioni sui browser, le compagnie che raccolgono i nostri dati, li rivendono a scopo pubblicitario, statistico, o qualsiasi altro fine gli porti vantaggio. Non bastano le leggi a tutelarci: attraverso i social media, poi, la nostra vita più personale viene immagazzinata su piattaforme che, anche qui, la utilizzano a scopi commerciali e ne conservano le tracce per tempi lunghissimi. Oggi, attraverso i profili FB o Instagram è possibile sapere tutto di tutti. L’utilizzo sfrenato dei social, specie tra gli adolescenti cosiddetti “ nativi-digitali ” ha reso molto difficile affrontare le problematiche faccia a faccia. A tutto ciò bisogna aggiungere che non essendoci un controllo regolare, gli attacchi alla sicurezza informatica da parte di pirati informatici ( cracker) con intenzioni malevoli quali ad esempio attacchi di negazione del servizio e furto di dati personali dell’utente (password, codici di autenticazione, clonazione delle carte di credito, ecc), nonché truffe ai danni dei consumatori attraverso false e-mail o ancora diffusione di virus a catena. I meccanismi di phishing sono diffusissimi. Internet è sfruttata dai pirati informatici per diffondere gratuitamente materiale coperto da copyright che andrebbe acquistato regolarmente. Qualsiasi software viene aperto e condiviso gratuitamente su internet, film, musica, libri, riviste. La pirateria causa gravi danni economici a software house, case discografiche, editori, aziende cinematografiche, ecc.
fonte: google immagini
Altro svantaggio della rete è quello che ci rende molto manipolabili. Con il nostro smartphone o pc davanti agli occhi, siamo molto soli e vulnerabili di fronte a una marea di informazioni, spesso false o distorte. Chi è più bravo a gestire questo nuovo potere dato dalla rete può riuscire a farsi eleggere a capo di un paese, anche se non ha alcuna altra capacità. I social influiscono sul nostro umore in quanto amplificano le emozioni facendo leva sulla solitudine. L’abuso dei social innesca la “ paura del contatto fisico e reale ”. Si comunica scrivendo, le emoticons hanno preso il posto delle parole, sia perché carine da utilizzare, sia perché più veloci e che ci consentono di ridurre i tempi delle nostre conversazioni. Spesso i pazienti preferiscono relazioni psicoterapeutiche on line; ci sono coppie di fidanzati che non si sono mai conosciute di persona, ma dicono di amarsi, in tanti sono spontanei, interessanti, divertenti dietro lo schermo, ma tengono gli occhi bassi e si vergognano se devono parlare con piccoli gruppi di persone fisicamente reali. Quando scendono in campo “Troll” e “Haters” internet diventa trash, una vera pattumiera. Questi individui si nascondono dietro una un nickname sapendo di essere difficilmente perseguibili, sporcano il web rendendolo offensivo e squallido, offendendo senza motivo altre persone, ideologie religioni, in maniera incontrollata, senza nessun scrupolo e senza nessun motivo. Gli effetti dell’abuso di internet si ripercuotono in tutte le sfere della nostra vita, lavorativa (dedichiamo meno tempo al lavoro, distratti dalla rete), familiare (si diventa scontrosi anche in famiglia e si vivono poso le relazioni familiari), sociale (impoverimento delle relazioni reali a favore di quelle virtuali, mancanza di interesse per la vita quotidiana e abbandono delle responsabilità). A questi si aggiungono anche effetti correlati come la diminuzione della capacità di attenzione e della memoria a breve e lungo termine. Non è trascurabile che tra le cause più comuni di incidenti stradali vi è l’abuso dei social network e chat che causerebbero fatali distrazioni alla guida.
Internet ha creato nuove dipendenze, riconosciute come patologie.Inoltre essendo accessibile anche dai minorenni ha dato vita al fenomeno dei cosiddetti adescatori on line. Si tratta di persone che cercano di ammaliare minorenni, donne e persone deboli sul web per poi incontrarle e abusarne. Altro grave rischio derivante dall’abuso di Internet e in particolare dei social, è quello della violenza psicologica. Pensiamo al Cyberbullismo in cui il bullo, trascinandosi altre persone prende di mira la sua vittima, che, indifesa di fronte a tale forza, vedendosi lesa la propria libertà, si chiude nella solitudine e al mondo sociale, con conseguenze a volte drammatiche. Questo fenomeno ha richiesto l’intervento di leggi speciali e unità speciali di polizia in ogni parte del mondo.
In un’epoca in cui predichiamo la libertà, siamo in realtà, più schiavi di prima perché è il web che sceglie per noi. Le fake news sono spesso condivise in modo virale per creare scandali o notizie bomba ad elevato impatto mediatico. Ciò allo scopo di far guadagnare denaro ai burattinai attraverso una rete di pubblicità on line, oppure per influenzare le masse, ad esempio per far guadagnare voti ai politici, diffondere odio verso le minoranze o semplicemente beffare le vittime.
