#conoscevano*
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L’ultimo Tricolore nel cielo di Zara
Macerie. Macerie. Macerie. E dalle campagne le truppe partigiane di Tito che avanzavano verso la città deserta, abbandonata da quasi tutti gli abitanti dopo mesi di bombardamenti a tappeto.
Questo era ciò che vedeva dalla cima del campanile del Duomo di Zara il Tenente dei Carabinieri Ignazio Terranova il 31 ottobre 1944. Zara diventata la “Dresda dell’Adriatico” sotto i bombardamenti anglo-americani, la città italiana con più vittime civili in percentuale: il 10% dei suoi 20.000 abitanti morì sotto le bombe. Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferì la Medaglia d’Oro al Valor Militare al gonfalone della Città di Zara per ricordare il suo martirio, ma non è ancora stato possibile consegnare ufficialmente questa onorificenza.
Ancor prima che la motonave Toscana attirasse l’attenzione dell’opinione pubblica sull’esodo che si stava consumando da Pola nel dopoguerra, fu la nave Sansego a portare in esilio migliaia di zaratini a guerra in corso, con il rischio di attacchi aerei o di cannoneggiamenti partigiani dalla costa. Approdavano ad Ancona e Trieste i primi profughi di quello che sarebbe diventato l’Esodo di 350.000 istriani, fiumani e dalmati, mentre Zara, città simbolo della presenza italiana autoctona in Dalmazia, continuava a subire bombardamenti affinchè qualcuno potesse dire: “Zara è morta, d’ora in poi ci sarà solamente Zadar”.
Il nazionalismo croato dietro la bandiera rossa dell’esercito partigiano jugoslavo avrebbe così completato la snazionalizzazione della Dalmazia avviatasi con l’editto del Consiglio della Corona emanato dall’Imperatore asburgico Francesco Giuseppe il 12 novembre 1866.
In mezzo a questa desolazione e nel momento in cui Zara per prima tra le città italiane del confine orientale avrebbe sperimentato cosa significava “Liberazione” per i “titini”, il Tenente Terranova issò sul campanile del Duomo il Tricolore. Quel Tricolore, che nel novembre 1918 aveva salutato le navi della Marina da Guerra italiana che approdavano in città alla fine della Prima guerra mondiale, veniva esposto per l’ultima volta sul cielo di Zara. Nei giorni seguenti si avviò l’epurazione politica da parte dell’OZNA, la polizia segreta titoista, la quale fece rapidamente circa 200 vittime nel capoluogo dalmata tra deportati verso l’ignoto, annegati in mare con una pietra al collo (“il mare Adriatico è stata la nostra foiba” commentava Ottavio Missoni, esule dalmata e a lungo Sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio) e fucilati, tra i quali Ignazio Terranova, il quale aveva in precedenza fatto parte del comitato clandestino antitedesco sorto in città.
Una storia che la nipote Maria Carmela Terranova ha voluto ricordare con un libro che è stato anche presentato alla Bancarella. Salone del libro dell’Adriatico orientale, una storia che ha portato al conferimento di un riconoscimento alla memoria nel corso delle cerimonie istituzionali del Giorno del Ricordo, una storia che vogliamo ricordare oggi, 7 gennaio, Giornata nazionale della bandiera.
Lorenzo Salimbeni
#Per coloro che non lo sapessere: il 7 gennaio 1797 la Repubblica Cispadana adottò il Tricolore#Quella di Zara (e della Dalmazia in generale è una storia agghiacciante dall’annessione all’Impero Austriaco in poi)#Una vera e propria pulizia etnica a danno di italiani albanesi e rumeni al fine di rendere la regione compattamente croata nonostante essa#per secoli fosse stata multietnica#Per non parlare della continua appropriazione culturale di elementi non slavi da parte dei nazionalisti croati dagli anni Novanta in poi#(esempio: l’identificazione di scrittori dalmati italiani che scrissero esclusivamente in italiano e in latino e che probabilmente il croato#nemmeno lo conoscevano come “grandi scrittori croati” - ovviamente dopo la croatizzazione di rito del nome italiano con cui essi stessi si#firmavano - la cosa esilarante è che tra questi “grandi scrittori croati” compaiono anche italiani che in vita non solo furono nazionalisti#italiani - ma odiarono apertamente i croati)#Esodo giuliano-dalmata#R.I.
