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Vincenzo Irolli (1860-1949), "Donna alla finestra"
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Gioachino Rossini
Compositore italiano
[ Pesaro, 29 febbraio 1792 - Passy, 13 novembre 1868 ]
Ieri ho trascorso la giornata a Pesaro da poco proclamata "Capitale della Cultura 2024" , città che non avevo finora mai visitato.
Dopo la visita al palazzo Ducale...
[ qui il link e un video]
youtube
ho voluto visitare la Casa natale, ora Museo, di Gioachino Rossini.
Gioachino Rossini, è stato un pianista e compositore di opere musicali, teatrali e liriche ed ha conosciuto un travolgente successo nella prima metà dell'Ottocento.
Possiamo dire che fu il primo compositore di musica classica a scatenare una entusiastica ammirazione e fenomeni di moda e di emulazione, al pari degli attuali "Influencers", in tutta Europa, ma più ancora in Francia, in Inghilterra e in Germania.
Anche il suo stesso abbigliamento diede origine a mode e a imitazioni (celebri i suoi copricapo).
Rossini fu un bambino prodigio. A soli 7 anni entrò al Conservatorio, a 12 anni componeva sonate, a 14 anni ricevette la commissione dell'opera Demetrio e Polibio.
A soli 37 anni decise di ritirarsi dalla carriera pubblica e dalle turnèe. All'età in cui la carriera degli altri musicisti toccava il culmine, il grande compositore pesarese, decise all'improvviso, di smettere di la sua carriera pubblica e di comporre opere teatrali.
Fu il più importante compositore italiano della prima metà del XIX secolo e uno dei più grandi operisti della storia della musica, e per la precocità e la velocità di composizione, è stato soprannominato il "Mozart italiano" .
Definito da Giuseppe Mazzini «un titano. Titano di potenza e d'audacia
Oltre che compositore raffinato, Rossini fu buongustaio in tutti i sensi e anche eccellente cuoco, e si dice che fosse inarrivabile nel cucinare i maccheroni, di cui era goloso, come era appassionato di un certo pasticcio di pollo con gamberi al burro.
Egli cercava di trarre dai fornelli le stesse armonie del pianoforte.
Da Napoli si faceva venire i maccheroni, da Siviglia i prosciutti, da Gorgonzola l'omonimo formaggio, da Milano il panettone.
Fu un innovatore dallo spirito ipersensibile ed inquieto, molto moderno quindi grazie alla sua insolita e complessa personalità.
Dopo la fine della sua carriera pubblica come compositore, fu ospite graditissimo del Re di Francia che gli attribui un ricco vitalizio, purchè si fermasse a Parigi e facesse parte della corte.
Premetto che fino ad oggi, io non mi ero mai interessato di Lirica.
Da ieri però una grande curiosità mi è presa dopo aver letto un pò di notizie su questo artista che ho poi scoperto avere importanti legami con la mia terra (la Romagna).
La prima notizia che mi ha coinvolto è stato apprendere che suo padre era di umilissime origini: era originario di Lugo di Romagna.
Ma ecco come ne parla Wikipedia:
Ma oggi, volendo ricordare la genialità e la modernità, del tutto fuori dagli schemi ottocenteschi, di questo Compositore che è passato alla storia come personaggio, bizzarro, amante del buon vivere, del bere, del cibo e delle belle donne, voglio scegliere un frammento delle sue tante opere trovato casualmente su YouTube.
Il brano è "Nacqui all'affanno..." ed è centrato sulla personalità della protagonista dell'opera "Cenerentola"
Libretto / Testo italiano
CENERENTOLA:
Nacqui all' affanno, al pianto
Soffrì tacendo il core
Ma per soave incanto
Dell'età mia nel fiore
Come un baleno rapido
La sorte mia cangiò.
No, no; tergete il ciglio
Perché tremar, perché?
A questo sen volate
Figlia, sorella, amica
Tutto trovate in me.
TUTTI ( coro)
M' intenerisce e m' agita
È un nume agli occhi miei
Degna del premio sei,
Che dato viene a te.
CENERENTOLA :
Padre... Sposo... Amico... oh istante!
Non più mesta accanto al fuoco
Starò sola a gorgheggiar.
Ah! fu un lampo, un sogno, un gioco
Il mio lungo palpitar
TUTTI (coro) :
Tutto cangia a poco a poco
Cessa alfin di sospirar.
Di fortuna fosti il gioco
Incomincia a giubilar.
