#copia dal vero
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Che effetto ti fa?
🇮🇹 ("What effect does this have on you?" Italian Version)
Un senso di vertigine spaventoso non mi abbandona in questa afosa mattinata di agosto. Un piccolo assaggio di esperienza sovrannaturale, è durato una manciata di minuti ed è stato sufficiente. Da una cosa del genere non si torna indietro. Quella scena si ripete incessantemente davanti ai miei occhi, il mio stomaco si agita e mi sembra di essere in debito d'ossigeno, sul punto di svenire. Non è una sensazione passeggera, ma prolungata, che mi appanna la mente da ore mentre la stanza sembra girare lentamente su se stessa.
Ho conosciuto Dario grazie a un amico comune. Non potevo credere che una persona con fantasie così simili alle mie vivesse vicino a me. Per anni avevo considerato i miei kink come una cosa assolutamente privata e intima, non pensando che avrei mai trovato qualcuno con i miei stessi gusti che mi capisse a fondo. Quando vidi Dario, rimasi piacevolmente sorpreso: era davvero molto bello, decisamente fuori dalla mia portata. Prendendo coraggio, gli chiesi di uscire. Non penso che un orso calvo e sovrappeso come me abbia grandi possibilità con un ragazzo dal fisico perfetto come Dario, ma considerando che avevamo diverse cose in comune, ho pensato che fosse un'opportunità eccezionale e mi sono fatto avanti. Sono rimasto sorpreso quando ha detto sì; forse avevo una piccola possibilità con lui.
Ieri sera siamo usciti insieme e abbiamo passato una splendida serata. Il tempo è volato e in un attimo ci siamo trovati soli a casa mia. Era troppo bello per essere vero. Mi sono chiesto se avremmo fatto sesso, temendo di affrettare troppo le cose: non volevo bruciare questa occasione tanto preziosa; lui mi piace davvero molto.
"Alla fine non abbiamo parlato delle nostre fantasie", ha detto. "Cosa faresti se ti trovassi di fronte a una persona realmente capace di cambiare il proprio aspetto e diventare qualcun altro?" Non mi ero mai posto questa domanda. "È una fantasia eccitante, ma non ho idea di come reagirei nella realtà," risposi. A quel punto, Dario ha iniziato a spogliarsi. Io sono rimasto a qualche metro di distanza, sorpreso e impacciato. Rimasto solamente con un paio di calzoncini addosso, Dario si è lasciato cadere sulla poltrona e il suo corpo massiccio e virile ha iniziato ad asciugarsi e ringiovanire. In pochi secondi era diventato un ragazzo di circa vent'anni. Avevo sognato tante volte una scena di quel tipo, ma viverla era tutta un'altra cosa. Sono rimasto senza parole davanti a quella scena impossibile. "Non ti piace Thomas?" ha chiesto, leggendo la confusione nei miei occhi. "È un tiktoker inglese, tanto bello quanto inutile e arrogante."
Quel Thomas non era proprio il mio tipo, ma non potevo negare che fosse un bel ragazzo. In ogni caso, dalla mia bocca non uscì che un balbettio impacciato senza significato, poi cadde il silenzio. Non avevo ancora metabolizzato la trasformazione quando l'aspetto di Dario cambiò di nuovo, questa volta replicando il mio, in tutto e per tutto. L'unica differenza era che Dario stava lì con indosso solo un pantaloncino e con le gambe aperte. "Che effetto ti fa?" chiese. Ancora una volta non sapevo cosa rispondere: era uno scenario che non avevo nemmeno mai immaginato. Un senso di agitazione mista a euforia mi pervase. Non mi ero mai trovato particolarmente attraente, ma l'atteggiamento che aveva Dario nel mio corpo rendeva la cosa eccitante, contro ogni possibile previsione. Prima ancora che la testa riuscisse a trovare un senso a tutto questo, il mio corpo ha iniziato a mandarmi segnali lampanti: vedere la mia copia così sicura di sé me lo faceva venire duro. Come uno specchio, Dario iniziò ad eccitarsi allo stesso modo, mentre sorrideva compiaciuto.
Cosa mi eccitava? La trasformazione in sé? Il mio riflesso? L'idea che qualcuno potesse trovarmi attraente al punto di prendere le mie sembianze? So solo che quando Dario si alzò dalla poltrona e le sue labbra toccarono le mie, fu come se il mondo iniziasse a girare al contrario. Da quel momento nulla è stato più come prima; il mio cuore è rimasto in quella stanza e Dario, andandosene, ha portato con sé ogni possibilità di ragionare in modo lucido e coerente, lasciandomi in questo stato. Non avrei voluto più lasciarlo andare, ma ha promesso che tornerà: "Ho appena iniziato a sconvolgere il tuo mondo," ha detto prima di sparire varcando la soglia.
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Epitaffi Galleggianti
Soltanto perchè una meta è irraggiungibile, non ne consegue che non si debba lavorare al suo raggiungimento.
John Barth, L'Opera Galleggiante
John Barth è morto il 2 Aprile 2024 all'età di 93 anni. È stato uno dei più grandi scrittori americani degli ultimi 100 anni, sebbene poco famoso rispetto ad altri. Lo ricordo per due libri a me molto cari: questo che ho citato, L'Opera Galleggiante, un libro che racconta la storia di Todd Andrews, un uomo che si sveglia una mattina e - sopraffatto dalla noia esistenziale - capisce che l’unica soluzione è il suicidio. Vent’anni dopo, ancora vivo e vegeto, ecco che racconta la sua bizzarra storia e tutte le conseguenze di quella strana giornata. Lo lessi, su consiglio di una bellissima ragazza e insieme a lei; mi lasciò una dedica sulla mia copia del libro che dopo anni ancora non ho del tutto capito.
Il secondo è Giles, il ragazzo capra, del 1966, storia un ragazzo cresciuto come una capra che, infine, scopre di essere umano e si impegna per scoprire il vero segreto delle cose.
Si ricorderà, oltre che i suoi libri, il suo scrivere creativo, la sua professione di docente e un famoso articolo scientifico che scrisse su The Atlantic Monthly dal titolo The Literature Of Exhaustion, che per molti è il manifesto della letteratura postmoderna.
La notizia mi ha fatto pensare a quella dedica, e a quel libro misterioso e affascinante.
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Sta uscendo così tanta roba così in fretta in termini di innovazione attraverso l'intelligenza artificiale che personalmente ho una sensazione di stupore/paura/euforia/vertigine/nausea tutta assieme, qualcosa di paragonabile al venir improvvisamente teletrasportati su un'astronave per domandarsi "È tutto vero? Sta succedendo veramente?“ ed sentire che il cervello fa resistenza in una sorta di relazione di autodifesa. Solo per citare alcune cose viste/lette nell'ultima settimana:
AI che promettono di leggere nel pensiero convertendo il pensiero in testo/suono/immagini
AI utilizzate per creare contenuti per adulti da monetizzare
AI che compongono melodie in base al testo
AI che scrivono linee di codice complesse attraverso imput formati sa semplici frasi
AI che traducono video creando una copia del video aggiungendo audio tradotto e movimento delle labbra modificato del video originale
AI che producono testi/immagini/video/musica assemblando tutto assieme in maniera fluida
AI che creano modelli 3D partendo da una semplice descrizione
AI che spiegano concetti estremamente complessi con esempi e lessico molto più semplici. E in tutto questo appaiono ogni tanto delle voci critiche che vogliono metterci in guardia dal potenziale pericolo di questa svolta (non ultimo uno dei maggiori esperti di ai di Google che si è licenziato).