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Ma sapete che forse Lucia e Thessa hanno frequentato la stessa scuola?
Intendi come università o superiori?
#posta#poi si scopre che si conosceva già ma per ragioni esterne thessa deve fare finta di non cagare lucia per non attirare le ire di fans&co. 😂#conoscevano*
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Lui la toccava e lei lo lasciava fare.
Quelle mani conoscevano il suo corpo
come nessuno, sapevano cosa sfiorare
per accendere il desiderio.
E lei voleva solo lasciarsi andare per
essere completamente sua.
Anima e corpo... ♠️🔥
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Varcò la soglia di quel bar coi capelli legati e la mano sventolante vicino al viso: faceva caldo, troppo caldo, nonostante fossero appena le 8 di mattina. Le goccioline che le partivano dalla fronte scendevano giù lungo tutto il viso arrivando alla bocca rimpolpata da quel suo lipgloss appiccicoso che usava sempre. Il locale era pieno, le voci erano alte, tutti di fretta ma non troppo: va bene andare a lavoro, sì, ma con calma, ce n'è di tempo per lavorare, ma per esser felici e spensierati ce n'è troppo poco. Si avvicinò al bancone, a servirla c'era un bel giovane sorridente. «Non ti ho mai vista qui, sei nuova?» il sorriso si fece ancora più ampio, ma come risposta ricevette il sopracciglio inarcato e indispettito di lei. «Buongiorno, innanzitutto» rimbobò. Erano già due mesi che era lì, ma ancora non si era abituata a quella confidenza che chiunque si prendeva. Sapeva non fosse cattiveria, ma un po' l'infastidiva. Tutti conoscevano tutti e lei, a sentirsi dire sempre la stessa frase, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. «Sì, sono nuova. Ma ricordate tutti coloro che passano o è proprio un vostro modo di approcciare?» continuò quindi lei. Il giovane si passò la mano tra i capelli lisci che gli cadevano sulla fronte «signorina, non mi permetterei mai di approcciarvi... O almeno, mi correggo, non così» rise, era bello. «Scusatemi se mi sono permesso o se vi ho dato fastidio... Diciamo che qui ci conosciamo tutti» botta secca «o comunque, più o meno mi ricordo chi passa, un viso così bello lo ricorderei». Le lusinghe erano tante, ma la pazienza la stava proprio perdendo. «Sì, capito, capito. Mi può portare un caffè, per favore?» «sì, certo, permettetemi di presentarmi almeno, io son-...» dei passi lenti dietro di lei la interruppero «Antò, e falla finita! Ti vuoi sbrigare? Non è cosa, non lo vedi? Portagli 'sto caffè e muoviti, glielo offro io alla signorina». La situazione stava degenerando, la ragazza in viso era ormai paonazza e non di certo per il caldo. «Scusatemi tutti, il caffè me lo pago da sola! Posso solo e solamente averlo?! Si sta facendo tardi, non pensavo che qui fosse un delirio anche prendere un caffè!» per un attimo calò il silenzio che non c'era mai stato, nella mente di lei passò un vento di leggerezza e sollievo, senza rendersi conto che, con quell'affermazione, si era di nuovo sentita come tutto ciò che non voleva sentirsi: un pesce fuor d'acqua. «Scusatemi» bofonchiò, poi di nuovo «potrei avere gentilmente un caffè? Grazie. Mi andrò a sedere al tavolo» il barista la guardò, un po' dispiaciuto «signorì, se permettete, cappuccino e cornetto, offre la casa. Sentitevi un po' a casa, vi farebbe bene» e si dileguò. Non disse nulla e si trascinò verso il tavolino, non poteva combatterli: erano tutti pieni di vita lì in quel posto. Che alla fine, un po' di gioia dopo anni di sofferenze, non sarebbe poi mica guastata.