Libretto inglese / traduzione:
CINDERELLA :
Born to trouble, to tears,
He suffered by keeping his heart silent
But for sweet charm
From my age in the flower,
Like a quick flash
My fate changed
No, no; wipe the edge
Why tremar, why ?
At this speed
Daughter, sister, friend
You find everything in me.
ALL:
M 'softens and agitates me
It is a nume in my eyes
Worthy of the prize six
What data comes to you
CINDERELLA :
Father ... Spouse ... Friend ... oh instant!
No longer saddened by the fire
I will be alone in gorgheggiar.
Ah! it was a flash, a dream, a game
My long palpitar.
ALL :
Everything changes gradually
He ceases to sigh
Fortunately, you were the game
It starts to jubilate
youtube
Riferimenti su Gioachino Rossini:
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“Capurà’, è mmuort’ l’alifante!”
1742 -L‘ Alifante a BAIANO
Il 7 settembre del 1742 approdò, nel porto di Brindisi, un’imbarcazione a vela da carico (tartana) partita da Durazzo con a bordo un poderoso elefante indiano destinato a Carlo III di Borbone. Nel racconto popolare la notizia diffusa era che si trattasse di un dono del sultano ottomano Mahmud I al re del Regno di Napoli. E secondo lo storico Michelangelo Schipa: “si voleva con questo presunto successo in politica estera, rafforzare nell’interno il prestigio del nuovo re Carlo di Borbone”. In realtà fu acquistato dal conte Finocchietti su mandato del marchese di Salas, con lo scopo di compiacere il re che lo desiderava all’interno del suo serraglio.
La notizia del passaggio di questo pachiderma si diffuse nei diversi territori del regno, richiamando l’attenzione di tante persone di ogni estrazione sociale e suscitando enorme curiosità e stupore .
Il corteo attraversò l’abitato di Baiano e di questo singolare evento troviamo riscontro in un brano della raccolta di memorie della famiglia Foglia, il cui estratto è stato riportato da Antonio Iamalio nel libro “ LA VALLE MUNIANENSE”.
“ A' di 4 ottobre 1741 il Granvesirre de' Turchi mandò a regalare all’attuale Re di Napoli CARLO TERZO, infante di Spagna c gran Duca della Toscana, uno grossissimo Animale chiamato l’Alefante, il quale passò per mezzo la Piazza di cotesta nostra Terra di Baiano, et tanta soldati del Commissario di Campagna e turchi, che custodivano il med., il quale non è stato mai veduto da nessuno di questi Regni. Il detto Alifante pareva una montagna di carne, che fu uno gran portento; il detto nostro RE se lo tiene in Napoli dentro la tarcena (darsena) con grandissima spesa custodito.”
Chissà quanta meraviglia si manifestò tra i Baianesi nel vedere passare, sulla via Regia delle Puglie, il corteo con l’elefante destinato al re. Per tutti fu un evento insolito e una nuova esperienza di conoscenza, fino allora limitata a quella degli animali domestici che facevano parte del vivere quotidiano dell’epoca.
ll giorno 1 novembre di quell’anno l’elefante, scortato da soldati e gestito da sei turchi, con una lenta marcia, arrivò alla Reggia di Portici e fu accolto nello zoo privato affidandolo alle cure di un caporale del regio esercito.
Diventò subito una straordinaria attrazione con la possibilità di ammirarlo da vicino pagando una lauta mancia al caporale che lo accudiva.
Inoltre, fu fatto sfilare durante le parate ufficiali del re e perfino esibito nel 1743 a teatro San Carlo durante la rappresentazione dell’opera “Alessandro nelle Indie”.
Purtroppo, morì nel 1756, pare per un’impropria alimentazione, e il suo guardiano tornò alle ordinarie mansioni di sottufficiale, perdendo i benefici della notorietà e i vantaggi economici.
Per questa nuova situazione, i Napoletani, ai quali di certo non manca l’estro creativo e lo spirito canzonatorio, coniarono il detto “Capurà’, è mmuort’ l’alifante!” a evidenziare la fine di una situazione favorevole.
Lo scheletro dello sfortunato pachiderma fu trasferito, nel 1819, al Museo Zoologico, dove ancora oggi è esposto.
Angelo Piciullo
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E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto nel cielo di Napoli
rubatele anche i soldi, rubatele anche i ricordi
ma lasciatele per sempre la sua dolce curiosità
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita
ditele che la perdono per averla tradita.