Oltretutto quando si parla di rischi in molti pensano a tutte quelle professioni che sono o saranno colpite da questa improvvisa evoluzione tecnologica, ma ciò che personalmente mi da i brividi è altro.
Attualmente almeno sulla carta c'è una moratoria internazionale sul produrre armi completamente autonome, viene richiesto ai produttori di includere comunque un fattore umano che decida sull'operatività dell'arma. Questo in teoria per impedire che vengano create armi così letali da essere in grado di operare con un vantaggio impossibile da contrastare da parte dell'essere umano. Per questo motivo non esistono fucili che puntano e sparano in automatico come quelli utilizzati da chi bara negli sparatutto (aimbot e similari). Tuttavia più la IA diventa di dominio pubblico più corriamo il rischio che a qualcuno venga voglia di creare armi in grado di prevedere ed eludere i movimenti (per un momento mi sono chiesto se scrivere i pensieri) di un possibile nemico umano sotto forma di droni o robot.
E niente, il passo immediatamente successivo sarebbe Skynet.
Spero noi non si debba mai arrivare a vedere il momento in cui realizziamo di esser stati superati da qualcosa che abbiamo creato e ci è sfuggito di mano rendendoci vulnerabili e obsoleti.
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io Asko impiegato del catasto, piuma
Non credete alle mie parole, ma vi giuro che quello che sto per raccontarvi è tutto vero. Io faccio l'impiegato del catasto ormai da trent'anni, ricordo benissimo che quella mattina aveva nevicato e l'ufficio era deserto, c'ero soltanto io e dovevo occuparmi di tutto. Verso l'una, si affacciò una persona, la prima e l'unica di quella giornata straordinaria. Una vecchina dal viso dolce. "Buongiorno signora, in cosa posso esserle utile?". "Vorrei una copia del certificato di morte di mio figlio. È morto tanti tanti anni fa, era solo un bambino". "Mi dispiace. Come si chiamava suo figlio?". "Angelo. Angelo Della Favola. È morto il 24 Dicembre del 1944. C'era ancora la guerra". "Adesso vado a vedere negli archivi. Torno subito". Quando trovai il certificato di morte, tutto impolverato, c'era attaccata una piuma! E sotto la piuma una frase.....
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Lettera a Pier Paolo
di Oriana Fallaci
[...] Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e tu innamorato della morte. Io così dura e tu così dolce.
V’era una dolcezza femminea in te, una gentilezza femminea. Anche la tua voce del resto aveva un che di femmineo, e ciò era strano perché i tuoi lineamenti erano i lineamenti di un uomo: secchi, feroci.
Sì esisteva una nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue labbra sottili, una crudeltà clandestina. Ed essa si trasmetteva al tuo corpo piccolo e magro, alla tua andatura maschia, scattante, da belva che salta addosso e morde. Però quando parlavi o sorridevi o muovevi le mani diventavi gentile come una donna, soave come una donna.
Ed io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso trasporto per te. Pensavo: in fondo è lo stesso che sentirsi attratta da una donna.
Come due donne, non un uomo e una donna, andavamo a comprare pantaloni per Ninetto, giubbotti per Ninetto, e tu parlavi di lui quasi fosse stato tuo figlio: partorito dal tuo ventre, e non seminato dal tuo seme. Quasi tu fossi geloso della maternità che rimproveravi a tua madre, a noi donne. Per Ninetto, in un negozio del Village, ti invaghisti di una camicia che era la copia esatta delle camicie in uso a Sing Sing. Sul taschino sinistro era scritto: "Prigione di Stato. Galeotto numero 3678". La provasti ripetendo: «Deliziosa, gli piacerà».
Poi uscimmo e per strada v’era un corteo a favore della guerra in Vietnam, ricordi? Tipi di mezza età alzavan cartelli su cui era scritto: "Bombardate Hanoi" e ci restasti male. Da una settimana ti affannavi a spiegarmi che il vero momento rivoluzionario non era in Cina né in Russia ma in America.
«Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest e avverti che lì la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista come me possa scoprire. I rivoluzionari di qui fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in essi la stessa assolutezza di Cristo. M’è venuta un’idea: trasferire in America il mio film su San Paolo».
Della cultura americana assolvevi quasi tutto, ma quanto soffristi la sera in cui due studen-tesse americane ti chiesero chi fosse il tuo poeta preferito, tu rispondesti naturalmente Rimbaud, e le due ignoravano chi fosse Rimbaud. Per questo lasciasti New York così insoddisfatto? [...]
Dicono che tu fossi capace d’essere allegro, chiassoso, e che per questo ti piacesse la compagnia della gioventù: giocare a calcio, ad esempio, coi ragazzi delle borgate. Ma io non ti ho mai visto così.
La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situa-zione umana che tu capissi veramente. Se una persona non era infelice, non ti interessava. Ricordo con quale affetto, un giorno, ti chinasti su me e mi stringesti un polso e mormorasti: «Anche tu, quanto a disperazione, non scherzi!» Forse per questo il destino ci fece incontrare di nuovo, anni dopo. Fu a Rio de Janeiro, dov’eri venuto con Maria Callas: in vacanza. [...]
Nessun prete mi ha mai parlato, come te, di Gesù Cristo e di San Francesco. Una volta mi hai parlato anche di Sant’Agostino, del peccato e della salvezza come li vedeva Sant’Agostino.
È stato quando mi hai recitato a me-moria il paragrafo in cui Sant’Agostino racconta di sua madre che si ubriaca. Ed ho compreso in quell’occasione che cercavi il peccato per cercar la salvezza, certo che la salvezza può venire solo dal peccato, e tanto più profondo è il peccato tanto più liberatrice è la salvezza.
Però ciò che mi dicesti su Gesù Cristo e su San Francesco, mentre Maria sonnecchiava dinanzi al mare di Copacabana, mi è rimasto come una cicatrice. Perché era un inno all’amore cantato da un uomo che non crede alla vita. Non a caso l’ho usato nel mio libro che non hai voluto leggere. L’ho messo in bocca al bambino quando interviene al processo contro la sua mamma: «Non è vero che non credi all’amore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perché ne vedi così poco, e perché quello che vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore. Ma è sufficiente credere all’amore se non si crede alla vita?»
Anche tu eri fatto d’amore. La tua virtù più spontanea era la generosità. Non sapevi mai dire no. Regalavi a piene mani a chiunque chiedesse: sia che si trattasse di soldi, sia che si trattasse di lavoro, sia che si trattasse di amicizia. A Panagulis, per esempio, regalasti la prefazione ai suoi due libri di poesie. E, verso per verso, col testo greco accanto, volesti controllare perfino se fossero tradotte bene.
Ci ritrovammo per questo, rammenti. Riprendemmo a vederci quando lui fu scarcerato e venne in esilio in Italia. Andavamo spesso a cena, tutti e tre. E mangiare con te era sempre una festa, perché a mangiare con te non ci si annoiava mai. Una sera, in quel ristorante che ti piaceva per le mozzarelle, venne anche Ninetto. Ti chiamava "babbo". E tu lo trattavi proprio come un babbo tratta suo figlio, partorito dal suo ventre e non dal suo seme.