Si sedette lì, ad un tavolino accanto ad un immenso finestrone: da lì si vedeva il mare, mozzafiato. Si guardò intorno. Il viavai di gente era irrefrenabile e la mole di lavoro assurda, ma la cosa più bella di quel posto è che nonostante le richieste più assurde dei clienti, venivano accolti tutti con il sorriso più caloroso del mondo.
Sorseggiava il suo cappuccino, lasciando vagare il suo sguardo di tanto in tanto, fin quando non si fermarono inchiodati su quello di un altro. Nell'angolo, in fondo, c'era un ragazzo. Gli occhi scuri tempesta bloccati nei suoi ciel sereno. I capelli un po' arricciati gli scappavano qua e là dalla capigliatura indefinita che portava. Un ricordo è come un sogno lucido, che però puoi toccare, sentire, annusare, vivere ad occhi aperti, vivere senza dormire. In quell'angolo di stanza, c'era lui. I battiti partirono all'impazzata all'unisono, nel bar non c'era più nessuno, solo loro. So potevano quasi toccare co mano, nonostante la distanza a separarli, le loro mani accarezzavano i rispettivi visi come a gridare “sei vera? Sei vero?”. Un impeto di emozioni, un vulcano in eruzione, la pioggia sul viso, il vento che porta il treno che sfreccia, il pianto di un bambino, la risata di un ragazzo. «Signorì, tutto apposto?» il tempo di sbattere le palpebre: lui non c'era più «sì, sì... Pensavo di aver visto qualcuno di mia conoscenza».
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Una volta era usuale fare dei Meetup tra gruppi di persone/account che si conoscevano.
Era il 6 Ottobre 2012 e ne ho un bellissimo ricordo.
Qualcuno di oggi c'era anche allora?
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“Lei era solo l’amante da amare senza amore.”
Questo è ciò che pensò lui i giorni precedenti
al loro incontro.
Una delle tante, una da rivedere se gli fosse piaciuta, ma doveva essere semplicemente un'amante.
Niente amore, nessun coinvolgimento,
il cuore sarebbe dovuto stare fuori
da quelle lenzuola.
E fu questo che pensò ancora
mentre si preparava all'appuntamento,
mentre l'avvertiva al telefono che stava arrivando, mentre scendeva le scale e mentre guidava
la macchina che di lì a poco l'avrebbe portato da lei.
Niente cuore, solo pelle!
Non erano estranei, si conoscevano da un pò. Sapevano l'uno dell'altro, conoscevano le loro rispettive fantasie che per tante volte avevano accompagnato le loro interminabili telefonate.
Non si erano mai assaggiati però, lo avevano solo immaginato quello che sarebbe stato .
Adesso tra le sue mani, tra le sue labbra
non vi era più la fantasia, c'era la sua pelle profumata, c'erano le sue labbra
e le sue mani che lo cercavano insaziabili
e lo compiacevano, lo viziavano e lo saziavano.
Giaceva sdraiata accanto a lui adesso,
vestita solo di un candido lezuolo.
Lui la guardava, l'annusava, sapeva di tutte quelle cose che aveva sempre desiderato.
E lei era lì, per lui e con lui.
Di lì a poco si sarebbero salutati ed immersi nuovamente nelle rispettive vite,
ma in silenzio, stretti tra le braccia l'uno dell'altro, si erano confessati di non aver fatto sesso
ma di essersi amati.
L'avrebbe sicuramente rivista.
Lei, l'amante che in silenzio senza chiedere niente,
più di chiunque altra, gli aveva dato l'amore.
