#cuore granata
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mapetitefeedeslilas · 3 months ago
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So che quasi certamente anche solo tra ventiquattro ore sarà cambiata, ma stasera fatemela godere questa classifica 🐂❤️
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mapetitefeedeslilas · 10 months ago
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how to make my cuore granata swell
Valerio Minato's photo that won the Astronomy Picture of the Day Contest by NASA on December 25th, 2023.
In the picture: the moon, the Monviso Mount and the Basilica of Superga (on the Superga hill) outside Turin are all aligned. it took him 6 years to take this shot (and I take it as an example to never give up on your dreams).
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zenlesszonezero · 17 days ago
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mucillo · 6 months ago
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Guylain Vignolles è un invisibile, uno di quegli esseri solitari che nessuno nota. Lavora in una fabbrica di riciclaggio, al servizio di un'impietosa trituratrice di libri invenduti soprannominata "la Cosa". Nient'altro gli dà gioia, se non leggere a voce alta ogni mattina, sul solito treno delle 6:27, qualche pagina scelta a caso tra le poche che il giorno prima è riuscito a salvare dai denti d'acciaio dell'infernale macchinario. Questo fin quando, un mattino, sul treno trova una chiavetta USB. Rosso granata, che contiene il diario di una giovane donna: settantadue file scritti al computer da una certa Julie, signorina addetta ai bagni di un centro commerciale, pagine su pagine che irrompono come un diluvio nella sua vita sempre uguale. E dalle quali Guylain non saprà trovare riparo.
Jean-Paul Didierlaurent ha scritto una storia d'amore al quadrato tra un uomo e una donna che si scoprono legati dalla passione per la lettura e ha dipinto un universo positivo nonostante tutto, perché sopra la coltre grigia di un'esistenza scandita da una routine desolante qualcosa c'è che solleva il cuore e apre lo sguardo: le parole, e le storie che le parole raccontano.
..........
Vale la pena...
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bicheco · 2 years ago
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Granata. Sempre e solo granata, come il mio cuore.
Lunedì 30 Luglio, Riccione, domenica. Ore 23 e 50. Chalet "Il polipo", premiazione del concorso di poesia. Sei arrivato nella terna finale. Joe Maccherone, il presentatore, sta per proclamare il vincitore. Tu fremi. C'è tensione nell'aria, oltre alla salsedine, il primo premio infatti è un buono da 50 euro da consumare nella cartoleria "il matitone". "Signore e signori, il vincitore del concorso di poesia è.... Paolino!!!!". Un applauso scrosciante accoglie, tra la folla, l'avanzare di un bambino di sei anni. Vorresti strozzarlo ma ti invito a non farlo: quel bambino è tuo figlio!!!! Ricordi quella signorina che sempre nel medesimo chalet, circa sette anni prima, intortasti con destrezza? È la madre. Regolati di conseguenza.
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lory78blog · 2 years ago
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Stadio Olimpico Grande Torino (Filadelfia) e Piazzale Grande Torino, foto di oggi con fotocamera digitale. Sono passata di lì per altri motivi ma il mio cuore è Granata da quando sono piccola, è sempre stato cosi in famiglia, anche se con la morte di papà e mio fratello (super appassionati) seguo molto meno il calcio o quasi per niente. Sono anche andata allo stadio tantissimi anni fa...Un angoletto del mio cuore rimane sempre granata!
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afnews7 · 2 months ago
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"Mixerstoria - La Storia siamo noi": Gigi Meroni et al.
http://www.afnews.info segnala: … “La farfalla granata”, che aveva incendiato il cuore dei tifosi del Torino, muore investito da un’automobile a neanche 25 anni. Meroni è stato un fantasista amatissimo che ha fatto storia per il suo stile anticonformista dentro e fuori dal campo. Celebri i suoi capelli lunghi – che tanto scalpore provocarono nell’Italia dei primi anni Sessanta – il suo amore per…
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zenlesszonezero · 17 days ago
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iltorosiamonoi · 3 months ago
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Il messaggio del Toro per Zapata:"Capitano,uno di noi!"
Il messaggio del Toro per il capitano Duvan Zapata. “Caro Duván, poco più di un anno fa entravi, con l’entusiasmo di un ragazzino, nella famiglia granata. Ti sono bastate poche partite per entrare nel cuore del tuo nuovo Club e dei tifosi. La tua esultanza è diventata subito simbolo dell’unione con il mondo granata. Ti saremo vicini in questo momento difficile, provando a restituirti parte di…
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ragazzoarcano · 6 months ago
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Che rapporti hai con cuore-granata?