Lasciarti dopo cena, invece, era uno strazio. Perché sapevamo dove andavi, ogni volta. E, ogni volta, era come vederti correre a un appuntamento con la morte. Ogni volta io avrei voluto agguantarti per il giubbotto, trattenerti, implorarti, ripeterti ciò che ti avevo detto a New York: «Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo!». Avrei voluto gridarti che non ne avevi il diritto perché la tua vita non apparteneva a te e basta, alla tua sete di salvezza e basta. Apparteneva a tutti noi. E noi ne avevamo bisogno. Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la verità come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu. E ti odiavo quando ti allontanavi su quella automobile con cui i tre teppisti t’avrebbero schiacciato il cuore. Ti maledicevo. Ma poi l’odio si spingeva in un’ammirazione pazza, ed esclamavo: «Che uomo coraggioso!» Non parlo del tuo coraggio morale, ora, cioè di quello che ti faceva scrivere in cambio di contumelie, incomprensioni, offese, vendette. Parlo del tuo coraggio fisico. Bisognava avere un gran fegato per frequentare la melma che frequentavi tu, di notte. Il fegato dei cristiani che insultati e sbeffeggiati entrano nel Colosseo per farsi sbranare dai leoni.
Ventiquattr’ore prima che ti sbranassero, venni a Roma con Panagulis. Ci venni decisa a vederti, risponderti a voce su ciò che mi avevi scritto. Era un venerdì. E Panagulis ti telefonò da casa mia, alla terza cifra si inseriva una voce che scandiva: «Attenzione. A causa del sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi alla centrale dell’Eur il servizio dei numeri che incominciano col 59 è temporaneamente sospeso». L’indomani accadde lo stesso. Ci dispiacque perché credevamo di venire a cena con te, sabato sera, ma ci consolammo pensando che saremmo riusciti a vederti domenica mattina.
Per domenica avevamo dato appuntamento a Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai in piazza Navona: prendiamo un aperitivo e poi andiamo a mangiare. Così verso le dieci ti telefonammo di nuovo. Ma, di nuovo, si inserì quella voce che scandiva: attenzione, a causa del sabotaggio il numero non funziona.
E a piazza Navona andammo senza di te. Era una bella giornata, una giornata piena di sole. Seduti al bar ‘Tre Scalini’ ci mettemmo a parlare di Franco che non muore mai, ed io pensavo: mi sarebbe piaciuto sentir Pier Paolo parlare di Franco che non muore mai. Poi si avvicinò un ragazzo che vendeva l’Unità e disse a Pajetta: «Hanno ammazzato Pasolini».
Lo disse sorridendo, quasi annunciasse la sconfitta di una squadra di calcio. Pajetta non capì. O non volle capire? Alzò una fronte aggrottata, brontolò: «Chi? Hanno ammazzato chi?» E il ragazzo: «Pasolini». E io, assurdamente: «Pasolini chi?» E il ragazzo: «Come chi? Come Pasolini chi? Pasolini Pier Paolo». E Panagulis disse: «Non è vero». E Miriam Mafai disse: «È uno scherzo». Però allo stesso tempo si alzò e corse a telefonare per chiedere se fosse uno scherzo. Tornò quasi subito col viso pallido. «È vero. L’hanno ammazzato davvero».
In mezzo alla piazza un giullare coi pantaloni verdi suonava un piffero lungo. Suonando ballava alzando in modo grottesco le gambe fasciate dai pantaloni verdi, e la gente rideva. «L’hanno ammazzato a Ostia, stanotte», aggiunse Miriam.
Qualcuno rise più forte perché il giullare ora agitava il piffero e cantava una canzone assurda. Cantava: «L’amore è morto, virgola, l’amore è morto, punto! Così io ti piango, virgola, così io ti piango, punto! »
Non andammo a mangiare. Pajetta e la Mafai si allontanarono con la testa china, io e Panagulis ci mettemmo a camminare senza sapere dove. In una strada deserta c’era un bar deserto, con la televisione accesa. Si entrò seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: «Ma è vero? È vero?» E la padrona del bar chiese: «Vero cosa?» E il giovanotto rispose: «Di Pasolini. Pasolini ammazzato». E la padrona del bar gridò: «Pasolini Pier Paolo? Gesù! Gesummaria! Ammazzato! Gesù! Sarà una cosa politica!» Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?
Roma, novembre 1975
Oriana Fallaci
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Preoccupazione per il caro vita: decalogo per ricercatori
In questi mesi, tutti siamo preoccupati per gli aumenti vertiginosi delle bollette e dei carburanti.
Sulle prime, si può dire che è certamente normale esserlo.
Ma c’e’ qualcosa che ci sfugge.
Ogni anno, viene divulgata una nuova emergenza.
Un nuovo motivo per angosciarsi, preoccuparsi e allarmarsi.
Guerre
Pandemie
Carestie.
A guardare bene, è soltanto la storia che si ripete.
Ovviamente in questa sede, non mi interessa parlare di politica o geopolitica, ma dare una lettura simbolica ed esoterica degli avvenimenti.
Primo- ricordiamo che per un ricercatore questo è un pianeta karmico, ossia un luogo dove si viene a comprendere qualcosa che ci rifiutiamo di comprendere.
Ognuno ha la sua lezione e questo si vede molto bene dallo studio attento del tema natale.
Secondo- pur abitando lo stesso pianeta non è detto che tutti siamo sulla stessa dimensione.
Dipende molto dal livello di consapevolezza, di fatto, molte persone durante la pandemia ad esempio, sono riuscite a migliorare addirittura la loro qualità di vita, anche economicamente.
Terzo- tali preoccupazioni emanate dalla matrix, intendono distoglierci dal nostro Vero Compito, che non è pensare alle bollette e alla benzina, ma EVOLVERE- Crescere -sviluppare compassione
Quarto- niente in natura cresce per sempre. C’e’ una battuta d’arresto in ogni cosa o essere che sono al mondo.
Per tanto alcune crisi sono semplicemente fisiologiche.
Occorre imparare ad accettare l’impermanenza della materia e rimarcare che solo lo Spirito rimane sempre uguale a se stesso e non può essere aumentato ne’ diminuito.
Quindi concentratevi sullo Spirito.
Quinto- sviluppare fiducia nelle proprie risorse e nell’universo- non nel governo eh.. - che provvede sempre a chi sceglie il giusto padrone
Sesto- è possibile che per un paio di anni dovremo aggiustarci e fare delle rinunce, ma sempre per una legge universale, questo comportera’ guadagnare su ALTRI LIVELLI…
Settimo- lavorare su se stessi è il miglior investimento che possiate fare, anche a discapito dell’enel, perché alla fine del vostro viaggio, non conterà nient’ altro che ciò che avete realizzato dentro di voi a livello esserico.
Ottavo- non dimenticate mai che esiste una fratellanza bianca sulla terra e che gli aiuti non tardano ad arrivare ma solo per chi non si infanga il cuore con perfidi e inutili compromessi.
Nono- coltivate ora più che mai relazioni significative di affetto, amicizia e solidarietà, tutte cose che negli ultimi 30 anni, sono state messe in disparte per favorire un individualismo spietato e dannoso
Decimo- non dimenticare che su questa terra esistono anche forze oscure e passive che vogliono ostacolare la nostra evoluzione, non ignoratele, non sfidatele, sappiate integrarle come nel simbolo dello yin e yang dove nella parte bianca c’e’ un po’ di nero e viceversa. Occorre un principio omeopatico di integrazione, non si può pensare di sfuggire del tutto al male, giacché persino nell’Eden ci fu un serpente che porto’ caos nell’ordine perfetto delle cose.
Buon viaggio ricercatori .
Dott.ssa Claudia Crispolti
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Malattie trasmesse spiritualmente ...
Spiritualità fast food ..
consiste nel credere che esistano
rimedi facili e veloci per eliminare la sofferenza ed evolvere spiritualmente.
La trasformazione spirituale non
può essere rapida poiché il processo stesso consiste
nel lasciar andare
la fretta e rispettare
i propri ritmi naturali.
Spiritualità imitativa ..
è la tendenza a parlare, vestirsi e/o agire come dovrebbe fare una persona spirituale.