Isabella Santacroce
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il canone del chiasmo per un kallipygos da sballo
Per rendere sensuale una figura, e in special modo nella parte posteriore, mi sono imbattuto per puro caso in una regola antica (e guarda caso greca), la regola del chiasmo, cioè della forma a "chi", cioè a "X". Il mio deretano - cioè quello che stavo idealmente disegnando e non il mio proprio che pure può vantare una bellezza pari a quello del Doriforo di Policleto -, aveva una certa fissità che non riusciva a convincermi, abbassatolo da un lato e tenendolo teso dall'altro, ecco emergere quella particolare e conturbante torsione che così ben conosciamo, istillataci nell'inconscio come una seconda natura a noi fruitori dell'arte occidentale. Quei maledetti greci conoscevano tutti i trucchetti, e noi umilmente ci inchiniamo rendendo omaggio ai nostri maestri.
Venere callipigia, I-II secolo da originale greco del III sec. a.C.
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Lei era solo l’amante da amare senza amore.”
Questo è ciò che pensò lui i giorni precedenti
al loro incontro.
Una delle tante,
una da rivedere se gli fosse piaciuta,
ma doveva essere semplicemente un'amante.
Niente amore, nessun coinvolgimento,
il cuore sarebbe dovuto stare fuori
da quelle lenzuola.
E fu questo che pensò ancora
mentre si preparava all'appuntamento,
mentre l'avvertiva al telefono che stava arrivando, mentre scendeva le scale
e mentre guidava la macchina
che di lì a poco l'avrebbe portato da lei.
Niente cuore, solo pelle!
Non erano estranei, si conoscevano da un pò. Sapevano l'uno dell'altro, conoscevano le loro rispettive fantasie che per tante volte avevano accompagnato le loro interminabili telefonate.
Non si erano mai assaggiati però,
lo avevano solo immaginato
quello che sarebbe stato .
Adesso tra le sue mani, tra le sue labbra
non vi era più la fantasia,
c'era la sua pelle profumata,
c'erano le sue labbra
e le sue mani che lo cercavano insaziabili
e lo compiacevano,
lo viziavano e lo saziavano.
Giaceva sdraiata accanto a lui adesso,
vestita solo di un candido lezuolo.
Lui la guardava, l'annusava,
sapeva di tutte quelle cose
che aveva sempre desiderato.
E lei era lì, per lui e con lui.
Di lì a poco si sarebbero salutati
ed immersi nuovamente nelle rispettive vite, ma in silenzio,
stretti tra le braccia l'uno dell'altro,
si erano confessati di non aver fatto sesso
ma di essersi amati.
L'avrebbe sicuramente rivista.
Lei, l'amante che in silenzio
senza chiedere niente,
più di chiunque altra, gli aveva dato l'amore.
Isabella Santacroce
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"Sarò una vecchia del paese"
Sarò diventata vecchia in un paese dove non sono nata. Non avrò storia in queste strade che ne hanno per quelli che hanno emesso il primo vagito in questo luogo. Ho messo piede su questo suolo con il mio corpo , vent’anni e poco più nei capelli i riflessi di un sole amico, le spalle brucianti nelle sere d’agosto. Il gusto di cibi che avevano il calore dell’infanzia, preparate da mani che mi accarezzavano, da cuori che mi avevano amato. Avevo dentro tutto quello che avevo imparato, assorbito e portato con me, sentimenti ed emozioni che non conoscevano tempo e nemmeno spazio. Non ho avuto il tempo di adattarmi a questo paese. Non sento mio nessun luogo. Mi è sembrato di avere per me solo la mia casa e i mobili, la mia biancheria,i vestiti e tutto quello che è personale. Quando arrivai con le mie valigie e i miei sacchetti della spesa mi sentii padrona di tutto e di niente. Tra le cose in valigia avevo mille foto di me, dei miei posti, quei sorrisi negli scatti. Avevo portato via quel piccolo mondo che un po’ mi assomigliava. Mi vedevo come appesa ad un filo lungo dov’erano attaccate le mie braccia e tutte quelle cose che mi appartenevano, legate l’un l’altra mentre volavano via con me. Adesso che guardo indietro mi trovo a contare quegli anni, trascorsi uno dietro l’altro, un po’ veloci e un po’ no. Non sono cambiata, ho ancora quegli occhi chiari, ma scuri e persi dietro a malinconie ,ho il passo veloce di chi correva nel mondo perché aveva fretta di fare, ma poi ho rallentato perché è meglio fermarsi a riflettere, sedersi davanti al mare ed aspettare le sue risposte. Perché arrivano, arrivano sempre puntuali e soffia sempre il vento e tu seduta sulla sabbia le senti nelle onde, mentre ti mettono in pace.