Non conosco il blog veramente e cercando non lo trovo neanche ahaha
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mapetitefeedeslilas · 8 months ago
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Il Grande Torino 🐂
4 maggio 1949 -4 maggio 2024
Cuore Granata sempre e per sempre 🤎
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tifatait · 6 months ago
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Salerno piange Gianni Novella, il guerriero buono dal cuore Granata: i funerali in Cattedrale | www.salernotoday.it
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zenlesszonezero · 17 days ago
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delectablywaywardbeard-blog · 9 months ago
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Ricci è tornato il cuore del Toro: con la Juve il migliore per i granata
TORINO – “Ogni riccio un capriccio”, recita l’adagio che descrive una donna che sia appunto particolarmente capricciosa. “Ogni (giocata) di Ricci è risultata intelligente”, è invece sunto della pagella del centrocampista guardando al derby. All’interno del quale il mediano di Pontedera è risultato il granata migliore. La crescita di Ricci E non sempre è stato così, nel corso della stagione.…
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lamilanomagazine · 9 months ago
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Siracusa. Legalità e lotta alla mafia, Fava racconta agli studenti l’esperienza de “I Siciliani”
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Siracusa. Legalità e lotta alla mafia, Fava racconta agli studenti l’esperienza de “I Siciliani”. «Fare quel giornale rispondeva all’esigenza di raccontare, dare nomi e volti a storie di cui tutti sapevano ma nessuno diceva». Ha parlato di mafia e dell’esperienza de “I Siciliani”, il giornalista (ed ex presidente della Commissione regionale antimafia) Claudio Fava, figlio di Pippo che di quella testata fu il fondatore e che pagò con la vita il suo lavoro di denuncia. Fava, che ne “I Siciliani” si è formato professionalmente, ieri mattina ha conversato con l’assessore alla Legalità, Fabio Granata. Il confronto è avvenuto nell’auditorium del liceo Einaudi nell’ambito del progetto “Educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva”, che rientra nel Piano dell’offerta formativa territoriale proposto a tutte le scuole siracusane dal Comune. L’evento si è svolto in occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie” ed è stato rivolto agli studenti delle scuole che hanno aderito al progetto. Il giornalista e scrittore ha detto di avere accolto l’invito per condividere un ricordo e una storia «che potrebbe essere anche la vostra» e ha lanciato ai giovani il messaggio di una «passione per la scrittura che diventa mestiere». Agli inizi degli anni Ottanta, quando fu fondato il giornale, «il racconto – ha detto Fava – era limitato alla superficie dei fatti. Con “I Siciliani”, un gruppo di giovani si mette in gioco. Una squadra che si trovò a doversi inventare il mestiere che avevano scelto di fare attraverso una narrazione, anche positiva, che non facesse però sconti a niente e nessuno. Era il racconto anche di una Sicilia “prigioniera”». La prima grande inchiesta de “I Siciliani” fu dedicata alla parabola del polo petrolchimico siracusano (titolo fu “Il sole nero”) che raccontava la «parabola iniziata con il miraggio dello sviluppo fino alle macerie poi rimaste sul terreno». Era il 1982 e si «avvertiva – ha proseguito il giornalista – la presenza condizionante della mafia, ormai non solo a Palermo. Nell’agosto Dalla Chiesa, arrivato da poco a Palermo come prefetto, in un’intervista rilasciata a Giorgio Bocca esplicita la presenza di un vero e proprio sistema di potere mafioso a Catania». Dunque, ha aggiunto Fava, c’era «una mafia diventata potere, che non sparava solamente e quella Sicilia, con quello sguardo e quella tragica consapevolezza» non era raccontata da siciliani. «La ricostruzione, appassionata e lucida, offerta oggi alle ragazze e ai ragazzi delle scuole siracusane, ha rappresentato – ha commentato l’assessore Granata – un momento formativo alto e coinvolgente che dà senso concreto ai progetti portati avanti dalla nostra Amministrazione. Ringrazio Claudio Fava per aver condiviso, con la sua presenza e le sue parole consapevoli, una giornata simbolica che dà inizio alla Primavera e che lascerà un segno nel cuore dei giovani». Finita la conversazione tra Fava e Granata, la mattinata è proseguita con la proiezione delle prime versioni di 12 cortometraggi realizzati dagli studenti che hanno aderito al progetto sulla legalità. Alla visione dei lavori hanno partecipato il giornalista Aldo Mantineo, il regista Giuseppe Landolina, il videomaker Giuseppe Migliara e il tecnico di riprese Carmelo Randazzo. L’evento, curato per il Comune da Giuseppe Prestifilippo, è iniziato con i saluti, anche a nome del sindaco Francesco Italia, portati da Teresella Celesti nella doppia veste di dirigente scolastica dell’Einaudi e assessore comunale all’Istruzione. Nella sala dell’auditorium presenti personalità ed esponenti degli enti partner del Comune nel progetto: Luisa Giliberto, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale; Veronica Milone, presidente di sezione del tribunale di Siracusa; Alessandra Formisano, vice presidente dell’Ordine degli avvocati; Fabio Faraci, presidente del Rotary club Monti Climiti; il consigliere comunale Andrea Buccheri; l’avvocato Silvia Margherita e la dirigente dell’istituto.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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trying2understandw · 1 year ago
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Inutile a Gaza Come sempre, se non sai cosa stai facendo.
Useless in Gaza As always, if you don't know what you're doing.
AURELIEN
25 OTT 2023
All'inizio della novella Cuore di tenebra (1902) di Joseph Conrad, il narratore Marlow descrive come, durante il viaggio verso il Congo, la sua nave incroci una nave della Marina francese ancorata al largo della costa africana. La nave - di cui apprendiamo che molti membri dell'equipaggio muoiono ogni giorno per cause imprecisate - è impegnata a sparare incessantemente, alla cieca, uno dei suoi cannoni da sei pollici nella giungla, nell'apparente speranza di colpire un "accampamento". Non si sa mai perché.
L'episodio è altamente simbolico e rappresenta in un certo senso la sintesi di uno dei temi del libro: l'impossibilità per gli occidentali di sottomettere con la forza la vera Africa. Ma mi sembra anche un simbolo potente dell'inutilità di un'attività militare mal indirizzata in generale, in cui si dispone di un potere militare, ma non si ha idea di cosa si voglia ottenere con esso, e quindi non si saprà mai se si è riusciti o meno. Questo saggio riguarda le conseguenze del divario tra potenza militare e risultati politici che ha caratterizzato l'approccio occidentale alle crisi in Ucraina e a Gaza.