L'imitazione ricorda è una falsa copia
di te che non ti renderà mai protagonista.
Confuse motivazioni ..
anche se il desiderio
di crescere è
genuino, spesso si mescola con altre superflue motivazioni; appartenere,
essere amati, essere
speciali, o addirittura essere superiore e concretizzare l'ambizione personale.
Identificarsi con esperienze spirituali ..
succede quando l'ego, dopo aver vissuto un'esperienza spirituale
se ne appropria, così da credere che
tutto ciò che è suo, derivi da queste esperienze spirituali;
la realtà è che sono transitori,
essi trascendono l'ego.
L'ego spirituale ..
quando la persona si identifica eccessivamente con i concetti e le idee spirituali tende
ad essere invulnerabile alle critiche, in modo che la sua crescita rallenti.
Diventa un essere impenetrabile,
lontano dal mondo.
Produzione di maestri spirituali ..
attualmente ci sono molte tradizioni spirituali che concedono titoli a persone molto lontane dall'aver raggiunto la loro maestria spirituale,
eppure si vendono egocentricamente come maestri spirituali superiori ..
Attenzione ai falsi profeti.
Orgoglio spirituale ..
l'individuo dopo
aver raggiunto un vero grado di spiritualità,
si stagna lì, scusandosi per non continuare a crescere.
Spesso è legato a
un sentimento
di superiorità immotivata.
Mente di gruppo ..
descritto anche
come pensiero
di gruppo,
mentalità di culto o malattia dell'Ashram,
succede quando
le persone appartenenti a
una determinata cerchia accettano le regole implicite su cosa e come pensare, fare ed essere.
Le persone che peccano in tal senso, rifiutano chi non rispetta questa normativa.
Il complesso delle persone scelte ..
è la convinzione di essere il più
evoluto, potente, illuminato, o semplicemente migliore degli altri.
Sono già arrivato ..
questa condizione è
così prepotentemente falsata che
ha il potenziale di uccidere la crescita spirituale.
È un po' come
"sono arrivato alla fine della mia crescita spirituale,
non ho più nulla
da imparare".
In quel momento
la crescita spirituale cessa, è come uccidere la nostra anima.
Nina
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Saremo noi: Giorno 8
Che fatica scrivere oggi! Non so se per mio sovraccarico personale o se la seconda settimana di scrittura quotidiana sta chiedendo il suo scotto. Anche oggi ho superato le duemila parole e di questo passo potrei perfino raggiungere le 15mila parole domani, ma sta arrivando il weekend e so che il tempo che potrò dedicare alla scrittura sarà molto ridotto, quindi non voglio caricarmi di troppe aspettative.
Quante parole ho scritto: 2029 // 13100 (totale)
Quando ho scritto: dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 17:00 alle 19:30.
Che musica ho ascoltato: Credo di aver ascoltato tutta la playlist del romanzo due volte e poi una playlist con suoni di treni, perché ero in difficoltà e avevo bisogno di ricentrarmi.
Osservazioni: Ho chiuso l'ultima sessione di oggi con una scena molto intensa che è stata lunga da preparare, ma sorprendentemente rapida da scrivere. Cielo è sul punto di avere un meltdown e ho dovuto descrivere tutta l'escalation che la porterà a esplodere. Una volta definiti gli elementi scatenanti, mi è bastato attingere alla mia esperienza personale: è stato faticoso, ma anche catartico, in un certo senso.
Estratto di oggi:
«Sei arrivata quarta, sai?» Aggrotto le sopracciglia. «Come?» «In classifica, eri quarta.» «Come fai a saperlo?» «Ho fatto una visita alla sala stampa e sono riuscito a ottenere una copia della classifica completa.» «Non ci posso credere!» Gli colpisco il braccio. «Posso vederla?» Me la passa dal finestrino. «Guarda chi c’è in cima.» Guardo il foglio. Al primo posto della classifica c’è Cielo. Maryam si è posizionata subito dietro di me. «Sai che cosa significa, vero?» Karl riprende la lista. «Al momento è lei il tuo avversario principale.» «Ci sono tre posti al festival in palio. Se vince lei, non significa che perdo io.» «Può essere… Verrà stasera?» «No. Gliel’ho chiesto, ma ha preferito tornare a casa.» «La prossima volta convincila a restare.» Mentre lo guardo allontanarsi in auto mi chiedo se si ricordasse che è proprio quello il titolo della sua canzone.
A domani!
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“Ernest Becker”, disse con voce roca il rabbino Bloom, giù di corda, “ha affermato che la religione ha risolto il problema della morte”. “Non un piccolo problema”, disse Noah. “Freud, in modo più cupo, sosteneva che l’intera faccenda non era altro che un modo per reprimere i nostri desideri più violenti. Rav Soloveitchik, attraverso il suo Adamo I, ha affermato che adoriamo la divinità perché desideriamo la vastità”. Sorrise stanco. “Ed è qui che entra in gioco Hume, il naturalista. A che cosa attribuiva lui l’intera faccenda?”. “All’emozione”, dissi. “Di che tipo?”, chiese il rabbino Bloom. “La paura”, dissi. “Esattamente da dove abbiamo iniziato”. Il rabbino Bloom si tamponò il naso con un fazzoletto. “La paura del nostro futuro. La paura delle nostre debolezze. La paura del nostro potenziale. La paura di ciò che desideriamo. Ora, ammetto che Hume la interpreti in una direzione che non mi piace molto, incolpando la religione per ogni sorta di spiacevoli conseguenze. Concorrenza. Intolleranza. Disonestà. Un totale fraintendimento della verità morale. Aveva ragione? Non posso escluderlo del tutto. Del resto, era un uomo più intelligente di me”. “E un folle”, disse Amir. “Sicuramente un folle”. “Vero”, disse il rabbino Bloom. “Eppure, ha capito qualcosa: la nostra spinta monoteista non deriva dal nostro desiderio di controllare ma dal nostro desiderio di sentire”. “Sentire cosa?”, chiese Noah. “Tutto quanto”. Si rivolse a un passaggio evidenziato nel suo libro. “Ciò che ci influenza di più è ciò che Hume considera le ‘affezioni ordinarie della vita umana’. La preoccupazione per il nostro benessere. L’ansia per ciò che ci riserva il futuro. Il desiderio di amore, rispetto e felicità. La paura di morire. La fame di cibo, di denaro, di comodità. Capite?”. Annuì tra sé senza aspettare una risposta. “Mentre inciampiamo attraverso i tanti eventi che compongono la vita umana, agitati e spaventati e ridendo e tremando e piangendo e amando, arriviamo a un’epifania: E in questo spettacolo disordinato, con lo sguardo ancora più disordinato e sbalordito essi scorgono le prime e oscure tracce della divinità”. “Dunque, che cosa ci sta dicendo?”, chiese Oliver burbero. “Che ci siamo inventati tutto? Che tutto questo sforzo è una grande farsa?”. “Lo è e non lo è”, disse il rabbino Bloom. “Dio è qualcuno, qualcosa, di cui avremo sempre bisogno. Egli è l’avversario contro il quale ci infuriamo e il conforto a cui aneliamo. Abbiamo bisogno di Lui quando abbiamo bisogno di qualcosa di più grande di noi stessi da ringraziare e di qualcosa di più grande di noi da biasimare. Abbiamo bisogno che Lui si senta come se non fossimo soli, e abbiamo bisogno che Lui senta che la nostra solitudine non è colpa nostra. Abbiamo bisogno di Lui quando ci rallegriamo, quando desideriamo la felicità, la pace, la quiete, ma abbiamo anche bisogno di Lui quando piangiamo, quando sperimentiamo terrore, perdita, follia”. Fece una pausa, guardando la sedia vuota. “Abbiamo bisogno di Lui più di quanto Lui abbia bisogno di noi. E questo, penso, è il senso di tutto. Quindi, lo abbiamo inventato?”. Sollevò le spalle, chiudendo la sua copia di Hume, con un sorriso esausto. “Ha importanza?”.