Carla 2024
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Platee Sconfinate
Chi ha frequentato il Liceo Classico, probabilmente, ricorderà una versione tratta da un testo di Plutarco dal titolo Il Teatro di Euripide salva gli Ateniesi prigionieri a Siracusa. Si racconta infatti che dopo la disfatta, inaspettata, dell'esercito ateniese giunto in Sicilia per conquistare le colonie dell'Isola, i prigionieri guerrieri vennero stipati nella latomie: cave di pietra prima, furono poi "convertite" a mega carcere per le centinaia di prigionieri. Fredde d'inverno e torride d'estate, essere imprigionati nelle latomie equivaleva a una condanna a morte: i prigionieri ateniesi furono lasciati morire di fame e di stenti, senza alcuna possibilità di fuga. Plutarco racconta però che i Siracusani, popolo colto e ricco, "amavano Euripide più di tutti gli altri Greci delle colonie" dando ristoro, o addirittura liberando, i guerrieri che ne conoscevano a memoria qualche brano. I sopravvissuti, narra l'aneddoto, quando fecero ritorno a casa, andarono a ringraziare persino il grande drammaturgo.
Questa vicenda ha una parte vera e una falsa: la vera, è che i prigionieri ateniesi davvero morirono di fame nelle latomie di Siracusa. La falsa è che l'aneddoto, divenuto celeberrimo, è appunto falso, e prima di Plutarco ne scrisse uno simile un biografo di Euripide, Satiro di Callatis, autore di molte biografie, quasi tutte perdute, ma di cui è rimasta una parte di quella di Euripide. Tuttavia il nostro Satiro è famoso principe del Metodo Cameleonte, dal nome del peripatetico Cameleonte di Eraclea, che iniziò a scrivere biografie basate a pure combinazioni e deduzioni, ai pettegolezzi e alle cronache scandalose della commedia, e al romanzesco e al leggendario (che non vuol dire che sia sempre fonte inattendibile, ma che va presa con non una ma tre pinze).
Eppure questa leggenda ha ispirato un filologo libano-irlandese, Ferdia Lennon, per scrivere un romanzo, che ho amato tantissimo, che tramite il Mito affronta situazioni davvero profonde, attualissime, usando una scrittura vivace, elettrica e piena di soprese.
Lennon immagina che due vasai disoccupati, il brillante Gelone e Lampo, zoppo e frugale, presagendo che la sconfitta di Atene possa portare alla perdita del grande patrimonio culturale della stessa, si mettano in testa di fare una rappresentazione teatrale con gli atenesi prigionieri nella latomie. Ma non una cosa qualsiasi, bensì un pastiche tra Medea e Le Troiane, le due tragedie leggendarie di Euripide, opere che furono rappresentate la prima poco prima della Guerra del Peloponneso nel 431 a.C., la seconda ebbe la prima ad Atene nel 415 a.C., proprio pochi mesi prima della disfatta di Siracusa. Il progetto è già arcigno, dato lo stato cadaverico degli Ateniesi prigionieri, delle pressioni dei Siracusani e dalle difficoltà nell'allestimento, ma con una serie di imprese al limite dell'eroico, i nostri riescono a farsi fare i costumi, le maschere, le scene e mettono su lo spettacolo. Non vi dico di più, perchè la storia va avanti e di molto, e spero di incuriosirvi con questi altri aspetti per andare da soli a leggere come va a finire.