È di nuovo l'ombra di Carl von Clausewitz che scruta le mie spalle e vuole sottolineare, ancora una volta, che l'attività militare senza un obiettivo politico definito è inutile e autolesionista. Ma c'è di più, dice. Ci deve essere una relazione logica tra il potere militare di cui si dispone e l'effetto che si vuole creare. E ancora di più, è necessario un piano coerente per arrivare dove si vuole, attraverso una serie di passi che colleghino una determinata situazione politica provvisoria a una determinata applicazione del potere militare. Altrimenti, non si ha idea di dove si è e dove si sta andando, e si finisce come gli Stati Uniti in Vietnam e in Afghanistan: inventando punti di passaggio militari e considerandoli poi come obiettivi politici raggiunti.
In realtà, il rapporto tra l'uso della forza e il raggiungimento di un obiettivo politico definito è un'arte molto complessa, inesatta e incerta, molto più facile da spiegare teoricamente che da realizzare nella pratica. Implica tutta una serie di relazioni complicate e asserite che non necessariamente esistono in modo ordinato nella vita reale. Per cominciare, ovviamente, è necessario avere un obiettivo politico definito, concordato, praticabile e misurabile. Bombardare qualcuno, o sparare qualche granata come la nave francese, non è un obiettivo in sé, e spesso è indistinguibile da una manifestazione di stizza per sentirsi meglio. Quello che i militari chiamano "stato finale" deve essere chiaramente distinguibile dallo stato attuale, per non dire migliore, altrimenti non ha senso perseguirlo.
Bisogna anche essere ragionevolmente sicuri di come si svolgerà lo stato finale politico, altrimenti ci si potrebbe trovare in una situazione peggiore di quella iniziale. Ciò implica una conoscenza realistica della situazione politica che si sta cercando di influenzare e di quali potrebbero essere le conseguenze politiche delle proprie azioni militari. Così la campagna di bombardamenti della NATO contro la Serbia nel 1999 aveva l'obiettivo di umiliare il governo di Slobodan Milosevic, costringendolo alla resa del Kosovo, e quindi di rimuoverlo dal potere nelle elezioni dell'anno successivo. Si presumeva che il governo che lo avrebbe sostituito sarebbe stato grato alla NATO per averli bombardati e avrebbe adottato una posizione filo-occidentale e filo-NATO. Ciò che non era stato previsto (tranne che da noi che eravamo attenti) era che Milosevic sarebbe stato abbattuto dall'agitazione nazionalista e sostituito da un presidente nazionalista e duro, Kostunica. E per quanto riguarda l'idea che un Gheddafi barcollante, forse sul punto di essere rovesciato nel 2011, potesse essere spinto oltre l'orlo del baratro dall'intervento occidentale, portando a un sistema democratico stabile e filo-occidentale… beh, se c'è una parola più forte di "catastrofico" da anteporre a "malinteso", usiamola pure. E non parliamo nemmeno delle fantasie politiche delle capitali occidentali su ciò che seguirebbe alle dimissioni forzate di Vladimir Putin.
Quindi questo uso della forza per obiettivi politici sembra un po' più complicato di quanto pensassimo a prima vista, non è vero? Significa anche che potreste ritrovarvi con le dita intrappolate nel torcicollo. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno schierato due gruppi da battaglia di portaerei nel Mediterraneo orientale. Si tratta di un'azione tradizionale dei governi che non hanno altre opzioni disponibili e non è necessariamente criticabile. In queste circostanze c'è l'obbligo politico di fare qualcosa, qualunque cosa sia. E ad essere onesti, le portaerei sono molto utili per evacuare cittadini stranieri, sotto protezione militare o meno, come hanno dimostrato i francesi a Beirut nel 2006.
Il problema è che è praticamente certo che i gruppi di portaerei siano stati dispiegati secondo questa logica del "fare qualcosa", cioè quasi certamente senza una strategia politica di accompagnamento: come spesso accade, gli Stati Uniti se la inventano strada facendo. (Parlare di "deterrenza" o "stabilizzazione" non è una strategia, è un tentativo di giustificazione). La difficoltà di tutti questi dispiegamenti, tuttavia, è che sono molto più facili da avviare che da fermare. Ritirare la forza significa inviare un messaggio politico che la crisi è finita, o almeno gestibile, il che potrebbe non essere il messaggio che si vuole inviare. Quindi si mantiene la forza in posizione e alla fine la si sostituisce, perché non si ha altra scelta. La difficoltà è che, a parte le evacuazioni, non c'è quasi nulla per cui il gruppo di carriera possa essere utilmente impiegato. Forse la raccolta di informazioni, ma ci sono modi molto più semplici e discreti per farlo. Nel frattempo, sono bersagli di grandi dimensioni, probabilmente limitati a pattuglie di volo e non molto altro. (Presumo che gli Stati Uniti non sarebbero così folli da unirsi ai bombardamenti su Gaza).
A sua volta, questo riflette l'effettiva impotenza degli Stati Uniti nell'attuale conflitto. Il suo tentativo storico di combinare la posizione di facilitatore indipendente con la devozione a una parte è sempre stato discutibile, ma è stato tollerato nella misura in cui il Paese era effettivamente in grado di avere una certa influenza. È chiaro che questo non è più vero. Nessuno nel mondo arabo si lascerà influenzare dagli Stati Uniti, che si sono anche autoesclusi da qualsiasi influenza su Iran, Hezbollah e Hamas. L'iniziale retorica massimalista di Biden ha di fatto cancellato la maggior parte dell'influenza che gli Stati Uniti avrebbero potuto esercitare anche su Israele. Il che non lascia molto, e non lascia nemmeno molto da fare alla potenza militare statunitense.