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Appunti dalla lettura di "Sette anni di sodalizio"
Molto commovente l'attenzione del Ranieri alla comodità fisica del suo amico nei tragitti in carrozza da Firenze a Roma e viceversa, il suo tenerlo al seno come un figlio e non come un compagno.
Interessante il freddo incontro con il conte Monaldo, vestito come un uomo del secolo passato e con un grosso libro di preghiere sottobraccio, frettoloso di recarsi in una chiesetta vicino casa per le lodi mattutine e contrariato dalla grande stima del Ranieri nei confronti del figlio.
Determinante l'altissima sensibilità umana, sostenuta da un illuminato misticismo, della sorella di Ranieri, Paolina, nella fondazione di quel sodalizio a tre ch'ebbe luogo nella città di Napoli e a Villa Ferrigni alle falde del Vesuvio. Compiaciutissima che Paolina sapesse a memoria tutti i Canti di Leopardi e che quindi in qualche modo lo amasse. Colpitissima dalla figura di Paolina che, pur essendo una donna colta (suo fratello la definisce compagna di studi), sostiene che l'ago, la calza, la scopa, sono la missione della donna, e non le lettere. Ella si dice immediatamente entusiasta di poter assistere Leopardi, sia per amore del fratello, sia in virtù di come lei intenda la vita, ovvero come sacrificio e servizio.
Non penso affatto che una simile donna sia stata immeritevole di sposare Leopardi, essendo una specie di Santa, come Santo era lui! Ecco, se questo libro costituisce l'altare di qualcuno, lo è della sorella di Ranieri, Paolina. Nel cantare le sue lodi, il fratello non ha il minimo freno; la dipinge con un affetto e una venerazione tali che si penserebbe egli non avesse neppure per Leopardi.
Sono giunta al punto del resoconto in cui la padrona del primo degli appartamenti napoletani occupati da Ranieri e Leopardi, insospettita dall'inusuale legame tra i due, praticamente li caccia di casa. In una delle notti trascorse in questo appartamento, Leopardi vede la padrona di casa introdursi nella sua stanza e armeggiare attorno alla cassettina dove lui conserva pettine, spazzola e forbici. Qui il Ranieri precisa che il suo amico non aveva mai posseduto un rasoio, data la sua totale mancanza di barba.
C'è il grazioso quadretto del Leopardi che va a teatro e si fa schermo con una mano agli occhi feriti dalle luci.
Leopardi che sembra rasserenato dalle cure della sua infermiera e dall'ordine in cui tiene la casa.
Poi, una descrizione disgustosa e degradante delle sue funzioni corporali e dei capricci cui sottoponeva, apparentemente con cieco egocentrismo, il suo ospite e la sua infermiera. Seguito a leggere per puro piacere masochistico e curiosità malsana, e comunque nella speranza di trovare ancora un quadro grazioso, una descrizione da cui traspaia benevolenza nei suoi confronti.
C'è la caduta di Leopardi in pensieri tetri, da cui i suoi amici cercano di risollevarlo. Il sospetto che il suo pessimismo sia frutto di una patologia psichica (la depressione, di cui nell'Ottocento non si conosceva il nome) non ha attraversato solo la nostra mente, ma anche quella dei suoi più intimi amici e conviventi.
C'è la sua persecuzione per motivi religiosi: editori che non vogliono stampare i suoi canti, censori che vorrebbero modificarne parti di stesura, la difficoltà di diffusione delle poche copie stampate da privati, a causa dell'ostracismo degli ambienti cattolici. Persino il padre di Ranieri ha da ridire sul fatto che la figlia eserciti la propria carità nei confronti di un uomo dalle idee antireligiose.
Una curiosità che mi delizia: Leopardi disse che si trovava più a suo agio con il greco antico che con l'Italiano, che le prime parole che gli venivano alla lingua e alla penna erano in greco antico e poi doveva come tradurle simultaneamente in Italiano. La facilità con cui apprese il greco da piccolo, la familiarità che ebbe quasi da subito con esso come se fosse una lingua ritrovata e ricordata, mi suggeriscono una forma di conoscenza pregressa alla sua ultima incarnazione. Ovviamente questa sua disposizione può avere altre motivazioni: il prestigio indiscusso di cui godevano gli Autori greci nella cultura occidentale, la facilità nell'imparare le lingue tipica degli Asperger. Ma una motivazione non esclude l'altra, anzi potrebbero essersi combinate insieme.