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Agrumato*
Questa foto è un particolare magnifico di una statua, l’Ercole Farnese, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Capolavoro di ogni tempo, è copia in marmo di un originale in bronzo di Lisippo, del III secolo a.C., copiato da Glicone di Atene nel II secolo a.C., il quale firma l’opera sulla base della statua. L’opera racconta un momento di pausa dell’eroe dopo l’ultima delle sue 12 fatiche, la raccolta dei Pomi del Giardino delle Esperidi. Appoggiato alla sua clava d’ulivo, con la leontè tolta, nella sua mano gigantesca, nascosta dietro la schiena, tiene i tre pomi del mitico Giardino.
In greco antico melon indicava un frutto sferico. Per assonanza con malum, da cui effettivamente deriverà la parola mela, si è sempre pensato che i Pomi del Giardino delle Esperidi fossero delle mele, ma la descrizione di questi frutti dorati, che sembravano figli del sole, porta ad una direzione che questi leggendari frutti fossero degli agrumi. Tant’è vero che sin dal Rinascimento, sinonimo di agrume è la parola esperidio, che indicava questi meravigliosi frutti.
Questa storia è una delle tante che Giuseppe Barbera, professore emerito di Arboricoltura all’Università di Palermo e uno dei massimi esperti di agrumicoltura in Europa, analizza in questo libro
una storia del mondo inedita, che passa attraverso la storia, la conoscenza, la coltivazioni di queste piante meravigliose, che probabilmente come nessun altra ha formato, attraverso l’intreccio tra natura, scienza, arte umana, paesaggi culturali complessi che raggiungono livelli di armonia e e di concentrazione di valori estetici, ecologici ed economici, sconosciuti alle altre specie. Dice Barbera: “La storia li ha tratti dal selvatico, li ha modificati e selezionati per piantarli in un vaso, lungo strade o piazze, in un giardino ornamentale, una campagna produttiva. I loro frutti arrivano ai mercati, alle tavole, alle industrie alimentari. Accompagnano la nostra vita, anche trovando posto in memorie e sentimenti sollecitati da apparenze, profumi e sapori che nessun altro genere fruttifero presenta così numerosi e differenziati. Li Incontriamo nei romanzi, nelle poesie e nelle canzoni, nelle pitture, nella fotografia d’autore, nel teatro e nei film, anche nella musica” (pag. 17).
Questo è un libro che racchiude il paesaggio agrumicolo in ogni senso: dalla storia botanica delle piante e delle varietà, al loro uso in cucina, nell’arte profumiera, ma soprattutto al valore simbolico ed estetico che queste piante meravigliose (una delle poche varietà legnose che può avere i fiori, i frutti acerbi e quelli maturi contemporaneamente sulle piante) hanno avuto come status symbol, presenti in tutti i giardini delle residenze nobiliari d’Europa (e il concetto stesso di coltivazione in serra nasce per conservare gli agrumi nei rigidi climi dell‘Europa centrale) e poi negli ultimi centocinquanta anni come immensa industria agricola, essendo gli agrumi la specie arborea fruttifera più coltivata al mondo.
Barbera ha il meraviglioso dono di affrontare con maestria il racconto, che spiega bene tante cose: come una peculiarità del nostro paese, “il paese dove nascono i limoni” nella famosa e fortunata descrizione goethiana, sia frutto di una serie di intrecci di dominazioni, di scambi culturali, anche di puro caso (gli agrumi non nascono nel mediterraneo, ma hanno trovato qui un habitat che conferisce loro caratteristiche uniche). È anche una storia, ben poco conosciuta, di colonialismo: le più grandi piantagioni moderne di agrumi sono tutte nelle Americhe, il frutto fu portato lì sin dai tempi di Cristoforo Colombo. Ma è soprattutto la storia di profumi, luoghi, sapori indimenticabili, alcuni dei quali modificati per coltivare questi frutti magnifici, che continueranno ad affascinare sempre. Vi lascio un quadro che non conoscevo, che ritengo bellissimo:
opera di Francisco De Zurbaran, Natura morta con limoni, arance e una rosa, del 1663, conservato al Norton Simon Museum di Pasadena, che nasce dalla filantropia di Norton Simon, uno dei più ricchi uomini della California, che deve la sua fortuna al commercio del succo di arance.
*Agrumato è un aggettivo recentissimo, che deriva dall’uso che i sommelier propongono di un vino che ha sentori di agrumi. Non esisteva ai tempi di Ercole, che probabilmente aveva un sentore agrumato sulle sue gigantesche mani.
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Pillole di letteratura - Antonio Fogazzaro
Antonio Fogazzaro (Vicenza, 25 marzo 1842 – Vicenza, 7 marzo 1911) è stato uno scrittore e poeta italiano.
Fu nominato senatore del Regno d'Italia nel 1896. Dal 1901 al 1911 fu più volte tra i candidati al Premio Nobel per la letteratura, che tuttavia non vinse. Aderì al Modernismo teologico.
Nasce a Vicenza, nella casa al numero civico 111 dell'attuale corso Fogazzaro, da Mariano, industriale tessile, e da Teresa Barrera, in un'agiata famiglia di tradizioni cattoliche: lo zio paterno Giuseppe era prete e una sorella del padre, Maria Innocente, era suora nel convento di Alzano, presso Bergamo. Antonio scriverà di sé stesso: «Dicono che sapessi leggere prima dei tre anni, che fossi un enfant prodige, antipatico genere. Infatti ero poco vivace, molto riflessivo, avido di libri. Mio padre e mia madre mi istruivano con grande amore. Avevo un carattere sensibile, ma chiuso».
Concluse gli studi elementari nel 1850: scriverà poi di non avere «mai studiato con gran zelo quello che dovevo studiare, anche da ragazzetto leggevo con avidità ogni sorta di libri dilettevoli; per il vero studio non avevo nessun entusiasmo. Leggevo poi malissimo, in fretta e furia, disordinatamente [...] Il mio libro prediletto erano le Mémoires d'Outre-tombe del Chateaubriand. Nel gennaio 2014 lo Stato francese ha acquisito l'unica copia originale integrale della prima edizione delle Mémoires. Datato 1847, l'esemplare reca le correzioni autografe, le cancellature e le sottolineature di Chateaubriand. Il volume, di 3000 pagine, apparteneva allo studio Beaussant-Lefevre di Parigi; ora è custodito alla Bibliothéque nationale de France. Chateaubriand usava dettare sistematicamente ad una segretaria i suoi libri prima di bruciare il brogliaccio dopo la stampa. Infatti, non esiste alcun manoscritto di questo capolavoro letterario.
En janvier 2014, l'État français a acquis le seul exemplaire original complet de la première édition des Mémoires. Daté de 1847, l'exemplaire porte les corrections autographes, ratures et traits de soulignement de Chateaubriand. Le volume, de 3000 pages, appartenait à l'atelier Beaussant-Lefèvre à Paris; il est aujourd'hui conservé à la Bibliothèque nationale de France. Chateaubriand dictait systématiquement à une secrétaire ses livres avant de brûler la fraude après l'impression. En fait, il n'existe aucun manuscrit de ce chef-d'œuvre littéraire.
carriera politica 1814-1830
Passavo per aristocratico, reputazione che ho poi avuto più o meno dappertutto per il mio esteriore freddo, riservato e soprattutto per il mio odio della trivialità» ed è un adolescente timido e romantico: «Le mie fantasie amorose erano sempre tanto fervide quanto aeree: mi figuravo di avere un'amante ideale, un essere sovrumano come Chateaubriand descrive la sua Silfide. Con le signore ero di un imbarazzo, d'una timidezza, di una goffaggine straordinarie».
