#cronache dalla dieta
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sartileonardo · 5 months ago
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Immoralità degli emolumenti capitalistici legati ai ricavi
di Roberto Dolci per Zafferano News
$56 miliardi possono essere i ricavi di una multinazionale come Intel, o la paga di Elon Musk: nel primo caso nessuno si stupisce, nel secondo il dibattito alza i toni a livello di curva sud. Come al solito, proviamo a distinguere tra legge, etica e logica.
Teniamo conto che questa cifra era già stata approvata dal consiglio di amministrazione aziendale, ma annullata da un giudice del Delaware, dove ha sede legale Tesla: perché mai un tribunale debba immischiarsi nei fatti leciti di un’azienda, visto che dovremmo essere in un sistema liberale e non in un gulag, è dubbio. La sentenza si basa sulla presunzione dell’eccessivo controllo di Musk sul resto del consiglio, qualifica la somma come “incomprensibile” (unfathomable), e decreta che questa retribuzione miliardaria sia annullata. La legge non ha nulla da ridire sulla paga stratosferica degli sportivi o artisti migliori, che sicuramente lanciano bene una palla, cantano sguaiatamente da un palco, ma non danno lavoro a tante persone quante ne dà Tesla. Infatti, il giudice non esprime alcun giudizio morale sul famoso imprenditore, né sulla cifra: insiste invece sulla presunta mancanza di effettivo controllo degli amministratori, a scapito degli azionisti. Dura lex, sed lex.
Oggi gli azionisti hanno votato e deciso di pagarlo, smentendo gli scrupoli del giudice. Questa cifra astronomica nasce nel 2018, quando Musk scommette tutto su una Mission Impossible: in quel momento l’azienda vale $59 miliardi e lui promette di aumentarne il valore fino a $650 miliardi. Non ci crede nessuno, forse nemmeno lui, e gli azionisti approvano questo piano di remunerazione in azioni che, nella quasi impossibile ipotesi dell’ottenimento dei risultati, gli darebbe i $56 miliardi. Ha scommesso, oggi ha vinto: etico o immorale?
In generale il consiglio di amministrazione è sempre dalla parte del CEO, e le cronache recenti ci raccontano delle paghe milionarie dei capi delle grandi aziende americane: dai $40 milioni all’anno nelle banche, ai $25 milioni nell’automotive, in USA paghiamo quattro o cinque volte quanto si fa in Europa, ed i risultati non lo giustificano. Perché mai il CEO di GM dovrebbe prendere cinque volte quello di BMW e undici volte quello di Honda, quando proprio la terza fa meglio delle altre due? Molti CEO presentano PowerPoint e tengono a dieta i loro dipendenti, dopo che già li han spostati nei paesi in via di sviluppo, ma non costruiscono nulla. Teniamo conto anche che paghe da $30-40 milioni l’anno consentono ad una serie di altri capi, da rettori universitari a direttori di ospedali e fondazioni, di guadagnare $3-4 milioni, e questo porta il famoso 0.1% della popolazione a prendere $3.3 milioni l’anno, mentre il 50% della popolazione americana non arriva a fine mese. E questo giudizio etico su cosa lo vogliamo dare: sulla cifra o sul prodotto? Fate il vostro gioco: è meglio una persona da $56 miliardi che ci dà milioni di posti di lavoro, razzi che atterrano in retromarcia, impianti biomedicali nel cervello, ed un Twitter su cui leggere di tutto, o migliaia di CEO che producono PowerPoint e prodotti noiosi per decine di milioni di dollari di stipendio?
Infine, la logica. Musk ha vinto una scommessa ritenuta impossibile, nessuno nel 2018 pensava potesse farcela. Pagarlo significa riconoscere il suo merito, l’indubbia dose di fortuna, ma anche tenerlo al timone per il futuro. Gli azionisti che in massa hanno approvato i $56 miliardi contano sul fatto che continui a far crescere l’azienda allo stesso modo. Pia illusione: il fatto che sia andato bene una volta non significa che faccia lo stesso in futuro. I concorrenti adesso ci sono, e molto aggressivi, mentre nel 2018 Tesla era sola in un mercato vergine. La crescita dei consumi energetici, una rete di distribuzione antiquata e la mancanza di caricatori sufficienti per tutte le EV in circolo, danno un contesto molto diverso rispetto a sei anni fa. Specialmente, la capacità di sorprendere di Musk è venuta meno: azionisti, politici, concorrenti ne hanno preso le misure. Logica vorrebbe pagargli i $56 miliardi per la scommessa vinta, ma a comode rate annuali, controllando che continui a crescere come negli anni precedenti.
Una cosa è certa: nessuno tra redazione e lettori di Zafferano.News ha l’imbarazzo di spendere $56 miliardi.
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pizzakaijuisekai · 6 months ago
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Il giorno in cui decido di mettermi a dieta, apre la pizzeria. Quindi inizio il mio percorso verso (si spera) un miglioramento fisico e mentale forse nel modo più drastico possibile. Non sto parlando di una dieta restrittiva, quella sono anni che la seguo. Al punto che spesso mangiare è una colpa, una rinuncia, un desiderio. E a furia di desiderare e sperare, il giorno in cui mi concedevo qualche cosa di particolare manco mi andava più. No, la mia dieta mi obbliga a mangiare, iniziando con 2100 calorie per poi vedere che si fa. In tutti questi anni ho mangiato non più di 1800 calorie al giorno. Facendo, tra le mille altre cose, sport ogni giorno e avendo risultati abbastanza miseri. Mi vedete e in tutti questi anni le mie braccia sono rimaste uguali e le altre parti del corpo sono state rallentate dal mio terrore del cibo. E poi, a parte la rincorsa verso il corpo perfetto che non avrò mai, ultimamente sto una merda. Non mi reggo in piedi, ho sbalzi di umore incomprensibli e soprattutto NON DORMO. Quasi mai. Insonnia causata dalla stanchezza fisica che, come mi sdraio, si accentua. Quindi ho chieso ad un nutrizionista di aiutarmi e la sua risposta è stata Sì, ok, io ti aiuto anche, ma se hai il terrore di mangiare non andrai avanti né indietro, quindi forza. Io un percorso psicologico non voglio iniziarlo, non guidato da altri. Voglio provare a fare da me e voglio documentare questa mia strada con tutti i miei alti e miei bassi. Ed oggi che mangio la pizza ho fatto tutto quello che dovevo: ho comprato frutta e verdura, ho cercato di fare bilanciare i pasti per permettermi una mangiata un po' più sostanziosa (evitando quindi grassi importanti e cercando di alimentarmi con gli alimenti che la pizza non mi avrebbe dato) e sono andata dritta. Ho tolto la bilancia dal bagno per non essere fermata dalle mie solite paranoie di numeri che ormai manco hanno più un senso. Vi terrò aggiornati, cercando di non fare delle cronache di che ho mangiato oggi, ma solo condividendo che faccio, come sto. Spero possa essere utile.
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heresiae · 2 years ago
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Lo sapete cosa significa per una persona abituata a bere poco più di mezzo litro d'acqua al giorno passare a berne tra l'1,5 e i 2?
Andare a pisciare ogni mezz'ora.
Sto regime sarà meglio che ne valga la pena che sto bagno lo sto frequentando un po' troppo.
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abr · 7 years ago
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Forse non tutti (i vegetariani, vegani, notav no ogm novax etc.) sanno che ... (...) il frumento che consumiamo oggi è profondamente diverso dal grano antico, essendo stato modificato geneticamente nei laboratori dell’ENEA nei primi Anni 70 attraverso l’uso di radiazioni ionizzanti che hanno dato vita a un nuovo grano duro mutato, detto ��Creso”. Esso è di taglia più piccola (misura in altezza 70-80 cm contro i 150-180 dei grani duri fino ad allora coltivati) è resistente alle malattie e all’allettamento - il piegamento della pianta fino a terra – e quindi con un’elevata produttività. Dal Creso sono successivamente derivate numerosissime varietà coltivate in tutto il mondo. Si ritiene non sia un caso che, parallelamente alla diffusione del consumo di varianti di grano con profilo proteico modificato, si è assistito ad un preoccupante aumento di reazioni avverse al glutine: dalla celiachia, all’allergia, alla cosiddetta «sensibilità al glutine». Il Creso, pur essendo modificato geneticamente, non è considerato OGM e con esso in tutta Italia vengono prodotti pasta, pane pizza e dolci.
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/cappero-giorno-leva-medico-torno-ndash-dieta-antichi-172785.htm
quello che non dice è che se si potesse consumare “grano antico” (o latte o vino antichi), oltre a trovarlo sgradevole, alla stragrande maggioranza delle persone verrebbero le bolle sulla pelle. Solo ai privilegiati sopravvissuti alle carestie, ovviamente. 
