#dentroilcerchio
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L'amore è mia mamma che si mette a letto, sente freddo e allora mi fa trovare il piumone sul mio di letto quando torno da lavoro
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"Nel 1996, nel bel mezzo del processo di pace di Oslo, Israele promise all’amministrazione USA che avrebbe smesso di costruire nuove colonie nei Territori Occupati. Ma mentre il governo israeliano stava conducendo i negoziati con i palestinesi, stava anche incoraggiando 50.000 cittadini ebrei a trasferirsi da Israele in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Contemporaneamente, il governo israeliano stava aiutando concretamente il movimento dei coloni a creare una molteplicità di “avamposti illegali” – fuori dai confini delle colonie esistenti – fornendo a questi insediamenti energia elettrica e acqua e costruendo la rete stradale per raggiungerli.* Entro il 2001, cinque anni dopo il divieto da parte degli Stati Uniti di costruire nuovi insediamenti, i coloni avevano creato piú di sessanta nuovi “avamposti illegali” su terreni espropriati ai palestinesi. Il governo israeliano dipingeva spesso i coloni ebrei come dei cittadini sprezzanti e indisciplinati, nonostante avesse stanziato milioni di dollari a favore della loro “insubordinazione”, principalmente perché ciò permetteva allo Stato – quando criticato – di rivendicare il fatto di essere una democrazia con una società civile vitale e pluralista. Durante l’impennata dell’edificazione dei cosiddetti avamposti, la polizia e l’esercito israeliani intrapresero solo sporadicamente azioni simboliche per far rispettare la legge, evacuando coloni dai nuovi avamposti. In parallelo a questo processo di espansione degli insediamenti e di rara applicazione della legge – spesso coincidente con periodi in cui aumentavano le pressioni internazionali a riprendere il processo di pace –, l’esercito israeliano eseguiva invece demolizioni di case palestinesi su larga scala, una pratica sulla quale le ONG israeliane e palestinesi concentrarono la loro attività. È stato in questo scenario legale e politico di espropriazione di terre palestinesi da parte dei coloni e di demolizioni di case palestinesi da parte del governo che Yesha for Human Rights ha iniziato la propria attività. Era la prima volta che i coloni creavano una ONG per difendere i propri diritti umani – il diritto umano di non essere evacuati dagli insediamenti e di continuare a colonizzare la terra palestinese."
* In realtà, gli avamposti sono nuovi insediamenti. Oggi ci sono piú di cento avamposti in Cisgiordania. Circa cinquanta sono stati creati dopo il marzo del 2001. Analogamente ad altri insediamenti, questi avamposti sono stati costruiti con l’obiettivo di dare una continuità territoriale alla presenza israeliana occupando piú terra palestinese possibile e creando una barriera tra i vari centri abitati palestinesi. Cfr. Peace Now, “Settlements and Outposts”, http://peacenow.org.il/eng/content/settlements-and-outposts (consultato il 01/05/2014); vedi anche Talia Sasson, Report on Unauthorized Outposts: Submitted to the Prime Minister, Prime Minister’s Office, Jerusalem 2005.
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Nicola Perugini, Neve Gordon, Il diritto umano di dominare, traduzione di Andrea Aureli, edizioni nottetempo (collana conache), 2016¹; pp. 166-167.
[Edizione originale: The Human Right to Dominate, Oxford University Press, 2015]
P.S.: Ringrazio @dentroilcerchio per avermi consigliato la lettura di questo saggio che esamina e denuncia l’uso strumentale dei diritti umani da parte dei gruppi dominanti.
#Nicola Perugini#Neve Gordon#Il diritto umano di dominare#libri#leggere#genocidio#crimini contro l’umanità#saggi#diritto internazionale#citazioni#giurisdizione universale#Stati nazionali#letture#saggistica#Medio Oriente#Israele#Gaza#Conflitto arabo-israeliano#cisgiordania#sionismo#Accordi di Oslo#Yitzhak Rabin#Bill Clinton#Yasser Arafat#anni '90#questione israelo-palestinese#Territori Occupati#palestinesi#Talia Sasson#Gerusalemme
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I was tagged by kickingleaves (i hate you so much right know) and I’m just sorry for you all because I’m answering this in bad english.
rule 1: always post the rules.
rule 2: answer the questions the person who tagged you asked and write 11 new ones.
rule 3: tag 11 people and link them to the post.
rule 4: actually tell them you tagged them.