Studia poco e malvolentieri, frequenta più spesso i caffè, giocando al biliardo, che le aule dell'Università e perde anche la fede cattolica; scrisse poi di aver provato allora «una certa soddisfazione come per aver rotto una catena pesante; sentivo però anche un lontano dubbio di errare. Lo provai specialmente la prima Pasqua che passai senza Sacramenti. So di avere passato delle ore di grande agitazione interna, passeggiando per il giardino deserto del Valentino»
A Milano conosce Abbondio Chialiva, un vecchio carbonaro che lo introduce nell'ambiente letterario degli scapigliati, scrittori che, come Emilio Praga, i fratelli Arrigo e Camillo Boito, Iginio Ugo Tarchetti, cercavano, consapevoli del provincialismo letterario italiano, nuove strade nell'arte, rifacendosi alle tradizioni romantiche tedesche e francesi. Si lega in particolare con Arrigo Boito ma non farà mai parte di quella corrente che, per quanto confusa e velleitaria, appariva troppo ribelle ai suoi occhi di borghese conservatore e intimamente conformista.
Nel 1868 supera gli esami di abilitazione alla professione di avvocato; scrive allo zio Giuseppe il 21 maggio: «Eccomi avvocato; bell'affare per i miei futuri clienti! Intanto metto il Codice Civile in disponibilità, mando la Procedura in licenza e condanno il Codice Penale alla reclusione». Pensa infatti di dedicarsi ancora alla poesia; nel 1869 nasce Gina, la prima figlia, e intanto comincia a lavorare a un romanzo e a un poemetto in versi.
Fogazzaro inviò al padre il manoscritto del poemetto Miranda il 3 dicembre 1873: «A me pare buono e in certe parti, devo dirtelo? molto buono, ma sono il primo a convenire che tutti gli autori, sino a' più ladri, hanno la stessa opinione delle cose proprie». Anche al padre, che è deputato del collegio di Marostica al Parlamento italiano, l'opera pare «bella, bellissima [...] ho divorato i tuoi versi tutti d'un fiato [...]» e ricerca un editore che la pubblichi, ricevendo tuttavia solo rifiuti, tanto da far pubblicare il libro a proprie spese nel 1874.
Il critico Francesco de Sanctis Sollecitò giudizi da un letterato di fama come Gino Capponi che, non si sa con quanto spirito di circostanza, ne dà una valutazione lusinghiera ma riceve, il 15 giugno 1874, un giudizio netto e severo dal grande critico, e collega al Parlamento, Francesco de Sanctis:
Miranda si compone di tre parti: La lettera, Il libro di Miranda e Il libro di Enrico svolgendo la vicenda di un amore irrealizzato: in Enrico, Fogazzaro avrebbe voluto rappresentare la figura di un giovane poeta estetizzante e troppo egoista per amare altri fuori di sé stesso, un figlio del suo tempo visto nel lato più negativo, mentre in Miranda è raffigurata una ragazza – come scrive il Gallarati Scotti (Vita di A. F.) - «nata tutta dal sogno, anima e corpo, e dei sogni ha perciò il pallore e l'inconsistenza. I suoi piedi non toccano terra e il suo cuore, in fondo, non batte con violenza, come chi ami in questo mondo reale un uomo reale [...] essa ci commuove per quel tanto del mondo interiore che del suo poeta che si accende in lei. Ma non appena essa si muove come un personaggio che è centro di un piccolo intreccio di avvenimenti [...] noi sentiamo che essa non ha mai avuto vita vera».
Se non ai critici e ai letterati, quella poesia piacque però al pubblico dei lettori dei quali solleticava l'allora dominante spirito sentimentale e Fogazzaro ne trasse incoraggiamento per proseguire nella via intrapresa della scrittura letteraria.
Malombra Per approfondire, leggi il testo Malombra.
Lo stesso argomento in dettaglio: Malombra (romanzo). Fu forse la consapevolezza di non avere nelle sue corde l'espressione poetica a spingerlo verso la prosa. Iniziato nella seconda metà degli anni settanta, nel 1881 esce il suo primo romanzo, Malombra. Protagonista è Marina di Malombra, bella e psicotica nipote del conte Cesare d'Ormengo, nel cui palazzo vive dopo la morte dei genitori. Qui trova casualmente un biglietto scritto nei primi anni dell'Ottocento da un'antenata – moglie infelice del padre del conte d'Ormengo e amante di un certo Renato – Cecilia Varrega, che invitava chi avesse trovato il suo messaggio a vendicarla contro i discendenti del marito.
Il lago del Segrino, dove s'immagina ambientata la vicenda del romanzo Malombra Puntualmente Marina, che si considera una reincarnazione della disgraziata Cecilia, consumerà la vendetta, facendo morire lo zio Cesare e uccidendo lo scrittore Corrado Silla, a sua volta considerato come la reincarnazione dell'amante di Cecilia. In una notte tempestosa, Marina scomparirà nelle oscure acque del lago.
I protagonisti del romanzo, Marina e Corrado, sono figure che Fogazzaro riprenderà pressoché in tutti i suoi romanzi successivi: Marina è la donna bella, aristocratica, sensuale ma inafferrabile, inquieta e nevrotica; Corrado Silla è l'intellettuale ispirato da importanti ideali che vorrebbe realizzare, ma ne è impedito dalle lusinghe del mondo e dall'inettitudine che lui stesso sente come fondamento del proprio essere.
Nel romanzo, percorso da un'atmosfera morbosa di occultismo, sensualità e morte, Fogazzaro introduce personaggi umoristici e generosi (il segretario del conte e sua figlia Edith, di casta purezza) o macchiettistici, come la contessa Fosca e il figlio Nepo. L'utilizzo del dialetto nei dialoghi di alcuni personaggi e il cogliere l'umana cordialità della provincia lombarda attenua la tensione di mistero e d'imminente tragedia che agita la vicenda.
Il libro, che mostra anche gli interessi spiritisti dello scrittore, suscitò reazioni contrastanti. Criticato da Salvatore Farina e da Enrico Panzacchi, fu parzialmente lodato da Giovanni Verga, che lo definì «una delle più alte e delle più artistiche concezioni romantiche che siano comparse ai nostri giorni in Italia». Anche Giuseppe Giacosa lo descrisse come «il più bel libro che siasi pubblicato in Italia dopo I promessi sposi», ma le maggiori riviste letterarie non lo citarono nemmeno.[1]
La vicenda è ambientata sulle rive del lago del Segrino, un piccolo lago della Brianza comasca. Il palazzo, invece, è l'antica villa Pliniana sul Lago di Como, che Fogazzaro visitò e che con la sua lugubre atmosfera costituì una delle principali fonti di ispirazione del romanzo. La versione cinematografica di Mario Soldati (1942), uno dei capolavori del cinema italiano, venne girata nella stessa villa Pliniana.
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Agenzia delle Entrate
Il mio SMS inviato all'Agenzia delle Entrate dice: "Nel 2016 ho ereditato degli immobili tra i quali una bottega a metà con un mio fratello il quale l'ha gestita come se fosse solo sua, facendo i contratti a suo nome e a mia insaputa, adesso devo fare la dichiarazione dei redditi bloccata da anni dal non sapere come gestire questa eredità in due, ma lui continua a negarmi la documentazione completa, cioè cosa ha dichiarato, cosa si fa in questi casi? Invio la dichiarazione nonostante i dati mancanti o non esatti riguardo la bottega?