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ilikeshoppingit · 6 years ago
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"Solo quel genio di Einstein è riuscito a farmi dimagrire"
C'è voluto Einsten per farmi dimagrire 18 chili in 110 giorni. La DIETA GENETICA si basa infatti sulla fisica della materia salita agli onori delle cronache grazie al DNA. Meno 18 chili in quattro mesi scarsi: un vero miracolo della scienza Vi spiego come si fa.
Mia madre e la mia maestra si rivoltano nella tomba perché hanno sudato sette camicie per farmi studiare le tabelline, l'algebra e la geometria: fin dalle elementari il mio livello mentale scientifico è stato come quello dei minerali. Invece questa dieta infallibile non ha più segreti per me forse perché è molto complessa a livello teorico ma facilissima da seguire.
«Le regole che vanno bene per lei potrebbero non funzionare per altri» avverte il dottore perchè è personalizzata e si basa sul DNA di ogni persona.
Ho fatto milioni di diete in vita mia, dalla Scarsdale passando per una follia piena di uova che si chiamava Programma Plank (10 chili in due settimane e un fegato sull'orlo del collasso).
Vengo così a scoprire che la dieta nutrigenomica si differenzia dalle altre per il fatto che é una dieta basata sul DNA della persona: non sono importanti le calorie e neanche l’associazione delle molecole del cibo, é importante il DNA della persona e la sua predisposizione per determinati cibi.
La dieta genetica sfrutta le conoscenza della nutrigenetica, la scienza che combina nutrizione e genetica, promettendo una perdita di peso considerevole, pari al 90% del proprio sovrappeso, grazie ad un regime dimagrante individuale. Grazie ai test del DNA è possibile conoscere l’esatto fabbisogno di nutrienti del nostro corpo e la reazione del nostro organismo ai diversi nutrienti, elaborando una dieta specifica per il nostro metabolismo che consente di perdere peso più velocemente e di liberarsi dei chili di troppo con un piano alimentare personalizzato.
La dieta genetica parte dall’analisi di un campione biologico di saliva inviato al laboratorio, da cui viene estratto il DNA per analizzare i geni del metabolismo di grassi e zuccheri ovvero tutti i geni che influenzano il peso, la perdita di peso e il consumo di calorie durante le diverse attività fisiche. Utilizzando i dati delle analisi e le informazioni raccolte da un questionario somministrato sul portale, i genetisti e i nutrizionisti elaborano e interpretano il profilo genetico creando una dieta personalizzata.
Come si effettua il test alimentare del DNA?
Con un semplicissimo prelievo di saliva fai-da-te, è possibile eseguire il test alimentare del DNA ed avere risultati attendibili al 99%. Il test del DNA è obbligatorio per questo tipo particolare di dieta.
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Il nostro metodo di Dieta Nutrigenomica, detta anche Dieta del DNA, è la dimostrazione di come si possa dimagrire in modo sano, naturale e senza troppi sacrifici, ma soprattutto senza l’uso di farmaci, solo attraverso una dieta mirata grazie al test del DNA. Ogni corpo è diverso, ogni corpo ha esigenze e tempi diversi, e per questo la dieta personalizzata è quello che si adatta meglio ad ogni situazione.
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tmnotizie · 6 years ago
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MACERATA – Tra gli applausi del pubblico e le note d’autore di altri 15 concorrenti si è concluso anche il terzo fine settimana di ascolti  delle Audizioni live della XXX edizione di  Musicultura.
A Roberto Michelangelo Giordi il Premio Un certain Regard per la migliore esibizione della serata. Roberto Michelangelo Giordi è napoletano e vive a Parigi, accompagnato dalla sua band ha offerto al pubblico suggestioni e atmosfere partenopee con i brani: “Cronache globali degli anni zero”, “Luna Nova” e “Il sogno di Partenope” un brano surreale che racconta l’arrivo dei giacobini francesi a Napoli nel 1799  attraverso un tunnel spazio temporale, per reclamare la legittimità della Repubblica partenopea. Diplomato al CET di Mogol, Roberto Michelangelo Giordi, dal 2001 collabora con Detto Mariano e studia la musica antica partenopea.
Pubblica nel 2011 Con il mio nome,  a seguire, Gli amanti di Magritte, un album  dalle sonorità etniche, classiche ed elettroniche. Nel 2013 è semifinalista a Musicultura e nel 2015 arriva il terzo disco, Il Soffio, con la produzione artistica di Gigi De Rienzo. Nel 2017 debutta nel  jazz club Sunset di Parigi, dove l’etichetta discografica francese Disques Dom ripubblica una versione francese del suo primo album Les amants de Magritte.
Attualmente Giordi è alle prese con il suo nuovo lavoro Il sogno di Partenope, un disco che vuole raccontare in chiave rinnovata il grandissimo patrimonio artistico musicale della sua città, Napoli e nel quale hanno suonato tra tanti: Daniele Sepe, Michele Signore, Piero De Asmundis, Brunella Selo, Pericle Odierna.
Gli applausi del pubblico hanno conferito a  Francesco Sbraccia il Premio Val Di Chienti, l’artista teramano ha proposto  “Naturale”  “per togliere questa barriera tra giudicati e giudicanti in modo naturale – ha detto Francesco Sbraccia, ha proseguito con il brano  “Tocca a me”, un esigenza di agire, di fare qualcosa ‎ nella ricerca di sé stessi costruito su un panorama  musicale ampio, quasi estraniante ed ha concluso con “La tua qualità”, in ricordo di una semplice qualità della nonna.
Francesco Sbraccia si forma con la musica classica, ma crescere nella città di Ivan Graziani lo porta a diventare cantautore. Nel 2015 pubblica l’EP No Worries, e apre i concerti  per Giuliano Palma e Andrea Appino. Nel 2018 pubblica Etimologia è il suo primo LP, masterizzato da Giovanni Versari. Dopo il primo singolo La tua qualità, ha aperto i concerti di Skin, Cosmo, Galeffi, Stazioni Lunari, Filippo Graziani, Danilo Sacco e altri. Da compositore vince il bando Sillumina di SIAE e MIBACT, compone musica e testi de Il porto proibito, eseguito in prima assoluta a L’Aquila dove ha lavorato con il Premio Oscar Nicola Piovani.
Da Mister Bianco, Catania i Caleido, amici fin dall’infanzia,  si sono esibiti con  “La dieta”, uno spaccato della nuova generazione che ha paura di rimanere  sola, “Le distanze” e “Amici miei”  “ l’amicizia è il valore più importante nella vita, sempre” -hanno detto al pubblico del Festival  -“Caleido, che dal greco possiamo tradurre come “bella immagine”,- ha raccontato il gruppo – è per noi il tentativo di scrivere canzoni come se fossero fotogrammi, e di scrivere dischi come se fossero film”.   Tra festival,  Sonica, Lennon Festival, Indie Concept e open-act in giro per il sud Italia, sono  saliti sugli stessi palchi di Mario Venuti, Stadio, Rezophonic, Max Gazzè, Mauro Ermanno Giovanardi, Levante. Il loro  primo disco uscirà nel 2019.
Lorenzo Ciolini classe’97 fiorentino,  in arte Zic, cantautore e ‘Sciatore elettronico’, cosi si definisce, si è presentato a Musicultura con “Sotto il melograno”, “Capodanno” e “Starway a la playa”.  Inizia a studiare chitarra elettrica a 12 anni, dal 2014 scrive canzoni e studia canto e inizia un sodalizio artistico con il produttore Pio Stefanini. Nel 2017 partecipa al programma televisivo Amici Di Maria De Filippi, l’anno successivo esce il suo primo disco Faceva Caldo, ed è appena uscito il suo nuovo video:  Stavo apparecchiando.
Sul palcoscenico del Festival anche le voci morbide e armoniche delle Sorelle Prestigiacomo  di Trapani, Adriana e Roberta. “Il nostro progetto va  di pari passo con la vita, – raccontano al pubblico –  cresce e si sviluppa tra atmosfere folk internazionali e multilingue”. Hanno proposto “E’ stato bello” un convivio, una festa in allegra compagnia, “E’ perfettamente inutile” e hanno chiuso l’esibizione  con “Involontariamente” istinto naturale e involontario dell’uomo nel cercar la felicità.Roberta scrive canzoni e suona dall’età di 15 anni, ottenendo riconoscimenti nazionali ed esteri; Adriana è impegnata in canto lirico e registrazioni, insieme nel 2018  hanno scritto l’album in dialetto siciliano Fiori Nuovi .
L’appuntamento con l’ultimo week end delle  audizioni live di Musicultura  è per sabato 9 Marzo alle ore 21 al Teatro della Filarmonica di Macerata.