Ranieri si premura di mettere in risalto quanti sacrifici fecero lui e la sorella per quell'adorato malato, e come le loro preghiere si scontrassero con la sua testardaggine. Leopardi non aveva molta fiducia nei medici, pretendeva di curarsi da solo, e quando invece si decideva a seguire le loro prescrizioni, lo faceva con eccesso, senza buon senso. Perché se pure nelle poesie egli invocasse la morte, nella vita quotidiana era assai apprensivo per la propria salute. Ma le sue preoccupazioni cessavano quando si trattava di dolci e gelati, che i medici gli avevano vietato. Ne era furiosamente ghiotto, inutili erano i tentativi di Paolina di non farlo uscire per andare al bar e ingozzarsi di gelati. Più volte ne abuso` tanto da star male al bar, dove il Ranieri lo andava a riprendere, trovandolo affiancato da persone che lo deridevano, e con le quali il Ranieri fu una volta tentato di venire alle mani.
Leopardi era molto sensibile sia alle lodi, che voleva sincere e calorose, che alle critiche. Chi conosceva questa sua debolezza, talvolta si prendeva gioco di lui. Il Ranieri doveva provocare, nelle conversazioni, lodi per il suo amico, per evitare che lui cadesse nel mutismo con quella persona che gliele negasse.
Una persona totalmente invisa a Leopardi era Niccolò Tommaseo, per aspre critiche alla sua opera combinate a dileggiamenti del suo aspetto fisico (ma Ranieri non fa cenno di tali pesanti provocazioni, facendo apparire Leopardi come preda di uno dei suoi capricci). Poiché Leopardi non vedeva quasi più, era costretto a dettare i suoi scritti. Una volta ne detto` uno, particolarmente pungente, indirizzato al Tommaseo. Quando Ranieri giunse alla trascrizione di quel cognome usato in un significato triviale, pregò il Leopardi di non continuare e gli chiese il permesso di stracciare, per amore della sua gloria, quanto già scritto. Questo episodio mi sembra umiliante della figura di Leopardi e credo che la sua narrazione avrebbe potuto esserci risparmiata. È vero che testimonia dell'amore del Ranieri per il suo amico, ma se mettiamo sul piatto della bilancia l'amore dimostrato e l'umiliazione a cui lo ha sottoposto narrando l'episodio, credo che l'umiliazione pesi di più.
Ranieri sottolinea il merito proprio e della sorella di avere mantenuto in vita e curato il malato fino a permettergli di scrivere quei tredici Canti che lui definisce i più belli, oltre ad un poemetto e ai Pensieri.
Sfuggendo all'amorevole protezione di Ranieri, volendo fare di testa sua, egli si fido` di un gruppo di pseudoletterati che gli avevano promesso la pubblicazione delle Operette Morali e dei Canti aggirando la censura. In realtà queste persone non avevano la minima intenzione di favorirlo. Resosi conto di ciò, Leopardi, un pomeriggio, prese un piccolo bastone e disse, a Ranieri e Paolina, che sarebbe uscito per bastonare qualcuno. I due fratelli lo guardarono con compatimento, si scambiarono un'occhiata, Ranieri prese sottobraccio Leopardi e, per distrarlo dal suo proposito, lo portò a spasso, finché del bastone non parlò più.
Non ci è risparmiata un'accurata descrizione della grave infestazione da pidocchi che occorse al malato, e dei sacrifici, sempre osteggiati dal capriccioso malato, sostenuti dai due fratelli per porvi rimedio.
Dopo un simile abisso di degradazione, ecco un quadretto da ricordare: Leopardi che ama passeggiare per i sentieri sulle falde del Vesuvio, e che prende l'abitudine di fermarsi ad ascoltare il canto di una ragazza di nome Silvia, che lavora al telaio, e ch'è fidanzata con il figlio di un fattore. Una deliziosa serie di coincidenze che pare quasi fabbricata ad arte.
Aveva paura di morire, e quindi della sopravvenuta epidemia di colera, perciò non volle tornare a Napoli finché non si fu almeno momentaneamente placata. Più egli si aggravava, con segni manifesti, più negava di essere davvero malato: diceva, addirittura, che quel che lo affliggeva fin dalla prima giovinezza era un malanno di nervi, e che sarebbe vissuto altri quarant'anni.
Qui Ranieri ci ragguaglia sulle preferenze gastronomiche del morituro, tra cui pani e biscotti speciali fatti arrivare da Napoli.
Tornato a Napoli e infastidito dai medici, se ne prende gioco dicendo che soffre soltanto di un'asma nervosa. Un giorno uno di questi medici gli fa una bella strigliata, come si farebbe ad un bambino, e lui sembra rabbonirsi ed accettare momentaneamente il consiglio di tornare alla villa sul Vesuvio.