L'Agenzia delle Entrate risponde via telefonata all' SMS, si vede che non vuole lasciare parole scritte che potrebbero essere utilizzate contro di loro, di quel che diceva non ho capito nulla perché la ricezione qui é pessima e glielo ho anche spiegato per telefono, quindi dovrò rifare tutto daccapo, dovrò inviare nuovi messaggi e aspettare mesi perché rispondano Invio la dichiarazione comunque nel frattempo?
Insomma, c'è furto di eredità e c'é una precisa volontà da parte di mio fratello di farmi passare guai con la legge, alla fine la colpevole sono io e non lui, per il fisco sono io che devo soldi e non ho fatto la dichiarazione dei redditi, mentre mio fratello ha dichiarato, la metà, ed ha intascato tutti i soldi e adesso non sembra volermi restituire un solo centesimo, quindi passerò a fare denuncia per furto di eredità (forse vogliono sequestrarmi e mi stanno spingendo in luoghi in cui potrebbero riuscire a farlo senza problemi?) e nel frattempo pago i suoi debiti!
Gli ho mandato decine di SMS e email per tutto l'anno per riuscire ad ottenere la documentazione che mi deve, perché se é vero che ha gestito tutto lui, contratti e tutto il resto, anche se si é intascato tutto mi deve la documentazione di tutto quel che ha fatto, invece dopo tanti mesi mi dà la copia dei contratti, uno dei quali fatto addirittura a nome di sua moglie, e poi la fotocopia di ricevute che non sa nemmeno lui più cosa sono, talmente in tutti questi anni ha veramente fatto i miei interessi e pensato a me e a cosa mi doveva!
In uno dei suoi ultimi SMS (perché l'email non la sa usare, le email sono stampabili gli SMS invece no) mi scrive che "lo stato ti obbliga a tenere i documenti per cinque anni, dopo di che non servono più perché lo stato non può più mandare accertamenti Insomma, quelli riguardante Trombino li hanno buttati, tanto i padroni sono loro, a che serviva conservarne una copia da dare a me?
Adesso io non so nemmeno cosa sto facendo, compilo F24 per pagare quel che in parte nemmeno devo allo stato e non so nemmeno se quel che sto facendo è giusto, se ci andrò io di mezzo alla fine, gli altri rubano io pago le loro tasse e per giunta alla fine sono io che dico il falso! Certa gente non é rieducabile, ho solo perso tempo, denaro e pazienza
Il mio ultimo SMS di risposta ai suoi nei quali scriveva che mi aveva già dato la documentazione che mi serviva e che i contratti erano stati chiusi uno nel 2022 e l'altro nel 2018 é stato: "Agostino, stai dicendo un sacco di stronzate: una è una sanzione e l'altra una chiusura di contratto nel 2019, quando tu fai la tua dichiarazione dei redditi sei così approssimativo? Vuoi farmi avere problemi con la legge? Adesso dimmi solo una ultima cosa: hai intenzione di darmi la mia metà dell'affitto per gli anni passati o è caduto in prescrizione anche questo?"
Non ha più risposto
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IMO: i 'piatti in faccia' servono davvero?
Oggi prendo spunto da uno scambio avuto con un amico circa l’utilità della ‘bastonatura’ quando si recensisce. Dal suo punto di vista tirare dei piatti in faccia serve. Serve perché in questo modo si aiuta a migliorare. In seconda battuta serve perché come ‘ente’ fa acquisire maggiore autorevolezza. Concordo a metà. Ossia, vero che la critica serve, ma deve sempre essere un discorso costruttivo. Il piatto in faccia, l’essere ‘spietati’, inarrestabili e intransigenti, dal mio punto di vista non è costruttivo. Partiamo dal presupposto che non tutto ciò che viene prodotto ha la stessa valenza e qualità.
Ora, personalmente credo dipenda dal singolo gruppo, per non dire dal singolo elemento, essere disposto a crescere. Mi è capitato più e più volte di aver evidenziato aspetti migliorabili di un disco e di essere stato tacciato come incompetente, saccente, e altri epiteti che non sto a ripetere. Ora, perché dovrei farmi il sangue amaro con e per persone che voglia di crescere non ne hanno? Per questo tendo a recensire solo ed esclusivamente ciò che mi convince. Anche in questo caso, però, ci sono i distinguo.
C’è chi mi convince ma con riserva e chi invece lo fa completamente. E questo viene detto. La fortuna è che quando metto in luce le riserve, fino ad ora, le band hanno sempre capito il senso. Hanno sempre compreso che le ‘critiche’ erano costruttive. Se invece io avessi demolito, tirato i piatti in faccia, che crescita avrei ottenuto? O è un discorso del tipo: solo i più forti sopravvivono? Non può essere così.
Anche perché chi parlerà bene di un disco che qualcun altro ha criticato, ci sarà sempre. Ma anche semplicemente per gusti personali. A me piace il thrash e quindi tutto ciò che è thrash va bene. Mentre distruggo tutto quello che è hardrock. Chi piacerà l’hardrock farà il contrario. Risultato? Nessuna crescita. Nessun miglioramento. C’è poi da dire, anche, che i recensori dovrebbero avere presente che il loro è solo un punto di vista. Le chiavi di lettura di un disco sono diverse e non sempre tutte a disposizione.
Esistono delle oggettività, questo è certo. Riguardano il livello tecnico in relazione al genere, non livello tecnico in generale. Un gruppo punk potrà non avere il livello tecnico di una band prog ma essere bravissimo nel genere che propone. La capacità di scrivere e raccontare. Musica e testi devono andare assieme. Anche a livello ‘emotivo’. La musica costruisce ambienti all’interno dei quali si muovono, quando ci sono, le parole.
Ancora un altro aspetto oggettivo è la derivatività o meno della proposta. Che si inizia a suonare volendo assomigliare a qualcuno, ci sta. Tutti abbiamo dei riferimenti. Il punto è che quando voglio offrire al pubblico qualcosa di mio, meglio se i miei idoli li lascio perdere. Diversamente sarei solo una copia. In questo argomento se ne insinua un altro. Ossia il genere scelto. Inutile nascondersi dietro un dito. La maggior parte dei generi musicali, tutti a dire il vero, nessuno escluso, seguono uno schema.
Ora, che lo si voglia o meno, per suonare in un certo modo devo seguire quel preciso schema. O, perlomeno, una volta era così. Se devio, creo qualcosa di diverso. Ed ecco una oggettiva difficoltà del recensire band di recente costituzione. La quasi totale impossibilità di poterle ‘incasellare’ in un unico filone stilistico. Il bello è che avviene per la maggior parte dei dischi. Messo assieme tutto ciò resta il gusto personale che, all’interno di una recensione, dovrebbe essere ininfluente.
C’è qualcuno che utilizza l’evoluzione di un genere come criterio principe per decidere se un disco è valido o meno. Ahino sono davvero pochi i dischi innovativi. Cosa facciamo, distruggiamo il 90% della musica contemporanea perché non innova? Non concordo. Le perle rare arrivano e si distinguono dal resto in ogni caso. Si deve poi sottolineare che sono perle rare per qualcuno, non pe tutti. Ovvio che se questo qualcuno è uno che smuove milioni di persone allora quel disco sarà più innovativo di un altro.
Ma qui si torna all’origine. Ossia, un disco è innovativo perché lo dice qualcun altro, perché vende più degli altri, o perché lo è e basta? Sappiamo che la notorietà non è sinonimo di qualità. Non è quindi meglio, invece di tirare piatti in faccia, fare una scrematura di base ed essere oggettivi?