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heresiae · 2 years ago
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Most diets on the internt: "you will starve a bit and you have to eliminate all the good tasty food, but you will look good!" Nutritional plan from a nutritionis: "why aren't you snacking? I told you to snack at least two times a day. oh, you're eating dinner quite late? then ONE MORE SNACK IN THE AFTERNOON. and remember to eat ALL of the massive amount of variegate food I told you to. also, spices and olive oil are good"
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giancarlonicoli · 5 years ago
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12 MAR 2020 09:40
ALTRO VIRUS, ALTRA BUFALA - LA VITAMINA C NON HA AZIONE CURATIVA PER IL COVID-19 E NON VIENE USATA COME TERAPIA - E’ UNA PANZANA CHE GIRA CON UN AUDIO WHATSAPP - ANDREA GORI, DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE DEL POLICLINICO DI MILANO, CHIARISCE: "NON RIENTRA NELLE TERAPIE STANDARDIZZATE IN USO NEGLI OSPEDALI" - IL RUOLO DELLA VITAMINA C COME CURA PER RAFFREDDORI E ALTRI DISTURBI È UN MITO DURO A MORIRE…
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Giulia Masoero Regis per www.repubblica.it
"La vitamina C è molto efficace sui pazienti affetti da coronavirus. La stanno utilizzando come terapia e le persone rispondono benissimo". Sono le parole di una donna che, in un audio circolante su WhatsApp in questi giorni, attribuisce all’acido ascorbico il potere di curare la Covid-19. Nel farlo cita tre ospedali lombardi: il San Gerardo di Monza, il Policlinico e il Sacco di Milano.
In queste strutture, sostiene, starebbero utilizzando con successo terapie a base di vitamina C per sconfiggere il nuovo virus. Si tratta però dell'ennesima bufala, da cui tutti gli ospedali menzionati si dissociano.
"Smentisco categoricamente la notizia – afferma Andrea Gori, direttore Malattie Infettive del Policlinico di Milano - Le terapie che utilizziamo per trattare i pazienti con coronavirus al Policlinico, così come al Sacco e al San Gerardo, sono standardizzate perché sono state decise dai primari di malattie infettive di tutta la Regione Lombardia in modo coordinato. E la vitamina C non è assolutamente contemplata". Così come non è contemplato il Cebion, pure raccomandato dal web ma il cui utilizzo è sconsigliato dalla stessa azienda che lo produce, la Dompè farmaceutici, che si è dissociata dal messaggio ingannevole e ha comunicato che perseguirà le vie legali per difendere la propria reputazione.
Le terapie farmacologiche standard
L'approccio farmacologico per ora si struttura su tre medicinali. "Prima viene somministrato un antiretrovirale, il kaletra, utilizzato in passato per il trattamento dell’Hiv, insieme all’antireumatico idrossiclorochina. Successivamente, in alcuni casi selezionati, possiamo utilizzare anche remdesivr, un nuovo farmaco sperimentale la cui efficacia è stata documentata dagli studi pubblicati dopo l’esperienza cinese".
Le notizie rassicuranti sull’utilità di rimedi semplici, come acqua calda, integratori e vitamina C, nel contrastare il virus continuano a diffondersi. Ma la verità è che non esistono evidenze scientifiche su sostanze non farmacologiche capaci di sconfiggerlo o prevenirne il contagio. "I trattamenti farmacologici utilizzati sono supportati da studi scientifici o da dati provenienti da trial clinici. Sull’acido ascorbico non esistono evidenze che ne supportino l’azione curativa o preventiva contro un’infezione virale" sottolinea l’esperto del Policlinico.
Il mito dell'acido ascorbico
Quello sul ruolo della vitamina C come cura per raffreddori e altri disturbi è un mito duro a morire, nato da Linus Pauling, uno scienziato americano (anche premio Nobel), che negli anni Settanta ne divulgò le doti terapeutiche. La comunità scientifica ha più volte smentito, ma ciclicamente si torna a parlarne.
Soprattutto persistono i consigli di tipo preventivo: l’assunzione di vitamina C sotto forma di limoni, arance, kiwi oppure integratori è diffusamente suggerita per rinforzare le difese immunitarie. Non serve proprio a nulla? "Ciò che bisogna fare è seguire un’alimentazione sana e adottare un corretto stile di vita a tutto tondo: solo così si può pensare di rinforzare il sistema immunitario - conclude Gori - Ovviamente in una dieta sana può rientrare una spremuta, ma non è la spremuta a difenderci dalle infezioni e dalle malattie. Così come non lo sono gli integratori di qualsiasi altra natura".
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giancarlonicoli · 5 years ago
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1 GEN 2020 12:30
I BUONI PROPOSITI SONO UNA CAGATA PAZZESCA – A OGNI NUOVO ANNO ARRIVA LA SOLITA LISTA DI COSE CHE VORREMMO REALIZZARE, MA POI SOLTANTO IL 10% DELLE PERSONE LE PORTA A TERMINE – METTERSI A DIETA, CAMBIARE LAVORO, IMPARARE COSE NUOVE. COME SI FA A FARCELA DAVVERO?
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Stefania Medetti per www.d.repubblica.it
La lista delle risoluzioni del nuovo anno, certificano le ricerche, è sempre la stessa soprattutto dopo Natale (guarda il nostro speciale). Al primo posto, infatti, c'è il desiderio di perdere peso, seguito dalla voglia di migliorare se stessi e le proprie decisioni finanziarie. Nell’elenco seguono: smettere di fumare, fare cose più eccitanti, passare più tempo con la famiglia e gli amici, fare sport, imparare qualcosa di nuovo, dedicarsi agli altri e trovare l'amore o il lavoro della propria vita. Le persone, insomma, continuano a credere nel potere dei nuovi inizi e non è un caso se, come stima la International Health, Racquet & Sportsclub Association, il 12% degli abbonamenti in palestra viene sottoscritto proprio nel mese di gennaio. Ma la verità, calcola Statistic Brain Research Center, è che meno del 10% di chi stabilisce risoluzioni del nuovo anno è in grado di portare a termine i proprio propositi. La domanda, dunque, è: come fa chi ce la fa?
1. Sconfitti in partenza
Innanzitutto, bisogna mettere le cose in prospettiva e soffermarsi su alcune peculiarità del nostro cervello. “La ragione per cui continuiamo a stabilire risoluzioni ogni anno è perché continuiamo a fallire il nostro obiettivo”, osserva Tim Pychyl, professore di psicologia della Carleton University di Ottawa. La spiegazione può sembrare paradossale, ma non lo è: “Stilare un elenco di obiettivi non costa niente, ma dà un’immediata gratificazione”. Il fenomeno, chiamato “previsioni affettive” spiega perché prendere una decisione faccia sentire molto bene. In pratica, ci è facile immaginare come ci sentiremo quando sarà realizzata. Le cose cambiano quando dalla fantasia si passa all’azione: la forza dell’abitudine “nascosta” nel nostro sistema limbico (una parte del nostro cervello che ha avuto migliaia di anni per consolidarsi), lavora contro di noi. Insomma, l’implementazione di una risoluzione del nuovo anno deve fare i conti con il nostro essere creature profondamente abitudinarie.
2. Abitudine scaccia abitudine
Il trucco, dunque, è pensare alle risoluzioni del nuovo anno in un modo diverso rispetto a quanto abbiamo fatto finora. Invece di trattarle come un cambiamento da attuare, è più utile considerarle come una nuova abitudine da implementare. “Cercare di estirpare una vecchia abitudine non funziona, ma possiamo “riprogrammare” il cervello sostituendo a una vecchia abitudine una nuova e più vantaggiosa. Insomma, abitudine scaccia abitudine”, suggerisce Sabrina Toscani, professional organizer, fondatrice di Organizzare Italia e autrice del libro “Facciamo ordine”. Uno strumento visivo per sostenere la motivazione è il metodo “non rompere la catena”: “Sul muro, in un posto visibile, appendiamo un calendario dove segnare con una X ogni giorno in cui abbiamo adottato la nuova abitudine. Giorno dopo giorno, si crea una catena di X che testimonia i nostri progressi. Se un giorno non metteremo in atto la nuova abitudine, non ci sarà la X. L’immagine visiva è un invito a non interrompere la serie e un modo per gratificarci dello sforzo fatto”. (Vedi punto n. 8)
3. Focalizzare l’energia
Quindi, considerando la risoluzione del nuovo anno come un cambio di abitudine in un cui un comportamento nuovo sostituisce uno esistente, è chiaro che bisogna essere molto specifici. Contare di perdere peso, spendere meno e, magari, smettere di fumare è una trilogia di goal troppo ambiziosa per poter essere realizzata. Porsi degli obiettivi troppo ambiziosi, infatti, è un errore molto comune. Lo dimostra il fatto che entro le prime due settimane di gennaio, il 30% delle risoluzioni è già stato abbandonato. Per questa ragione, i coach consigliano di concentrarsi su un solo obiettivo alla volta a cui dedicare tutte le energie. Questa strategia accorcia le distanze con il successo e, nel tempo, rafforza la nostra convinzione di poter raggiungere qualsiasi meta ci prefiggiamo.