Innanzitutto la lingua di Lennon, resa magnifica dalla traduzione di Valentina Daniele: peculiare per ogni protagonista, ricca di immagini potentissime, a volte aulica a volte sporca, le invenzioni di traduzione (gli aristo, per definire le classi ricche, o l'uso del mi' ma', mi' pa' per definire colloquialmente i genitori) rende la lettura piacevolissima. La costruzione dei personaggi, soprattutto i principali, il retto e saggio Gelone contro lo spirito intraprendente, al limite del furbesco, di Lampo. Le metafore che quell'impresa offre: il rapporto con l'altro, il ruolo del ricordo, la guerra e le sue conseguenze, persino il ruolo e la potenza dell'Arte come linguaggio universale. Ne esce fuori un libro gioiello, edito tra l'altro da una casa editrice, NN, che nella quarta di copertina ha questo passo: In questo libro c'è un Uomo Nudo. Ciò vuol dire offrire ai lettori storie di uomini che si concepiscono diversi e lottano per questa diversità, lontano da modelli e maschere di padri e pari. C’è, in sostanza, la volontà di stimolare una riflessione collettiva sul maschile, quindi quando troverete questo segnale in copertina, sapete a cosa state per andare incontro.
Che è un ulteriore buon motivo per leggere un libro che mi ha affascinato come pochi.
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🙏Quando morirai, non preoccuparti del tuo corpo.. i tuoi parenti faranno tutto il necessario secondo le loro possibilità.
Ti toglieranno i vestiti
Ti laveranno
Ti vestiranno
Ti porteranno via da casa e ti porteranno al tuo nuovo indirizzo.
Molti verranno al tuo funerale a ′′salutare". Alcuni cancelleranno gli impegni e mancheranno anche a lavoro per andare al tuo funerale..
I tuoi averi, ciò che non ti piaceva prestare, saranno venduti, regalati o bruciati.
Le tue chiavi
I tuoi strumenti
I tuoi libri
I tuoi cd
Le tue scarpe
I tuoi vestiti..
E sii sicuro che il mondo non si fermerà a piangere per te.
L’economia continuerà.
Nel tuo lavoro, sarai sostituito. Qualcuno con le stesse o migliori capacità, assumerà il tuo posto..
I tuoi beni andranno ai tuoi eredi..
E non dubitare che continuerai ad essere citato, giudicato, messo in discussione e criticato per le piccole e grandi cose che hai fatto nella vita..
Le persone che ti conoscevano solo per il tuo viso diranno: Povero uomo!
I tuoi amici sinceri piangeranno qualche ora o qualche giorno, ma poi torneranno a ridere.
I tuoi animali si abitueranno al nuovo padrone.
Le tue foto, per un po’ di tempo, rimarranno appese al muro o continueranno su qualche mobile, ma poi verranno messe in fondo a un cassetto..
Qualcun altro si siederà sul tuo divano e mangerà sulla tua tavola..
Il dolore profondo a casa tua durerà una settimana, due, un mese, due, un anno, due.. Dopo sarai aggiunto ai ricordi e poi la tua storia sarà finita..
Finito tra le persone, finito qui, finito in questo mondo..
Ma inizierà la tua storia nella tua nuova realtà... nella tua vita dopo la morte.
La tua vita dove non hai potuto trasferirti con le cose che avevi qui perché in più, andandotene, avranno perso il valore che avevano..
Corpo
Bellezza
Aspetto
Cognome
Comodità
Credito
Stato
Posizione
Conto bancario
Casa
Automobile
Professione
Titolo
Diplomi
Medaglie
Trofei
Amici
Luoghi
Coniuge
Famiglia..
Nella tua nuova vita avrai solo bisogno del tuo spirito. E il valore che gli hai accumulato qui, sarà l'unica fortuna su cui conterai lì.
Questa fortuna è l'unica cosa che ti porterai via e si impasta per tutto il tempo che stai qui. Quando vivi una vita d'amore verso gli altri e in pace con il prossimo, stai impastando la tua fortuna spirituale..
Ecco perché prova a vivere pienamente e sii felice mentre sei qui perché, come ha detto Francesco D’Assisi: ′′Da qui non ti porterai via quello che hai. Prenderai solo quello che hai dato′′…🙏
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Bella risposta ai gretini
Alla cassa di un supermercato una signora anziana sceglie un sacchetto di plastica per metterci i suoi acquisti.