Il deep web è poi il lato più profondo di internet dove le attività illegali trovano rifugio. E’ un insieme di sotto reti di internet cifrate, attraverso le quali i criminali possono offrire anonimamente i servizi illegali a chiunque, in cambio di Bitcoin. Sfruttando la criptazione o nascondendosi dietro servizi apparentemente innocui, come ad esempio le chat dei videogames, i terroristi riescono a comunicare bersagli, organizzare atti criminali e coordinarsi in maniera efficiente e precisa. Spesso nei social network nascono delle folli mode, come ad esempio le sfide di selfie estremi . Non sono mancati anche casi di suicidi di massa organizzati on line, sfide mortali di vario genere.
In definitiva possiamo affermare che i problemi più grandi riguardo internet derivano dall’uso non corretto che se ne può fare. Sicuramente Internet ha più vantaggi che aspetti negativi, ma bisogna saper gestire l’uso della rete, il tempo da dedicargli, valutando ciò che si vede e legge, attribuendo il giusto peso e l’importanza che merita. E’ fondamentale istruire i più piccoli che si avvicinano a internet per consentire loro di capire cosa è utile e cosa è dannoso nell’utilizzo della rete.
Simone Telesca
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Branco, fascinazione e nichilismo: l'Isis 2.0 spiegato da De Giovannangeli
Branco, fascinazione e nichilismo: l'Isis 2.0 spiegato da De Giovannangeli Un pezzo di Umberto De Giovannangeli da leggere e discutere: La "car Jihad" che semina morte nel cuore di Barcellona, è "solo" un frammento di una strategia invasiva. Targata Isis 2.0 Una sconfitta che può trasformarsi in un incubo. Un incubo che è già diventato realtà: Barcellona, Parigi, Bruxelles, Nizza, Strasburgo, Monaco, Berlino, Manchester, Londra, Colonia, Stoccolma... Solo in Germania nove attacchi in un anno. Duemila foreign fighters con passaporto britannico addestratisi in Iraq, in Siria, in Libia, sono, quelli rimasti in vita, rientrati in patria per scatenare la Jihad globale. E lo stesso vale per i "fighters" tedeschi, francesi, belgi, olandesi, italiani... In rotta a Mosul, accerchiati a Raqqa, in difficoltà in Libia, i comandi militari del Daesh hanno deciso di puntare all'Europa come nuova trincea avanzata della lotta per il "Califfato". Il "Califfato" globale. Il numero dei foreign fighters partiti dall'Europa per combattere in Siria e Iraq, secondo le ultime stime è tra i 3.922 e i 4.294 individui, tutti pronti a morire per la bandiera dell'Isis. La maggior parte, 2.838, sono partiti da soli quattro Paesi europei: Belgio, Francia, Germania e Regno Unito. Quelli che sono tornati in patria, sono circa il 30%, indicativamente tra 1.176 e 1.288. Il censimento è dell'International Center for Counter-Terrorism (Icct) dell'Aja. Un recente studio dell'Istituto Elcano ha rilevato che dei 150 jihadisti arrestati in Spagna negli ultimi quattro anni 124 (l'81,6%) erano collegati all'Isis e 26 (il 18,4%) ad al-Qaeda. Se ritirata è, quella delle milizie di al-Baghdadi, è una ritirata strategica. Un passo indietro, per colpire mortalmente l'Occidente e, in esso, l'Europa. Raqqa, Mosul, Sirte, Fallujia non sono più difendibili: troppo possente è la potenza di fuoco messa in atto dalle coalizioni, quella a guida americana e quella russa, per poter reggere da parti dei terroristi di Daesh. Meglio ripiegare nello spazio desertico fra il Maghreb e l'Africa Occidentale, a cavallo di confini desertici inesistenti fra Mali, Niger, Mauritania, Algeria, Libia e Ciad, un'area ideale dove riorganizzare le cellule dopo le sconfitte subite in Medio Oriente e da lì, nel Sahel, provare a dar vita al "Califfato del Maghreb" e al tempo stesso riorganizzare le forze e coordinare gli attacchi all'Europa. In Europa a scatenarsi non sono più solo i "lupi solitari". Perché i "lupi jihadisti" agiscono sempre più in branco, come dimostrano gli attacchi a Barcellona, Cambrils e Alcanar, si strutturano in cellule compartimentalizzate, i cui membri sono legati in termini generazionali e parentali, acquisiscono elementi fondamentali per colpire attraverso la rete di siti on line legati all'integralismo islamico armato. Oltre la suggestione della Jihad che si fa Stato. Di più: Califfato. Oltre la dimensione integrista-religiosa che si fa legge – la "sharia" - e regola ogni atto della vita quotidiana del miliziano. La "fascinazione" dell'Isis non è nelle sue indubbia capacità mediatiche, né in una invincibilità militare fortemente intaccata sia in Iraq (Mosul) che a Raqqa (Siria). E non sta neanche nella figura, tutt'altro che carismatica, di Abu Bakr al-Baghdadi. La forza dell'Isis, quella che attira a sé migliaia di giovani con passaporto europeo, è la sua narrazione. Come ben argomenta Olivier Roy nel suo libro "Generazione Isis. Chi sono i giovani che scelgono il Califfato e perché combattono l'Occidente" (Feltrinelli 2017) , il fascino dell'Isis risiede nella "volontà del movimento, presente fin dalle origini, di creare un nuovo tipo di 'homo islamicus', staccato da tutte le appartenenze nazionali, tribali, razziali o etniche, ma anche familiari