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#dimagrire cinque chili in dieci giorni
virginiamanda · 5 years
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*  “Quindi sei quasi al termine, no?”
Così mi ha detto sorridendo cassiera del supermercato stamattina.
Nooo, volevo scoppiarle a piangere su una spalla, noooo signora, noooo, il termine è ancora lontanissimo, prima di marzo qua non si vedrà niente e sono una balenaaaa.
E invece sorridendo le ho risposto che partorirò a marzo e lo so che non si direbbe perché ho un pancione enorme. Lei, imbarazzata, ha balbettato che spesso i vestiti premaman fanno sembrare la pancia più grande. Poi mi ha chiesto, come fanno tutti qui, se è il primo. E io cerco di prenderlo come un complimento, perché magari dimostro di essere una giovincella mentre dieci giorni fa ho compiuto 35 anni.
  Cosa è successo dall’ultima volta che ho scritto
L’ultima volta che ho scritto un post sul blog ero in partenza per l’Australia. Era un post stile il vecchio blog su Splinder di un tempo: passo di qui, mi sfogo, e me ne vado, come se questi anni non fossero passati mai dietro gli steccati degli amori tuoi (per chi non coglie, qui).
E avevo voglia di parlare d’altro, adesso, qui sopra, perché mi immagino che stare a sentire una che parla di quanto le cresce la panza non sia il massimo del divertimento (O no? Mio marito invece è elettrizzato ogni volta che gli racconto di quanti centimetri cresce. Non potreste imparare tutti a fingere l’entusiasmo come lui?).
E mi aspetto da un momento all’altro il cazziatone di Gordon.
Ma credo che un aggiornamento sia necessario, perché il precedente post era così disperato e i commenti sotto così teneri che lasciare le cose in sospeso sarebbe di grande maleducazione.
Dunque: cosa è successo dall’ultima volta che ho scritto?
E’ successo che siamo partiti. Abbiamo fatto una sosta in Qatar, mi hanno messo su una sedia a rotelle in aeroporto e mi sono vergognata come una ladra. C’è da dire che mentre mi vergognavo come una ladra ho anche riflettuto su quanto sia difficile da accettare di dipendere da qualcun altro e di non poter mai veramente guardare qualcuno fisso negli occhi con astio. Sul tema (persone in sedia a rotelle) per motivi personali sono molto sensibile e non voglio cavarmela con qualche frase di circostanza, però se non ci pensate spesso, fatelo adesso e guardatevi le gambe: è una fortuna e non un merito che funzionino. Quando tutte le cose non vanno e vi dicono “Pensa alla salute!“, non prendetelo per un commento leggero ma come un vero imperativo: bisogna pensare alla salute e ringraziare di stare bene. Punto.
In Italia a metà del quinto mese mi avevano diagnosticato una lievissima forma di diabete gestazionale perché ai medici non sembrava vero che tra le dieci sfighe più divertenti della gravidanza a me ne fossero capitate solo nove, quindi hanno pensato bene di rimediare aggiungendo anche questo carico da novanta.
L’aggettivo “lievissima” non è lì per caso, ma è il preciso grado medico con cui questa forma di diabete mi è stata diagnosticata.
Ho maledetto tutti i miei avi (“Ah, ma me la pagherete non appena ci vedremo!”)  e la mia eccessiva bocca buona e poi ho scoperto che il diabete gestazionale (per chi, come me fino a due mesi fa, non sa cosa sia è una forma di diabete che compare in gravidanza, nel 99% dei casi sparisce con il parto. Capita ad una donna su sette – e quella donna dovevo naturalmente essere io – e averlo è un segnale: il bambino potrebbe essere a rischio di malattie dovute al metabolismo come obesità e diabete. Se tenuto a bada in gravidanza con una dieta specifica, si limitano i danni e spesso si eliminano proprio) ha cause molto varie: specifiche etnie come sud-est asiatico e ispanica, obesità, familiarità ed età superiore ai 40 anni.
Ora io non sono del sud est asiatico né sudamericana, non sono obesa, nessuno nella mia famiglia fino al tredicesimo grado di parentela ha il diabete e ho appena compiuto 35 anni.