4. Come scegliere l’obiettivo
Senza nulla togliere al piacere di stilare l’elenco delle risoluzioni del nuovo anno, è fra queste che bisogna identificare il proprio goal. Jonathan M. Jackson, director of the Center for Psychological Services and Practicum Training del Derner Institute of Advanced Psychological Studies propone di fare la scelta in modo umile. “Invece di puntare su una decisione in grado di rivoluzionare la propria vita è più conveniente scegliere un obiettivo modesto e misurabile che si può mantenere nel tempo”. Per questa ragione, è utile identificare i piccoli passi accessibili con cui raggiungere la propria meta. “Un obiettivo è un sogno con una scadenza. Quindi, definiamo con il calendario alla mano anche una data realistica entro la quale lo si vuole realizzare. A questo punto, procediamo a ritroso per individuare i passi intermedi necessari per arrivare dove ci siamo prefissi”. "Un obiettivo è un sogno con una scadenza"
5. L’importanza di un brief dettagliato
Limitarsi a indicare l’obiettivo non è sufficiente. Bisogna invece definire in modo molto specifico quello che si vuole raggiungere e come si ha intenzione di farlo. “Tradurre l'obiettivo di cambiamento in un progetto vero e proprio è uno dei primi ostacoli su cui si arena il desiderio di migliorare un aspetto della propria esistenza”, commenta Francesca Broccoli, psicologa e psicoterapeuta a Bologna. Porsi un generico obiettivo di risparmiare è ben diverso rispetto a decidere di risparmiare venti euro a settimana dimezzando il numero di pasti consumati fuori casa. “Spesso c'è poco “allenamento” a mettersi in gioco e si tende a delegare all’esterno l'identificazione di un percorso.
Non è escluso che si tratti anche di un modo per non assumersi la responsabilità della fatica che il cambiamento comporta”, aggiunge Broccoli. In realtà, è proprio nella definizione dell’obiettivo che si nascondono opportunità. Quindi, come nel caso dell'esempio precedente, ipotizzare di sostituire metà dei pasti consumati fuori casa con alimenti dietetici preparati a casa impatta in modo positivo sia sull’area finanza sia sul versante salute. Insomma; collegare una nuova abitudine a una esistente è una scorciatoia da sperimentare.
6. Trovare il tempo
“La definizione dettagliata dell’agenda è fondamentale, perché la vaghezza si presta a molteplici giustificazioni e auto-assoluzioni”, prosegue la psicologa. Dunque, ipotizzare un generico “dopo le vacanze” non basta: bisogna stabilire la data in cui “partire” con l’implementazione della nuova abitudine. Se l’obiettivo è fare attività fisica, decidere di andare in palestra il lunedì e mercoledì mattina invece di infilarsi in un bar cappuccio-cornetto-giornale è un approccio efficace, perché struttura la giornata in funzione della nuova abitudine che si vuole implementare. Inoltre, bisogna pianificare all'inizio di ogni settimana come saranno strutturati gli impegni per fare spazio, appunto, alle azioni necessarie per instaurare una nuova abitudine.
“L’organizzazione è fondamentale per riuscire in un obiettivo - dice Toscani - ma bisogna stare attenti a semplificare il più possibile il metodo utilizzato per programmare. Se mettiamo troppi impegni nel calendario ognuno ad ore specifiche, un imprevisto può far saltare per intero la programmazione. Meglio un’agenda con solo ciò che è veramente importante, come il raggiungimento della nostra nuova abitudine che, magari, può essere indicata con un colore diverso che indichi ‘giù le mani dal mio impegno’ e ‘non procrastinabile’”.
7. Usare il manuale di istruzioni a proprio vantaggio
La dottoressa Sandra Bond Chapman, fondatrice e capo del Center for Brain Health dell’University of Texas di Dallas la mette così: “La nostra salute comincia e finisce con la salute del nostro cervello”. Per portare a termine con successo una risoluzione di fine anno, dunque, è determinante contrastare lo stress che rendere difficile la concentrazione e lo sviluppo di una forma mentale positiva. Meditare e passare del tempo a contatto con la natura sono due azioni che, anche se non direttamente, lavorano per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
E sono sempre più numerosi gli studi che confermano gli effetti positivi di queste due “medicine” naturali e la loro capacità di contrastare in maniera significativa la risposta biologica allo stress. Per esempio, otto settimane di corso di mindfulness meditation, certifica il Dipartimento di Psichiatria della Georgetown University Medical Center, possono abbattere del 15% gli ormoni dello stress. Per chi ha poco tempo a disposizione, Toscani offre una soluzione passe-par-tout: “Dedicare qualche minuto nel corso della giornata a concentrarci solo sui sensi e lasciar scorrere i pensieri. Porre la nostra attenzione su olfatto, vista, udito, tatto e gusto permette, infatti, di inibire per un po’ il circuito narrativo, quello che ci porta a pensare, rimuginare, programmare, conversare con noi stessi. Per un attimo, la nostra voce interiore viene ignorata e questo permette un enorme recupero di energie per la nostra mente”.
8. Chiedere aiuto alla dopamina
La dopamina ha un collegamento biologico con la nostra voglia di avere successo. La buona notizia è che ci sono diversi modi per generare un rush di dopamina e, dunque, spingerci nella direzione desiderata. Uno di questi è tracciare i progressi incrementali del proprio impegno (Vedi punto n. 2). Si tratta di quella sensazione positiva che si prova ogni volta in cui si cancella una voce nella propria lista di cose da fare. Per massimizzare le possibilità di raggiungere un obiettivo come, per esempio, andare a letto più presto la sera, si può programmare la serata anticipando gradatamente il rituale della buona notte fino ad arrivare all’ora ideale in cui spegnere la luce. Il vantaggio di procedere per gradi fa sì che ogni tappa del percorso regali al cervello un rinforzo positivo.
“Qualsiasi ricompensa che ci faccia stare bene scatena nel nostro cervello la dopamina, quindi se noi colleghiamo il faticoso lavoro di consolidare la nuova abitudine con qualcosa di gratificante il cervello leggerà il comportamento come positivo e quindi meritevole di essere riprodotto, ed ecco che la nuova abitudine sarà così sempre più perseguita e consolidata”, fa notare Toscani. Anche la tavola, sotto questo punto di vista, può dare una mano: gli alimenti probiotici, come il tè kombucha, il miso, ma anche i sottaceti e lo yogurt greco giocano un ruolo nell’abbassamento dei livelli di cortisolo, ma tengono anche sotto controllo ansia e depressione. Risultato: meno energie per gestire lo stress e più determinazione sull’obiettivo.
9. Due passi avanti e uno indietro. Con un buon amico accanto
Bisogna mettere in conto che gli ostacoli non mancheranno. Di solito, infatti, la dinamica del cambiamento si struttura in due passi avanti e uno indietro. Esserne consapevoli mette al riparo dalla tentazione di considerare tutto il percorso un fallimento, nel caso in cui non si riesca a rispettare quanto ci si era prefisso. “Se ci troviamo in un momento di difficoltà nel consolidamento della nuova abitudine e ad un ritorno della vecchia la cosa migliore dal punto di vista organizzativo è fermarsi a fare il punto della situazione. Che cosa è successo? Come mai ho ripreso i vecchi comportamenti? Questo è il momento di imparare dagli errori e strutturare una nuova strategia, per non buttare via davanti a un ostacolo tutto il lavoro e gli sforzi fatti”, osserva Toscani.