In ogni caso, anche se si decidesse di usare il potere militare, in un vuoto politico e solo per apparire minacciosi, cosa potrebbero fare effettivamente gli Stati Uniti? Per il momento, nulla. Ora, se una grande invasione di terra iniziasse a Gaza, e se Hezbollah reagisse militarmente lungo la frontiera settentrionale, allora teoricamente gli Stati Uniti potrebbero prenderli di mira, ma con enormi rischi per la popolazione libanese e un considerevole rischio di perdite per se stessi, in altri luoghi dove sono presenti truppe statunitensi. In parole povere, un attacco contro Hezbollah abbastanza grande da fare la differenza potrebbe causare ingenti danni collaterali al Libano, mentre qualsiasi cosa più piccola non farebbe comunque la differenza. Gli Stati Uniti hanno investito massicciamente nella stabilità del Libano negli ultimi anni e non hanno intenzione di mettere a repentaglio questo investimento.
È certamente possibile che l'Iran consideri un attacco su larga scala contro Hezbollah come un'azione ostile, e quindi si vendichi. Il problema per gli americani è che gli iraniani possono infliggere a loro e ai loro interessi molti più danni di quanti ne possano infliggere agli iraniani. Questo non ha nulla a che fare con la sofisticazione o il numero di armi: è molto più banale di così. Prendete una mappa, date un'occhiata alla regione e chiedetevi: dove potrebbero andare in sicurezza i gruppi di portaerei statunitensi? Quali Paesi potrebbero fornire campi d'aviazione, porti, approdi e depositi logistici? Nella situazione politica attuale, la risposta è probabilmente "nessuno". Senza dubbio un attacco missilistico aereo e marittimo contro l'Iran potrebbe causare qualche danno, ma a che scopo? Quale possibile obiettivo politico proporzionale potrebbe essere raggiunto? Nessun danno immaginabile causato all'Iran potrebbe costringere il governo, ad esempio, a interrompere il sostegno a Hezbollah o all'attuale governo in Siria. Al contrario, un grave danno a una singola portaerei, anche se non venisse affondata, sarebbe sufficiente per allontanare gli Stati Uniti dalla regione.
Credo che da questi esempi si possano trarre alcune lezioni generali, che a loro volta possono aiutarci a capire come l'attuale crisi di Gaza possa risolversi. Possiamo iniziare ricordando che la teoria dell'uso del potere militare per raggiungere gli obiettivi politici è importante, ma soprattutto come limite. Ciò significa che, mentre l'azione militare senza un obiettivo politico è inutile, il solo fatto di iniziare un'azione militare verso uno stato finale politico dichiarato non significa che ci si arriverà automaticamente. Bisogna ancora fare il duro lavoro di trasformare l'uno nell'altro, ed è di questo che voglio parlare ora.
Considerate uno stato finale politico di qualche tipo. Non deve essere necessariamente il paradiso in terra o la resa del vostro nemico. Può essere qualcosa di più semplice, come una decisione esecutiva da parte del vostro vicino di smettere di sostenere i gruppi separatisti nel vostro Paese. Supponiamo quindi di definire questo stato finale politico, che chiameremo P(E). La prima cosa da dire è che questo stato finale politico deve essere effettivamente possibile dal punto di vista politico (non solo militare). Deve essere nella capacità dell'altro governo di accettarlo o, in mancanza di ciò, l'equilibrio delle forze politiche alla fine del conflitto deve almeno renderlo possibile. È inutile e pericoloso cercare di costringere un Paese o un attore politico a fare qualcosa che non è in suo potere; non che questo non sia stato tentato abbastanza spesso.
Un buon e importante esempio è rappresentato dai bombardamenti strategici britannici e americani sulla Germania nella Seconda Guerra Mondiale. L'obiettivo dichiarato era quello di demoralizzare e spaventare la popolazione civile in modo che il suo morale venisse meno e, se tutto fosse andato bene, si sarebbe sollevata e avrebbe rovesciato il governo. Nelle prime fasi della guerra, i britannici lanciarono volantini di propaganda in cui si diceva al popolo tedesco che poteva insistere sulla pace in qualsiasi momento, sperando che il crollo del morale portasse a un crollo sociale ed economico più generale, e quindi alla fine della guerra. Ma questo non sarebbe mai accaduto, anzi era politicamente e praticamente impossibile che accadesse. Nessun bombardamento avrebbe potuto cambiare questa situazione.
Ma supponiamo che P(E) sia possibile. Tuttavia, non apparirà magicamente dopo che sarà stato sparato l'ultimo colpo. Ci sarà una successione di fasi politiche (P1, P2 ecc.) che devono avvenire in sequenza e muoversi tutte nella stessa direzione. Pertanto, la fine forzata di una guerra civile può creare le condizioni per nuove elezioni, ma non può magicamente organizzare tali elezioni, assicurarsi che siano eque e che i risultati siano accettati. È per questo che i militari parlano di "creare un ambiente sicuro" che permetta alle cose politiche di accadere. Ma farle accadere è responsabilità di altri.
Poi, naturalmente, c'è l'azione militare in sé, che deve essere organizzata e sequenziale, per portare le operazioni militari al massimo delle loro possibilità. Poiché tutto dipende da tutto il resto, deve esserci un'idea di ciò che le operazioni militari possono raggiungere, di quale sia l'obiettivo finale e di quanto ci si avvicini all'obiettivo in ogni momento. Quindi è necessario anche un piano di campagna militare con delle fasi (che chiameremo M1, M2 ecc.), ognuna delle quali porta progressivamente al punto in cui i militari hanno fatto tutto il possibile e il processo politico deve prendere il sopravvento. Ho visto questo in un gran numero di piani di campagna, così come ho visto una totale confusione nella pratica su quale fase del piano abbiamo effettivamente raggiunto, se ne abbiamo una.