“Quindi??? Come si spiega?“, ho chiesto con sguardo torvo alla ginecologa.
E lei con il suo inimitabile savoir faire ferrarese ha risposto: “Ehhh. Ti è stà sfigà!“.
E a quanto pare in quella categoria ci rientro pienamente.
  Ma l’ho presa bene.
  Quindi cos’è successo dopo avermi detto “Sì, hai il diabete gestazionale”?
Mi hanno fatto visitare dal centro diabetico dell’ospedale, mi hanno affidato un aggeggino elettronico, delle strisce di carta sensibile e una specie di penna e mi hanno spiegato come pungermi le dita con la penna, inserire la striscia nell’aggeggino e leggere il risultato del livello di glicemia.
Il kit è così composto: quello più grosso è il misuratore della glicemia, quello snello è la penna con cui pungersi le dita e la striscetta è quella che si tocca con la goccia di sangue che dice al misuratore il livello del glucosio nel sangue. Così è se ho capito tutto giusto.
Il giorno dopo mi hanno mandato dalla dietologa che mi ha stipulato una dieta per evitare i picchi di glicemia.
La dietologa (il cui lavoro pensavo consistesse nel far dimagrire le persone) mi ha ampiamente cazziata per aver perso peso in gravidanza. “Ma non è colpa mia! Io mangio! E le assicuro che mangerei pure di più! E’ che non posso mangiare niente!!!” ho piagnucolato io. E lei ha preso la dieta che mi aveva appena consegnato e ha iniziato ad aggiungere commenti come “ben condito con olio extravergine d’oliva” o “con molto parmigiano”. E le ho voluto un po’ di bene.
Quell’attributo “lievissima” mi permetteva, secondo i medici, di misurare la glicemia solo una volta al giorno.
E così sono partita dall’Italia con le mie due valigie (ehm, veramente una sola perché avevamo fatto male i conti dei chili. “Amore, vuoi pesarle?” – “No no, sono sicuro che siano 90 chili in tutto” aveva risposto l’Orso prima di arrivare a Venezia e scoprire che i chili in tutto erano CENTOSETTE), il certificato medico e il kit per controllare la glicemia una volta al giorno.
E un chilo e mezzo di speranza che in Australia avessero altri parametri e mi dicessero: “Ma va, quelle sono pippe che si fanno gli italiani, qui sei a posto, va e mangiati un hamburger con le patatine fritte e ci vediamo al parto! See ya!“.
Questa era la midwife dei miei sogni.
      Cosa mi sono lasciata alle spalle
In Italia ho lasciato le mie amiche alle prese con vari problemi di vita e lavoro, abbastanza gravi al punto che nessuna prestava particolare attenzione alla mia gravidanza. Ed è stata una fortuna che tra tutte, io (con – ricordiamolo –  tutte e dieci le sfighe della donna incinta) venissi considerata “quella che stava bene” perché non avrei sopportato le mie amiche più care a controllarmi la pancia tutti i giorni.
Purtroppo però in Italia c’era anche un sacco di altra gente e tutti si sono sentiti in dovere di dire la propria sul mio stato interessante.
Col tempo ci si fa il callo e si capisce che non lo fanno per cattiveria.
Il fatto è che quando hai a che fare con un evento di vita “pubblico” come laurea, matrimonio e gravidanza, le persone sanno solo quello di te. E quindi per fare conversazione tirano fuori l’argomento. A seconda del grado di confidenza e sensibilità, in modo più o meno maldestro.
Pensavo che questa consapevolezza (non è cattiveria, lo dicono solo per fare conversazione perché non hanno altri temi) acquisita da anni mi avesse reso più zen davanti ai commenti altrui.
E invece ho scoperto di non sopportare proprio queste incursioni non autorizzate nel mio privato.
Ma perché proprio a me? Insomma, entro su Facebook ogni otto mesi, ho aspettato di essere al quarto (in alcuni casi anche al quinto) mese prima di dare la notizia non dico solo agli amici, ma pure ai miei fratelli (ed ho un rapporto molto stretto con entrambi), non divulgo sui social le foto col pancione e soprattutto non ho mai chiesto pareri a nessuno.