e affettive, per creare una nuova società a partire da una sorta di tabula rasa..". La fascinazione è in questo, così come l'elemento di novità dell'Isis sta, riflette Roy, nell'associazione di jihadismo e terrorismo con la ricerca deliberata della morte. Non è dunque l'Islam che si radicalizza ma, guardando all'identikit dei terroristi entrati in azione in Europa, da Parigi a Bruxelles, da Nizza a Manchester, da Monaco a Berlino e Londra, e ora a Barcellona, ciò che colpisce è il fatto che, tranne pochi casi, i jihadisti non passano alla violenza dopo una riflessione sui testi. Per farlo, rimarca ancora lo studioso francese, "dovrebbero disporre di una cultura religiosa che non hanno e, soprattutto, non sembrano intenzionati ad acquisire. Non si radicalizzano perché hanno letto male i testi o sono stati manipolati: sono radicali perché vogliono esserlo, perché è solo la radicalità ad attrarli...Non è l'Isis che è andato a cercare i giovani di Molenbeek o di Strasburgo, sono loro che sono andati all'Isis". La radicalizzazione precede il reclutamento, ed essa avviene in genere al di fuori dell'ambiente sociale circostante. Non è il "Paradiso di Allah" ad esercitare su di loro una fascinazione che li porta ad ambire a chiudere la loro vita da "shahid" (martiri). Ad affascinarli è l'idea della "bella morte". Qui, e viene in soccorso ancora Roy, "sta il paradosso: questi giovani radicali non sono utopisti, sono nichilisti in quanto millenaristi. Il domani non sarà mai all'altezza del crepuscolo. Si tratta della generazione no future". Il loro avvicinamento alla Jihad globale non si fonda tanto sulla condivisione dei precetti più estremi dell'Islam radicale, quanto sulla convinzione che il riscatto dei diseredati, se un tempo passava attraverso il terzomondismo "modello Che" oggi s'incarna nella sollevazione contro l'Occidente colonizzatore operata dai seguaci di al-Baghdadi. Sociologia più che religione. Volontà sovversiva globalizzata. La Jihad come tratto identitario unificante. Molti di loro non hanno alle spalle storie di disperazione sociale, di nuclei famigliari distrutti, la loro conversione all'Islam è un processo di identificazione con una causa per la quale vale la pena combattere e sacrificare la propria vita. Alcuni cercano di fuggire dall'emarginazione, hanno conosciuto il carcere per piccoli furti o spaccio, ma altri, la maggioranza, è alla ricerca di una realizzazione personale. Quella che prende forma è una identità transnazionale messa al servizio della comunità in pericolo. "Lungi dal ridursi ai capricci di una barbara idiosincrasia culturale – annota Pierre-Jean Luizard nel suo libro "La trappola Daesh. Lo Stato islamico o la Storia che ritorna" – il discorso dello Stato islamico è portatore di una potente dimensione universalista che seduce oltre le frontiere della sua base sunnita mediorientale. Quando si rilegge 'Lo Scontro di civiltà' di Samuel Huntington, si viene colpiti dal gioco di specchi che si instaura con le concezioni del salafismo jihadista. Lo Stato islamico riprende a volte parola per parola la tesi di Huntington al fine di inscenare questo 'scontro di civiltà'. Non si tratta di un conflitto tra due culture, tra Oriente e Occidente – prosegue Luizard , storico e direttore di ricerca al Cnrs – tra arabismo e mondo euro-atlantico, ma uno scontro tra titani, tra Islam e miscredenza. E, nell'Islam, ognuno è benvenuto, anche gli europei biondi con gli occhi azzurri di origine cattolica, come, d'altro canto, la miscredenza include anche arabi e cattivi musulmani... Questa universalità (dell'Isis, ndr) che trascende ogni limitato particolarismo e questo radicamento nella costruzione di una 'utopia' concreta sul campo incontra una eco importante tra giovani che vivono in Occidente...". L'integrismo islamista cancella l'idea di Stato-nazione, la considera il frutto avvelenato del colonialismo crociato, ne attenta l'esistenza, in nome della "umma", la comunità dei musulmani che non ha confini, di certo non quelli tratteggiati agli inizi del secolo scorso dalle potenze coloniali francese e britannica con gli accordi di Sykes-Picot, e non conosce singole identità nazionali. L'Occidente sta favorendo non solo l'islamizzazione delle radicalità ma il radicamento di questa suggestione ben al di là dei miliziani della Jihad globale. La nuova leva di foreign fighters risulta più difficile da individuare perché l'avvicinamento alla Jihad globale non avviene attraverso la frequentazione delle moschee radicali nel Vecchio Continente, poste sotto controllo dai servizi di sicurezza occidentali. La frequentazione di ragazzi di origini arabe avviene nelle palestre, le prime manifestazioni a cui si partecipa hanno origine dalla rabbia sociale piuttosto che in solidarietà verso i "fratelli mujaheddin" iracheni, siriani, palestinesi. I "radicalizzati" usano il web per le lezioni coraniche e dal web traggono i contenuti motivatori di un nuovo terzomondismo che vede proprio nel jihadismo militante l'opportunità di combattere le ingiustizie perpetrate dall'Occidente. E al web affidano la propria