Just want to let you know that I will never tag eleven people.
1. how do you meet you best friend? Actually I don’t have one and it’s not as bad or sad as you might think. I have friends, period. and some of them are precious and so good I don’t deserve them
2. Where would you like to live one day? This is an easy one: San Francisco Bay.
3. What was your favourite cartoon character when you were a kid? Thank god you don’t ask about disney ‘cause my favourite cartoon was (is) not one of them. Warner bros created taz-mania happy thank you more please
4. what do you know about the day you were born? Well, I was born, that’s pretty much all. I know for sure it was one of the hardest day of mum’s life (maybe dad’s too)
5. what was your favourite tv show? Definitively Charmed for always forever
6. what are you going to do on New Year’s Eve? Party at some friends place, nothing special.
7. What is your favourite holiday? Not Christmas.
8. What’s the first album you ever bought? This is so embarrassing. Forever by Spice Girls (you know girls power and stuff)
9. Have you ever got somebody’s autograph?
No.
10. Is English your first or second language? ( Or third, or not your language at all but you still understood this question, or whatever ) Second? Third. Not my language at all?
11. Dawn or sunset? BOTH
Questions for you:
What is you very first memory?
2. Movie or book?
3. what was your saddest moment?
4. what is that makes you feel good, or better?
5. who is your role model?
6. in a movie about your life, who would you like to play you?
7. what is your superpower?
8. do you believes in aliens and other worlds?
9. what is your Hogwarts house and why?
10. do you have a motto?
11. why are you on tumblr?
People I’m tagging: kickingleaves, pipinotheshire, iosonodighiaccio, dentroilcerchio, femalewithopinions, puntodinonritorno, like-patient-stone, octopus-wakah, mitengo
#kickingleaves#pipinotheshire#iosonodighiaccio#dentroilcerchio#femalewithopinions#puntodinonritorno#like-patient-stone#octopus-wakah#mitengo
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"Didier Fassin ha dimostrato come, durante la seconda Intifada, le organizzazioni per i diritti umani che svolgevano la loro attività a favore dei palestinesi, cominciarono a invocare il discorso clinico del trauma. Tale discorso, e le tecniche con cui Medici Senza Frontiere e gli operatori umanitari locali cercarono di produrre le prove delle violazioni commesse da Israele, hanno riformulato la questione palestinese all’interno di un nuovo quadro interpretativo egemonico a livello internazionale: quello del trauma psicologico, il cui effetto principale è stato di ridurre la lunga storia di violenza coloniale a una serie di cicatrici e sintomi psicologici, presi in carico da operatori umanitari e psicologi. Questo processo, che negli anni successivi ha portato alla proliferazione dei servizi di salute mentale nei Territori palestinesi, ha contribuito a normalizzare la dominazione, curando i sintomi psichici prodotti, come in una routine medica, e oscurandone spesso le cause politiche di fondo, trasformando una questione di giustizia collettiva in esperienze e casi individuali di sofferenza mentale e di violazione dei diritti umani*. In questo modo, i diritti umani hanno contribuito a normalizzare i rapporti di dominazione. Col termine “normalizzazione” non intendiamo solamente la normalizzazione dei rapporti tra colonizzatori e colonizzati, ma facciamo riferimento alla nostra affermazione che, se da un lato l’attivismo per i diritti umani ha sviluppato nuovi strumenti per il loro monitoraggio e la loro difesa, dall’altro ha spesso nascosto i meccanismi fondamentali della dominazione che producono quelle stesse azioni denunciate e classificate come violazioni dei diritti umani."
*Didier Fassin, “The Humanitarian Politics of Testimony: Subjectification through Trauma in the Israeli-Palestinian Conflict”, in Cultural Anthropology, vol. 23, n° 3, 2008, pp. 531-558.