La cassiera le rimprovera di non adeguarsi all’ecologia e gli dice:
“La tua generazione non comprende semplicemente il movimento ecologico. Noi giovani stiamo pagando per la vecchia generazione che ha sprecato tutte le risorse! “
La vecchietta si scusa con la cassiera e spiega:
“Mi dispiace, non c’era nessun movimento ecologista al mio tempo.”
Mentre lei lascia la cassa, affranta, la cassiera aggiunge:
” Sono persone come voi che hanno rovinato tutte le risorse a nostre spese. E ‘ vero, non si faceva assolutamente caso alla protezione dell’ambiente nel tuo tempo.”
Allora, un pò arrabbiata, la vecchia signora fa osservare che all’epoca restituivamo le bottiglie di vetro registrate al negozio. Il negozio le rimandava in fabbrica per essere lavate, sterilizzate e utilizzate nuovamente: le bottiglie erano riciclate. La carta e i sacchetti di carta si usavano più volte e quando erano ormai inutilizzabili si usavano per accendere il fuoco. Non c’era il “residuo” e l’umido si dava da mangiare agli animali.
Ma noi non conoscevamo il movimento ecologista.
E poi aggiunge:
“Ai miei tempi salivamo le scale a piedi: non avevamo le scale mobili e pochi ascensori.
Non si usava l’auto ogni volta che bisognava muoversi di due strade: camminavamo fino al negozio all’angolo.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Non si conoscevano i pannolini usa e getta: si lavavano i pannolini dei neonati.
Facevamo asciugare i vestiti fuori su una corda.
Avevamo una sveglia che caricavamo la sera.
In cucina, ci si attivava per preparare i pasti; non si disponeva di tutti questi aggeggi elettrici specializzati per preparare tutto senza sforzi e che mangiano tutti i watt che Enel produce.
Quando si imballavano degli elementi fragili da inviare per posta, si usava come imbottitura della carta da giornale o dalla ovatta, in scatole già usate, non bolle di polistirolo o di plastica.
Non avevamo i tosaerba a benzina o trattori: si usava l’olio di gomito per falciare il prato.
Lavoravamo fisicamente; non avevamo bisogno di andare in una palestra per correre sul tapis roulant che funzionano con l’elettricità.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Bevevamo l’acqua alla fontana quando avevamo sete.
Non avevamo tazze o bottiglie di plastica da gettare.
Si riempivano le penne in una bottiglia d’inchiostro invece di comprare una nuova penna ogni volta.
Rimpiazzavamo le lame di rasoio invece di gettare il rasoio intero dopo alcuni usi.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista.
Le persone prendevano il bus, la metro, il treno e i bambini si recavano a scuola in bicicletta o a piedi invece di usare la macchina di famiglia con la mamma come un servizio di taxi 24 h su 24. Bambini tenevano lo stesso astuccio per diversi anni, i quaderni continuavano da un anno all’altro, le matite, gomme temperamatite e altri accessori duravano fintanto che potevano, non un astuccio tutti gli anni e dei quaderni gettati a fine giugno, nuovi: matite e gomme con un nuovo slogan ad ogni occasione.
Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ecologista!
C’era solo una presa di corrente per stanza, e non una serie multipresa per alimentare tutta la panoplia degli accessori elettrici indispensabili ai giovani di oggi.
Allora non farmi arrabbiare col tuo movimento ecologista!
Tutto quello che si lamenta, è di non aver avuto abbastanza presto la pillola, per evitare di generare la generazione di giovani idioti come voi, che si immagina di aver inventato tutto, a cominciare dal lavoro, che non sanno scrivere 10 linee senza fare 20 errori di ortografia, che non hanno mai aperto un libro oltre che dei fumetti, che non sanno chi ha scritto il bolero di Ravel…( che pensano sia un grande sarto), che non sanno dove passa il Danubio quando proponi loro la scelta tra Vienna o Atene, ecc.