Ma invece chissà com’è o come non è, TUTTI si sono sentiti in dovere di elargirmene.
Questo momento di saggezza ha come testimonial il Genio delle tartarughe.
  Ecco quindi in pacco promozionale natalizio le migliori citazioni.
Anzi, le in- ci –n- tazioni.
  Siccome meritano un’attenta analisi, ecco il mio pensiero su ognuna di esse. (Poi alla fine vi dico i veri autori).
Ma dai? Oh, grazie, davvero, se non me l’avessi detto tu non me ne sarei mai accorta. Ma dici sul serio?
Ecco, lo so da sola che non è una malattia. Questa frase vorrebbe spingere la donna gravida a fare esattamente le stesse identiche cose di prima, con l’unica differenza della pancia.
Sono consapevole che là fuori ci siano un sacco di donne incinte che non hanno alcun problema a fare le maratone e le scalate in montagna, io purtroppo, però, non sono una di queste.
Perché a gravidanza appena iniziata mi hanno detto “Stia a riposo” e non come consiglio generico, ma come imperativo medico, e dopo due mesi mi hanno detto di evitare: percorsi lunghi in macchina, buche, biciclette e rapporti sessuali. Dopo altri due mesi mi hanno detto che mi era vietato anche stendermi a pancia in su e saltare.
Ho trascorso settimane in cui ogni mattina l’unico posto dove andavo era l’ospedale (ho visto nell’ordine: ginecologa, tantissime infermiere dei prelievi, neurologo, cardiologa, ostetrica, altri ginecologi – un totale di otto diversi, e non per volere mio o perché fossi schizzinosa -, diabetologa, dietologa, medico di base specializzato in ginecologia, ostetrica australiana, dentista, vario personale medico incaricato di informare, prevenire, aiutare, fare le ecografie etc… )  e ad ottobre ho fatto dieci giorni consecutivi in ospedale tutte le sacrosante mattine.
Mi hanno trovato problemi fuori dall’utero, alla placenta, al sangue… e mi devo sentire dire “Beh, ma non comportarti da malata, la gravidanza non è mica una malattia“!?
Ma per piacere, non sarà stata una malattia per te, non sarà una malattia per tante donne ma visto che frequento spessissimo gli ospedali, mi manca il fiato se sto in piedi più di venti minuti, non posso fare attività fisica per ordine medico, devo pungermi le dita quattro volte al giorno, mangiare solo cibi prestabiliti sei, e assumere cinque diversi tipi di integratori in momenti diversi della giornata, beh, scusa se un po’ sfigata mi ci sento e se non prendo e vado a saltare alla corda dopo 5 chilometri di corsa.
(E tutto questo lo dico da persona miracolosamente SANA, che non ha mai avuto problemi seri di salute prima e che spera che tutto questo una volta partorito sia solo un ricordo).
Magari prima di sparare frasi così pressapochiste informatevi sulla salute della persona che avete davanti.
Reazione mia: sorriso e “Sì, non è una malattia ma io l’ospedale così spesso non l’avevo mai visto“.
  Che domanda cretina. “Che sia sano” è stata la mia risposta, ma secondo te con tutte le scadenze quotidiane di medicinali e altre palle a cui devo stare dietro, il sesso del nascituro mi preme? La mia priorità è fare in modo che esca sano, ed è per questo che sto attenta a tutte queste cose.
E allora insistono: “Eh ma qualche preferenza ce l’avrai…”
Reazione: “Preferisco che sia sano. O sana. O sani. O sane. E che sia bello come la mamma e intelligente come il papà o bella come il papà e intelligente come la mamma“.
  Ah ah ah ah ah.
Dunque, io mi vanto sempre del fatto che non ho avuto traumi grossi nella vita: i miei genitori stanno assieme da 40 anni, sono in salute, non ci sono stati lutti in famiglia quando ero bambina, sono sana (o almeno così credevo, prima della gravidanza), vado d’accordo con i miei fratelli, e ho un gruppetto di amiche solidamente costruito e mantenuto negli anni. Sono sposata con la persona che ho iniziato a frequentare più di nove anni fa, sono disoccupata ma per fortuna non ho l’ansia di arrivare a fine mese, ho studiato quello che mi piaceva, spesso sto simpatica alla gente.