determinazione distruttiva: "Uccidere gli infedeli, e lasciare solo i musulmani che seguono la religione", era il messaggio lasciato sui social due anni fa da Mousa Oukabir, il diciassettenne ricercato quale presunto conducente del furgone della strage di Barcellona. Al di là del dato quantitativo, quello che colpisce è la potenza della Rete, dei social network, dei siti legati alla galassia dell'estremismo islamico, per mezzo dei quali sia l'Isis che al-Qaeda riescono a fare opera di proselitismo, a raggiungere, indottrinare e addestrare centinaia di migliaia di giovani", rimarca una fonte d'intelligence da anni impegnata nel contrasto al jihadismo armato. "Emerge con sempre maggiore evidenza – aggiunge la fonte – l'importanza che sia lo Stato islamico che la nuova al-Qaeda danno alla "mediatizzazione" del loro agire. I filmati che postano sono sempre più sofisticati ed è chiaro che a confezionarli sono dei professionisti. Si tratta di un reclutamento mirato, ancora più importante dell'addestramento militare". Le parole chiave della nuova strategia jihadista 2.0 sono viralità e coinvolgimento: snodi centrali di una propaganda orientata sui social media. La decapitazione dei due reporter di guerra Foley e Sotloff, a suo tempo, non ha soltanto riempito le prime pagine dei principali quotidiani online, ma ha anche generato una escalation virale su piattaforme come Twitter e Youtube. Su quest'ultimo social sono stati pubblicati circa 175mila video riguardanti la decapitazione di James Foley: tra questi soltanto i tre più popolari hanno generato circa sette milioni di visualizzazioni. È quanto era emerso da una ricerca realizzata da "IlSocialPolitico.it", magazine che indaga sulle attività 2.0 di politica, istituzioni, "influencer" e fenomeni sociali. "Per i gruppi jihadisti la guerra di propaganda è dunque altrettanto decisiva di quella in armi sul campo di battaglia. Il cyber-jihad permette di far conoscere la propria visione del mondo, di intimorire e minacciare il Nemico, di reclutare...", rimarca Renzo Guolo nel suo libro "L'Ultima utopia. Gli jihadisti europei". È il nichilismo che si fa Jihad. Sono i "banlieusards" che arrivano al terrorismo attraverso un percorso fatto di segregazione spaziale, segregazione sociale, disperazione, rivolta, fuga. E, alla fine" immolazione. "I giovani jihadisti di banlieu – rileva in proposito Guolo – hanno percorsi simili. Vengono da famiglie numerose, spesso caratterizzate dalla dissoluzione dei legami genitoriali e da un tenore di vita sotto le soglie di povertà; hanno alle spalle un percorso segnato dall'insuccesso scolastico, dalla vita di strada, dalla deviazione e dal carcere. Questo grumo di insoddisfazione e rabbia culmina nell'intenzione di vendicarsi di una società percepita come ingiusta, alla quale vengono imputati i propri fallimenti". Emarginazione e non solo. Rileva Nabil El Fattah, già direttore del Centro di Studi strategici di Al- Ahram del Cairo, tra i più autorevoli studiosi arabi dell'Islam radicale armato: "Basta studiare le biografie di alcuni dei foreign fighters europei morti in Siria o in Iraq o anche di alcuni degli attentatori di Parigi o di Bruxelles: non siamo di fronte a dei disperati che devono vendicarsi della fame patita, ma abbiamo a che fare con individui che trovano nella suggestione politico-terroristica del Califfato un ancoraggio identitario, una ragione di vita e di morte. Per contrastare questa deriva, non è solo questione di intelligence, di sicurezza, di militarizzazione delle città, né bombardare a tappeto Raqqa o Mosul. Quella che va condotta è anche una battaglia culturale", avverte lo studioso egiziano. E sulla stessa lunghezza d'onda si muove Loretta Napoleoni quando, a conclusione del suo libro: "Isis. Lo Stato del terrore", annota: "Esiste una terza opzione tra il fallimento della Primavera araba e i successi dello Stato islamico? Sì, esiste, e riguarda l'istruzione, la conoscenza e la comprensione dell'ambiente politico in evoluzione in cui viviamo, gli stessi strumenti usati in passato per dar vita con successo al mutamento politico non in maniera cruenta ma con il consenso, cosa che tanto i giovani combattenti degli smartphone quanto i colletti bianchi della politica continuano a non capire". E se questa incapacità-non volontà di comprendere permarrà, una cosa è certa: l'Isis sarà probabilmente sconfitta in Siria e Iraq ma il "nichilismo che si fa Jihad" troverà altre forme e altre sigle per manifestarsi. E colpire. Barcellona docet. (fonte)
Un pezzo di Umberto De Giovannangeli da leggere e discutere: La “car Jihad” che semina morte nel cuore di Barcellona, è “solo” un frammento di una strategia invasiva. Targata Isis 2.0 Una sconfitta che può trasformarsi in un incubo. Un incubo che è già diventato realtà: Barcellona, Parigi, Bruxelles, Nizza, Strasburgo, Monaco, Berlino, Manchester, Londra, Colonia, Stoccolma… Solo in Germania nove…
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Leggo sulla rassegna stampa:
"Da eco-imbecilli a eco-terroristi. Scoperta cellula che progettava un attentato all'oleodotto di Trieste".