Ed è qui, proprio nel momento di difficoltà, che entrano in gioco gli amici: “Trovarsi soli di fronte a una sfida rende più veloce la fuga, dettata da demotivazione e senso di impotenza, ma anche dalla maggior possibilità di concedersi attenuanti. Se si condivide l'obiettivo con qualcuno che ci supporta e ri-motiva, invece, ci sentiremo spinti a non mollare, quanto meno per orgoglio”, conclude la psicoterapeuta. Le ricerche, infatti, dimostrano che condividere per iscritto i propri obiettivi con un amico moltiplica le possibilità di successo: il 70% delle persone che può contare sul supporto di un partner raggiunge la propria meta, rispetto al 35% di chi tiene per sé le proprie conquiste.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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20 MAR 2019 17:30
“LA SOCIETÀ DEI CONSUMI CI VUOLE INSICURI E SCONTENTI: CHI È FELICE NON CONSUMA...” - L’EPIDEMIOLOGO FRANCO BERRINO: “IL SISTEMA ECONOMICO HA BISOGNO DELLA NOSTRA INFELICITÀ. CI NUTRIAMO DI CIBI E ACQUISTIAMO BENI DI CUI NON ABBIAMO BISOGNO, PRENDIAMO FARMACI CHE NON CI SERVONO SOLO PERCHÉ VI SIAMO INDOTTI…” - I CONSIGLI SU COSA MANGIARE…
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Alessandro Sala per “Liberi Tutti – Corriere della Sera”
Non è mai troppo tardi per cambiare stile di vita e per adottarne uno che ci aiuti ad essere più in forma, più in salute e più leggeri. Perché la leggerezza, quella fisica del corpo ma anche quella della mente, è il segreto del vivere meglio.
«Ha a che fare con la felicità - spiega il dottor Franco Berrino, medico epidemiologo, autore con Daniel Lumera del libro La via della leggerezza (Mondadori), in uscita in questi giorni -. Essere leggeri significa essere felici. E anche un po' rivoluzionari».
Perché dice questo?
«Perché la nostra società, quella occidentale e ricca, ha bisogno delle insicurezze e del malcontento delle persone per sostenere il proprio sistema economico. Ci nutriamo di cibi di cui non abbiamo bisogno, acquistiamo beni di cui non abbiamo bisogno, prendiamo farmaci di cui spesso non abbiamo bisogno. E lo facciamo perché vi siamo indotti dalla pubblicità, dalla comunicazione, da una politica che ritiene che l' economia possa funzionare solo rilanciando i consumi».
Sta dicendo che ci vogliono tristi per far girare il Pil?
«Certo. La società dei consumi muore senza consumi. E chi è felice non consuma. Chi è leggero non ha bisogno di cercare altrove gratificazioni che non trova nella sua vita».
Non siamo obbligati a seguire la pubblicità...
«Ma lo facciamo, siamo bombardati di messaggi, siamo inseriti in un sistema obesogeno . E poi ci attirano con cibi che all' apparenza sono super economici. Chi ha una certa età ricorda bene che un tempo l' acquisto di cibo assorbiva la maggior parte delle entrate delle famiglie. Oggi invece la spesa alimentare è una frazione minoritaria.
Ma è un imbroglio, perché non viene raccontato il prezzo imposto all' ambiente e alla salute. Un prezzo che poi paghiamo sempre noi, mai le aziende che su quei cibi fanno fortune».
Una delle sue tesi è che mangiamo non solo male, ma anche troppo.
«Noi occidentali abbiamo risorse economiche ed enorme disponibilità di alimenti e ne abusiamo. Dipende in parte dai geni: i nostri antenati non avevano cibo tutti i giorni e quando ne avevano l' occasione si nutrivano in abbondanza per sopperire ai successivi giorni di magra.
Quell' istinto è rimasto, ma le nostre vite sono cambiate: siamo i figli delle carestie ma senza più carestie e svolgiamo attività sempre meno faticose che richiedono meno dispendio di energia. Però continuiamo ad accumulare riserve».
Molti anziani, tuttavia, la fame l' hanno conosciuta davvero.
«Oggi però non c' è ragione di eccedere nel cibo. Occorre raggiungere la consapevolezza di non avere bisogno di consumare, a dispetto dell' economia».
Gli anziani sono anche i principali utenti del servizio sanitario.
«Le malattie danno un gran contributo alla crescita del Pil. Più ci ammaliamo più c' è lavoro per medici, ospedali, aziende farmaceutiche, produttori di strumenti sanitari e il resto dell' indotto. Lo stesso Mario Monti da premier diceva che era necessario promuovere la sanità perché è la principale industria nazionale. Effettivamente è così».
Detto da lei che per anni è stato direttore del Dipartimento di Medicina preventiva dell' Istituto nazionale dei tumori...
«Anche io sono stato considerato sui generis . Per portare certi messaggi nell' ambiente medico ho dovuto spendere il credito che avevo maturato in campo internazionale, con il registro tumori e gli studi sulla sopravvivenza dei malati. Mi ero fatto un nome e questo mi ha permesso di potere esprimere idee non in linea con il sistema».
E chi per tutta la sua esistenza ha adottato uno stile di vita poco attento, magari proprio in risposta alle privazioni dell' infanzia, è condannato a una vita di obesità, diabete e malattie correlate?
«No, si può sempre cambiare, anche da anziani. Adottando uno stile di vita più sano migliorano i parametri metabolici, si regola la pressione del sangue, si tengono sotto controllo i trigliceridi, si riducono i dolori, migliora il funzionamento delle articolazioni. E i benefici si vedono già in poche settimane».
Cosa bisogna mangiare?
«Basta riscoprire la vera dieta mediterranea: cereali integrali, noci, nocciole, mandorle, tanta verdura, frutta, pesce, limitare la carne, soprattutto quella rossa o lavorata, e non aggiungere zuccheri».
Lei raccomanda sempre di fare anche del movimento.
«È la terza colonna su cui si regge lo stare bene, oltre al cibo e alla mente. Non serve molto, basta tenersi in attività tutti i giorni. Camminare nel verde o in un bosco ha anche un effetto antidepressivo».
Perché è importante la leggerezza nella mente?
«È quello che nel libro io e Daniel definiamo il problema difficile, perché come abbiamo visto portare leggerezza nel corpo è un problema tutto sommato semplice. Non si può essere felici se si è appesantiti nello spirito. La leggerezza ha a che fare con il sentirsi liberi dalle oppressioni della vita quotidiana, liberi dai rancori del passato, liberi dai ricordi che ancora ci fanno soffrire, liberi dalle preoccupazioni per il futuro».
Tutte cose di cui però è complicato liberarsi...
«Bisognerebbe iniziare con l' eliminare il risentimento, un veleno per lo spirito. E riscoprire il potere del perdono, che non è un atto di cedimento ma di forza. Poi ogni giornata dovremmo iniziarla ringraziando».
Ringraziando chi?
«La vita, il sole, noi stessi, il nostro corpo. Diamoci un' iniezione di fiducia appena apriamo gli occhi. E andiamo a prepararci il caffè con fare maestoso, non trascinandoci stancamente verso la cucina. La ritualità, anche nei piccoli gesti, dà grandi benefici alla nostra mente».
Le nonne, ma anche Nanni Moretti in Caro Diario , dicevano che bere un bicchiere d' acqua al mattino fa bene...
«Lo dico anche io. L' acqua rimette in moto le nostre funzioni e purifica. E anche questo è un esempio di ritualità».
E poi c' è la meditazione.
«Viviamo in un mondo obesogeno anche per la nostra mente, in una società che ci distrae continuamente, con la tv, i telefonini, agende piene di impegni. Il nostro cervello è sempre catturato da qualcosa, non è mai libero. Dobbiamo invece riportare l' attenzione su noi stessi perché questo migliora il metabolismo e di conseguenza il funzionamento del nostro corpo. La nostra mente da sola è in grado di fare molto. Le filosofie orientali si basano molto su questo concetto. Ottimi risultati, da questo punto di vista, si possono ottenere anche con le arti marziali o con il thai chi».
Lei ha 75 anni ed è in perfetta forma, scrive libri, tiene conferenze, viene invitato in tv. È reduce da un viaggio di studio in Australia tra gli aborigeni. È il testimonial di se stesso e delle sue teorie?
«Diciamo che ci metto un po' di impegno. A 40 anni anche io avevo un girovita un po' pronunciato. La mia signora mi ha fatto capire che non le stava bene e allora ho deciso di cambiare. Anche lei mi ha aiutato ad intraprendere la via della leggerezza».
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giancarlonicoli · 6 years ago
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10 dic 2018 09:12 ECCO COME VIALLI PUO’ RESISTERE AL CANCRO AL PANCREAS. MELANIA RIZZOLI: "OGNI MESE PIÙ DI MILLE PERSONE IN VENGONO COLPITE DA QUESTO TUMORE, FORSE IL PEGGIORE CHE ESISTA, PERCHÉ SI MANIFESTA SPESSO QUANDO È IN FASE GIÀ AVANZATA, E DAL MOMENTO DELLA SUA SCOPERTA LA SOPRAVVIVENZA NON SUPERA I DUE ANNI" - I SINTOMI, LA PREVENZIONE E LE CURE 
Melania Rizzoli per “Libero Quotidiano”
Lo ha riportato alle cronache ed acceso i riflettori su di lui l' ex calciatore Gianluca Vialli, che ha parlato pubblicamente della sua malattia in atto, un tumore maligno del pancreas contro il quale combatte da oltre un anno, rivelando di giocare la partita più dura della sua vita, e di essersi dato un obiettivo a lunga scadenza, quello di non morire prima di aver portato le sue figlie all' altare.