Detto questo, veramente il parto sarà il momento più orribile della mia vita?
Ah sì?
A dodici anni il ragazzo di cui ero follemente innamorata mi ha fatto ubriacare per approfittarsene, per questo per ben sei anni non sono riuscita ad avere nessun tipo di relazione con ragazzi (tutto sotto controllo per me adesso e a lui, beh, la vita l’ha rimborsato con gli interessi).
A sedici anni sono stata seguita per giorni da un maniaco (riconosciuto come tale in città, quindi non stalkerava solo me, eh) che aspettava che uscissi dal bar dove lavoravo e facessi i duecento metri di strada a piedi prima che mi venissero a prendere. Un giorno si è presentato anche nel prato davanti a casa mia (abitavo a 15 km dal bar) e mi ha spinta e strattonata per convincermi ad andare dietro il cespuglio con lui. Sono scappata via, ho preso correndo il telefono dentro la borsa e ho implorato mamma di uscire e venirmi incontro.
Più avanti sono stata fidanzata ufficialmente e serissimamente per tre anni con un bravissimo ragazzo buono e caro, sogno di ogni mamma di figlia femmina, che in realtà era un mentitore seriale. Aveva inventato una doppia vita ma quando (dopo due anni) non ce l’ha più fatta a fingere, ha confessato e a me è crollato il mondo addosso. Perché io ci avevo creduto.
Dopo un anno sono finita in una relazione cupa con un manipolatore che un po’ alla volta mi ha tagliata fuori da tutto quello che mi rendeva felice, mi ha levato affetti, amicizie, passioni (ce la ricordiamo ancora “Scegli o me o il blog“!?)  mentre continuava felicemente a incontrare a cadenza settimanale la sua ex. Era pure un tirchio di prima categoria. Sono dimagrita di dieci chili nel periodo in cui stavamo assieme, e all’apice della follia mi ha pure chiesto se volessi andare a convivere: io, lui e l’ex. (Anche lui lautamente rimborsato dal fatto che ora è sposato proprio con l’ex).
Nel frattempo avevo come unico coinquilino un ragazzo marocchino che in una notte di troppo alcol mi ha confessato la passata vita da marinaio e di aver ammazzato delle persone, e che per questo motivo era scappato dal Marocco.
Quando ho deciso di andarmene si è arrabbiato così tanto che ha iniziato a picchiare il mio ragazzo dell’epoca e io ho dovuto chiamare la polizia perché mi sono spaventata a morte quando si sono avvicinati pericolosamente al cassetto dei coltelli, con tutto il condominio che si affacciava dalle scale per vedere cosa stesse succedendo, visto che io continuavo a piangere e urlare.
Sono stata derubata cinque volte. Una di queste pure delle chiavi di casa quando abitavo in Francia. Ho aspettato sulla panchina che la notte finisse per bussare a casa dei padroni di casa e chiedere umilmente di poter salire al mio appartamento.
In Cappadocia tre ragazzi che ospitavano tramite il Couchsurfing me e la mia coinquilina, con la scusa di farci vedere il paesaggio ci hanno portato in macchina di notte  in montagna su un sentiero sterrato non illuminato, lontano da ogni centro abitato, e tutti e tre avevano una bottiglia di vodka pura a testa. Ci hanno provato e solo il muro della paura e la bontà divina ha fatto in modo che tornassimo a casa sane e salve e che loro si scusassero dell’ardire.
Sono svenuta mentre mi trovavo da sola a casa in Svezia, dopo pochi mesi che ci eravamo trasferiti. Ho perso i sensi e mi sono accasciata al suolo lentamente, per mia grandissima e baciata fortuna, perché l’Orso era in Italia e se avessi sbattuto la testa mi avrebbero trovato dopo tre giorni.