Ma rimanda di giorno in giorno la partenza: sa che lì non potrà avere tutte le ghiottonerie di Napoli e, incredibile a dirsi, detesta la campagna, a favore della grande città.
Il 13 giugno Paolina va a far visita al padre, che le regala due cartocci di confetti. Ella li porta al malato, che li divora in poche ore (nonostante il divieto dei medici di mangiare dolci).
Seguono poi le tristissime vicende della morte e della sepoltura. E chi dice che Leopardi sia morto di colera, d'indigestione, che avrebbe potuto superare le proprie malattie e cantare l'inno alla gioia, o fare di meglio di ciò che ha fatto nella propria vita, è sicuramente mosso da volontaria ignoranza o malafede. Ricordo qui Savinio, che inventò fosse morto per indigestione di gelati e conseguente mal di pancia, per andare contro l'ampollosita` delle celebrazioni fasciste, ma di fatto ridicolizzando la figura di Leopardi (non me ne vogliano gli antifascisti, anch'io lo sono); il cattolicissimo Papini che indirettamente gli diede del piagnone, paragonando lo straordinario e complesso sistema di malattie del Leopardi agli avversi casi di Dante il quale, al di là di questi, riuscì a vedere Dio.
Chiunque non conosca la scoliosi, e come faccia sentire soffocati da sé stessi, non può esprimere alcun giudizio. Questo fu la morte di Leopardi: schiacciamento degli organi interni (polmoni, cuore) dovuta all'aggravamento della scoliosi per la probabile combinazione di due malattie, l'una che disfaceva e l'altra che piegava le vertebre. Se qualcuno vuole ancora riderne, faccia pure.
(Dopo aver letto "La ginestra")
Gli occhi di Leopardi non erano ciechi, ma stanchi. Scriveva tre, quattro, massimo sei righi al giorno, e non tutti i giorni. Credo fosse stanco di vedere questo mondo così piccolo, e la piccolezza degli uomini che si ergevano a grandi. Era ferito dalla luce falsa e abbagliante dello spiritualismo e dell'ottimismo, dall'aggressività con cui si usava, quasi come un'arma, il concetto di Dio. Stanco di credenze fantasiose alle quali si dava fiato con furbizia o con follia, e che la mente di un uomo ideologicamente onesto e lucido, non poteva piegarsi a contemplare. Nel riposo dalla luce falsa e feroce dei suoi contemporanei e del giorno, nella quiete, piena di sussurri e di movimenti appena percettibili, della notte, i suoi occhi vedevano lontano, fino a "nodi di stelle che a noi paiono nebbia", ovvero le galassie. Vedevano ogni fiammella del cielo, ogni stella, a confronto della quale tutto il mare e l'intera terra non sono che un punto.
Eppure, dell'ottimismo spiritualista che Leopardi considerava il male morale assoluto, è permeato il libretto del suo amico Ranieri. Egli dice, a un certo punto, che la dedizione sua e della sorella all'adorato malato, la poesia che furono quegli anni di cura del suo corpo asfittico e macchiato, sono la risposta alla concezione di dolore universale elaborata da Byron, Schopenhauer e Leopardi stesso. Ciò mi ha colpito perché non è del tutto sbagliato. È forse sbagliata la presunzione di volersi contrapporre, con il proprio umile, ma considerato grandioso, operato, come risposta, ovvero come smentita, al pensiero di altri. Ma non è sbagliato considerare l'amore come risposta unificatrice delle diversità, in quanto esigenza e tensione di base di tutti i gruppi e gli individui oltre le differenze ideologiche e di sensibilità individuale e culturale. E una cosa è certa, perché sperimentabile da tutti: l'amore lenisce e rende più tollerabile il dolore, sebbene non possa annullarlo.
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Milan-Napoli: analisi del nostro prossimo avversario
Opta Focus – Statistiche e curiosità di Milan-Napoli Il trittico di sfide d’alta quota per il Napoli inizia da San Siro martedì sera, dove i partenopei faranno visita al Milan. L’ultimo incrocio tra le due squadre in Serie A è stato proprio a San Siro, con i padroni di casa che in quella occasione si sono imposti per 1-0, lo scorso 11 febbraio. Il Milan ha vinto solo uno degli ultimi nove match…
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Arredare uno spazio per bambinə vuol dire progettare con loro, imparare a muoversi con i loro passi, mettersi alla loro altezza comprendere movimenti, intenzioni e gesti con curiosità e flessibilità.