E soprattutto, ci deve essere una qualche ragione per cui il raggiungimento degli obiettivi militari (ad esempio un ambiente sicuro) debba poi portare al risultato politico (P(E)) che si desidera. Sorprendentemente, nella maggior parte delle pianificazioni si dà semplicemente per scontato che questo sia il caso, anche se nella pratica non accade quasi mai. Non riesco a ricordare quanti piani di campagna elettorale ho visto per l'Afghanistan che consistevano essenzialmente nei seguenti passi:
Invadere l'Afghanistan.
Avviene un miracolo militare.
Mettere in sicurezza l'ambiente e sconfiggere i Talebani.
Avviene un miracolo politico
Pace, amore e utopia.
Eppure non c'è motivo per cui la fine dei combattimenti o l'imposizione di un ambiente sicuro debbano effettivamente portare a un qualsiasi progresso politico (si veda la Bosnia dal 1995). Ma più in generale, non c'è alcuna ragione di principio per pensare che una particolare azione militare possa portare a un particolare risultato politico, una volta che si va oltre le presentazioni in Powerpoint. Il che ci riporta perfettamente a Gaza.
Da quanto detto sopra (che è certamente molto semplificato) si può vedere che per raggiungere con successo un obiettivo politico con mezzi militari è necessaria tutta una serie di passi logicamente correlati e individualmente praticabili, nonché un avversario che sia in ultima analisi disposto, per dirla con Clausewitz, a "fare la nostra volontà". Per questo motivo bisogna diffidare dei cosiddetti "piani a lungo termine", di cui si sostiene spesso l'esistenza. La maggior parte di essi sono in realtà aspirazioni a lungo termine o addirittura fantasie. Non hanno alcuna somiglianza con il processo attento e dettagliato che ho descritto. E in un certo senso questo non è sorprendente, perché proposte così attente e dettagliate non possono essere attuate per lunghi periodi di tempo: le circostanze cambiano troppo. Sono essenzialmente esercizi a breve termine, ma condotti sulla base di un semplice ma chiaro insieme di obiettivi a lungo termine.
Per un momento, spostiamoci in Ucraina. È abbastanza chiaro che i russi avevano un obiettivo (forse nemmeno una strategia) a lungo termine: vivere in un'Europa che non fosse una minaccia per loro. Non è certo che il loro pensiero fosse molto più dettagliato di così. Quando la situazione ha cominciato a deteriorarsi e la NATO è diventata progressivamente più ostile dal punto di vista politico, questa strategia è diventata più attiva, cercando di far capire, tra le altre cose, che l'Ucraina nella NATO, in teoria o in pratica, non sarebbe mai stata accettabile. Quando questa strategia è stata respinta e l'Ucraina è diventata pesantemente armata e politicamente instabile, i russi hanno optato per un'opzione militare (inizialmente minimalista) a sostegno dello stesso obiettivo politico. Ora stanno conducendo un'opzione militare massimalista volta a ottenere con la forza ciò che non è stato possibile ottenere politicamente: un'Europa che non considerano minacciosa. Se ci riusciranno è presto per dirlo, ma, da bravi studenti di Clausewitz, sanno almeno come i pezzi dovrebbero andare insieme.
L'Occidente ha a lungo fantasticato di rovesciare l'attuale sistema politico russo e di smembrare il Paese, portandolo saldamente nell'"orbita occidentale". Ma non è mai esistito nulla che assomigliasse a un piano (se avete una qualche esperienza della NATO capirete subito perché). Episodi isolati, come l'ingresso di nuovi Paesi, sono stati accolti come un contributo a questo obiettivo, ma senza che nessuno fosse in grado di spiegare esattamente perché e come. Allo stesso tempo, la NATO ha adottato una politica di ostilità verbale e politica, riducendo continuamente le sue forze convenzionali e la sua industria della difesa, rendendosi così sempre meno capace di affrontare la Russia se questa ostilità avesse prodotto una risposta altrettanto ostile, cosa che è avvenuta. L'unica strategia della NATO dal febbraio 2022, se così si può dire, è quella di continuare la guerra nella speranza che avvenga un miracolo e che Putin sia costretto a lasciare il potere e sostituito da una figura compiacente alla NATO. Tutto qui. E a questo punto si può capire perché non funziona e perché non potrà mai funzionare. Per esempio, la NATO non può combattere le battaglie dell'Ucraina ed esercita solo un debole controllo sulle sue tattiche. La sua capacità di influenzare gli sviluppi politici a Kiev è limitata. È evidente che non capisce quali siano i piani russi, a nessun livello, e quindi sostituisce le fantasie con la restaurazione dell'Unione Sovietica e la conquista dell'Europa. Non ha alcuna strategia, se non la speranza di forzare un cambiamento di governo in Russia, e non ha idea di quali fattori potrebbero portare a tale cambiamento. Non ha alcuna comprensione delle dinamiche della politica interna russa, né di quale miracolo ci si aspetta che il rovesciamento di un presidente moderato porti alla nascita di un governo favorevole alla NATO, né dei meccanismi con cui i partiti nazionalisti potrebbero essere pacificati, né di quali possibili concessioni ci si potrebbe aspettare che il parlamento e il governo russo facciano. Vi sembra una strategia vincente? È come cercare di costruire una cassettiera IKEA senza le istruzioni di montaggio e l'elenco dei pezzi.