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Nicola Perugini, Neve Gordon, Il diritto umano di dominare, traduzione di Andrea Aureli, edizioni nottetempo (collana cronache), 2016¹; pp. 77-78.
[Edizione originale: The Human Right to Dominate, Oxford University Press, 2015]
P.S.: Ringrazio @dentroilcerchio per avermi consigliato la lettura di questo saggio che esamina e denuncia l’uso strumentale dei diritti umani da parte dei gruppi dominanti.
#Nicola Perugini#Neve Gordon#Il diritto umano di dominare#libri#leggere#genocidio#crimini contro l’umanità#saggi#diritto internazionale#citazioni#giurisdizione universale#Stati nazionali#letture#saggistica#Medio Oriente#Israele#Gaza#Conflitto arabo-israeliano#cisgiordania#sionismo#questione israelo-palestinese#Territori Occupati#palestinesi#Gerusalemme#medicalizzazione#ONG#libertà#psichiatria#medicalizzazione della vita#Didier Fassin
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"Nel 1993, sulla scia del cosiddetto processo di pace di Oslo, il Primo Ministro israeliano ritenne che la creazione di un’Autorità Palestinese responsabile dell’amministrazione della vita quotidiana dei palestinesi nei Territori Occupati avrebbe messo a tacere le crescenti critiche nei confronti di Israele. Il ragionamento di Rabin era semplice: se i palestinesi si fossero assunti la responsabilità di autoamministrarsi, Israele non sarebbe piú stato legalmente responsabile delle violazioni dei diritti umani commesse nei Territori Occupati. Ciò avrebbe reso superfluo l’operato di istituzioni quali l’Alta Corte di Giustizia israeliana e di organizzazioni come B’Tselem – attori che Rabin aveva descritto come “anime sensibili” che incarnavano una certa compassione umanitaria per i palestinesi. Si può considerare la dichiarazione di Rabin come l’antecedente del dibattito israeliano sulla “minaccia dei diritti umani”, poiché sembra che la sua aspirazione fosse di contrastare quelli che già considerava dei pericolosi tentativi di interpretare l’occupazione israeliana come una questione di diritti umani. Sperava che l’accordo sui due stati potesse ovviare alle critiche in materia di diritti umani tramite la creazione di una nuova struttura giurisdizionale in grado di regolare i rapporti tra israeliani e palestinesi. Due anni dopo, Rabin venne assassinato da un colono israeliano.
Non poteva sapere che nel corso dei decenni successivi – durante e dopo il fallimento del processo di pace – ci sarebbe stato un incremento esponenziale di attività a favore dei diritti umani sia da parte israeliana che da parte palestinese. Rabin non poteva prevedere che quello dei diritti umani sarebbe diventato il lessico dominante utilizzato da attori diversi, spesso in conflitto tra loro. Né poteva immaginare che nel 2010, quindici anni dopo il suo assassinio, un diverso gruppo di “anime sensibili” conservatrici avrebbe fondato numerose ONG per i diritti umani – Regavim, il Legal Forum for the Land of Israel e Yesha for Human Rights – e che queste ONG avrebbero impiegato il vocabolario dei diritti umani in un’istanza presentata all’Alta Corte di Giustizia per la revisione del processo a Margalit Har-Shefi, la donna condannata nel 1998 per non aver impedito al suo amico Yigal Amir di assassinare Rabin.* "
*Dan Izenberg, “State Attorney Rejects Har-Shefi Retrial Petition”, in Jerusalem Post, 17/10/2010.
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Nicola Perugini, Neve Gordon, Il diritto umano di dominare, traduzione di Andrea Aureli, edizioni nottetempo (collana conache), 2016¹; pp. 166-167.
[Edizione originale: The Human Right to Dominate, Oxford University Press, 2015]
P.S.: Ringrazio @dentroilcerchio per avermi consigliato la lettura di questo saggio che esamina e denuncia l’uso strumentale dei diritti umani da parte dei gruppi dominanti.