Il pedagogista Loris Malaguzzi definisce lo spazio come “educatore” ed è proprio così, a qualsiasi età e in ciascun luogo del mondo!
Disegnare e realizzare arredi per i piccolə è stata un’esperienza stimolante soprattutto perché ancora una volta ci ha riportato all’infanzia e a tutto il suo meraviglioso universo.
BEIBI è uno studio di design e arte-educazione creato da me e dall’architetto e designer Franco Lancio, insieme lavoriamo alla realizzazione di progetti culturali e sociali nell’ambito della grafica, dell’architettura del design e dell’arte.
Lo spazio nelle immagini è lo spazio Temporary OBÚ della Fondazione Terzoluogo a Napoli nel quartiere di Sant’Antonio Abate.
Uno spazio di riqualificazione architettonica e sociale che è solo l’inizio di un ampio e interessante progetto per la città di Napoli.
Gli arredi sono stati realizzati con la Falegnameria Arredogamma di Bonito (AV).
arteducazione#artapproach#design#arte#architettura#kids#spazionfanzia#napoli
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Perché dedicare oggi, in un tempo che pensa poco, ha poca fede, poco amore della storia e della cultura umanistica una biografia a Giambattista Vico? Perché è il più grande pensatore italiano, di quell’Italia di cui fu padre Dante Alighieri sette secoli fa. Misconosciuto, incompreso, più spesso frainteso, o ridotto a qualche tormentone scolastico, Vico è il filosofo che apre nuovi mondi e ci collega ai mondi più antichi; dei miti, della romanità, della cristianità, della tradizione, della civiltà mediterranea. E’ il pensatore che ha cercato il punto di confluenza tra la filosofia, la religione, il mito e la storia, preceduti dalla poesia ed ha pensato con mente eroica una Scienza nuova, che è il titolo del suo capolavoro di tre secoli fa.
Ci sono tante ragioni di pensiero, tante curiosità di vita e di storia, tanti intrecci col suo tempo e col nostro, che meritavano di essere raccontati. Vico dei miracoli è un noto punto di Napoli, ma è la metafora di un pensiero miracoloso, non solo per i suoi riferimenti alla grazia della Provvidenza. E mentre la vecchiaia avanzava, Vico insegnava ai suoi alunni, che più la storia avanza più il mondo si rinnova e anziché invecchiare ringiovanisce…
Difatti la storia va avanti e va indietro, secondo Vico, tra ascese e cadute; progredisce, ma segue i cicli, come la natura, dunque ritorna al cammino precedente. Ma non torna al passato, non cancella le esperienze accumulate. È un cammino a spirale, in cui ogni curva è analoga a quella corrispondente del precedente giro, ma non è uguale. Una visione originale che concilia la visione pagana classica, ciclica della storia, e la visione cristiana, che vede la storia come un cammino verso l'infinito.
Marcello Veneziani, “Vico dei miracoli”
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Le istantanee di José Altafini
Un evento che ci ha permesso di scoprire il José Altafini scrittore ma anche di conoscere alcuni aneddoti della sua vita. "Istantanee di un campione", il nuovo libro scritto dall'attaccante ex Napoli, Milan e Juventus, è stato presentato presso la sede della Zeus in quel di Torre Annunziata. Chi è José Altafini? José João Altafini, nato a Piracicaba, in Brasile, il 24 luglio 1938, è un ex calciatore brasiliano naturalizzato italiano, che ha giocato come attaccante. Soprannominato Mazzola in Brasile per la sua somiglianza con la leggenda italiana Valentino Mazzola, Altafini è stato uno dei giocatori più prolifici della sua generazione, segnando oltre 630 gol in carriera. L'ex attaccante ha vestito le maglie, in Italia, di Juventus, Napoli e Milan vincendo 4 campionati, 4 Coppe Italia, una Coppa delle Alpi e una Coppa dei Campioni. Nel 1958, inoltre, vince il mondiale con il suo Brasile guidato da Pelé. Il libro Nel libro, Altafini ripercorre la sua carriera calcistica, dagli esordi in Brasile con il Palmeiras e la vittoria del campionato mondiale con la Nazionale nel 1958, fino alle sue esperienze in Italia con Milan, Napoli e Juventus. Il libro è ricco di aneddoti e curiosità sulla vita di Altafini, sia dentro che fuori dal campo. L'attaccante brasiliano racconta i suoi successi e i suoi fallimenti, i suoi compagni di squadra e i suoi allenatori, e la sua passione per il calcio. La presentazione Dialogando con il direttore di Cinque Colonne Magazine, Giovanni Tortoriello, l'attaccante campione del mondo nel 1958 ha raccontato non solo le sue avventure sportive ma anche del suo lavoro di commentatore televisivo e radiofonico, arrivato al termine dell’attività agonistica. Presenti alla presentazione del libro anche tre suoi ex compagni di squadra del Napoli ovvero Cané, Vincenzo Montefusco e Giovanni Improta. Read the full article
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Curiosità e ricette alla corte di Svevia: l’Università di Napoli celebra gli 800 anni con un libro | winenews.it
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**CURIOSITÀ SULLE STRADE DI POMPEI** 🇮🇹
**Le strade dell’antica Pompei**, così come le altre strade romane, non erano costituite da basoli quadrati o rettangolari (come si possono vedere ancora oggi, ad esempio, su alcune strade di Napoli e delle sua provincia), ma erano ricoperte di **basoli** poligonali irregolari, Questo perché i poligoni irregolari, ben incastrati tra di loro, davano maggiore stabilità. I basoli non venivano tagliati prima per essere montati per formare il selciato (come avviene oggi con i basoli regolari) ma venivano intagliati sul posto nella forma opportuna per rendere l’incastro perfetto.