Come si colloca tutto questo a Gaza? Non ho intenzione di immergermi nella storia del sionismo, che non è certo una delle mie aree di competenza, ma credo che valga la pena tornare alla distinzione tra vaghe aspirazioni e piani a lungo termine. Verso la fine del XIX secolo, in un'epoca di nazionalismo e colonialismo, ma anche in un momento in cui molti ebrei si stavano assimilando alla società europea occidentale, era abbastanza naturale che alcune figure ebraiche cominciassero a pensare allo stesso modo, a una patria nazionale per gli ebrei, come per tutte le altre "razze", sia nella storicamente associata Palestina (allora parte dell'Impero Ottomano) sia in qualche altra parte del mondo. Gli storici hanno analizzato e confrontato una pletora di progetti diversi e contrastanti, molti dei quali filantropici e benintenzionati. Ma per certi versi il pensatore più chiaro (e quindi rilevante per questo argomento) è stato Ze'ev Jabotinsky (1880-1940), il fondatore del sionismo riformista, che è stato in grado di vedere e articolare che una casa ebraica in Palestina avrebbe richiesto l'accettazione dei suoi attuali abitanti cristiani e musulmani, e che questo potrebbe non essere facile, o addirittura possibile, da ottenere. (Le sue opinioni sulla coesistenza pacifica e sull'espulsione sono profondamente controverse e vanno ben oltre il mio livello di competenza per decidere).
Ma se si cerca di creare una patria nazionale per un popolo su un territorio occupato da altri, allora l'obiettivo strategico è in termini pratici impossibile da raggiungere senza la violenza. Inoltre, se ripercorriamo l'elenco delle fasi di cui sopra, è chiaro che è necessario avere un'idea chiara di ciò che l'obiettivo strategico rappresenta in pratica, l'obiettivo stesso deve essere politicamente e praticamente realizzabile, deve esistere un piano militare che realizzi le precondizioni necessarie per quell'obiettivo, si devono avere le risorse per mettere in atto quel piano e un'idea di quali sequenze di fasi militari si debbano attraversare per raggiungere il piano militare con successo. Non è chiaro a me, come osservatore esterno, che nessun governo israeliano abbia mai avuto un piano coerente in questo senso, ed è per questo che ora si trova ad affrontare le conseguenze di questo fallimento (non è chiaro nemmeno che un piano coerente di questo tipo, con tutte le fasi che ho descritto, fosse possibile in primo luogo). E la mancata attuazione del piano ha, ovviamente, cambiato la natura del problema stesso, che ora è molto più difficile e complesso di quanto non fosse mezzo secolo o più fa.
A proposito di vaghe aspirazioni, è il momento di guardare all'esperienza degli Stati Uniti, che sono l'altro grande attore che sta guardando verso l'abisso in questo momento. È vero che c'è stata una lunga tradizione a Washington di voler controllare gli Stati produttori di petrolio del Medio Oriente (anche solo per negare il controllo ad altri) e di sostenere Israele come base occidentale avanzata e come risorsa pronta a svolgere compiti a cui gli Stati Uniti non potevano essere pubblicamente associati. Israele è diventato anche la principale fonte di intelligence sul Medio Oriente per Washington, cosa che non tutti ritengono una buona idea. E con il noto processo di scodinzolamento che si riscontra spesso in queste relazioni, i governi israeliani che si sono succeduti si sono generalmente affermati come partner dominante nei settori più importanti.
Questa non è, per usare un eufemismo, una strategia coerente, e in effetti gli Stati Uniti non hanno e non hanno mai avuto una strategia coerente per la regione al di là di un livello dichiarativo. Ed è per questo che si trovano in una tale confusione su Gaza.
Quale strategia complessiva potrebbero avere gli Stati Uniti per la crisi di Gaza? Vogliono un cessate il fuoco e un ritorno allo status quo precedente al 7 ottobre? Presumibilmente no, altrimenti non avrebbero posto il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in tal senso. Vuole che la popolazione di Gaza venga uccisa o cacciata? È difficile esserne certi, ma sembra che non lo voglia, o almeno non in questa fase. Il problema è che le dichiarazioni disarticolate e spesso incoerenti che provengono da Washington mi sembrano indicare un governo colto di sorpresa che non ha idea di ciò che vuole, e quindi inventa la politica di giorno in giorno. Il rischio, naturalmente, è che venga semplicemente trascinato da Israele, dato che una delle costanti della non-politica statunitense è quella di evitare divergenze pubbliche con quel Paese, e naturalmente Israele stesso sarà trascinato dagli eventi. Non si può sapere dove andranno a finire gli Stati Uniti, dal momento che, come indicato sopra, ora hanno pochissima influenza su tutti gli attori principali.
Ma gli Stati Uniti hanno molte armi, non è vero? Sì, ma come abbiamo visto il punto è che l'uso della forza senza un chiaro obiettivo politico è una perdita di tempo e potenzialmente pericoloso. L'unico obiettivo politico razionale che gli Stati Uniti potrebbero avere in questo momento è il mantenimento del loro status di grande potenza in Medio Oriente, nella speranza di poter influenzare l'esito della crisi attuale. Ma una strategia di questo tipo è per definizione a breve termine e invita a chiedersi: quali sono gli obiettivi e quali i risultati che la presenza di ingenti forze statunitensi nella regione intende promuovere? Perché se non lo si sa (e non credo che Washington lo sappia) si sta perdendo tempo. Essere un giocatore è inutile se non si può decidere quale carta giocare, e se comunque non si hanno molte carte.