#Nicola Perugini#Neve Gordon#Il diritto umano di dominare#libri#leggere#genocidio#crimini contro l’umanità#saggi#diritto internazionale#citazioni#giurisdizione universale#Stati nazionali#letture#saggistica#Medio Oriente#Israele#Gaza#Conflitto arabo-israeliano#cisgiordania#sionismo#Accordi di Oslo#Yitzhak Rabin#Bill Clinton#Yasser Arafat#anni '90#questione israelo-palestinese#Territori Occupati#palestinesi#Gerusalemme#Yigal Amir
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Quando ho iniziato il mio tirocinio in comunità ero carica di paure, pesanti zavorre attaccate ai piedi. Avevo solo qualche speranza a cui aggrapparmi, l’equivalente di un paio di palloncini gonfi di elio, ma sono bastate, potenti come solo le cose leggere e delicate possono essere. Una di queste era la meraviglia che sapevo i ragazzi mi avrebbero ispirato. Ed è stato così, la loro fame di vita così pulsante è un toccasana che scalda l’anima e ipnotizza come le fiamme di un falò. La bellezza di quella luce mi ha tenuta ancorata anche quando le dita fredde del senso di inadeguatezza cercavano di trascinarmi giù. Sono stati i ragazzi a tenermi salda, mi hanno teso la mano con ogni timido sorriso, ogni sguardo complice, ogni confidenza e ogni risata.
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Sono passati due giorni da quando mi ha chiesto di andare con lui a Cipro, sono passati due anni dall’ultima volta che l’ho visto. E ancora io oscillo ad ogni momento tra il non voglio assolutamente andarci, troppo impegno per una persona che nemmeno mi ascolta e il voglio andarci, abbracciarlo, tratteggiare di nuovo il suo volto con le dita, ballare come dei bambini per strada, vergognarmi ma ridere di nascosto mentre lo guardo attaccare bottone con chiunque, stringere le sue dita lunghe mentre lo tiro da qualche parte, uscire da sola al mattino presto quando lui sicuramente dormirà ancora, non esserci al suo risveglio, litigare un po’, sdraiati ognuno nel proprio lettino singolo non chiudere occhio tutta la notte ascoltando il suo respiro, oppure dormire abbracciati, non baciarlo mai, oppure baciarlo proprio prima di ripartire, oppure in un momento banale, come sovrappensiero. Per fortuna che il non avere i soldi mi salva da me stessa.
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Non sono ancora la persona solare che tante volte ho desiderato essere, non sono ancora il sole che scalda, forse non lo sarò mai. Sono ancora una luna, malinconica e distante, ma va bene così. Sarebbe già tanto riuscire, il più spesso possibile, ad essere quel barlume di luce, che seppur fredda, schiarisce e rassicura nell'oscurità, che silenziosa accoglie quei pensieri di cui solo la notte si può parlare.
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Io sono io, o sono quella che mi guarda?
Per chi recito pure quando sono sola?
Costantemente mi dico, guarda qui, guarda lì,
ma non mi interessa niente.
E allora chi sono io, la mano che indica, o l’occhio che guarda.
Faccio sì, sì, che bello
Come se non volessi offendermi
E come se costantemente cercassi di riempire un costume vuoto
Ma di chi è la mano che farcisce?
E poi perchè lo fa? Di cosa ha paura?
E se invece smettendo di guardare dove penso di dover guardare
vedessi quello che cerco veramente?
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Dal burrone alla prateria
Tra il burrone e la prateria c'è un lungo cammino, che io ho percorso in un po' di mesi accompagnata da una bravissima counsellor.
Al burrone ci sono arrivata per sbaglio anni fa. Sola, sperduta e lontanissima da casa. È stato un attimo. Me lo sono ritrovato davanti all'improvviso, e subito sono stata travolta dalle vertigini alla vista dell'abisso nero sotto di esso. Vuoto, silenzioso. Ma di un silenzio così profondo che diventa paradossalmente assordante.