Ricordo che anche le BR cominciarono in questa maniera, con azioni dimostrative che passarono per ragazzate a cui non si dette granché importanza. Anzi, molti di sinistra simpatizzavano per questi giovani e per le loro "giuste" rivendicazioni. Inoltre quando le azioni, da dimostrative, divennero fatti di sangue li ebbero a definire "compagni che sbagliano".
Mi pare si stia ricalcando le stesse orme di cinquanta anni fa, con la sinistra che cerca di giustificare queste ragazzate "di poco conto", anzi, sono "giuste" rivendicazioni.
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SE UN ALBERO CADE / IF A TREE FALLS
“If a tree falls”, è la storia dell'Earth Liberation Front. La prima del film diretto da Marshall Curry e Sam Cullman ha avuto luogo nel gennaio 2011 al Sundance Film Festival, dove ha ricevuto il premio Documentary Film Editing Award. Il 24 gennaio 2012, “If a tree falls” è stato nominato per l'Oscar nella categoria come miglior documentario.
Il sottotitolo del documentario potrebbe essere: “Non toccare mai gli interessi del capitale, altrimenti sei un terrorista”. Infatti, con l'Operazione Backfire, avviata dal Federal Bureau of Investigation nel 2005, nel dicembre dello stesso anno sono stati arrestati 14 membri di una cellula dell'Earth Liberation Front con l'accusa di eco-terrorismo. Il gruppo è stato considerato come “la più grande minaccia interna” da parte dell'FBI. Tra gli arrestati c'era Daniel McGowan. Il documentario mostra la storia della cellula di attivisti secondo la testimonianza di McGowan. Il quale è stato accusato di incendio doloso e cospirazione, con una condanna a 7 anni di prigione e a pagare un risarcimento di 1,9 milioni di dollari. McGowan descrive le sue opinioni e le motivazioni che l'hanno portato a partecipare alla cellula. Il film affronta anche l'arresto e il processo dei membri del gruppo. E tratta il seguente problema: se sia corretto definire i membri dell'Earth Liberation Front come terroristi e quanto siano efficaci le forme tradizionali di protesta pacifica per salvare la natura dal profitto e dalla deforestazione selvaggia.
Rob Benatti, l'orso ecologista profondo. @re_wording
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La scorsa settimana è stata caratterizzata dall’esprimersi feroce della repressione nella città di Torino e dall’esplosione della rabbia e della solidarietà in questa così come in altre città.
Uno spazio occupato di Torino – l’Asilo – è stato sgomberato dopo 24 anni di occupazione, lotta e resistenza. Sei compagn* sono stati arrestat* con l’accusa di associazione sovversiva nell’ambito dell’operazione denominata “Scintilla”. Altre dieci persone sono state arrestate durante il corteo che sabato ha riempito le strade di Torino: alcune di loro sono arrivate al carcere dopo essere passate per l’ospedale a causa della violenza delle guardie. Altre tre persone erano state fermate nella giornata di giovedì durante i disordini che hanno accompagnato la procedura di sgombero: al momento risultano in libertà e per una di loro è stato comminato il divieto di dimora da Torino.
Un bilancio grave ma che non sconvolge. Un bilancio che si inserisce pienamente nei tempi attuali, segnati dall’inasprirsi della repressione, dal contrasto alle lotte, dalla chiusura degli spazi di autorganizzazione, dalla marginalizzazione delle persone che infastidiscono lo sguardo del cittadino medio benpensante a colpi di decreti sicurezza. L’importanza di inserire questa ennesima operazione di polizia in un contesto più ampio è cruciale se vogliamo decostruire da subito la narrazione che i media stanno proponendo.