La migliore motivazione che ho trovato è che, come già detto, le forze potrebbero essere una sorta di deterrente per l'Iran (tramite Hezbollah) che viene coinvolto maggiormente nella crisi e apre un fronte verso il Nord. Il problema, ovviamente, è che i fattori che agiscono su Teheran (e Hezbollah) sono molto più numerosi delle pressioni statunitensi, e molti di essi saranno più potenti. In effetti, è probabile che Hezbollah, senza fare granché, agisca esso stesso come deterrente per Israele, che non può rimuovere le forze dal Nord e inviarle a Gaza, per sicurezza.
Potremmo quindi trovarci di fronte alla prima crisi da molto tempo a questa parte in cui nessuno ha davvero il controllo e nessun singolo Stato ha un'influenza sufficiente per influenzare in modo sostanziale il comportamento di un numero sufficiente di altri Stati. Per una volta, sembra che non ci siano "parti" nel senso accettato del termine, ed è difficile guardarsi intorno e vedere una nazione che stia effettivamente perseguendo una politica coerente. Questo vale anche per le speculazioni sulla mediazione. Ok, tra chi e chi? Quale sarebbe lo scopo della mediazione? Come verrebbe negoziata? Chi ha il potere di parlare a nome di quale gruppo? Se venisse raggiunto un accordo, come potrebbe essere monitorato, per non parlare dell'applicazione? E, ancora una volta, quale potrebbe essere l'oggetto di tale accordo? Questo rende la crisi particolarmente pericolosa, perché è impossibile capire come potrebbe essere una via d'uscita. Poiché non è chiaro chi siano le "parti" (che vanno chiaramente al di là di Israele - o di alcune sue figure politiche - e dei palestinesi, o almeno di Hamas), come si potrebbe anche solo mettere insieme una squadra di negoziatori, per non parlare di dare loro un mandato, o comunque concordare con l'"altra parte" di cosa si dovrebbe parlare? Questo non significa che ci stiamo dirigendo verso la terza guerra mondiale, per fortuna, ma significa sicuramente che questa è una crisi senza un'ovvia soluzione diplomatica, che probabilmente dovrà essere risolta con la forza bruta.
Parliamo di questo. Per "forza bruta" intendo che una delle parti si troverà alla fine in una situazione in cui non avrà altra scelta che comportarsi, o smettere di comportarsi, in un determinato modo. Potrà avere ancora armi e truppe, avrà certamente leader e combattenti che chiedono di continuare la lotta, ma di fatto non avrà alcuna possibilità di ottenere ciò che vuole con un'azione militare organizzata. Dico "organizzata" perché in ogni comunità ci sono militanti che insisteranno per prolungare la lotta in un modo o nell'altro, attraverso tattiche come attentati e assassinii.
Ma ancora una volta, dobbiamo chiederci quali siano gli obiettivi della "lotta", nel contesto attuale. Per Hamas (tralasciando il grado di sostegno tra la popolazione palestinese, che non è noto) è stato quello di porre fine al riavvicinamento tra Israele e vari Stati arabi, di aumentare il sostegno politico per i palestinesi nel mondo in generale e di sfatare il mito del dominio militare israeliano. Si tratta, curiosamente, di obiettivi interamente politici, che Clausewitz avrebbe compreso, e sembra che siano in procinto di essere raggiunti. Quanto gli altri obiettivi dichiarativi di Hamas riguardanti il territorio, il riconoscimento, ecc. debbano essere presi sul serio è difficile da dire, ma è chiaro che il gruppo spera di sfruttare lo slancio attuale per progredire verso almeno alcuni di essi. Quindi, Hamas ha usato e continua a usare la forza bruta per perseguire obiettivi politici, in un contesto in cui tali obiettivi politici sono almeno in linea di principio raggiungibili.
Israele si trova di fronte alla difficoltà di non sapere cosa vuole e di avere molti obiettivi potenziali esclusi in quanto irraggiungibili. I commentatori occidentali hanno generalmente sostenuto che Israele "vincerà" a Gaza, ma questo mi sembra un fraintendimento concettuale della situazione. Nessuno sa quanti combattenti abbia effettivamente Hamas - si sono sentite cifre che arrivano a 50.000 - ma supponendo che la cifra sia, ad esempio, la metà, Israele può portare forse dieci volte più truppe, con mezzi corazzati e potenza aerea, e quindi sicuramente "vincere" il combattimento risultante. Tutto dipende, ovviamente, da cosa si intende per "vincere" e, come ho suggerito, Israele sembra non avere un'idea precisa di cosa significhi "vincere". Le proposte di "spazzare via" Hamas non hanno molto senso pratico e tradiscono l'incapacità di un esercito cresciuto secondo i precetti convenzionali occidentali di capire cosa significhi combattere con forze organizzate ma irregolari. (Evidentemente non hanno imparato molto dal Libano del 2006 e, a dire il vero, è estremamente difficile per qualsiasi esercito convenzionale combattere in questo modo). Un po' di riflessione suggerisce che inviare truppe a piedi (visto che si tratterà di questo) attraverso città devastate e piene di tunnel per cercare e distruggere persone che sembrano essere di Hamas, potrebbe non essere il compito più facile per giovani coscritti e riservisti addestrati alla guerra corazzata. Non ci vuole molta immaginazione per pensare a cellule di infiltrazione e di permanenza, per esempio per organizzare attacchi nelle retrovie.