Mi sono persa, di notte, in Svezia, in periferia, sotto la neve che cadeva, con il cellulare scarico, senza parlare lo svedese e nessuno voleva aiutarmi.
La mia nonna preferita è morta il giorno del mio compleanno. Nessuno ha voluto dirmelo, così io non sono riuscita ad arrivare in Italia in tempo per il funerale.
Ho avuto per due anni una classe di ventisette alunni di cui tredici avevano delle diagnosi gravi e vari problemi comportamentali. Sono sopravvissuta senza fare un esaurimento, ma uno degli ultimi giorni un alunno (alto due metri, dalla stazza imponente) ha minacciato il mio collega (basso e mingherlino) spingendolo al muro con violenza. Per difenderlo mi sono messa in mezzo. Per legge non si possono toccare i ragazzi e quindi ho cercato solo di allargare la distanza tra me e loro e di parare i colpi. E’ arrivata la polizia e dopo le due settimane canoniche di sospensione siamo stati obbligati a reintegrarlo in classe.
Ho avuto un attacco di panico, da sola, in casa, in Svezia, dopo aver dato le dimissioni. Mi è mancato il respiro e non riuscivo più a muovere neanche un muscolo. L’Orso stava tornando da una trasferta e mi ha trovata a terra, incapace di parlare.
  No, certo, però è il parto l’esperienza più orribile che mi possa capitare.
Reazione: Mavaccagher.
  Bene, per fortuna che sei arrivato tu a spiegarmi la vita, perché la sessione di due con la nutrizionista, la visita con la diabetologa, il piano medico stilato apposta per me con la dieta dall’ospedale, la sessione di quattro ore con la nutrizionista specializzata in diabete gestazionale evidentemente sono tutte delle sciocchezze e perdite di tempo. Perché tanto, basta mangiarne un boccone o berne un pochino che tanto male non fa.
Reazione: “Sì, invece sarà proprio questo boccone a farmi male. E se non ci credi, puoi tranquillamente leggere le sei pagine di dieta dettagliata su misura che mi porto appresso”.
    E sai cosa c’hai avuto? Un grande, grandissimo, enorme culo. Io no, perché se supero i 45 grammi di carboidrati a pasto il mio corpo non riesce a spezzare il glucosio e questo potrebbe dare dei problemi al nascituro, e come credo immaginerai, non è un rischio che voglia correre.
Reazione: “Beata te!”
E quali sarebbero? Non posso bere, non posso mangiare niente che non sia proteine, non posso muovermi, non posso neanche fare l’amore.
  Reazione: “Ahahahahahahah!”
  Meglio se non commento proprio e passo direttamente alla reazione.
Reazione: “Ma vai a quel Paese!”
  Ogni volta che siamo a Milano io ho i miei piccoli rituali.  C’è un autobus che prendo sempre, una strada che mi piace percorrere, un bar in particolare dove mi piace andare a prendere il caffè, dei negozi dove mi piace entrare a bighellonare. Ogni volta cerco di inserire qualcosa che non ho ancora visto: un museo, una chiesa…
E così, a fine settembre ci trovavamo a Milano e io di giorno avevo fatto i miei bravi due forse tre chilometri a piedi, per andare nel mio solito bar (e prendere un cappuccino decaffeinato stavolta) e a vedere (senza speranza alcuna di trovare la taglia balena) i soliti negozi. Come sempre.
Quando sono tornata a casa dall’Orso ero dolorante.
Ma come!? Ho trascorso tutta la serata a spiegare che avevo fatto esattamente le stesse cose di sempre, addirittura più lentamente, com’era possibile che mi facesse male il nervo sciatico? (Anche questa grande scoperta della gravidanza, io manco sapevo dove abitasse il nervo sciatico, PRIMA) Com’era possibile? Interrogavo con veemenza l’Orso. E lui ad un certo punto ha sorriso, mi ha abbracciata  e mi ha detto: “Non è colpa tua“.
E io me lo ripeto come un mantra tutte le volte che mi trovano qualcosa che non va o che mi fa rientrare in quella piccolissima percentuale di donne che ha una particolare sfiga in gravidanza… non è colpa mia. Punto.