Ho chiuso quasi subito gli occhi, perché la paura era tale che mi tremavano le ginocchia. Non è un tipo di abisso che ti puoi permettere di guardare. Ma ho avuto subito la sensazione che fosse una di quelle immagini che non puoi dis-vedere. Ho sentito qualcosa come cliccare dentro la mia testa.
Per tanto tempo ho tenuto gli occhi serrati, pietrificata lì. Ma lo sentivo comunque, dovevo allontanarmi. E ci sono riuscita, con qualcuno che mi guidava. Sono arrivata adesso in questa prateria, che è la mia metafora della vita in generale. La prateria è comunque un posto un po' inquietante, come ben sa chi ha visto Bambi. Si è allo scoperto, vulnerabili. Ma almeno non ci si cade dentro. Non c'è nessun posto dove andare, nessun posto da raggiungere. Bisogna star lì, e trovarsi un modo per passare il tempo. Non è poi così male, ci sono tutti gli altri. Si può correre, ballare, costruire rifugi o collane di fiori, oppure oziare. Poco importa.
Eppure ancora, a volte, quando meno me lo aspetto, vedo il burrone. Quando succede il rombo del suo silenzio, quasi il suono dell'elettricità statica, sommerge ogni altro suono. Non riesco più nemmeno a sentir bene cosa dicono i miei pensieri. E allora devo concentrarmi, per ricordarmi che sto nella prateria. Scacciare via il silenzio, scuotere il nero di dosso che già cominciava ad avvolgermi. Alcuni giorni mi riesce meglio di altri.
Mi chiedo se smetterò mai di vederlo. Questo vuoto angosciante, che strappa via il senso da ogni cosa.
A volte mi sembra sia un segreto che conosco ma che ho deciso di dimenticare.
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Vivere le domande invece di cercare le risposte.
Ho letto da poco Lettere a un giovane poeta di Rilke, e mi ha dato davvero tantissimi spunti di riflessione. In una delle lettere Rilke consiglia al poeta di custodire le sue domande come fossero libri scritti in una lingua straniera. Questa metafora mi ha veramente colpito. Piuttosto che andare a cercare la versione tradotta del libro, custodirlo e rileggerlo più volte. Man mano che si approfondisce la conoscenza della nuova lingua saremo capaci di cogliere sempre più sfumature di significato, e quella che scegliamo sarà nostra. Perché chiunque abbia imparato una seconda lingua sa come per ogni parola ci sono tantissime traduzioni possibili, bisogna che troviamo la nostra, quella ha senso per noi. O ancora meglio, tenerle in mente tutte, perché non sapremo mai qual è quella vera. Per tutte le domande che la vita ci pone, come “è questa la direzione giusta?”, cerchiamo sempre di arrivare alla risposta con la testa. Ma spesso invece la cosa migliore sarebbe camminare tenendo sempre presente la domanda, quasi fosse un metal detector che stringiamo nelle mani, così da semplicemente orientare i nostri passi man mano. Invece di decidere sul momento e poi camminare in avanti ciecamente. Mi piacerebbe riuscire ad applicare questo metodo anche con le persone che incontro. Non posso sopprimere l’istinto innato che abbiamo a etichettare. Conosciamo qualcuno e subito cominciamo ad appiccicare etichette: “x mi sembra sensibile/intelligente/superficiale/riflessivo/felice”. Non sto parlando necessariamente di giudicare, quello credo che tutti cerchiamo di non farlo. Ma, inconsciamente e giustamente, iniziamo per forza a farci un’idea di quella persona. Sarebbe bello invece custodire sempre la domanda. Prendere le etichette che ci vengono in mente e metterle da parte, perché rischiano altrimenti di orientare il nostro sguardo e non farci notare altre cose che avremmo notato se non avessimo avuto già qualche filtro. Ci vuole un costante lavoro di consapevolezza, coscienza delle proprie operazioni mentali, ma credo valga la pena. Anche perché lo sento quando, al contrario, le persone cominciano a vedere me come una risposta invece che una domanda, e mi da fastidio. Quasi sempre sento che le persone mi mettono su un foglio, come i bambini quando vogliono disegnare la loro propria mano, e con un pennarello cominciano a tratteggiare i contorni. Alla fine rimangono con questa silhouette, che sarebbe la loro idea di me, e dopo io mi ci sento costretta, non voglio uscire con i miei colori fuori dai contorni, per non guastargli il disegno.