**I SOLCHI DEI CARRI**
Sulle strade di Pompei si possono osservare dei **solchi incisi** dal passaggio delle ruote dei carri.
Istintivamente viene da pensare che siano dovute al continuo sfregamento delle ruote dei carri sul selciato. In realtà quei solchi sono stati preventivamente scavati nelle pietre durante la costruzione delle strade, come se fossero dei binari per consentire ai carri (che potevano sbandare per qualche motivo) di passare indenni e senza urtare i marciapiedi o gli alti blocchi di pietra dei passaggi pedonali e rompere così le ruote. Soprattutto perché i carri potevano circolare solo di notte. In determinati punti i solchi servono anche per prendere bene la curva senza urtare, ad esempio, i bordi delle fontane, anche se, quasi tutte, erano appositamente provviste di blocchi di pietra che fungevano da paracarri.
Grazie a questi solchi si è potuto scoprire che alcune strade di Pompei erano a senso unico.
**I carri**, per decreto imperiale, dovevano avere tutte le ruote alla stessa distanza: 1,43 metri.
Questa distanza teneva conto dello spazio occupato da una coppia di cavalli affiancati (valevole anche per i muli o i buoi). Un metro e quarantadue centimetri è ancora la distanza tra i due binari delle ferrovie, cioè il cosiddetto scartamento normale.
**I MARCIAPIEDI**
Mentre le strade a Pompei sono uniformemente ricoperte di basalto, **i marciapiedi cambiano di aspetto** e colore: di solito sono in cocciopesto e vanno dal rossiccio all’ocra, dal grigio al biancastro, a secondo degli elementi mescolati al cemento (terracotta, tufo, pietre vulcaniche, marmo ecc.). Questo perché, se per la costruzione e manutenzione delle strade era incaricato un unico responsabile, cioè l’edile della città, per i marciapiedi dovevano provvedere i proprietari delle case che vi si affacciavano.
A Pompei, inoltre si può notare che alcuni blocchi di pietra lavica che costituiscono **il bordo dei marciapiedi** sono leggermente “imbarcati”; quest’incavo non è dovuto al passaggio delle persone (antiche e, più ancora, moderne) ma è stato formato in epoca romana dal gocciolio dell’acqua piovana dai tetti, dalle balconate e dalle tettoie che proteggevano i passanti.
Spesso lo spigolo di un marciapiede presenta **un foro** che passa da parte a parte questo serviva per legare i cavalli o altri animali, oppure per farci passare delle funi che tenevano tesi i tendoni dei negozi.
**I PASSAGGI PEDONALI**
Sulle strade degli scavi di Pompei si incontrano spesso dei grandi blocchi di pietra disposti in modo perpendicolare rispetto alla carreggiata. Collegavano i due lati dei marciapiedi ma lasciavano lo spazio sufficiente per il transito dei carri. Sono i “**passaggi pedonali**” dell’antica Pompei, antesignani delle nostre strisce pedonali. I blocchi servivano per attraversare la strada senza bagnarsi le gambe in caso di pioggia.
I marciapiedi e i passaggi pedonali sono rialzati, rispetto alla strada, anche per facilitare il carico e lo scarico dai carri.