    Soluzione:
Oscar Wilde: mia suocera; Virginia Woolf: chiunque;  Ennio Flaiano: amica storica; Gualtiero Marchesi: chiunque; Oriana Fallaci: mia madre; Carlo Cracco: amiche che hanno già partorito;  Jim Morrison: sempre mia madre; Bob Marley: mio marito.
  Ma ecco, vedo che non sono l’unica…
    Come mi sono organizzata
  La settimana scorsa questo amabile oggettino qui sopra rappresentato mi ha svelato un’amara verità.
La mia circonferenza giro ombelico è di UN METRO.
E con questa panza, signori miei, non sono mai stata in vita mia.
Ho quindi delle difficoltà a muovermi, girarmi, farmi spazio in treno…
Così mi sono attrezzata: abbiamo preso un appartamento con l’ascensore. Poi mi sono iscritta al servizio di spesa a domicilio di due supermercati. Ce ne sarebbe pure uno sotto casa ma è caro e poi dovrei portarmi le buste da sola, ma stiamo scherzando?
Ho liquidato i sensi di colpa per l’ambiente con il fatto che il fattorino del supermercato fa parecchie consegne in un giorno, quindi il suo consumo di carburante e incremento del traffico sono comunque ridotti rispetto alle venti macchine private che si muoverebbero per la città per fare la spesa… giusto?
In questo mio stato ingombrante mi ritrovo anche da sola, perché l’Orso è dovuto partire per una trasferta imprevista di un paio di settimane, domani tornerà ma dopo pochi giorni dovrà ripartire per un mese.
In Italia le nostre famiglie sono tutte in allarme: “Non puoi stare da sola all’ottavo mese!” è la frase che ho sentito ripetere più spesso negli ultimi tempi.
Innanzitutto, io non sono da sola: ho una bambina dentro la pancia!
Poi: c’è l’ambulatorio medico a cinquanta metri, e la fermata dell’autobus per l’ospedale dietro casa.
A proposito, appena arrivata ho subito preso contatti con l’ospedale dove, dopo lunghissime e approfondite ricerche, avevo scelto di partorire e lì mi ha visitato una midwife (ostetrica è la traduzione, ma sarebbe una via di mezzo tra una ginecologa e un’ostetrica, dal momento che per esercitare deve farsi 13 anni di università). Dopo aver guardato i miei esami italiani, mi ha chiesto: “E così hai il diabete gestazionale, eh?”. Eh sì, ma una forma lievissima, mi sono affrettata a specificare.  “Bene, noi qui diamo per buoni i tuoi esami italiani, ci fidiamo, non c’è bisogno di rifarli. Quindi lunedì vieni a fare la sessione informativa sul diabete gestazionale”.
Ma come!? Ma non dovevate essere tutti scialli qui? Ma questo non era il momento in cui mi mettevi in mano una sausage pie e un fish and chips e mi dicevi cià, ci vediamo in spiaggia?
E quindi malvolentieri sono andata a questo incontro di quattro ore in cui ci hanno spiegato (a me e altre cinque fortunelle) come si usa un nuovo aggeggino che fa le stesse cose di quello che mi avevano dato in Italia e che tipo di dieta seguire per evitare che il livello di glicemia si alzi troppo.
E ta dà, invece di misurare una volta sola, qui devo misurarlo QUATTRO volte al giorno.
Mi sono sentita come in quel racconto di Buzzati su quel paziente che finisce in clinica per sbaglio e poi viene spostato con una scusa o con un’altra al piano inferiore, dove si trovano i malati più gravi, e continuamente viene spostato al piano successivo… e lui si dispera e non sa più come spiegare che non ha niente, che è tutto un errore ma i medici lo prendono per pazzo…  Ecco. Uguale.
Poi, per evitare di trasformarmi in divano (anche perché chi mi rialza, poi!?) mi sono iscritta a vari corsi di yoga premaman e pilates premaman. Il dottore mi ha detto che non posso mantenere la stessa posizione a lungo, non posso sdraiarmi e non posso saltare e che – per l’amor di Dio – devo smettere immediatamente appena noto che qualcosa mi fa male o mi affatica.