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Stasera ho raccontato al mio ex, con il quale sono rimasta amica, di quanto glaciale io mi senta in questi mesi. Della sensazione che le mie emozioni siano chiuse in una stanza di cui non ho la chiave. Di come riesco a piangere solo dei dolori altrui, commuovendomi per loro. Lui ha contestato però che quando l'ho lasciato ho pianto eccome. Se non ci è arrivato da solo dopo tutto questo discorso, come si fa a dirgli che anche in quel caso piangevo pensando al male che gli stavo facendo, e non al mio. Certe cose è meglio lasciarle non dette, credo. Che continui a salvaguardare l'interpretazione che lo fa stare meglio, piuttosto che togliergli anche il ricordo immacolato di qualcosa che comunque non esiste più.
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Con A. non è successo praticamente nulla. Con pazienza e testardaggine, l'anno scorso era riuscito poco a poco ad abbattere le mie barriere ed avvicinarsi quel poco che bastava a farmelo prendere in considerazione come il primo con cui buttarmi in questo mondo delle relazioni fino ad allora a me sconosciuto. Ma dopo pochi appuntamenti sono partita per l'erasmus e nel frattempo lui ha trovato un'altra.
Alla fine, non è stato il mio primo niente. Eppure continua a volte a volteggiarmi fra i pensieri, e una piccola fitta di malinconia mi attraversa. Lo immagino come il primo e finora unico ragazzo gentile che mi sono lasciata scappare con i miei tempi biblici di apertura, per poi tuffarmi invece a capofitto per compensare nelle braccia di gente che non aveva nemmeno un decimo del suo tatto.
Dei quattro ragazzi con cui dai miei "inizi" potrei dire di aver condiviso qualcosa, è quello con cui ho condiviso meno. Eppure è sua l'immagine che più frequentemente riconosco nei luoghi più impensati. Lo rivedo in un video di Raf da giovane, nel quadro qui sotto, nel vicino di tenda in campeggio (un ragazzo in viaggio con la moglie e la sua neonata, per un attimo mi è sembrata una visione).
Ma che senso ha? Forse perché è l'unico che non ho conosciuto abbastanza da riuscire a smontare l'idealizzazione che mi ero costruita. Magari ha solo un viso molto comune.
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Sono in uno spazio vuoto, una vita nuova tutta da costruire. Tutti i miei legami stanno cambiando, e nel processo mi sento sola, in bilico.
Come sempre in questi casi, mi ritrovo, abbastanza spesso, a pensare a N. So che non mi aiuterebbe davvero, perché prende senza mai dare davvero nulla. Ma ho visioni di ricordi che mi balenano in mente a volte. Una mattina tardi a letto, che letto in realtà non è, ma solo un materasso a terra attaccato alla scrivania, che sta proprio sotto la finestra. Le tende sono aperte, fuori il cielo è grigio, la pioggia batte sui vetri. Io sono sveglia e lui dorme, classica combinazione la mattina, invertita rispetto alla sera. Mi da le spalle, nude. Io gli traccio i contorni delle spalle con le dita, disegno linee che non portano da nessuna parte. Non so perchè mi piacciono così tanto. So già che così si sveglierà. Mi manca nel sonno. Mi sento sola. Vorrei che una volte fosse lui a svegliarsi prima di me, e svegliandomi, trovarlo che mi accarezza sereno. Ma è inutile. Continuo ad accarezzarlo, mi faccio più vicina. So già che si sveglierà e come fosse il naturale inevitabile tragitto di una stella, faremo l'amore. Non vorrei in realtà, ma ho voglia di essere stretta, di essere toccata, e sono disposta a troppo per ottenerlo. E quindi lo accarezzo. Con lo stomaco stretto.
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