Vialli però non è il solo a soffrire, poiché più di mille persone al mese in Italia si ammalano di cancro del pancreas, e sono 13.300 gli italiani che nel 2018 si sono visti arrivare questa diagnosi, per la quale si fa ancora troppa poca prevenzione. È il tumore più temuto da medici e pazienti, forse il peggiore che esista, perché dá i suoi segnali e si manifesta spesso quando è in fase già avanzata, e dal momento della sua scoperta, purtroppo sempre tardiva, la sopravvivenza generalmente non supera i due anni.
Negli ultimi 15 anni l' adenocarcinoma pancreatico ha fatto registrare un aumento del 60% dei casi, una impennata anomala rispetto all' incidenza di tutti gli altri tipi di tumori, con un lieve aumento nelle donne rispetto agli uomini, e per la quale esiste ancora poca informazione, nonostante la malattia venga indicata ormai come la quarta causa di morte oncologica, con previsioni che presto diventerà la seconda nei Paesi occidentali.
Il pancreas è un organo ghiandolare piatto a forma di lingua, situato in profondità nell' addome, posto dietro lo stomaco a ridosso dell' arteria aortica e della colonna vertebrale, predisposto alla produzione di enzimi essenziali per la digestione, di succo pancreatico e dell' insulina, ormone vitale per regolare la glicemia nel sangue. Ogni cento casi di tumore maligno del pancreas, due sono di tipo neuroendocrino, detti Pan - NET (Pancreatic Neuroendocrine Tumors), derivanti dalle cellule che producono gli ormoni pancreatici, i quali hanno un decorso meno aggressivo rispetto al temibile adenocarcinoma.
SINTOMI E SEGNI SUBDOLI I segni e i sintomi più comuni di questa affezione maligna purtroppo non compaiono quasi mai nelle fasi iniziali, perché sono sfumati, subdoli e difficili da percepire, ma quando avvertiti devono destare allarme, e sono: il dolore alla schiena non giustificato da alterazioni del rachide, (il pancreas si appoggia sulla colonna lombare), il dolore diffuso addominale o intorno allo stomaco notturno o durante la digestione, la comparsa di feci grasse, lucide, poltacee e di colore chiaro, di urine scure, con tonalità simile al cognac o al marsala, mentre il sintomo principe è la comparsa di ittero, ovvero del colorito giallo prima delle sclere degli occhi e poi della pelle, un segno però specifico della malattia già avanzata e metastatica, insieme al prurito diffuso, la perdita di appetito e di peso corporeo. Raramente il tumore si sviluppa prima dei 40anni, e più della metà dei casi compare dopo i 70anni, ed almeno il 50% delle persone con questo adenocarcinoma presenta il diabete al momento della diagnosi, una malattia considerata un fattore di rischio insieme all' obesità, ad una pregressa pancreatite, al tabagismo ed alla familiarità neoplastica pancreatica.
La prevenzione primaria, per arrivare a diagnosi più precoci possibili, si basa su una semplice ecografia mirata a questo organo specifico, spesso ignorato durante l' esecuzione delle comuni ecografie addominali o pelviche, e che invece è in grado, eseguita da un occhio esperto, di individuare iniziali anomalie del pancreas e del suo dotto biliare, che possono indurre il sospetto di piccoli tumori in fase di crescita, e consigliare più approfondite indagini radiologiche. Inoltre, per chi soffre di mal di schiena persistente a livello lombare, è imperativo estendere la Tac o la Rmn anche al pancreas prima di farsi operare per problemi discali, allo scopo di escludere o ridurre gli errori di valutazione per la concomitanza di affezioni rachidee, come è accaduto al Maestro Luciano Pavarotti, il quale era affetto dal dolore cronico lombare del tumore del pancreas, una sintomatologia attribuita erroneamente ad ernie del disco che pur erano presenti e che ne hanno inficiato la diagnosi corretta, avvenuta solo alla comparsa dell' ittero, con colpevole ritardo.
La terapia è chirurgica, con rimozione della neoplasia quando non estesa, con interventi miniinvasivi laparoscopici e robotici, compresi i casi più complessi che richiedono di intervenire anche a livello dei vasi sanguigni, con resezioni vascolari quando il tumore ha infiltrato le vene e le arterie. La ricerca scientifica comunque non si ferma di fronte a questa malattia che incute timore ed ha un' aura nefasta, per la quale esistono diversi regimi di chemioterapia associata alla immunoterapia, mirati a disinnescare il microambiente cellulare e infiammatorio imputato di autoproteggere e favorire la crescita della neoplasia, sulla quale fervono studi di decodificazione del genoma di questo tipo di cancro, del quale non esiste un unico tipo, ma ce ne sono diverse tipologie istologiche, con differenti alterazioni oncologiche del suo Dna.
FARMACO INTELLIGENTE Le nanotecnologie hanno cambiato i paradigmi di cura, e da qualche anno è disponibile il nab-pactilaxel, un farmaco intelligente il quale, legato all' albumina plasmatica come veicolo, va a colpire direttamente le cellule tumorali, una molecola approvata dalla UE come terapia di prima linea contro questo killer silenzioso. Comunque le epatiti virali del fegato, non curate a dovere, insieme all' obesità e ad una dieta ricca di lipidi, sono oggi i fattori di rischio maggiormente imputati, visto che il succo pancreatico, che viene prodotto dopo ogni pasto, serve ad emulsionare i grassi alimentari, i quali, se non digeriti, possono provocare infiammazioni croniche ed irritative di carattere digestivo, in grado, dopo qualche anno, di degenerare, di malignizzare e sviluppare il cancro.
Per i motivi che ho elencato, se sono presenti persistenti problemi digestivi, o dolorosi addominali sine causa, con modificazioni dell' alvo, delle feci e delle urine come sopra riportato, è bene eseguire una ecografia preventiva e mirata su questo organo profondo e mascherato dell' addome, il quale può rivelare i suoi segni "fantasma" ed indiretti della sua azione patologica anche esaminando con attenzione i dotti biliari del fegato e della cistifellea, due organi a lui strettamente collegati nel processo quotidiano digestivo, ed esplorabili anche con una endoscopia gastrica e duodenale. Perché, come sempre ricordo e sottolineo nei miei articoli divulgativi, quando compaiono dei sintomi, essi sono sempre il segnale di allarme che il nostro corpo ci invia per comunicare una malattia in atto, lieve o grave che sia, ed i quali, se persistono, non andrebbero mai ignorati, minimizzati o sottovalutati.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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30 nov 2018 10:43 E' MORTO SANDRO MAYER. IL GIORNALISTA E SCRITTORE, DAL 2004, ERA DIRETTORE DI ALCUNE TESTATE DEL GRUPPO CAIRO - AVEVA 77 ANNI - L'INTERVISTA IN CUI DISSE: “NON PORTO UN PARRUCCHINO, MA UN TRATTAMENTO CHE NON MI DECIDEVO A FARE PERCHÉ TROPPO COSTOSO" - "UNA NOTTE PADRE PIO MI È APPARSO ED ERA INCAVOLATO NERO PERCHÉ NON LO METTEVO SUL GIORNALE; IO GLI RISPONDEVO: “NON TI METTO PERCHÉ NON FAI VENDERE. E LUI…” 
Sara Faillaci per “F” del 16 novembre 2017
L’ufficio ha sulle pareti copertine dal soffitto al pavimento. «Quando finisce lo spazio di solito è tempo che vada». Guardo la stanza rapidamente: pezzi di muro liberi ce ne sono ancora. Sandro Mayer è il direttore del settimanale Dipiù dal 2004. Prima lo è stato per 20 anni di Gente. Prima ancora di Epoca e di Bolero, dopo una carriera da inviato a Novella e poi all’Oggi. Ha vissuto 50 anni nei giornali, sempre a contatto con i personaggi famosi, con un’unica missione: intrattenere la gente.
E ha venduto un numero di copie incalcolabile. Figlio di un chimico e di una casalinga originaria di Napoli, dove ha vissuto fino all’età di 15 anni, si è formato il fiuto giornalistico «ascoltando la gente dei bassi e i discorsi dell’aristocrazia partenopea». Appassionato di cinema e di teatro, si è inventato un giornalismo popolare che mescola alto e basso. E ci azzecca sempre. La tv è un altro suo grande amore, dai tempi in cui fece con Boncompagni Domenica in fino a Ballando con le stelle, dove oggi è ospite fisso.