**I CIPPI SGABELLI**
Sulla Via Consolare (ultima foto) che conduce a Porta Ercolano, porta d’ingresso per chi arrivava a Pompei dal nord, lungo i margini dei marciapiedi emergono, a distanza regolare, dei massi squadrati, come se fossero dei **piccoli cippi** che servivano per agevolare la salita (e la discesa) da cavallo; erano un po’ come dei sgabelli, visto che nell’età imperiale, i romani non conoscevano ancora l’uso delle staffe. La presenza di questi cippi dimostra che presso le porte, attraversate da un traffico molto intenso di carri e viaggiatori a cavallo, si lasciavano carri e cavalli (parcheggiandoli presso alcune rimesse) perché il loro ingresso di giorno era proibito in città. I viaggiatori poi proseguivano perlopiù a piedi o, i più facoltosi, affittavano delle lettighe trasportate da schiavi.
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Gli Hyper Heroes di Stefano Bressani alla MA-EC Gallery di Milano
Gli Hyper Heroes di Stefano Bressani alla MA-EC Gallery di Milano. Grande successo per la mostra personale di Stefano Bressani HYPER HEROES. From the deepest web world space, che è stata inaugurata giovedì 9 maggio alla MA-EC Gallery di Milano. Ad accogliere il numeroso pubblico che ha apprezzato le opere del Maestro pavese, la gallerista Peishuo Yang e il critico Elisabetta Roncati che ha illustrato il percorso espositivo. Tra i collezionisti del Maestro e gli estimatori, arrivati non solo da Milano ma da Bologna, Torino e Napoli, una presenza istituzionale ha fatto visita in galleria: il Dott. Nicola Falvella, da pochi mesi insediato a Pavia come Questore della Polizia di Stato; non solo estimatore e amico del Maestro Bressani ma anche uomo brillante, di grande cultura e amante dell’Arte. Molte le presenze cinesi che hanno omaggiato la galleria, tra curiosità e meraviglia. HYPER HEROES – From The Deepest Web World Space è un titolo ironico che svela un racconto. Il Maestro Stefano Bressani si spinge oltre la mostra figurativa e ci accompagna oltre lo spazio, dove tecnica, capacità artigianali e arte vanno lontano dai luoghi comuni. In questa nuova storia si narra dell’ingiustizia del tempo, dei risvolti sociali e dei paradossi che nascondono il lato oscuro del nostro vivere, dietro un sipario in cui ognuno, marionetta del suo destino, gioca la propria partita. Il pianeta della stoffe dell’artista Bressani, afferma Elisabetta Roncati, è un mondo fatto di tessuti, forme e colori, strizza l’occhio al tema dell’ecologia e nasconde al suo interno significati profondi trasmessi con la sottile arma dell’ironia. Tanti super eroi che ringiovaniscono e, grazie alla tecnica “chibi” dei manga giapponesi, ci fanno riflettere sul concetto di tempo. Le 15 opere esposte alla MA-EC Gallery solleticheranno tutti i vostri sensi invitandovi garbatamente ad andare oltre l’estetica, a congiungere gli opposti come figurativo e informale, pop e concettuale. La mostra sarà visitabile presso la MA-EC Gallery in via Santa Maria Valle, 2 a Milano fino al 9 giugno 2024, dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00. Il sabato dalle 15.00 alle 19.00. info: www.ma-ec.it, tel. 0239831335.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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curiosità
La pasta di mandorla nasce a Napoli, tuttavia attraversò lo stretto di Messina per approdare sull'isola dei maestri pasticceri che in qualche modo la migliorarono e si specializzarono nella lavorazione della mandorla.
Essi crearono dei piccoli capolavori e ricette tradizionali divenute famose in tutto il mondo, tra le quali l'apprezzatissimo marzapane.
curiosity
Almond paste was born in Naples, however it crossed the Strait of Messina to land on the island of master pastry chefs who somehow improved it and specialized in the processing of almonds.
They created small masterpieces and traditional recipes that have become famous throughout the world, including the highly appreciated marzipan.
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Empoli-Napoli: analisi del nostro prossimo avversario
Opta Focus – Statistiche e curiosità di Empoli-Napoli Dopo la sosta per le nazionali torna la Serie A con l’8ª giornata di campionato: il Napoli scenderà in campo nel ‘lunch match’ di domenica 20 ottobre allo stadio Carlo Castellani – Computer Gross Arena di Empoli. Gli uomini di Antonio Conte saranno impegnati contro una delle squadre più sorprendenti di questo avvio di campionato,…
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