Praticamente il mio sogno di persona pigra trasformato in realtà: vado in palestra ma appena non c’ho voglia dico “Non me la sento” e tutti sono comprensivi e fanno sì con la testa senza giudicarmi, anzi, preoccupandosi pure!
  A chi non fa tenerezza una balena esausta?
A livello pratico in casa ho messo tutte le tazze e i piatti a portata di braccio e ogni tre metri c’è una sedia, perché, purtroppo, a fare qualsiasi cosa mi stanco molto. (E infatti questo post lo sto scrivendo dal 5 novembre).
Ma perché vuoi stare da sola quando potrebbe venire qualcuno della tua famiglia dall’Italia?
Perché!?
Perché?
Perché quel qualcuno sarebbe stato mia suocera. (Con cui vado molto d’accordo, sia chiaro, ma un mese è proprio luuuuungo.)
      A cosa penso / What have you done?
L’altro giorno mentre stavo in vasca (perché una delle gioie che non mi hanno levato è il bagno – sì, per quanto debba farlo in acqua tiepida e senza getti diretti alla pancia- ) è partita questa canzone natalizia che inizia chiedendo in modo impertinente: “And so this is Christmas, and what have you done?“.
E io ho pensato che pochi giorni fa ho compiuto 35 anni. Quest’anno ho abitato in Spagna, Inghilterra, Cile, Italia e Australia. Mi sono abilitata e sono rimasta incinta.
A 16 anni se me l’avessero chiesto: “Dove ti vedi a 35 anni? Cosa farai a 35 anni?” avrei risposto qualcosa come “In viaggio, in giro per il mondo” oppure altri giorni avrei risposto “Sposata con un uomo che amo e mi ama e con dei figli”.
Non avrei mai pensato che sarei riuscita a realizzare tutte e due.
Buon Natale!
  (A chi non fa tenerezza una balena esausta in versione natalizia?)
So, you are nearly due, huh?* *  "Quindi sei quasi al termine, no?" Così mi ha detto sorridendo cassiera del supermercato stamattina.
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sisskaaa · 7 years
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Dieci regole per diventare magre e restarlo per sempre. Scritte e pubblicate di getto, per ricambiare la vostra ospitalità, e dedicate alle donne occidentali che non portano il velo, ma sono ancora schiave del politicamente corretto.
1. Prendete le vostre riviste femminili e strappate via le pagine delle diete dimagranti. Voi non volete dimagrire, voi volete essere magre. C’è una bella differenza. Dal momento in cui le modelle sono diventate stampelle, e non era più solo Twiggy, la dea fortunata che mangiava e non metteva su un etto, ma Kate Moss, la mortale che digiunando aveva conquistato l’Olimpo, la storia è cambiata…
2. Non si tratta di essere belle, e nemmeno seducenti. Trattasi di essere magre. Lasciate perdere i consigli delle amiche. Lasciate perdere i commenti dei colleghi. Mandate al diavolo nutrizionisti e psicoterapeute. Non ascoltate neanche vostra madre. Nei momenti più duri pensate a Vanessa Beecroft, la prima donna che ha avuto il coraggio di affermare con parole inequivocabili che non le interessava essere una grande artista, le interessava soltanto di essere magra. Non abbiate dubbi. Non nascondetevi. Siamo tutte anoressiche. Anche le psicoterapeute, anche le amiche, persino nostra madre. E’ un’epidemia, è in corso da molti anni, la novità è che adesso trasmettiamo il contagio anche ai nostri  fidanzati. 
3. Tenete a mente che essere magre comporta molti sacrifici. Toglietevi dalla testa di dimagrire per poi tornare a mangiare come gli altri. Essere sempre magre significa essere sempre a dieta. Se proprio ritenete di non potere fare a meno di torte, panini e gelati avete due possibilità. La prima è infilarvi nel tunnel della bulimia, divorando quello che volete, per poi vomitare. Sarete magre, ma poco avvenenti. Presto avrete denti marci e capelli fragili, probabilmente andrete incontro a un cancro all’apparato digerente. La seconda possibilità, naturalmente, è restare sovrappeso. Davanti allo specchio combatterete con pancia, braccia, guance, gambe e glutei, in compenso potrete permettervi quei lussi che le magre sogneranno per il resto dei loro giorni.