Ma che credono comunque poter dare lezioni agli altri, dall’alto della loro ignoranza!
Fonte: blog decideilpopolo.it
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Le nostre relazioni interpersonali, soprattutto quelle più intime e profonde, spalancano la porta sul nostro inconscio.
Sui nostri abissi interiori, sulle nostre paure, sulle nostre insicurezze e vulnerabilità.
Nel momento in cui l'altro ci fa scendere, attraverso l'amore che proviamo per lui, nelle profondità del nostro inconscio, le ferite non ancora del tutto rimarginate tornano a galla.
E ricominciano a sanguinare.
All'inizio va tutto bene, ma poi quando l'altro ci delude mostrandoci parti di sé che non ci piacciono, percepiamo delusione, mancanza di amore, sfiducia, rabbia.
In quel momento regrediamo facendo sì che la ferita emerga alla luce del sole.
Da quel momento in poi, possiamo scegliere due strade.
La prima è quella di difenderci, attaccando o scappando.
La relazione si carica di aspettative irrealistiche, di pretese, di critiche, in un continuo saliscendi emotivo, a partire dal quale si consuma il melodramma sentimentale della coppia.
Attraverso questo gioco relazionale fatto di punzecchiature, fughe, chiusure, raffreddamenti e riaccensioni emotive, conflitti e separazioni a singhiozzo, i partner si consumano tra di loro come due ramoscelli accesi, che si toccano dandosi fuoco reciprocamente.
La relazione si consuma fino allo sfinimento, finché uno dei due partner non decide di mollare la presa e di chiudere.
L'altra strada, quella più ardua ma anche quella più carica di possibilità evolutive, è quella della crescita personale.
Della esplorazione di sé, attraverso e con l'altro.
In questo secondo caso uno dei due partner, o entrambi, decidono di mettersi in gioco, e di iniziare un percorso di crescita personale. Da soli o in coppia.
Essi comprendendo un fatto puro e semplice.
E cioè che reagendo ai loro bisogni affettivi così dolorosi, stanno proiettando l'uno sull'altro ombre mai viste prima.
Stanno proiettando sull'altro ferite e modi di essere, fatti di umiliazione, vergogna, impotenza, che non conoscevano e che nascondevano a loro stessi.
Da questa esplorazione del Sé , uno o entrambi i partner possono uscirne liberati.
Liberati dai loro demoni, dalle loro catene, dalle loro ferite profonde.
Ma il percorso sarà lungo e spesso doloroso.
Alla fine del viaggio, possono decidere se rimanere insieme, vedendo, accettando e apprezzando l'altro per quello che realmente è, scevro dalle loro proiezioni su di lui.
Oppure possono separarsi, riconoscendo una incompatibilità di fondo, e andare ognuno per la propria strada.
Ma questa seconda scelta, è ormai non necessaria, non obbligatoria, non più avvolta da un'aura di drammaticità.
Dato che hanno recuperato loro stessi, la loro è una scelta totalmente libera, consapevole, e reale.
Abbracceranno l'altro perché lo amano, e non perché ne hanno bisogno per far parlare i loro demoni.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
#armaturainvisibile #consapevolezza
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"Li prendo come un segno divino. I gatti neri, intendo. C'è un motivo se Madre Natura non può fare a meno di partorire gatti neri. Li considero come antichi depositari della saggezza del gatto. Il primo gatto mai esistito di certo era nero. Inoltre, erano neri i gatti delle streghe, e loro sì che ne sapevano. Che conoscevano la nostra lingua. Tutte le conoscenze arcane le hanno apprese da noi. E, infatti, gli stupidi umani le hanno bruciate. Avevano paura di loro, come hanno paura dei gatti".
D. Palmieri
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A Sadarak ho ascoltato delle donne analfabete cantilenare la Bibbia, che conoscevano soltanto per tradizione orale. E ho visto che gli analfabeti sono incomparabilmente migliori di coloro che dicono di saper leggere e scrivere.
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