Se si crede alle dichiarazioni di alcuni politici israeliani, l'obiettivo potrebbe essere quello di spingere i palestinesi in un'area più piccola di Gaza, o addirittura fuori dal territorio. La prima ipotesi non ha alcun senso, perché il problema è la dimensione della popolazione, piuttosto che quella del territorio, e presidiare anche solo metà di Gaza di fronte alla resistenza armata potrebbe essere troppo per le forze israeliane, anche a breve termine. Nel caso di un trasferimento forzato di popolazione più ampio, ammesso che sia possibile, occorre ricordare che solo circa 10 km della frontiera di Gaza sono con l'Egitto: il resto è con Israele. È questa frontiera, altamente tecnologica e costata miliardi di dollari, che è stata violata il 7 ottobre. E naturalmente c'è anche il mare, attraverso il quale Hamas è riuscito a infiltrare truppe. Quindi, qualsiasi mossa per occupare parte di Gaza dovrebbe essere accompagnata da una massiccia e continua sorveglianza della frontiera, da un costante pattugliamento marittimo, da un costante pattugliamento nelle aree occupate per trovare e distruggere i gruppi rimasti o reinfiltrati nell'area, oltre agli enormi requisiti dell'invasione stessa e alla necessità di mantenere grandi forze in altre zone del Paese contro le possibili minacce di Hezbollah e altri. E questi compiti, ricordiamo, comporterebbero non solo contrastare i combattenti di Hamas, ma anche gestire in qualche modo decine, forse centinaia di migliaia di malati e feriti, o persone troppo fragili e anziane per muoversi da sole, così come bambini piccoli separati dalle loro famiglie. Il tutto in un ambiente in cui la fame e le malattie saranno dilaganti e i cadaveri non sepolti saranno ovunque.
A questo punto, credo che Clausewitz probabilmente scuoterebbe la testa e direbbe "non si può fare". Ci sono alcuni obiettivi politici, anche se ben inquadrati, che semplicemente non sono raggiungibili con mezzi militari. Lascio agli specialisti il compito di speculare su ciò che il governo israeliano potrebbe effettivamente decidere di fare, ma l'opzione minimalista - morte e distruzione per un periodo limitato, proclamazione della vittoria, ritorno a casa - è militarmente fattibile, anche se rimanda solo la risoluzione del problema. Ma come ho già detto, in politica ci sono questioni che non hanno soluzione: una buona guida è se il territorio in questione ha mai fatto parte dell'Impero Ottomano. È per questo motivo, forse, che non si sono affrettati i piani di pace, non ci sono stati seri tentativi di mediazione e non c'è segno, in ogni caso, che una delle due parti sia interessata. Il rinvio dell'esito peggiore in assoluto potrebbe essere lo scenario migliore disponibile nelle circostanze.
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orangogo-it · 1 year ago
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zenlesszonezero · 17 days ago
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anocturnalanimal · 2 years ago
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Il mio non è un cuore ma un esercito sconcertato dall’impossibilità di riconoscere un nemico, uno qualsiasi. Un cuore che esplode in tutte le direzioni come una granata che, nell’ansia di mancarne uno, perde tempo a segnare sulla carta tutti i bersagli esistenti sino a che non finisce per scoppiare in mano.
Aldo Busi, da Seminario sulla gioventù
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Trentesima giornata di Serie A 2022-2023: Rebus sic stantibus
Trentesima giornata di Serie A 2022-2023: Rebus sic stantibus… stando così le cose potremmo dire che il titolo di campione d'italia rimane fortemente sul golfo di Napoli. Le milanesi sono franate come un costone che si stacca dalla montagna e finisce in mare inghiottito dalle onde. Solo le Romane (il titolo in latino è in loro onore) cercano di mantenere un distacco di 14 e 19 punti che tra qualche domenica diventerà incolmabile. Si prevede ad inizio Maggio e forse non è un caso che avremo un altro ricorso storico di Vichiana memoria. Anche il primo scudetto azzurro fu vinto a Maggio. Trentesima giornata di Serie A 2022-2023: Napoli in formato ridotto La partita di ieri col Verona ha imperiosamente affermato che non tutti possono fare tutto (vedi Demme e Lobotka o Lozano e Osimhen). Il match ha sigillato con fuoco e ceralacca che la squadra titolare è quella degli ultimi 20 minuti. Inoltre, ieri si è capito bene che puoi sostituire Rrahmani con Juan Jesus e ti va bene ma senza la spina dorsale formata da Kim, Lobotka e Osimhen non vai da nessuna parte. Nemmeno contro un Verona formato Tir davanti alla porta di Montipò. Tricolore e Champions Ed allora: Rebus sic stantibus, il Napoli per portare a casa questo tricolore deve necessariamente giocare con i titolarissimi di Sarriana memoria. Non c'è da preoccuparsi eccessivamente ma restare con le chiappa strette e pedalare in vista del traguardo finale. Ad ogni modo un 6 a tutti con un mezzo voto in più a Meret e Osimhen, anima e cuore di questa squadra. Al nostro simpatico toscanaccio di Certaldo un bel 7 per aver riunito la truppa soprattutto in vista di martedì. A questo proposito vorremmo ricordare ai diavoli rossoneri che martedì per loro non sarà una passeggiata in riva al mare di Napoli, si scatenerà l'inferno… scusateci per il "calanbur". Le altre La lotta in coda vede ormai quasi con 1 piede e mezzo in cadetteria le tre sorelle del Nord. I cugini granata col punticino guadagnato contro il Toro migliorano un poco la classifica. L'ultima nota va gli "amici" della Juventus che perdono di misura con i loro ex fratelli dello "Scansuolo". Come direbbero gli antichi? "Tu quoque, Brute, fili mi!" (Persino tu, Bruto, figlio mio) A martedì e buona Champions a tutti! Ad Maiora Foto di congerdesign da Pixabay Read the full article
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