Autore di molti libri, tutti scritti con il cuore, ha appena pubblicato Storie da palcoscenico (Cairo Editore), 4 commedie teatrali ispirate da lettere dei lettori sull’ amore, tema intramontabile quanto lo è lui. L’ultima, non a caso, parla di Padre Pio, presenza fissa nella sua opera e in ogni numero del giornale. E non per ragioni di fede.
Quando ha deciso che avrebbe fatto il giornalista?
«Presto. A Napoli passavo ogni giorno sotto la sede del Mattino e vedevo i giornalisti seduti al bar che parlavano tra loro, si arrabbiavano. Invece quando andavo a trovare mia zia che lavorava in Provincia c’era un silenzio mortale».
Come ci è riuscito?
«Sono stato fortunato. Dopo la laurea in Scienze politiche mio padre mi obbligò a fare un concorso per un posto fisso in Fiat. Mi impegnai al massimo per essere bocciato, invece mi presero. Ma alla fine convinsi i miei a lasciarmi partire per Londra: volevo imparare l’inglese. Iniziai come sciacquapiatti e finii capocameriere. La mancia più ambita, mezza corona, me la lasciò una ragazza italiana che studiava a Cambridge. Quella moneta la conservo ancora e lei è diventata mia moglie».
Un romantico.
«Siamo ancora sposati e abbiamo avuto una figlia, Isabella. Tornato in Italia, mi offrirono un posto da traduttore all’Europeo e, poco dopo, di entrare in redazione a Novella che all’epoca pubblicava storie rosa e un po’ di attualità. Il direttore editoriale della Rizzoli era Enzo Biagi che ci chiedeva di mettere il registratore sotto il letto dei vip.
Alla mia collega Maria Venturi, oggi scrittrice, chiese di approfondire un gossip di cui si parlava a Roma: il fratello minore di Claudia Cardinale, Patrick, in realtà sarebbe stato suo figlio partorito in gran segreto a Londra qualche anno prima. La Venturi scoprì tutti i dettagli: nomi, luogo e data del parto.
Ma per pubblicare lo scoop ci voleva il certificato di nascita del bambino. Chiesero a me di andare a Londra a scovarlo, solo perché parlavo inglese. In realtà non sapevo da che parte girarmi. Ma fu più facile del previsto: mi presentai all’anagrafe della zona con tutti i dati e me lo consegnarono senza battere ciglio. La sera stessa volai a Roma e lo portai a casa Cristaldi dove mi aspettava Nicola Carraro, allora al vertice della Rizzoli.
Non fui presente quando ne parlò alla Cardinale e a Franco Cristaldi, il suo compagno, ma si misero d’accordo: prima uscirono delle foto di un finto matrimonio tra loro scattate a Cinecittà, per salvare la reputazione dell’attrice e distogliere l’attenzione dallo scandalo che avremmo suscitato poi con il nostro scoop. Biagi si tenne l’intervista esclusiva alla Cardinale per Epoca. Altri tempi».
In che senso?
«Allora le celebrità erano molto più disponibili a parlare di sé. Avevano capito che gli conveniva: se entri nel cuore della gente e permetti che i giornali facciano di te un personaggio, la tua carriera si rafforza e puoi superare il fallimento di un film, che prima o poi capita a tutti.
Quando andavo come inviato al Festival del cinema di Cannes, Lucherini, agente delle dive, mi chiamava e, qualunque servizio avessi in mente, ordinava all’attrice di turno di mettersi a disposizione. Ricordo un anno in cui Gina Lollobrigida aveva ottenuto un successo pazzesco sulla Croisette; il giorno dopo arrivava Sophia Loren e Lucherini non poteva rischiare un’accoglienza più tiepida.
Allora si mise in tasca un martello e al Palazzo del cinema davanti alla calca dei fotografi diede un leggero colpetto alla porta a vetri dell’atrio che venne giù in frantumi. Il giorno dopo i giornali titolarono: “Per la Loren sfondate dalla calca le vetrate del Palazzo del cinema”».
Lei era appassionato di cinema ma nella sua carriera ha fatto interviste anche a politici internazionali molto importanti. Come ci è riuscito?
«Iniziò tutto con Gheddafi, che intervistai nel 1972 grazie a un guardiano che avevo conosciuto a Tripoli, quando ci andai da ragazzino per il lavoro di mio padre. Quando venne a trovarci a Milano, io facevo già il giornalista, ci disse che aveva fatto carriera, e mi promise di farmi incontrare il Colonnello che aveva appena preso il potere. Partimmo con un fotografo ma, dopo dieci giorni in Libia, di Gheddafi non c’era traccia.
Quando ormai mi apprestavo a tornare senza servizio, la notte prima del mio rientro in Italia mi sentii toccare la spalla mentre dormivo. Aprii gli occhi e mi trovai davanti tre soldati che mi dissero che era ora di incontrare il Colonnello. Prendemmo un aereo militare e ci portarono in una caserma a Bengasi.
A quel punto ero convinto mi avrebbero arrestato. Invece arrivò Gheddafi che chiese l’interprete, anche se io sapevo che parlava molto bene l’italiano. Infatti, quando il traduttore era impreciso, lo riprendeva subito».
Due anni dopo era con Indira Gandhi.
«A quel punto ero gasato. Feci una richiesta ufficiale allegando l’intervista a Gheddafi e l’accettarono. Una donna straordinaria, la Gandhi, alle prese con un Paese con problemi enormi. Con l’occasione girai tutta l’India e feci servizi sul Taj Mahal; allora la gente non viaggiava, non c’era la televisione o Internet a mostrare immagini, gli unici eravamo noi, con i giornali. Stesso discorso per l’America».
Dove intervistò per primo Ronald Reagan, candidato alla Casa Bianca.
«Ero andato a Los Angeles per alcuni divi del cinema e si parlava solo di Reagan, un attore che stava per diventare presidente degli Stati Uniti. Nessuno riusciva a intervistarlo ma l’attrice Rhonda Fleming, che era stata una sua fiamma, mi diede una dritta: Reagan avrebbe preso l’aereo quella sera per andare a fare campagna elettorale a Denver, in Colorado.
“È un tipo easy, lo avvicini e gli dici che sei mio amico”, mi disse. Comprai un biglietto sullo stesso volo, ma quando fummo a bordo lui era nelle prime file con il suo staff, io ovviamente in ultima. Tra noi una barriera di guardie del corpo. Mi venne l’idea di chiedere di passare per andare alla toilette e una volta davanti alla porta scoprii che era occupata da Reagan. Quando uscì mi disse: “Please”, e fece il gesto di farmi passare. E io: «Grazie ma non sono qui per fare la pipì ma per intervistare lei”. Lui senza battere ciglio disse: “Come on my friend” e mi fece sedere vicino a lui. Parlammo per il resto del viaggio».
Si conquistò anche la fiducia dei reali. È vero che è stato testimone di nozze di Maria Beatrice, figlia di Umberto di Savoia, ultimo re d’Italia?
«Sì. La fiducia dei reali in realtà si conquistava in un solo modo: con i soldi. Pagammo dieci milioni in contanti per avere l’esclusiva del matrimonio. Il mio merito, però, fu quello di agganciare la principessa. Ci arrivai grazie al fidanzato, il giovane diplomatico argentino Luis Reyna. Si sposarono nel 1970 in Messico, lontano dai riflettori perché lei era incinta di cinque mesi e nessuno doveva saperlo.
Mezzo mondo le dava la caccia e io ero l’unico giornalista ammesso alla cerimonia. A un certo punto Maria Beatrice mi disse: “Mi sento tanto sola, non c’è nessun italiano qui. Non è che mi farebbe da testimone?”. Naturalmente accettai. E l’anno dopo ebbi l’esclusiva delle nozze del fratello Vittorio Emanuele con Marina Doria. Altri dieci milioni. Dicevano che i soldi andavano in beneficenza ma non l’ho mai saputo. D’altra parte non erano fatti miei».
Da inviato a direttore. Prima di Bolero, poi di Epoca, un giornale cult.
«Mi crocifissero. Prima comunicazione scrisse: “L’inventore dei sirenetti alla guida di Epoca”. Si riferiva al fatto che, a Bolero, avevo introdotto accanto alla carrellata di belle ragazze a cui si davano orribilmente i voti, anche una di giovani maschi, chiamati, appunto, “i sirenetti”. La redazione non mi votò la fiducia. E io chiesi: “È vincolante?”. A risposta negativa, replicai: “Allora andiamo a lavorare, c’è da fare un giornale”».
Ha diretto Gente per 20 anni. Quante copie ha venduto nella sua vita?
«Non lo so ma mi ricordo il numero record: Edwige Fenech in costume da bagno, un milione e mezzo di copie. Ero convinto che a vendere fosse stata la sua bellezza, invece il distributore mi disse che era stata la dieta di Rosanna Lambertucci. L’avevo incontrata in tv e insieme ci eravamo inventati la dieta personalizzata. Un successo clamoroso per cui ci hanno odiati. Povera Lambertucci».