I recensori non sono i giudici del mondo. Non hanno la verità in tasca. Esprimono punti di vista. Quello che li dovrebbe differenziare è la capacità argomentativa, non l’autorità. Meglio essere rispettati che temuti. Se sono temuto, quello che dico non lascia nessun segno. Tanto non gli piace nessuno, sarebbe il commento. Il rispetto invece è un fortissimo motivante. Ma il rispetto lo si deve conquistare e pretendere. E non credo lo si possa fare a suon di piatti in faccia.
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Andrea Pennacchi in "Una piccola Odissea” a La Spezia Estate Festival
Andrea Pennacchi in "Una piccola Odissea” a La Spezia Estate Festival. Il cartellone della rassegna La Spezia Estate Festival 2023 prosegue lunedì 31 luglio in piazza Europa (ore 21.30) con Andrea Pennacchi, autore e interprete di "Una piccola Odissea". Teatrista dal 1993, Pennacchi ha iniziato il suo viaggio col Teatro Popolare di Ricerca di Padova. È noto al pubblico televisivo come "Il Poiana", dal nome del personaggio del programma Propaganda Live su LA7, di cui è spesso ospite. Per il cinema, ha lavorato con Andrea Segre, Carlo Mazzacurati, Silvio Soldini. È spalla di Paola Cortellesi in Petra, serie Sky uscita a settembre 2020. Ha vinto il Nastro d'Argento nella sezione Grandi Serie 2023 come “Miglior Attore Non Protagonista” per la sua straordinaria interpretazione in "Tutto chiede salvezza", serie rivelazione di Netflix. Scrive Pennacchi nelle note di spettacolo: “Sono venuto in possesso di una copia dell'Odissea abbastanza presto: quand'ero alle medie, mio padre gestiva lo stand libri alla festa dell'Unità del mio quartiere, mentre mia mamma regnava incontrastata sulle fumanti cucine. La pioggia aveva danneggiato una versione in prosa della Garzanti, e mio papà me la regalò. Non c'era differenza, per me, tra Tolkien e Omero, era una grande storia, anzi una storia di storie, in cui non faticavo a riconoscere le persone che amavo: mio padre che torna dal campo di concentramento, mia madre che aspetta, difendendosi dagli invasori, i lutti, la gioia. E ho sempre desiderato raccontarla. L'Odissea è stata definita: ‘un racconto di racconti’, una maestosa cattedrale di racconti e raccontatori, attraversata da rimandi ad altre storie, miti, in una fitta rete atta a catturare il lettore. Proprio il suo essere costruita mirabilmente per la lettura, però, la rende difficile da raccontare a teatro, ricca com'è. Abbiamo pensato di restituirne il sapore di racconto orale proponendone una versione a più voci, che dia il giusto peso anche alla ricca componente femminile e al ritorno vero e proprio”. I biglietti sono in vendita presso il Botteghino del Teatro Civico (ingresso da via Carpenino), aperto dal lunedì al sabato dalle ore 8.30 alle ore 12.30 (il mercoledì anche dalle 16 alle 19).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Gioco Dark Wind per Play Station 2
Vendo gioco Dark Wind per Play Station 2.
TITOLO: Dark Wind; PIATTAFORMA: console Play Station 2; GENERE: Strategia, Rompicapo; STATO: usato, ma in ottime condizioni, con confezione e libretto originale;
NOTA BENE: non si vende il sensore di movimento 3D USB GAMETRAK, ma si vende solo il gioco.
Indossa i guanti e preparati a un’esperienza di lotta del tutto nuova: Gametrak rileva i tuoi movimenti e li trasferisce direttamente nel gioco
Dark Wind è il primo gioco che sfrutta l’originale e innovativo sistema di controllo 3D di Gametrak. Gametrak è sensibile ai tuoi movimenti e li trasferisce nel gioco in tempo reale, consentendoti di affrontare i tuoi nemici in Dark Wind, proprio come in combattimento vero! Riuscirai a sferrare gli attacchi magici e a sconfiggere il micidiale Storm?
La storia di Kaden
Vesti nei panni di Kaden e affronta un’epica avventura per trovare e sconfiggere suo padre Storm.
La storia di Syrah
Vestiti in panni di Kaden e affronta un’epica avventura per trovare e sconfiggere suo padre Storm.
La confessione include un sistema di controllo in 3D Gametrak, un tappetino e una copia di Dark Wind, l’incredibile gioco di lotta senza esclusione di colpi
Antefatto del gioco
L’universo di Dark Wind è simile e allo stesso tempo diverso dal nostro mondo, futuro e passato.
Questo mondo alternativo è governato da clan di guerrieri sovrumani: Hyena, Icekin, Firechild e Templar. I combattimenti distruttivi tra i clan sono controllati da clan Templar, che difendono persone comuni nelle lotte.
Osserva i tuoi movimenti sullo schermo! Gametark rileva i tuoi pugni e li trasferisce nel gioco
I personaggi del gioco
Kaden
Giovane guerriero idealista, figlio di Storm. Kadem deve lottare per salvare la sua sorella Syrah dal male! Kaden è un ottimo guerriero, molto forte ma poco veloce.
Syrah
Giovane guerriera, figlia di Storm. Syrah deve combattere per salvare suo fratello Kaden. Syrah ha il dono della velocità, ma è la più debole dei guerrieri.
Clawe
Giovane cacciatrice e guerriera del clan Heyna. Ha un enorme potenziale e può contare sulla protezione del capo dei clan, Faolan. Clawe è uno spirito libero, ribelle e molto pigro. A suo modo, ubbidisce gli ordini di Faolan, ma spesso si espone a rischi inutili.
Affronta nove terrificanti nemici, ognuno con uno stile di combattimento proprio, ricorrendo agli attacchi magici
Faolan
Capo del clan Hyena. Il suo aspetto aggressivo e le sue devastanti abilità di combattimento nascono un cuore tenero. Lo stile di combattimento di Faolan rappresenta il potere allo stato puro.
Whitewitch
Membro del clan Icekin e una delle guardie del corpo d’élite della regina strega e una combattente molto possente. Una delle sue principali armi è la sua velocità. Fai attenzioni ai suoi letali artigli di ghiaccio.
Sleet
La strega del clan Icekin è un personaggio molto strano ed enigmatico. Ha un atteggiamento distaccato e sembra posseduta da una profonda tristezza. Molto più forte di quanto non sembri, può sferrare gli attacchi magici più potenti disponibili nel gioco.
Prova l’emozione di colpire avversari che bloccano e schivano i tuoi colpi. Ce la farai a sopravvivere?
Napalm
Uno dei più terribili combattimenti del clan Firechild. Veterano di mille battaglie, è divenuto piuttosto arrogante nel corso degli anni. Ciò nonostante, o forse proprio per questo rappresenta un nemico scaltro e pericoloso.
Bob Vulkan
Il più forte combattente del potentissimo del clan Firechid. Vulkan è molto egocentrico ma anche incredibile potente. I suoi punti di forza: velocità, forza, aggressività e astuzia. Durante il combattimento, può sparare fuoco.
Storm
Gran maestro del clan Templar e giudice supremo, ha tenuto poteri quasi illimitati in cambio dell’integrità e dell’onore. Un guerriero perfetto, quasi imbattibile.
A 6,50 euro prezzo non trattabile.
Altre informazioni
La vendita viene effettuata con la clausola visto e piaciuto.
Per altre informazioni o domande sono disponibile al seguente numero di cellulare 329/4899733, via e-mail [email protected]
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