In queste ore le varie testate giornalistiche continuano a descrivere l’Asilo e le compagne e compagni che in questi anni hanno costruito quella realtà come dei mostri, ‘terroristi’ fuori dalla realtà, facendo eco a Questura e politici nel cercare di spaventare le persone ‘normali’ e cercando di fiaccare l’amore e la solidarietà per uno spazio sgomberato e per le persone arrestate.
Istituzioni e media, dipingendo uno scenario in cui ci sono occupanti buoni e occupanti cattivi, cercano di tagliare il collegamento tra l’Asilo e il resto delle persone che quotidianamente portano avanti diverse forme di resistenza.
Lo spauracchio del linguaggio da anni di piombo ci fa sorridere e non perché le lotte portate avanti in questi anni anche con il contributo dei compagni e delle compagne dell’Asilo non siano state determinate, ma piuttosto perché non si può non essere solidali con quelle lotte e quelle azioni. Crediamo che chi in queste ore è nelle mani della polizia sia in possesso di una visione della realtà molto più concreta di quanti colgono l’occasione per indignarsi sulle vetrine rotte e lo dimostra la solidarietà che stanno ricevendo in queste ore da Torino, dal resto del paese e fuori dai confini nazionali.
Vorremmo chiedere a chi si lascia ancora ammaliare da questa narrazione scandalistica dopo anni e anni di criminalizzazione dei movimenti: come si fa? Come si fa a non reagire alla violenza istituzionale? Come si fa ad essere solidali per la disobbedienza civile di Mimmo Lucano e non portare solidarietà a chi si impegna nella lotta contro i CPR?
Come collettivo transfemminista queer la questione della violenza dei confini fisici e ideali è sempre stata al centro della nostra riflessione e di ogni rete di cui abbiamo fatto parte, cittadina, nazionale e transnazionale.
In un periodo in cui la violenza delle frontiere si dipana in tutto il suo orrore non possiamo che sostenere quelle realtà che provano a combatterla e quelle persone, migranti e immigrate che la violenza dei confini e del colore la affrontano ogni giorno e che quei confini provano a superarli.
Per questo rilanciamo l’appello a tutte le soggettività, ai collettivi e reti lgbtqia+, alle transfemministe e femministe invitandole a prendere parola contro la gigantesca macchina repressiva in moto, e non solo a Torino.
Occorre, inoltre, sottolineare che da questa narrazione tossica rimangono strumentalmente fuori due elementi centrali.
Da un lato bisogna ricordare a gran voce che le compagn* arrestat* coinvolte nell’operazione Scintilla sono accusat* di associazione sovversiva per aver portato avanti negli anni una lotta determinata contro la detenzione amministrativa delle persone immigrate senza documenti.
Senza voler entrare nel merito delle carte giudiziarie e dell’impianto accusatorio della procura torinese, l’obiettivo più ampio dell’operazione è palesemente quello di fiaccare la lotta contro i CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) che a Torino aveva come obiettivo la chiusura del CPR di Corso Brunelleschi già più volte distrutto – come altri in Italia – dalle rivolte delle persone recluse. I CPR sono galere, sono luoghi in cui si fa materiale e visibile la frontiera, sono posti da cui si esce con un decreto di espulsione o direttamente con un volo di rimpatrio. Sono l’anello più visibile di un ingranaggio complesso che ha come obiettivo quello di serrare le frontiere e respingere all’esterno chi tenta di varcarle.
Creati dal governo di centro-sinistra alla fine degli anni ’90 del secolo scorso hanno di recente trovato una loro nuova età dell’oro con il Ministro degli Interno Minniti e, oggi, con Salvini. Impossibile riformarli e impensabile chiedere – a chi poi? – di migliorare la qualità delle condizioni di detenzione. I CPR vanno chiusi perché luoghi di privazione della libertà. A fronte di questa rivendicazione, la procura di Torino ha fatto calare la scure della repressione su 6 compagn* che sono ora in isolamento, privati della loro libertà in attesa di giudizio e che rischiano molti anni di carcere se condannat*. A loro non può che andare la nostra solidarietà.
Ma c’è un altro punto che occorre sottolineare, ovvero a cosa lascia spazio lo sgombero dell’Asilo e perché quello spazio era cosí scomodo per l’amministrazione torinese. L’Asilo occupato si trova nel quartiere torinese di Aurora, da anni dato in pasto alla più becera gentrificazione.
La riqualificazione del quartiere ha per esempio portato all’apertura del palazzo di alto design firmato Lavazza; oppure alla creazione di una scuola di scrittura/storytelling diretta dall’illustrissimo Baricco dove ti insegnano a scrivere alla modica cifra di 5.000 euro l’anno. L’ondata di gentrificazione sta anche portando anche alla chiusura dello storico mercato del Balon di Porta Palazzo: chiunque vive quel mercato come luogo di incontro, scambio informale e mezzo di sopravvivenza, viene spinto ai margini e illegalizzato.