Lo scoop più clamoroso?
«Ero direttore di Gente e di Eva tremila e mi trovavo in Costa Azzurra in vacanza. Mi raggiunse un fotografo per mostrarmi un servizio clamoroso, sembrava maneggiasse una bomba. Quando vidi le foto al bar dell’hotel Negresco di Nizza ancora un po’ cado dalla sedia: ritraevano il marito di Stéphanie di Monaco, Daniel Ducruet, in una performance a luci rosse con una ballerina. Chiamai subito Alberto Rusconi che comunque era un tipo frizzantino e mi autorizzò l’acquisto, anche se erano un sacco di soldi. Dovevo però pubblicare due servizi: quello più hot andò su Eva e uno più sobrio su Gente. Successe il finimondo: Stéphanie chiese il divorzio. Ma non fu certo colpa mia».
Perché invece ha sposato la causa di Padre Pio? È molto religioso?
«Sono credente ma non quanto la gente pensa, non sono praticante. È successo che una notte Padre Pio mi è apparso ed era incavolato nero perché non lo mettevo sul giornale; io nel sogno gli rispondevo: “Non ti metto perché non fai vendere”.
E lui: “Tu mettimi e vediamo”. La mattina dopo ero talmente turbato che feci riaprire il giornale per inserire qualcosa sul santo e misi pure lo strillo in copertina. Nei giorni successivi il distributore mi disse che il giornale era andato a ruba per Padre Pio. Venne fuori che aveva molti fedeli, anche tra gli attori, anche se mediaticamente se ne parlava poco. Da allora è nato un legame e non faccio più un numero senza Padre Pio».
Perché invece ha deciso di tornare in tv andando a Ballando con le stelle?
«Vuole la verità? Perché mi piace il ballo. Da ragazzo ero un discreto ballerino».
Ha molto successo. I commenti sui social su di lei si sprecano.
«Tra tanta gente che grida, Milly dice che io riporto nel programma un po’ di calma. Per me è un’esperienza nuova essere riconosciuto per strada. L’altro giorno mi passa davanti un pulmino di studenti e sento un coro gridare: “Ciao Sandro!”. Confesso che mi fa piacere».
Vanitoso?
«Il giusto. Più che altro sono un’esteta. Mi piace il bello e le persone curate».
Per questo qualche anno fa ha deciso di dire addio alla calvizie e si è presentato in tv con i capelli?
«Non è un parrucchino, ma un trattamento che non mi decidevo a fare perché troppo costoso. Un giorno mi sono guardato allo specchio e ho capito che dovevo superare quel blocco, era una spesa che, dopo anni di onorata carriera, potevo permettermi. E l’ho fatto. Per me».
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giancarlonicoli · 6 years ago
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22 nov 2018 13:59
LA DIETA ‘SALVAVITA’ – FRANCO BERRINO, MEDICO ALL'ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO, SCODELLA UN VADEMECUM PER L’ALIMENTAZIONE E PER UNO STILE DI VITA SANO – LE 10 REGOLE PER IL BENESSERE PERSONALE E I CIBI DA EVITARE ASSOLUTAMENTE…
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"Si stima che migliorando lo stile alimentare si potrebbe ridurre l'incidenza delle principali malattie croniche  di una proporzione variabile fra oltre l'80% (diabete) e il 30% (tumori maligni). Si tratta di consumare quotidianamente cereali integrali, legumi, verdure e frutta, compresa la frutta oleaginosa (noci, nocciole, mandorle, pstacchi), evitare le bevande zuccherate e le carni lavorate, limitare le carni rosse e i cibi industriali ricchi di zucchero e grassi,  le bevande alcoliche e il sale. “
Silvana Mazzocchi per repubblica.it
Ai tempi delle diete estreme, del fai da te sempre inutile e dannoso praticato con il miraggio di ottenere un corpo perfetto in poche settimane, può essere utile e soprattutto saggio,  puntare alla salute e non al  miracolo e, dunque, all'essere più che all'apparire. E' l'obiettivo di Medicina da mangiare (Franco Angeli editore) scritto da Franco Berrino, specializzato in Anatomia patologica, autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche e per quarant'anni medico all'Istituto Nazionale dei Tumori dei Milano.
Per stare bene non è sufficiente seguire una dieta, premette l'autore; è necessario cambiare il proprio stile di vita e non solo l'alimentazione, in quanto la malattia è un segnale che il corpo invia per avvertire che abbiamo un problema e una dieta non cura né guarisce, mentre può e deve rivoluzionare l'esistenza a tutto vantaggio di chi sceglie la strada giusta.
Medicina da mangiare  indica come, attraverso il cibo, sia possibile prevenire disturbi e malattie e come migliorare l'efficacia delle terapie contrastandone gli effetti collaterali. Per ogni specifica patologia, vengono indicati i cibi consigliati e le ricette ideali; dall'insonnia al diabete, dalla gastrite all'insufficienza renale, dalla prevenzione dei tumori alle malattie autoimmuni o all'osteoporosi, fino al come combattere lo stato infiammatorio cronico. Ma indica anche come comportarsi, in stato di buona salute,  con lo sport e nel periodo di maternità.
Per garantire supporto curativo e per facilitare la vita dei malati  e di chi si occupa di loro, infine,  Medicina da mangiare coniuga la scienza con 130 ricette abbinate alle patologie e basate sull'esperienza professionale dell'autore.  Il risultato è un manuale utilissimo, un vademecum dell'alimentazione  arricchito  dal contributo di Simonetta Barcella e Silvia Petruzzelli.
Quanto la nostra salute dipende dal cibo che mangiamo?
"Si stima che migliorando lo stile alimentare si potrebbe ridurre l'incidenza delle principali malattie croniche  di una proporzione variabile fra oltre l'80% (diabete) e il 30% (tumori maligni). Si tratta di consumare quotidianamente cereali integrali, legumi, verdure e frutta, compresa la frutta oleaginosa (noci, nocciole, mandorle, pstacchi), evitare le bevande zuccherate e le carni lavorate, limitare le carni rosse e i cibi industriali ricchi di zucchero e grassi,  le bevande alcoliche e il sale.
Sono le raccomandazioni del Codice Europeo Contro il Cancro (redatte dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell'OMS), ma gli studi epidemiologici hanno dimostrato che chi rispetta queste indicazioni muore meno a causa di cancro e diabete, o di malattie cardiovascolari e dell'apparato respiratorio".
Il suo libro parla di scienza e suggerisce anche 130 ricette per combattere varie patologie; quali sono i cibi salvavita?
"Non ci sono cibi salvavita, ci sono stili alimentari salvavita. La dieta mediterranea, ad esempio, o le diete tradizionali di alcuni popoli orientali. Numerosi studi hanno mostrato che più la dieta si avvicina a come si mangiava nell'Italia e nella Spagna del sud e in Grecia a metà del secolo scorso,  prima della rivoluzione industriale in campo alimentare, meno ci si ammala di diabete, di infarto, di ictus cerebrale, di cancro, di malattie neurodegenerative, le malattie più frequenti del mondo occidentale.
Le ricette che abbiamo pubblicato in Medicina da mangiare sono ispirate alla dieta mediterranea tradizionale e alla filosofia macrobiotica, basata sulla visione orientale dell'energia dei cibi, dell'equilibrio dello yin e dello yang, delle energie rinfrescanti e riscaldanti, rilassanti e contraenti. Vanno bene per la prevenzione, ma alcune sono specificamente indicate per chi è ammalato."
Quali sono le patologie più diffuse e quali sono i cibi da evitare assolutamente?
"Non c'è niente di assoluto ma è certamente meglio evitare i cibi che l'OMS raccomanda di evitare, in primis i cibi che contengono grassi trans, che già più paesi hanno proibito (sono le margarine, la pasticceria commerciale di cattiva qualità, patatine, salatini, brioches da banco, sfoglie pronte per cucinare torte), le bevande zuccherate ( le bibite gasate, i succhi di frutta e gli yogurt zuccherati), le carni lavorate e trattate con nitriti per la conservazione (gran parte dei salumi, wurstel, carni in scatola).
Poi dipende da chi siamo, se facciamo una vita sedentaria, se abbiamo la pancia, la pressione alta, la glicemia,  i trigliceridi e il colesterolo alto, è meglio evitare i cibi che favoriscono queste condizioni, che stanno alla base di tutte le principali malattie croniche menzionate sopra: farine raffinate, pane bianco, patatine, patate, carni rosse, burro e formaggi.
Franco Berrino
Medicina da mangiare
Franco Angeli editore
Pagg 278, euro 20
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