4. Tenete a mente che essere magre comporta alcuni benefici. Sarete eleganti e avrete subito un’aria intellettuale. Inoltre, vivrete più a lungo. Adesso lo confermano anche le ricerche degli scienziati. Quando quei pantaloni torneranno di moda, voi sarete ancora lì ad attenderli con la stessa taglia. Infine, ed è quello che veramente conta, sarete magre. Per le  vostre nemiche giurate, per l’amante di vostro marito, per le ex dei vostri fidanzati, sarete sempre e comunque un modello da imitare.
5. Dimenticatevi il peso ideale. Il peso ideale indicato dal vostro dietologo è come l’indice dell’inflazione indicato dall’Istat. Entrambi hanno poco a che vedere con la realtà. Essere in linea, attualmente, significa essere magri. Ovvero essere tra i tre e i cinque chili al di sotto del peso ideale. Dimenticatevi anche la taglia quarantadue. Scoprirsi più magra invoglia ad acquistare. La grande distribuzione da tempo ha scoperto il trucco. Se non sfiorate il metro e ottanta, il vostro obiettivo ad oggi è la quaranta.
6. Sarò banale, ma è bene seguire una dieta bilanciata. Lasciate perdere i consigli di chi, a patto di complicati calcoli e un’accurata selezione degli alimenti, promette enormi scorpacciate. Nella migliore ipotesi, con i vostri pasti solitari e le vostre inderogabili esigenze, danneggerete la vostra vita di relazione. Nelle ipotesi peggiori, andrete incontro alla sindrome del colon irritabile, un buco nero secondo soltanto alla bulimia e alla depressione. Per evitare le abbuffate solitarie, che sono un colpo al colon e l’altro all’autostima, il mio consiglio è comprare e cucinare soltanto il necessario. E, se il vostro stipendio lo consente, andare spesso al ristorante. Naturalmente, considerato lo stress e tutte le altre varie amenità della vita quotidiana, a volte capiterà anche a voi una cena a quattro palmenti. Non serve sottolineare che è meglio che capiti quando nella dispensa avrete soltanto frutta, verdura, proteine vegetali e cereali integrali.
7. Non fate a meno di salse e condimenti. Non abolite il caffé e gli alcolici. Quello che passa tra una sana anoressia e una malsana sono le calorie non indispensabili. Eliminate il burro, la majonese, e le tartine con l’aperitivo, togliete il pane che dà dipendenza psicologica, scordatevi i fritti e i dolci, ma non abbandonate le vostre abitudini. Concedetevi la pizza, se siete napoletane. Non privatevi del tempura, se siete milanesi. Saranno il vostro salvagente, terranno a galla i vostri affetti e le vostre amicizie, anche se comporteranno altre rinunce. E poi fumate. Non esagerate con le sigarette, ma non smettete. Sono ottime per concludere il pranzo o la cena, per sostituire la colazione, per mettere la parola fine allo spuntino che da un momento all’altro potrebbe trasformarsi nella grande bouffe.
8. Leggete libri, andate al cinema e al teatro, frequentate i musei. Fate l’amore. I francesi sono più magri degli americani perché non si annoiano.
9. Datevi a uno sport, ma con moderazione. Quel tanto per essere toniche. Infatti, se sarete troppo in forma, sembrerete meno magre. Soprattutto avrete l’illusione di potere ricominciare a mangiare in modo normale. Trattasi di illusione. Prima o poi smetterete lo sport che state praticando e, volendo restare sottopeso, dovrete imparare tutto da capo.
10. Dominatevi. Nel caso, reprimetevi. Pensate a voi come alle protagoniste di un capolavoro della lettatura russa. Vivete con serenità la vostra vita, ma consapevoli di avere smarrito qualcosa. Rassegnatevi all’idea di pensare spesso al cibo, più spesso di quanto capiti agli altri, come a un amore perduto.
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