L’Asilo occupato e le tant* compagn* che vi gravitano attorno rappresentano uno spazio di resistenza a questo processo di svuotamento del quartiere e di sistematica eliminazione dell’indecenza intesa come non normalità in tutte le sue forme.
Ci sembra tutto questo veramente così lontano?
Gli attacchi agli spazi occupati oramai sono più che frequenti in tutta Italia. A Roma sono iniziati gli sgomberi a partire da quelle realtà più marginalizzate e, senza troppo nasconderlo, si punta a ripulire la città dagli spazi di autogestione. Gli spazi delle donne sono costantemente sotto attacco, da ultimo la casa delle donne “Lucha y Siesta”, attiva da quasi 10 anni nel contrasto alla violenza sulle donne e spazio prezioso di autorganizzazione per tutt* noi, rischia di chiudere perché il proprietario ATAC Spa (merda!), in crisi finanziaria, vuole vendere lo stabile.
L’apparato repressivo è poi sempre più normalizzato nella quotidianità.
Ci si è oramai abituati alle camionette di polizia e carabinieri che stazionano nei quartieri; non ci si gira più per le retate e i controlli dei documenti delle persone razzializzate per strada, sugli autobus e nelle stazioni; ci si indigna solo per qualche ora per la morte di freddo di persone che dormono in strada. Nel frattempo fioccano ordinanze che come unico obiettivo hanno quello di limitare la socialità a forme accettabili e decorose.
Questa crociata dell’ordine e decoro ha come nemiche tutte quelle persone che non rientrano nella norma ‘famiglia-nazione-lavoro’ e noi Cagne ci sentiamo decisamente chiamat* in causa.
Pensate che reagiremo semplicemente proteggendo i rimanenti miseri spazi di agibilità dove ci volete confinare? Pensate male. Questo è per noi il momento di immaginare tanto e fare molto di più!
Libertà per tutte e tutti Solidarietà con gli/le arrestat*
Cagne Sciolte
Per esprimere solidarietà alle persone arrestate, vi consigliamo di seguire gli aggiornamenti pubblicati da Radio Black Out e Macerie Torino. Il luogo di detenzione infatti potrebbe cambiare nei prossimi giorni a seguito di trasferimenti.
Per ora le indicazioni più aggiornate sono le seguenti:
Per l’operazione Scintilla: Rizzo Antonio – Salvato Lorenzo – Ruggeri Silvia – Volpacchio Giada – Blasi Niccolò – De Salvatore Giuseppe. Per il corteo di sabato: Antonello Italiano – Irene Livolsi – Giulia Gatta – Giulia Travain – Fulvio Erasmo – Caterina Sessa – Martina Sacchetti – Carlo Mauro – Francesco Ricco Sempre per il corteo di sabato, dopo essere stato all’ospedale, è in arresto anche Andrea Giuliano.
Al momento si trovano tutti nel carcere torinese: C.C. Lorusso e Cutugno via Maria Adelaide Aglietta, 35, 10149 Torino TO. Tutt* riportano contusioni inferte dalla polizia durante il fermo. —————————————————————————– Gabriele Baima, in carcere da giovedì per la manifestazione davanti a Palazzo nuovo, è stato rilasciato con un divieto di dimora a Torino. Gli altri due arrestati di giovedì sono stati scarcerati. —————————————————————————– Arrestati/e di sabato: Udienza terminata oggi. Il PM ha chiesto custodia cautelare in carcere per tutti/e. Capi d’imputazione: 2 resistenze (1 durante arresto), lesioni, porto d’armi, devastazione e saccheggio. Il GIP si riserva di decidere tra stasera e domattina. Tutti hanno rilasciato dichiarazioni. —————————————————————————–
Gli arrestati/e sono tanti, alcuni con accuse gravi che li costringeranno alla detenzione per lungo tempo.
Chiediamo ai solidali un benefit per sostenerli/e al conto intestato a Giulia Merlini e Pisano Marco IBAN IT61Y0347501605CC0011856712 ABI 03475 CAB 01605 BIC INGBITD1
Nei giorni scorsi è girata una versione scorretta dell’IBAN, ci scusiamo.
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13 ago 2018 14:47
“SOGNAVO DI FARE LA RIVOLUZIONE E PER QUESTO HO UCCISO” - L’EX BRIGATISTA FRANCO BONISOLI E IL FIGLIO DELL’AUTISTA DI ALDO MORO, GIOVANNI RICCI, SI RICONCILIANO NELLA CHIESA DEL GESÙ DAVANTI A UN MIGLIAIO DI RAGAZZI - “INIZIALMENTE VOLEVO RESTITUIRE ALLE PERSONE CHE HANNO UCCISO MIO PADRE TUTTO IL MALE CHE MI AVEVANO PROVOCATO MA POI HO SCOPERTO CHE…”
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Giovanni Bianconi per “il Corriere della Sera”
«Sognavo di fare la rivoluzione per cambiare il mondo e per questo ho sparato, ferito e ucciso, trasformando quel sogno in una tragedia», racconta l' ex terrorista. «Il mio sogno s' è infranto quando hanno ammazzato mio padre e io ero un bambino di 12 anni, ma poi ho capito che non potevo soltanto odiare e portare rancore; un assassino resta tale per sempre, ma una persona può cambiare», gli fa eco la vittima.
Non solo le persone ma tante altre cose sono cambiate dal 1978, quando l' ex brigatista rosso Franco Bonisoli partecipò alla strage di via Fani, per eliminare gli uomini della scorta e sequestrare il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro; e l' ex bambino Giovanni Ricci capì quel che era successo a suo padre - Domenico Ricci, appuntato dei carabinieri e autista di Moro - vedendolo crivellato di proiettili nella foto pubblicata sull' edizione straordinaria di un giornale.
Quarant' anni dopo, nella chiesa del Gesù dove Benigno Zaccagnini e altri politici venivano a pregare e piangere nei giorni del sequestro, Bonisoli e Ricci ne parlano a un migliaio di ragazzi di oggi, venuti e Roma per incontrare il papa e che nella veglia notturna assistono all' incontro tra un carnefice e la sua vittima.
Nessuno di loro era nato quando Moro fu rapito e, 55 giorni dopo, ritrovato cadavere nel bagagliaio della Renault rossa, a trecento metri da qui, tra le sedi della Dc e del Pci, che oggi non ci sono più. Restano i palazzi antichi, resta la chiesa secolare, e resta la testimonianza di due persone che, con ruoli decisamente diversi, hanno attraversato quella stagione di sangue e ne portano ancora i segni.
Davanti all'altare centrale, stimolati dalle domande di un sacerdote, raccontano le ragioni della morte e del dolore trasformati in speranza e riscatto; uno da responsabile e l'altro da innocente, ma entrambi attraverso l' incontro e il dialogo, che quasi miracolosamente cancellano ogni traccia di sacrilegio nel sentire un assassino parlare in chiesa, o un prete che porta a esempio il percorso che ha compiuto.
«Nel nome della rivoluzione feci una scelta totalizzante che trasformava le persone in cose, simboli da abbattere, nemici da eliminare - spiega l' ex brigatista rosso che ripercorre l'escalation violenta degli anni Settanta, dalle macchine bruciate agli omicidi -. E quando mi hanno arrestato ho continuato a combattere lo Stato dal carcere, finché le convinzioni non hanno cominciato a incrinarsi e io ho pensato di suicidarmi perché con la lotta armata doveva finire anche la mia vita. Ma poi un cappellano ci ha chiamato "fratelli", ed è cominciata la risalita dall' inferno al purgatorio».
«Io inizialmente volevo restituire alle persone che hanno ucciso mio padre tutto il male che mi avevano provocato - ricorda Ricci -, ma incontrarle e scoprire che si portano addosso una croce più grande della mia, per il peso di ciò che hanno fatto, mi ha permesso di non vivere più quotidianamente la morte di mio padre, di ricordarlo quando era vivo e non più solo da morto; di conservare la memoria di una persona, e non soltanto di un omicidio».
Sono storie che possono suonare incredibili per ragazzi che non hanno vissuto il clima degli Anni di piombo e dei sogni trasformati in tragedia, e che vincendo il sonno e la stanchezza ascoltano per oltre due ore l' ex terrorista rammaricarsi per le sofferenze provocate: «L' unica cosa che potevo tentare, per rimediare, era trasformare il mio senso di colpa in senso di responsabilità, cercando le vittime e il dialogo con loro, pronto a prendermi tutto quello che mi avrebbero scaricato addosso, e adesso renderlo pubblico. Per questo tanti ex compagni mi criticano, ma non mi interessa; quello che conta è essere testimoni credibili, e io ci provo».
Anche la strada di Ricci non è stata semplice: «Mio fratello e molte altre vittime non condividono il nostro percorso, e io rispetto le loro scelte. C' è chi sceglie il diritto all' odio, ma io rivendico il mio diritto alla pace e a non morire ogni giorno, considerando chi mi ha fatto del male un uomo e non più un mostro».
Al momento delle domande c' è chi chiede a Bonisoli che cosa pensi oggi di Moro, che rapì e condannò a morte quarant' anni fa. «Una persona eccezionale - risponde - che cercava di capire quello che accadeva intorno a lui, comprese le ragioni di chi aveva fatto la nostra scelta; se non l' avessimo ucciso avrebbe potuto aiutare a chiudere prima la stagione della lotta armata, con danni minori».
Ilaria, testimone del cammino che Bonisoli e Ricci hanno fatto insieme ad altri ex terroristi e altre vittime, spiega la ragione di una notte così, tra gli appuntamenti preparatori al Sinodo: «La voglia di comunicare ai giovani il rifiuto della violenza, attraverso una storia del passato che guarda al futuro».
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